Albamarina e i vini bianchi di Mario Notaroberto: una storia cilentana fatta di vere passioni ed emozioni

di Silvia De Vita

La cantina del “brigante contadino” Mario Notaroberto e l’espressione dei vini bianchi di Albamarina colpiscono nel segno. Una storia tutta cilentana fatta di vere passione ed emozioni quella che andremo a narrare per 20Italie.

I racconti hanno sempre il loro fascino quando consentono di immergersi in atmosfere talvolta lontane nel tempo e nello spazio. Le parole che li compongono assumono peso, circostanze, significati che in contesti diversi avrebbero tutt’altro senso. Le espressioni, le intonazioni, le pause ne arricchiscono enormemente il fascino. E se poi la narrazione è accompagnata da un calice di vino, arricchita da complici sguardi, l’immersione nel luogo e nel tempo è garantita. Silenzi e pause che contribuiscono a condurre il ritmo, la suspense e l’armonia della composizione, come accade in un brano musicale.

Mario Notaroberto – Albamarina

Ci troviamo nel comune di Centola (SA), nella natura selvaggia del Parco del Cilento, lì dove mare e montagna si incontrano in un trionfo di colori che sfumano dal blu profondo del mare al verde intenso della campagna, con spennellate di macchia mediterranea e profumi intensi di salsedine e piante aromatiche.

Il protagonista è Mario Notaroberto – cantina Albamarina proprietario di splendidi vigneti che si affacciano sul golfo di Palinuro. Un terreno noto agli esperti come flysch cilentano, dove lo strato di argilliti e quarziti di origine marina ha l’arduo compito di assorbire l’acqua piovana per poi restituirla nei periodi più aridi. È un piccolo mondo di storie, di vigne e pensieri: una terra di testarde attese e di cuori resilienti.

La roccia è composta da vari livelli di arenaria, argilla, marna, calcare, e qualcuno sostiene, non solo. Nel tratto a largo della costa del Cilento, due giganti sottomarini, il Marsili e il Palinuro, hanno avuto in passato una attività vulcanica imponente, tanto da far supporre ad alcuni studiosi che il suolo possa avere richiami tipicamente vulcanici.

Mario sviluppa qui la sua cantina su 10 ettari vitati, tra Fiano ed Aglianico e altri vitigni autoctoni cilentani e della Campania (Falanghina, Greco e Santa Sofia). Gli impianti sono del 2009 e nel 2012 è avvenuta la prima vendemmia; l’anno seguente Albamarina è comparsa sul mercato con ottimo consenso dalla critica. Il microclima è particolarmente favorevole e si avvantaggia della brezza marina proveniente dal golfo di Policastro protetta dal Monte Bulgheria in un unico abbraccio.

Di strade Notaroberto ne ha percorse molte dal momento che, dopo gli studi di ragioneria e un lavoro proficuo a Napoli, si è trasferito in gioventù nel Lussemburgo spinto forse da questioni di cuore o molto più probabilmente da nuove ambizioni e ricerca di stimoli. Lì apre il Ristorante Il Notaro che conduce al successo rapidamente, arricchendone la cantina con un numero importante di vini, tali da raggiungere negli anni oltre 1450 etichette. Oggi il business in Lussemburgo viene gestito dai figli Livio e Dario che, dopo gli studi alla Bocconi, hanno deciso di seguire le orme del papà.

La passione per il vino nasce in Mario sin da ragazzo, nella vigna di famiglia. Non ha mai saputo che uva il padre coltivasse, ma ha chiaro il ricordo di questo vino rosso da una varietà francese a detta dei genitori, riportata nel Cilento da un compaesano emigrato con dei “maioli”.

Il risultato era di colore tanto scuro da far dannare la mamma quando una sua goccia macchiava la tovaglia. Molti anni dopo, per caso durante un viaggio a Montevideo, scopre che quell’uva era semplicemente il Tanat, vitigno del Sud Ovest francese, molto tannico, con caratteristiche che si collocano a metà strada tra Aglianico e Sagrantino.

La degustazione improntata sui suoi vini è splendida. Con molta generosità alterna il racconto di Albamarina e della sua storia personale a momenti di assaggi delle diverse tipologie di vino della cantina.

Ad aprire le danze Etèl – IGP Campania 2022, Falanghina proveniente per metà dai terreni di Centola ed il rimanente 50% dal Sannio. Il nome del vino richiama il nome del fiume LETE scritto al contrario, sui cui lembi (ben stilizzati in etichetta) si affacciano, a circa 250 mt di altitudine, i vigneti. Il clone utilizzato è quello del Sannio, impiantato nel 2016 e vinificato per la prima volta nel 2021. L’affinamento avviene in acciaio sulle fecce fini per circa 6 mesi, ed in bottiglia per almeno 3 mesi. Vino di carattere, dalle nuance giallo paglierine e naso inebriante di sentori fruttati. Sorso fresco e di buon corpo, ben equilibrato dal gradevole allungo.

Nerbo e prospettive di longevità per il Nylos, IGP Campania 2021, da Greco in purezza. La dedica è a San Nilo, il cui cammino cilentano, in alcuni punti, segue le vigne di Albamarina. Richiama al naso fiori di ginestra e frutta a pasta gialla. Fresco, ben equilibrato e di buona persistenza.

La degustazione continua con il vino storico dell’azienda, il Fiano IGP Valmezzana. Il nome del richiama la località nella quale viene coltivata l’uva. L’etichetta invece evoca una farfalla per simboleggiare un’esistenza effimera e quindi un vino che va bevuto velocemente perché di vita breve. Invece resiste in maniera superba lo scorrere del tempo!

La verticale proposta denota, infatti, tutt’altro. Le diverse annate di Valmezzana 2021 – 2019 – 2014 – 2013 oltre ad impressionare per l’intensità del colore che vira a mano a mano verso il giallo dorato con riflessi ambrati, sviluppano al naso un bouquet di note agrumate, con fiori bianchi, mughetto alpino e balsamicità. Andando indietro con le lancette dell’orologio emergono le sfumature tostate e mielose del Fiano e una mineralità di forte presenza in bocca. Straordinaria l’evoluzione del Valmezzana in versione Magnum.

Ultimo prodotto in degustazione è il Palimiento, che rappresenta per Albamarina un ritorno al legno in fase di fermentazione e un affinamento per almeno 12 mesi in barrique.

Il nome del vino “Palimiento” richiama “I Palmenti”, le vasche o di cemento o scavate nella roccia, che già in tempi antichi venivano utilizzate per la fermentazione del mosto, rievocate e stilizzate in etichetta con un tratto delicato. La presenza del legno nel processo produttivo ha un impatto nobile sul vino. L’esaltazione della macchia mediterranea e la mineralità vengono percepite senza troppe difficoltà, come se le sue botti fossero state immerse in acqua di mare. Una struttura importante accompagnata da una freschezza e una sapidità rendono la beva elegante.

Un nuovo progetto vede l’espressione del Fiano nelle bollicine – Metodo Charmat e Metodo Classico – presto in arrivo al pubblico. Noi abbiamo degustato in anteprima lo spumante brut Metodo Charmat il cui nome “L’eremita” è un omaggio ad una delle frazioni di Futani “Eremiti”. L’etichetta richiama una rete in cui l’eremita si sente intrappolato, come lo spumante quando è chiuso in bottiglia. Dal perlage fine e brillante con piccoli riflessi di luce dorata.  Al naso richiama sentori di agrumi e frutta gialla non ancora matura, arricchiti da piacevoli note floreali e di lievitazione. La beva ha una buona freschezza e finezza; lungo e pulito il finale.

Il mondo dei rossi e rosati di Albamarina meriterà tempo e dedizione in un’altra visita. Si va via consapevoli della magia appena vissuta e nostalgici delle magnifiche sollecitazioni che più volte hanno stimolato piacevolmente i nostri 5 sensi.

Oscar Wilde diceva “The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams.”

Mario Notaroberto, ne è l’esempio vivente…

Merci et à la prochaine! Et ce sera bientot.

Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità

di Augusta Boes

Marco Bacci, imprenditore da sempre e vignaiolo per amore, raccoglie la sfida del caso e prova ad affinare il più classico dei tagli bordolesi nel profondo degli abissi della costa maremmana, con risultati davvero sorprendenti con il suo progetto “Talamo a mare”.

In un nostro precedente articolo (Bacci Wines: equazione risolta) avevamo anticipato che ci sarebbero state interessanti novità all’orizzonte in casa Bacci Wines, e che ne avremmo parlato a tempo debito: il momento è arrivato e “ogni promessa è debito”.

Il sorriso solare e l’entusiasmo sincero con cui Marco Bacci ha accolto media e giornalisti nella sua tenuta Terre di Talamo, nei pressi di Fonteblanda (GR) in piena Maremma Toscana, hanno immediatamente conquistato tutti. In un caldo pomeriggio di luglio, coccolati da un rinfrescante calice di spumante e dalla brezza che porta i sussurri del mare fin su la collina, ci siamo sentiti subito a casa. Uno spumate peraltro d’eccezione, il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero, un metodo classico da uve Sangiovese di cui si producono poco più di 3.000 bottiglie per una fresca carezza dal gusto decisamente toscano.

Non è raro che imprenditori nazionali e internazionali decidano di investire in tenute vitivinicole qui in Italia. Tuttavia, sono pochi quelli che si lasciano coinvolgere così profondamente da decidere di cambiare radicalmente vita.

Bacci Wines: una scelta di vita all’insegna dell’eccellenza

La storia di Bacci Wines comincia come tante altre: un giovanissimo ed esuberante imprenditore decide di acquistare una tenuta vitivinicola, un po’ per gioco, un po’ come investimento e un po’ perché fa tendenza.  Si innamora di Castello di Bossi nell’areale del Chianti Classico, i cui spazi di cantina, tra l’altro, custodiscono storie e segreti del grandissimo enologo Giacomo Tachis. Ed è così che questo ragazzo di 25 anni intraprende, più o meno inconsapevolmente, una nuova avventura che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. «Il primo segno di pazzia, che poi mi ha preso tutto» ci racconta Marco, a tal punto che nel 1996 decide di vendere le sue aziende d’abbigliamento per sposare senza compromessi la sua nuova missione: fare vino e farlo anche molto bene.

Da allora l’azienda si è espansa notevolmente, e ad oggi conta 5 tenute a conduzione biologica certificata: Castello di Bossi, Tenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcino, e Terre di Talamo qui in Maremma. Una “pazzia” davvero dilagante.

Terre di Talamo: il rifugio del lupo di mare

La tenuta maremmana è incantevole: un anfiteatro naturale con i vigneti che baciano Talamone in lontananza, declinando dolcemente verso il mare azzurro. Affascinato dalla sua bellezza, Marco all’epoca concluse l’affare in soli cinque giorni, aggiungendo Terre di Talamo alla sua collezione di gioielli. Il posto perfetto per lui che ama le immersioni e la pesca di profondità; che poi, a guardarlo bene, è difficile distinguere il vignaiolo dal lupo di mare.

Tra questi filari nascono, tra le altre cose, due interpretazioni davvero interessanti del Vermentino di Toscana, rispettivamente il Vento e il Vento Forte. Il primo, vinificato in acciaio, cattura l’essenza della brezza marina e delle erbe aromatiche, offrendo un vino piacevole e dalla personalità leggiadra. Il secondo, invece, maturato in barrique, colpisce per la sua delicata cremosità e si distingue per i suoi piacevoli sentori di frutta bianca, salvia, alloro, tiglio e ginestra. Inconfondibile la nota iodata che, anche in questo caso, richiama la carezza del vento marino sia nell’aroma che nel gusto.

Talamo a mare: il vino rosso affidato alle cure di re Tritone

Il vero protagonista della giornata però è stato il Talamo a Mare, il vino nato per caso da una dimenticanza. Il destino ha voluto che Marco scordasse per lungo tempo una cassa di Talamo, il taglio bordolese dell’azienda, nella stiva della sua barca. Al ritrovamento la sorpresa è stata grande. Il rollio delle onde, la temperatura e il grado di umidità pressoché costanti avevano conferito al vino una marcia in più. È da qui che nasce l’idea di sperimentare l’affinamento in fondo al mare, il primo tentativo in assoluto per un vino rosso in Toscana, tant’è che la mancanza di norme specifiche ha fatto sì che ci volessero poi 3 anni per poter inabissare la prima cassa a 35 metri.

Non lascia alcun dubbio la degustazione comparativa di questi gemelli diversi, di terra e di mare, figli della stessa botte, assaggiati nei millesimi 2018 e 2019. Custodito e coccolato da dio Tritone, sebbene il ventaglio olfattivo e la piacevolezza del sorso fossero molto simili, il Talamo a Mare è decisamente un vino in dolby surround. L’intensità e la profondità dei profumi, di frutti rossi croccanti, rose carnose, ibiscus e delicate spezie dolci, risultano amplificati come ci fosse una sorta di reverbero a sostenerne la complessità. La stessa cosa si può dire del sorso che risulta teso, dinamico e piacevolissimo, con tannini carezzevoli, grande equilibrio e tanta freschezza. Puntuale e precisa la corrispondenza gusto-olfattiva, caratteristica sempre importante nel valutare la qualità di un vino.

Un esperimento che sin qui ha dato ottimi risultati che hanno premiato la tenacia e la caparbietà di Marco Bacci nel perseguire questo suo sfidante obiettivo. E la storia non finisce certo qui; non mancano le idee e i nuovi progetti ma nessuna anticipazione, per non rovinare la sorpresa. Ne parleremo a tempo debito. Braccia fortunatamente restituite all’agricoltura quelle di Marco, perché se un vino non è fatto prima per passione e poi per il mercato, la differenza si sente tutta, e qui il supplemento d’anima risulta davvero rilevante.

Val d’Agri – il vino di Viggiano: un tesoro enologico in continua evoluzione

di Alberto Chiarenza

Una ricerca alternativa ha portato un gruppo di studiosi a fare delle scoperte che stravolgono in parte le origini dei vitigni italiani. Lo studio chiamato “Fra le montagne di Enotria” nell’ambito della più ampia ricerca su l’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri, è stato condotto dall’autore del libro, il professore di archeologia e ricercatore Stefano Del Lungo, che ha ideato il progetto con la collaborazione di esimi colleghi.

Il press tour di due giorni è stato organizzato dal Consorzio di Tutela e Valorizzazione della DOC Terre dell’Alta Val d’Agri in collaborazione con la responsabile comunicazione e pubbliche relazioni, Maddalena Mazzeschi.

LE MERAVIGLIE DI UN TERRITORIO QUASI SCONOSCIUTO

Il paesaggio è un avvicendarsi di boschi di lecci e querce, con macchie gialle di ginestre. La Val D’Agri è conosciuta per la sua bellezza paesaggistica, con una combinazione tra montagne, colline e vallate che creano uno scenario suggestivo. La valle è attraversata dal fiume Agri da cui prende il nome, ed è circondata dai monti dell’Appennino Lucano; famosa per le sue risorse naturali è sede di uno dei più grandi giacimenti di petrolio in Italia gestito dalla Società ENI.

Tra i principali luoghi da visitare ci sono Grumento Nova, con le sue rovine romane, Tramutola con l’antico Castello e le piscine naturali di idrocarburi, e Viggiano che domina dall’alto. Iniziamo la visita proprio alle piscine con affioramenti dal sottosuolo di idrocarburi e gas disciolti in acqua.

Nel 1857 un terremoto di grandi proporzioni provoca grandi danni in zona, attirando la presenza di numerosi esperti tra cui Robert Mallet, uno studioso irlandese che darà vita alla Geologia Sismica. Fu il primo terremoto ufficialmente documentato da un reportage fotografico. Saranno poi Racioppi e Del Giudice, due studiosi geologi e geografi, che raccogliendo le testimonianze degli abitanti narrarono di fulmini e fuochi strani associati a forte odore di zolfo prima e dopo l’evento sismico. Si trattava proprio della attività dei gas e degli idrocarburi che riaffioravano in superficie.

Nel trasferimento a Grumento Nova verso lo stabilimento ENI è stato attivato da poco tempo un progetto chiamato Agrivanda, che unisce la coltivazione della lavanda e l’utilizzo delle api come biomonitori al fine di promuovere la riqualificazione agricola e il monitoraggio ambientale in modo sostenibile. Agrivanda è il frutto di un impegno volto al recupero, alla riqualificazione e alla valorizzazione di terreni a vocazione agricola e si inserisce nel più ampio programma integrato “Energy Valley” per la riqualificazione paesaggistica e territoriale nell’area circostante il Centro Olio Val d’Agri a Viggiano.

L’avventura è cominciata nel 2018 con la messa a regime di terreni incolti, il recupero di colture preesistenti, l’installazione di apiari e la ristrutturazione di due edifici già esistenti. La coltivazione della lavanda, pianta officinale perfettamente adatta alle condizioni pedo-climatiche dell’area, e l’utilizzo delle api come indicatori di biomonitoraggio, sono gli elementi distintivi che mirano a diventare un esempio virtuoso al servizio della comunità.

I pilastri fondamentali del progetto comprendono la crescita economica del territorio, supportando la creazione di micro-filiere, l’inclusione sociale attraverso la collaborazione con cooperative sociali locali, l’educazione e la formazione rivolte al mondo scolastico e lavorativo rispettando l’ambiente. Un passo avanti nella valorizzazione delle risorse del territorio, combinando agricoltura sostenibile, monitoraggio continuo e sviluppo socio-economico.

Arrivati a Grumento Nova è il professore Del Lungo a parlarci della relazione tra l’insediamento e la coltivazione della vite. Ci racconta infatti che tra fine ‘800 e inizi ‘900 tutta l’area di circa 120 ettari era occupata da vigneti e già dal sesto secolo D.C. era presente la vite.

Grumentum è un’antica città romana. Era originariamente un insediamento dei Lucani, popolazione italica, e in seguito divenne una colonia di Roma. Dotata di importanti infrastrutture tra cui un foro, un teatro, le terme, un anfiteatro e un sistema di approvvigionamento idrico era un centro politico e sociale ricco di spettacoli per la popolazione.

I palmenti, antichi sistemi di pigiatura dell’uva, solitamente realizzati in pietra, all’interno dei quali l’uva veniva posta e calpestata da un gruppo di persone, sono ancora ben visibili.

Giungiamo a Viggiano, custode di un patrimonio enologico unico, frutto di tradizione plurisecolare nella selezione e nella cura delle varietà viticole.  Famosissimo per le sue arpe, adatte al trasporto. Un antico retaggio degli emigranti. Inoltre è stato ricostruito un arco in pietra che ha resistito al terremoto del 1857, dove la chiave di volta ha scolpita proprio un’arpa.

La cena offerta è stata appositamente organizzata per gustare i piatti tipici della cucina locale in abbinamento con i vini della DOC Terre dell’Alta Val d’Agri. Sulla qualità complessiva manca qualche passetto in avanti, ma tendenzialmente i produttori sono sulla strada giusta.

I piatti tipici sono:

  • Patatelle (polpettine di patate e formaggio) in brodo di pollo
  • Cazun (ravioli di ricotta) al sugo
  • Ferricelli o trighidd’, conditi o con mollica di pane e noci o con sughi di carne insaporiti da ottimo formaggio pecorino, peperoncino o rafano (cren, radice che dà alle pietanze un caratteristico sapore, forte e deciso). Il “Ferricello Viggianese” ha il marchio De.C.O. (Denominazione di Origine Comunale) dal 2017. La genuinità dei prodotti unita al rispetto delle tradizioni consentono al turista di assaporare piatti di vera eccellenza.
  • Tagliulin’ (taglierini) o trighidduzz’ con legumi
  • Rafanata (frittata con rafano)
  • Cazz’marr’ (involtini con interiora di capretto o agnello lattante)
  • P’prussa crusch’ (peperoni secchi)

Al Teatro Comunale F. Miggiano è stato poi presentato alla stampa, con la presenza di Autorità locali e del Comandante dell’Istituto Geografico Militare, il Generale Di Corpo d’Armata Pietro Tornabene, questo importante volume con l’aiuto di:

  • Angelo Raffaele Caputo del CREA Centro di Ricerca Viticulturale ed Enologia;
  • Vittorio Alba CREA-VE TURI;
  • Teodora Cicchelli Archeologa;
  • Addolorata Preite cultura Enotria;
  • Agata Maggio del CNR;
  • Presidente Consorzio Terre dell’Alta Val D’Agri, Francesco Pisani;
  • Sindaco di Viggiano, Amedeo Cicala;
  • Senatore Pasquale Pepe.

I viticoltori di questa regione rappresentano una ristretta ma appassionata comunità, devota al proprio lavoro e profondamente legata al territorio. Tuttavia, le sfide attuali non possono essere ignorate, poiché la scoperta di importanti giacimenti di combustibili fossili mette a rischio lo sviluppo agronomico.

Fondata su una solida base ampelografica, che sin dal XIX secolo ha abbracciato le varietà internazionali come Merlot e Cabernet, la viticoltura di Viggiano ha stabilito obiettivi ambiziosi:

  • Ampliare la base ampelografica attraverso il recupero di vitigni caratterizzanti il terroir come il Guarnaccino.
  • Diversificare la produzione di vini introducendo queste varietà autoctone in percentuali diverse, tenendo conto delle loro caratteristiche peculiari.
  • Creare nuove denominazioni varietali che potrebbero diventare un punto di riferimento nel panorama viticolo nazionale e internazionale, aprendo la strada a produzioni con il prestigioso status di DOC.

L’impegno del Consorzio e dei suoi membri verso l’innovazione e la valorizzazione delle risorse enologiche di Viggiano è evidente. Ogni passo avanti rappresenta un salto di qualità nella produzione di vini, che abbracciano l’autenticità del territorio e testimoniano la passione dei suoi produttori. La ricerca e la conservazione delle varietà autoctone, affiancate dall’introduzione di vitigni internazionali, contribuiscono a creare una gamma di vini unica e distintiva.

Da italiano vorrei con tutto il cuore, quanto lo vorrebbero i Lucani, vedere questi territori viaggiare allo stesso passo delle regioni vinicole più famose. Si può parlare di un luogo o di un territorio e farlo conoscere, ma se esso non è facilmente raggiungibile dal turismo che conta, allora il lavoro di comunicazione può restare vano.

In tour con Le Donne del Vino delegazione Lazio: alla scoperta del Cesanese – parte seconda

di Olga Sofia Schiaffino

La seconda giornata del press tour de Le Donne del Vino delegazione Lazio è iniziata con una ricca colazione all’agriturismo VerdeLuna, dalla terrazza affacciata sulla vigna che guarda le montagne e i borghi collinari. Da lì abbiamo raggiunto una vigna di Cesanese dell’azienda Terenzi incontrando il fondatore dell’azienda: Giovanni Terenzi accompagnato da sua figlia Pina.

Persona carismatica, che ha creduto nelle potenzialità del territorio e della viticoltura nei tempi in cui il miraggio economico era rappresentato dalle industrie e dal lavoro in fabbrica. Giovanni conosce le viti quasi fossero figli e ci spiega i danni del mal dell’esca, come effettuare la spollonatura e soprattutto come riconoscere una pianta di Cesanese.

Una realtà vitivinicola a conduzione familiare, nata negli anni ’50: che conta adesso su 12 ettari gestiti in modo naturale e sostenibile, lavorati con cura, e con il figlio Armando che si occupa della cantina di vinificazione e affinamento vini.

Nella sala di degustazione con vista mozzafiato sulla vallata e su Palliano, i piatti del territorio sono stati serviti insieme ai vini dell’azienda. Il primo a essere assaggiato è stato il bianco Zerli 2021, Passerina del Frusinate fortemente voluta da Pina. Un risultato molto interessante: il vino mantiene freschezza e delicatezza dei profumi di pera, sambuco, acacia, a cui si integrano garbate note speziate.

Colle Forma 2020 Cesanese Superiore da un vigneto coltivato nella parte più bassa e argilllosa del terreno visitato la mattina. Dopo la fermentazione in acciaio vede l’utilizzo della botte grande per 20 mesi e affinamento di 12 mesi in bottiglia. Corredo olfattivo che regala nuance di spezie, frutta e balsamicità. Tannino levigato e bella persistenza.

Vajoscuro 2020 Cesanese Superiore Riserva ottenuto dalle uve raccolte nella parte superiore della vigna, ricca di ciottoli, matura 12 mesi in tonneau da 350 hl e 24 mesi in bottiglia. Colore luminoso, granato, alla prima olfazione si apprezzano sentori di mina di matita, ciliegia in gelatina, peonia, pepe bianco e nero, thè. Tannino vivo, perfettamente disciplinato e integrato. Finale lungo e persistente.

Pina e Armando ci hanno deliziato con una mini verticale di Vajoscuro, annate 2015 e 2013. Pur essendo molto diversi, entrambi i vini hanno colpito per la loro personalità: il primo, dal carattere solare, con profumi intensi di frutta in confettura e sottospirito, ciliegia, cardamomo, pepe corbezzolo, lentisco e il secondo più riservato, centrato su un bouquet ricco di terziari quali humus, sottobosco, fungo, tabacco, elicriso, ginepro e pepe.

Velobra è ottenuto da una vigna di Cesanese piantata nel 1962 nel comune di Serrone Velobra; dopo la vendemmia manuale, la fermentazione e la macerazione sulle bucce per circa 10 giorni, resta in acciaio per 12 mesi. Grande giovialità e immediatezza di bocca.

La giornata è proseguita con il trasferimento ad Anagni per la visita alla cattedrale e alla cripta e la degustazione presso Bottega dei Papi, sulla bellissima piazza medievale perfettamente conservata.

Cantina Colacicchi è stata fondata dal maestro Luigi nel 1950, con il progetto di produrre un grande vino utilizzando Cesanese, Merlot e Cabernet Sauvignon: la conoscenza e l’amicizia con il famoso vinaio romano Marco Trimani fece sì che le bottiglie venissero distribuite e vendute. Il Torre Ercolana conquistò Luigi Veronelli che lo recensì nel Catalogo Bolaffi dei Vini del mondo, indicando quali annate di pregio il 1958, il 1964 e il 1966. Alla morte del maestro, liquidati gli eredi, la famiglia Trimani scelse di proseguire il progetto vitivinicolo, in un nuovo impianto di cabernet e merlot nel 2002, investendo poi nella conversione biologica ottenuta nel 2020 e sull’utilizzo di lieviti indigeni per le fermentazioni dal 2022.

L’azienda si trova ad Anagni, capitale sacra degli Ernici e una delle cinque città ciclopiche create dal Dio Saturno secondo la mitologia, adagiata su una collina tufacea che domina la Valle del Sacco.

Carla Trimani ha portato il suo accorato ricordo e il racconto di quello che sono i vini e l’azienda adesso: la degustazione è iniziata con due vini molto puliti e di ottima beva, Stradabianca 2022 (blend di Passerina, Bellone e Passerina del frusinate vinificate in acciaio) e Schiaffo 2020 Anagni Rosso Doc ottenuto da vigne giovani di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cesanese sapientemente vinificate dall’enologo Danilo Proietti, collaboratore di diverse realtà visitate durante il tour.

Tufano Cesanese Lazio 2014 è figlio di un millesimo difficile ma colpisce per il naso che richiama il cacao, humus, la vaniglia, ciliegia e prugna in confettura. L’acidità e il tannino bilanciano l’alcool e il vino chiude su elementi balsamici.

Romagnano Lazio Rosso 2015 è composto per il 50% da Cesanese di Affile e dalla restante parte da Merlot e Cabernet Sauvignon in proporzioni uguali. Corredo olfattivo frutta, floreale, erbaceo e speziato. Tannino serico.

Torre Ercolana Lazio rosso 2015 è il vino prodotto con le uve Cabernet, Merlot e Cesanese in percentuali uguali, provenienti dal vigneto storico. Naso complesso, magnetico, con sentori di prugna mirabelle, tabacco, cacao, chinino, marasca e una nota ematica. Tannino preciso, lungo e persistente nel finale, con buona potenzialità di invecchiamento.

La giornata è terminata a Olevano Romano al ristorante Casale Coni dove, ai gustosi piatti della cucina, abbiamo trovato in abbinamento i vini dell’azienda Consoli.

La storia della Cantina Consoli inizia nel 1920 con Sante; giunta alla quarta generazione è una realtà che ha un forte legame con il territorio di Olevano Romano: il suo impegno è quello di selezionare uve e mosti per dare vita a vini da imbottigliare, da proporre sul mercato.

Roma Doc Rosato è  ottenuto da uve Cesanese 35%, Montepulciano 50% e la restante parte Syrah: il colore richiama quelli francesi, i profumi delicati e freschi.

Oddone è un Cesanese dedicato a Oddone Colonna, signore di Olevano Romano intorno al 1232; le uve provengono da vigneti caratterizzati da suoli argilloso tufacei e sono vendemmiate verso la metà di ottobre. Dopo la fermentazione, matura in acciaio e affina in bottiglia.

Luna Mater 2014 è un Cesanese di Olevano che sosta 8 mesi in barrique. Il naso offre una gamma di sentori di spezie dolci e rimandi fruttati; il tannino è gentile ed equilibrato.

Ultima cantina visitata giovedì 8 giugno è stata Petrucca e Vela: Tiziana e Fabrizio hanno organizzato un tour con le biciclette elettriche per godere appieno della bellezza delle vigne e delle colline ciociare.

La gita è stata proposta da Pachamama Adventure e la guida biker Danilo Camusi è stata veramente brava a coinvolgere positivamente i presenti in una esperienza davvero emozionante. Dopo la fatica, ad accoglierci in cantina l’enologo dell’azienda, che ha guidato il gruppo in cantina spiegando alcune delle scelte fatte per la vinificazione, e un gustosissimo pranzo, accompagnato dai canti e dall’esibizione del coro di Bellegra.

Abbiamo iniziato con Rosesi, un rosato ottenuto da una vinificazione in bianco del Cesanese, affascinante davvero per il colore color melograno e la succosa croccantezza del frutto. Persistente e sapido in chiusura.

La Passerina del frusinate Vela è nata dalla scommessa di voler puntare su questo vitigno per produrre vini bianchi apprezzati dai consumatori; risultato sicuramente raggiunto!

Tellures 2015 Cesanese del Piglio Superiore Riserva dal colore intenso e dal corredo olfattivo articolato su eleganti note balsamiche e di frutta rossa, con una leggera speziatura sul finale. Una buona struttura supportata dalla acidità e da una buona sapidità.

Non è facile riuscire a organizzare un appuntamento così ben articolato, con le giuste pause, il tempo per le relazioni e le scoperte, per l’arte e la cultura: Le Donne del Vino del Lazio hanno raggiunto perfettamente l’obiettivo ma prima di tutto hanno testimoniato la loro passione e grande amore per un territorio meraviglioso, che merita di essere approfondito e comunicato.

Sono stati due giorni pieni di rivelazioni, che hanno messo in luce la filosofia, l’ardore, la determinazione delle produttrici incontrate , impegnate a rafforzare una identità di gruppo, basata anche sulla viticoltura e sulla bellezza del Cesanese.

Un grazie a tutte, dal profondo del mio cuore.

Chianti Classico: La Sala del Torriano

di Adriano Guerri

Di recente ho approfondito la conoscenza sul meraviglioso areale del Chianti Classico visitando la cantina La Sala del Torriano, grazie all’ottima organizzazione della giornalista Roberta Perna.

Dopo una passeggiata nei vigneti adiacenti alla struttura, abbiamo degustato alcuni dei loro vini di annate diverse, chiudendo la serata con una suggestiva cena a bordo piscina. Qui si trova infatti anche l’agriturismo che mette a disposizione degli ospiti  5 appartamenti, mentre la cantina di vinificazione è a poca distanza da Torriano.

La Sala del Torriano è situata nella sottozona di San Casciano nella parte nord della Denominazione, più precisamente a Montefiridolfi a pochi chilometri dal capoluogo toscano.
Vanta 33 ettari vitati e una estensione complessiva di oltre 70 con oliveti e bosco. I vigneti sono condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica, posti a 310 metri s.l.m. su terreni argillosi ricchi di magnesio e ferro, con presenza di macigno del Chianti. 

Le varietà allevate sono il Sangiovese, protagonista indiscusso del Chianti Classico, Cabernet Sauvignon e Merlot. Un’azienda interamente ad “anima rossista”. Dal 2014 al timone c’è Francesco Rossi Ferrini, che si avvale della preziosa collaborazione dell’enologo Stefano Di Biasi e di Ovidio Mugnaini enologo e agronomo.

Vinificano soltanto il 50 % delle uve prodotte, ricercando le migliori selezioni da ogni vigneto e svolgendo un attento lavoro in cantina con fermentazioni suddivise in piccoli lotti per rispettare al massimo le differenze di espressione. I legni utilizzati per la maturazione del vino sono poco invasivi. Nei loro prodotti riscontriamo finezza e piacevolezza di beva, ma anche buona struttura, facili e belli da ricordare.

I vini degustati

Chianti Classico 2016 – Sangiovese 90% Merlot 10% – Rubino vivace e trasparente, emana note di viola, marasca, prugna, mora e pepe nero, fresco. Avvolgente e lungo all’assaggio.

Chianti Classico 2015 – Stesso uvaggio, con sentori di rabarbaro, arancia sanguinella e spezie dolci. Tannino fresco, setoso e armonioso.

Chianti Classico 2014 – Sangiovese 85%, Merlot 15% – Malgrado l’annata non semplice, il vino risulta agile, sapido e persistente, qualche istante prima al naso rimandava a note di lamponi, rosa, rosmarino, mirto e tabacco.

Chianti Classico Gran Selezione 2018 “Il Torriano” – Sangiovese in purezza. Rubino intenso, dai sentori di violetta, amarena, mora, prugna, bacche di ginepro e sottobosco. Setoso al palato e decisamente persistente.

Chianti Classico Gran Selezione 2016 “Il Torriano” –  Nuance di mora, mirtillo, zenzero, scorza d’arancia e spezie dolci. Grande progressione succosa, appagante ed elegante.

Chianti Classico Gran Selezione 2015 “Il Torriano” – Declinato su rosa canina, ciliegia, confettura di frutti di bosco, arancia sanguinella, polvere di cacao e tabacco. Tannini ben integrati e saporiti.

Pugnitello 5 Filari  Toscana Igt 2020 – Veste color rubino profondo, mentre emergono sentori di mora, ribes nero, alloro, cumino e grafite. Ottima la freschezza e l’immediatezza di bocca.

Romagna: a Brisighella nasce l’associazione “Anima dei Tre Colli”

di Matteo Paganelli

Anima dei Tre Colli. È questo il nome scelto per la neonata associazione di viticoltori Brisighellesi.

Ai blocchi di partenza sono in cinque: Azienda Agricola Gallegati, Fondo San Giuseppe di Stefano Bariani, Podere Baccagnano di Marco Ghezzi, Vigne dei Boschi di Paolo Babini e Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti.

La prossima ad entrare sarà La Collina di Mirja Scarpellini, anche se i confini dell’associazione sono i medesimi che insistono sulla sottozona Brisighella del Romagna Sangiovese (includendo quindi una parte di Faenza e una parte di Casola Valsenio), portando a circa 18/19 le aziende che potrebbero farne parte. Il fermento che si è creato negli ultimi giorni, infatti, denota un grande interesse all’ampliamento dell’associazione.

Per l’occasione, 20Italie si è recata in quel di Faenza per intervistare Cesare Gallegati, presidente dell’associazione. Da buon padrone di casa, con l’ospitalità che lo contraddistingue, Cesare mi fa accomodare all’ombra nel suo dehor mentre va a prendere due bottiglie che aveva precedentemente raffreddato, per potermele servire durante la chiacchierata. E così, fra i frinii delle cicale e i paupuli dei pavoni, incomincio a porre qualche domanda a Cesare, perché la curiosità a riguardo è tanta.

20Italie (Matteo Paganelli): Cesare, come è nata l’idea di questo progetto e quali sono state le esigenze riscontrate che lo hanno reso necessario?

Cesare: Nonostante il benestare ufficiale sia arrivato il 18 di aprile, è più di un anno che ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto delle riunioni preliminari cercando di coinvolgere più persone possibili e alla fine l’idea è nata da queste cinque aziende che hanno sentito l’esigenza di unirsi per provare a promuovere la nostra sottozona in una maniera più idonea, più incisiva. Finora Brisighella è ben conosciuta per l’olio e per la bellezza del borgo storico. Nonostante nel corso degli anni tanti produttori di vino siano stati premiati dalle guide nazionali, la sensazione è che ancora la Brisighella del vino non sia stata valorizzata come dovrebbe. Oggi, la vediamo inoltre come strumento di risposta all’alluvione che ha messo in luce severe criticità.

20Italie (Matteo Paganelli): Anima dei tre colli. Cosa si cela esattamente dietro a questo nome?

Cesare: Anima inteso come comunità, come capitale umano che oggi insiste su Brisighella, un gruppo di persone che ha capito che da soli non si va da nessuna parte. Un gruppo di anime coese ma allo stesso tempo diverse; abbiamo infatti anime di vignaioli anarchici, anime di vignaioli estremi e anime di vignaioli nobili. Nonostante questa diversità, c’era la volontà di dire: “mettiamoci assieme e proponiamo un vino con un protocollo condiviso che tutti, seppur nella loro interpretazione, dovranno seguire”. Tre colli come i tre areali di Brisighella: le zone alte (marnose-arenacee), i gessi e i terreni calcarei. Zone molto diverse nel contenuto geologico ma che fanno del terroir la loro cifra stilistica che li unisce, alla ricerca dell’identità.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è lo scopo del vino che uscirà con l’etichetta e il marchio di questa nuova associazione?

Cesare: La volontà di aver un vino con una valenza nazionale e internazionale, una credibilità anche fuori dal nostro areale. Per questo motivo il disciplinare prevederà affinamento in legno, perché non esiste al mondo un vino di grande spessore che non abbia avuto un passaggio, seppur minimo, in legno. Del resto, il disciplinare prevederà poche altre cose che però caratterizzano la cifra stilistica del vino: no macerazioni estreme, no anfora, no ossidazioni. Non ci sarà qualcuno che giudica, dovrà essere un lavoro che viene fuori dalla condivisione, dagli assaggi continui che faremo, per accordare il gruppo. Questa è la cosa bella. Un po’ come succede in Borgogna, dove c’è un’idea condivisa di vino e se qualcuno fa un vino straordinariamente buono ma non è accordato con l’idea comune non viene apprezzato.

20Italie (Matteo Paganelli): Perché è stata scelta proprio l’Albana come unico vitigno di questo nuovo protocollo?

Cesare: È stata una scelta ponderata da un presupposto. È vero che noi facciamo dei grandi Sangiovese e che il Sangiovese è un vitigno importantissimo che caratterizza la Romagna e i Romagnoli. Ma quello che ti può far svoltare veramente a livello nazionale e internazionale dove ‘ci sei tu e nessun altro’, è l’Albana. È su questa che dobbiamo puntare se vogliamo farci riconoscere. Possiamo fare un Sangiovese buonissimo ma oggi il Sangiovese nel mondo è Toscana. L’Albana invece ce l’abbiamo solo noi. Quando l’Albana diventò la prima DOCG bianca d’Italia, il sistema era tarato su una risposta completamente diversa. In una Romagna del 1987 dove “si vendeva solo ciò che pesava”, dove si era abituati a rese di 300 quintali per ettaro, entrare con un disciplinare che te ne imponeva 110 ha reso l’Albana non più interessante, causandone il crollo degli ettari vitati dai 10.000 dell’epoca ai poco più di 800 odierni. Oggi giorno, pensando a un’Albana di collina dove le produzioni sono per forza di cose limitate, possiamo dare la risposta che finalmente coincide con gli interessi comuni.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è il futuro dell’associazione?

Cesare: È presto per dirlo. Sicuramente questo lavoro lo cederemo alle future generazioni perché non so se ce la faremo a vedere concretamente i risultati. Vogliamo dare loro una possibilità di lavorare su qualcosa di diverso, e questo progetto potrà servire da traino pure per il Sangiovese e per il Trebbiano, perché in Romagna si può fare qualcosa di molto bello.

Vinea Lucens: metti una sera sull’Appia Antica con la cantina Parvus Ager

di Ombretta Ferretto

Chissà se il censore Appio Claudio Cieco avrebbe mai immaginato che la Via Appia da lui voluta, sarebbe diventata teatro della prima esperienza immersiva in vigna ad opera di Parvus Ager, giovane cantina che nel suo nome rimarca un legame stretto con gli oltre due millenni di storia del territorio.

Si chiama Vinea Lucens l’originale progetto da loro realizzato insieme a Orpheo Group, con il patrocinio del Comune di Marino e del Parco Regionale dell’Appia Antica e la collaborazione di Stazione Mole.

Siamo sui Colli Albani, nell’area dei Castelli Romani, a venti chilometri dal cuore dell’Urbe. Qui ogni sera va in scena uno spettacolo suggestivo ed emozionante aperto al pubblico: una passeggiata di due chilometri ritagliata tra le vigne della cantina, per l’occasione rischiarate da centinaia di bottiglie piene di minuscole luci, come un turbinio di lucciole nella notte. Lungo il percorso è possibile ascoltare, con l’ausilio di un’audioguida, racconti e leggende del territorio intrecciati alla storia della famiglia Lulli – viticoltori da 100 anni e titolari di Parvus Ager – lasciandosi affabulare dalla voce narrante di nonno Silvano e da quel sottile filo che lega i miti dell’antichità alle tradizioni contadine giunte fino ai giorni nostri.

Quando si sconfina sul tratto dell’Appia Antica incluso nel percorso, calpestiamo il basolato originale della Regina Viarum, che collegava Roma a Brindisi, e incontriamo uno dei tanti tumuli eretti fuori dalle mura di Roma: lungo questa antica arteria di collegamento sorgono anche quelli più noti degli Orazi e Curiazi, dei Metelli, degli Scipioni e del filosofo Seneca. Insomma, un vero e proprio tuffo nella Roma antica di epoca repubblicana. La passeggiata tra le vigne  attraversa anche l’uliveta e la pergola di kiwi, mentre la narrazione  rievoca il mito di Cerere e il ratto di Proserpina e le immagini proiettate ricordano come tutto ciò che viene dalla Terra è soggetto all’alternanza delle stagioni e alla loro bizzarria.

Prima di rientrare in cantina, dove chi  partecipa all’esperienza immersiva ha anche l’occasione di degustare le etichette Parvus Ager, la voce narrante racconta in maniera piacevole e immediata alcune delle fasi salienti della storia del vino moderno, della vendemmia e della vinificazione.

No, sicuramente Appio Claudio Cieco non poteva immaginare questo grande palcoscenico attorno alla strada che porta il suo nome. Tuttavia non può che venirmi spontaneo associare al progetto enologico della famiglia Lulli, una delle sentenze attribuite proprio a lui, riconosciuto come il primo intellettuale latino: fabrum esse suae quemque fortunae – ciascuno è artefice del proprio destino.

Silvana Lulli

Un destino in questo caso legato prima alla vigna e poi al vino: viticoltori da oltre cento anni, i Lulli nel 2020, grazie a Silvana, Alessia e Giacomo, quarta generazione della famiglia, creano la cantina Parvus Ager, passando dall’esclusivo conferimento di uve alla produzione diretta.  Risale dunque a tre anni fa la prima vendemmia destinata alla loro personale etichetta e al 2021 il primo imbottigliamento sotto la DOC Roma.

La lunga tradizione come viticoltori è immediatamente chiara dall’estensione dei vigneti afferenti alla cantina: 54 ettari compatti all’interno del comune di Marino, al centro di un cratere vulcanico, che presenta, in alcuni punti, pozze di acqua sulfurea a cinque metri di profondità. Grande è la varietà di vitigni coltivati: malvasia puntinata, trebbian verde, bombino, vermentino, viognier, sauvignon, malvasia di candia, montepulciano, cabernet, syrah e petit verdot. Un potenziale di produzione che può toccare le 500.000 bottiglie, un mercato ancora prevalentemente italiano, ma che si è già affacciato sugli Stati Uniti ed è sicuramente destinato a varcare altri confini.

Ho chiacchierato con Silvana Lulli, durante l’evento dello scorso 6 luglio dedicato a presentare Vinea Lucens a stampa, autorità e qualche personaggio dello spettacolo… in incognito. Donna energica e appassionata, con una formazione economica, porta con orgoglio il nome di quel nonno Silvano che dai cinque ettari ubicati a Palestrina (quel piccolo campo coltivato che dà il nome alla cantina) si è spostato a Marino dando il via all’impresa di famiglia.

“Quando ancora oggi a 96 anni viene a trovarci in cantina”, mi racconta emozionata Silvana, “lo accomodo sulla sua sedia preferita e gli faccio assaggiare i vini, orgogliosa e sempre un po’ timorosa”.

Silvana gestisce il marketing e il lato commerciale della cantina, Alessia, sua sorella, la comunicazione, mentre Giacomo, il terzo dei fratelli, si occupa della produzione in cantina. La conduzione enologica è invece affidata a Paolo Peira, biologo, diplomato alla Facoltà di enologia di Bordeaux.

Attualmente la cantina annovera otto etichette, di cui quattro sotto la DOC Roma (Bianco, Rosso, Rosato e Malvasia Puntinata), tre monovarietali IGP (Vermentino, Sauvignon e Merlot) e uno spumante da metodo Martinotti (Promante da uve bombino). Ma tra i sogni nel cassetto di Silvana, curiosa ed estremamente attenta al lavoro enologico di Peira, ci sono un metodo classico da uve bombino e una vendemmia tardiva da malvasia puntinata; mentre già dalla prossima vendemmia potrebbe nascere il Marino doc da malvasia di Candia. Essere presente con la DOC Roma, in un territorio che negli anni ha attraversato alti e bassi nella propria immagine vinicola, è molto importante per Silvana, ma traguardo più significativo sarebbe proprio la produzione del Marino doc: “perché noi crediamo molto nel nostro territorio e ogni azione che può aiutare nel suo rilancio è ben accetta”.

Durante la serata ho avuto modo di degustare alcuni dei bianchi della cantina. Segnalo il Vermentino 2022, figlio di questo grande ager di suolo vulcanico: la nota minerale è subito rocciosa, di scoglio bagnato; il sorso, fresco e sapido, riporta sentori marini e di ostrica appena aperta.

Interessante anche la Malvasia Puntinata 2022 con sentori di albicocca, ben equilibrata e morbida, termina in bocca con una delicata scia amaricante, grazie alla fermentazione del 15% della massa in barrique di primo passaggio. 

Durante il buffet di insalate fredde e primi della tradizione romana, offerti dal ristorante Stazione Mole, si è invece distinto il Roma Doc Rosato 2022, da Montepulciano e Syrah: piacevolmente fresco, con profumi di melagrana e rosa canina, si sposava in maniera ottimale sia con l’insalata di ceci che con il couscous di verdure.

Parvus Ager è dunque una nuova realtà vinicola che può già vantare apprezzabili risultati e importanti progetti in cantiere, capace di comunicarsi in maniera diversa e originale. Vale la pena allontanarsi per una sera dalla canicola della Capitale per godere della frescura dei colli e di un’iniziativa interessante, che animerà le vigne della cantina fino al prossimo 8 ottobre.

Il Nihonshu (Sakè Giapponese) incontra l’arte in cucina di Giuseppe Molaro chef del Contaminazioni Restaurant a Somma Vesuviana

di Gaetano Cataldo

Ci sono indubbiamente artigiani della cucina che la fermentazione ce l’hanno nel sangue. Giuseppe Molaro, chef e titolare del Contaminazioni Restaurant di Somma Vesuviana, è uno di loro, tanto più che è tra le espressioni campane dell’avanguardismo culinario e delle fusioni di sapori.

L’impiego della fermentazione lattica in cucina, per quanto anticamente la sua conoscenza fosse già nota e praticata nel Mediterraneo ai fini di accrescere la durabilità dei cibi, ha il dono di imprimere una marcia in più dal punto di vista gustativo e una spiccata raffinatezza alle pietanze, per non parlare della biodisponibilità, componente indispensabile a rendere gli alimenti più assimilabili dal nostro organismo.

Nel panorama della ristorazione gourmet tra gli interpreti più giovani e di maggiore rilevanza vi è proprio Giuseppe Molaro: classe 1986, originario di Somma Vesuviana, un piccolo borgo della provincia di Napoli alle pendici del Vesuvio. Terra rigogliosa e dai sapori intensi, quasi vulcanici, nella quale è tornato dopo oltre un decennio di vita professionale spesa in giro per mezzo mondo… vita in cui non sono mancati i sacrifici e neanche il successo.

Il sorriso genuino e sincero, la sua modestia e la delicatezza nei modi celano in realtà una personalità della gastronomia del tutto singolare e dalle spalle decisamente larghe in quanto a profondità di studio, di pratica e di esperienza: diplomatosi presso l’Istituto Alberghiero “Lorenzo De’ Medici” di Ottaviano, dopo aver mosso i primi passi nell’attività familiare in Campania ed in diverse aree in Italia, ha viaggiato e lavorato in strutture di altissimo livello tra Irlanda, Portogallo, negli Emirati Arabi ed, in maniera particolarmente significativa, in Giappone. Ha collaborato col maestro Heinz Beck, partendo naturalmente proprio dal ristorante La Pergola a Roma, tre Stelle Michelin, nel settembre del 2010 e, via via, in tutti gli altri stellati del gruppo. Dopo innumerevoli riconoscimenti sarà proprio all’Heinz Beck Restaurant di Ōtemachi, nel distretto di Chiyoda a Tokyo, che Giuseppe maturerà l’ambitissima stella nel ruolo di Executive Chef.

Una vita in viaggio attraverso culture gastronomiche diverse, ritmi di lavoro impegnativi in ambienti ad altissima competitività che diventano, se possibile, ancora più estenuanti quando si vive lontano da casa. Ma i tratti della personalità di Giuseppe sono fatti anche di resilienza, audacia e sensibilità, quei tratti tipici del giocatore leale che coniuga il sorriso allo sforzo della partita e che alla fine vince col garbo e la gentilezza.

Non di meno la sua cucina è audace per sperimentazione, razionale nel paring di accostamenti desueti, delicata nella fusione dei sapori ed elegante nel food deisgn.

Rientrato in Italia con sua moglie Yuki Mitsuishi crea Contaminazioni Restaurant nella città che lo ha visto crescere, location di appena 20 coperti con una cucina a vista ubicata proprio all’ingresso, che costituisce l’anima del locale. Un’anima da cui traspare ogni singolo movimento e passaggio atto a creare estetica e sostanza, proprio dinanzi agli occhi degli ospiti che si riservano di ammirare Giuseppe in pieno svolgimento del servizio, da una postazione davvero speciale: lo chef’s table.

L’intuito, la creatività, la sperimentazione ponderata, il forte legame di Giuseppe con la sua terra di origine e il Giappone, Paese di adozione, sono stati i presupposti perché si instaurasse un piacevole dialogo sul nihonshu con una ricetta inedita abbinata specificamente allo Houraisen Junmai Ginjo Wa della Sekiya Brewery nella prefettura di Aichi, una delle aree che, durante i suoi viaggi più gli è rimasta impressa.

Con le variazioni cromatiche del colore arancio della salsa di carote in odore di timo, olio alla cipolla ed aceto di ciliegie, unitamente al rubino intenso della salsa di mirtilli latto-fermentati, si presenta la sua indivia cotta sottovuoto con sale e maggiorana, poi saltata ed arricchita con crumble di pane raffermo, arricchito da brodo di pesce e poi tostato in soffritto di cipolle, acciughe sott’olio, timo, con foglie di mizuna a guarnire il tutto. Elementi che da soli sarebbero potenti, in questo piatto si fondono in un delicato abbraccio gustativo e trovano nell’Houraisen Junmai Ginjo.

Ricercato e armonico, grazie alle suadenti note fruttate di pesca e banana, il floreale del gelsomino e la sensazione cerealicola di riso stagionato, che al sorso rivelano freschezza e rotondità con un pizzico di umami ed una persistenza che non prevarica affatto quella del piatto proposto.

Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA): sapori e passione sono da sempre ingredienti giusti

di Luca Matarazzo

Mi son chiesto spesso, nei lunghi viaggi in giro per l’Italia a scoprire realtà enogastronomiche degne di nota, quale fosse il segreto della cucina tale da toccare le corde del cuore e lasciare un ricordo indelebile.

Si sente parlare ovunque del concetto di gourmet: se chiedessimo – in un sondaggio pubblico – cosa significhi esattamente, otterremmo migliaia di punti di vista differenti. E lo stesso accadrebbe, ne sono certo per esperienza vissuta, ad un consesso di esperti di settore individuati tra chef e giornalisti.

Ciò succede perché il termine gourmet nella ristorazione ricalca le medesime, ampie considerazioni di terroir per un vitivinicoltore. Materie prime, cura e attenzioni per i dettagli e, naturalmente, la mano dell’uomo nel compiere quel gesto di amore e coesione tra le varie componenti.

Proprio quanto avviene alla Locanda San Cipriano ad Atena Lucana (SA), da Antonio e Sandra, uniti nel lavoro e nella vita. Il modo giusto per segnare il passo nel vasto mondo della cucina a chilometro zero, ove abbonda, dobbiamo dirlo a malincuore, anche tanta improvvisazione.

Appena varcato la porta d’ingresso del loro locale, accogliente e familiare, la sensazione immediata è stata un’intimità rassicurante per gli aromi che provenivano dalle pietanze in preparazione. Un momento nel quale poter aprire la mente, veicolando all’interno le parti più belle dell’arte del cibo.

Il menu era, punto per punto, come nelle migliori attese. Una vasta scelta di baccalà in diverse cotture, quasi il ricordo dei pranzi delle feste a casa con i parenti, a cui non abbiamo potuto esimerci dall’assaggio. E ancora: la pasta fresca fatta a mano e la guancia di vitello brasata cotta a bassa temperatura che non conosce stagioni.

L’antipasto prevedeva del baccalà fritto delicatissimo, accompagnato da peperone crusco sbriciolato, tipico delle ricette lucane. Seguono fiori di zucca che in queste zone si mangiano al naturale, fritti senza ripieno di mozzarella o ricotta. Terminiamo gli antipasti caldi con un filetto di baccalà con uvetta sultanina e alloro, simbolo della tradizione di Antonio e Sandra.

Commoventi e originali anche le proposte dei primi, scelte tra i ravioli ripieni di baccalà o la carbonara di baccalà con i suoi ciccioli.

Su quest’ultima scelta, le lavorazioni sono state molteplici per calibrare la densità dell’uovo e la croccantezza del cicciolo di pesce. Originalità, passione, sapore, ingredienti perfetti in ogni campo.

Chiudiamo in dolcezza con i dessert e precisamente il maritozzo, scelto sia nella versione classica che ai frutti di bosco. Altra abilità dello chef Antonio Giordano nel ricreare le emozioni di un tempo, quando la vita non era solo una corsa infinita.

Buona la carta dei vini con etichette facilmente abbinabili alle scelte gastronomiche. Non solo Locanda, ma anche forno con corsi sui lievitati e una piccola acetaia certificata, vera rarità per il Sud Italia.

Sandra Pellegrino

Siamo ancora sicuri di cosa significhi davvero essere gourmet?

Locanda San Cipriano

Via Serrone – Atena Lucana (SA) 84030

info@locandasancipriano.it

0975 511447

Liguria: Genova quando il Cuore incontra il mare

di Alberto Chiarenza

Genova, città di naviganti, così affascinante che incanta per storia, cultura e bellezza. Città di porto, crogiolo di influenze e tradizioni che ne fanno un luogo davvero unico al mondo.

Il suo centro storico caratterizzato dai “Caruggi”, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, è un labirinto di stradine strette, piazzette, chiese e i palazzi antichi nascosti, ove si respira l’atmosfera del passato e si odono le canzoni di Fabrizio De André.

Meta di appassionati di mare e di barche oltre che dal turismo della città con numerose attrazioni culturali e culinarie; raramente, però, si sente parlare di Genova come destinazione di un evento dedicato esclusivamente al vino. A questo ha pensato Olga Sofia Schiaffino, già autore di 20Italie, nell’organizzare l’evento della Guida dei Vini del Cuore che si è svolto dal 7 al 8 maggio presso la bellissima cornice dell’Hotel NH Collection Genova Marina.

Quando si parla di cuore il pensiero va all’amore e in questo caso il legame tra il vino e il cuore è dato dal contributo di blogger selezionati. Olga la definisce una guida social: non vengono dati voti, ma solo racconti di storie ed emozioni. Può trattarsi di una bottiglia aperta in una occasione particolare o di una visita in cantina, un racconto emozionale e indipendente dove il blogger non è il protagonista ma soltanto il narrante e racconta le sue impressioni senza dover scendere in descrizioni eccessivamente tecniche.

Giornate ricche di appuntamenti con i produttori e tre masterclass. Il mare incontra il vino nell’elegante cornice del NH Marina Collection Genova, un hotel sul mare affacciato sul porto antico proprio accanto il bellissimo e famoso vascello “Neptune”, utilizzato per numerosi set cinematografici.

Le eleganti sale che hanno ospitato l’evento’ hanno accolto i numerosi partecipanti con vini ai banchi d’assaggio e una vista mozzafiato. Poi nella sala Mediterraneo si sono tenute le tre masterclass di grande spessore.

La prima, condotta dal giornalista Aldo Fiordelli, con 8 vini selezionati e raccontati quasi come un viaggio in Italia. La Leccia, Cantina della Volta, Marisa Cuomo, Colli di Luni , La Salceta, Lecci e Brocchi, Enotria Tellus e Marzocco di Poppiano.

Poi è stata la volta degli Amber Wines, vini senza confine. Il sommelier ed export manager Enrico Cusinato ci ha parlato dei luoghi comuni sui cosiddetti “orange wine”. Il termine orange, amber, macerati o skin contact sono tutti sinonimi di vini di nicchi. Sono prodotti in quantità limitate, crescendo in esperienza, soprattutto nell’affinare le tecniche di vinificazione.

L’ultimo appuntamento è stato un racconto affascinante degli autori del libro “MALVASIA, un diario mediterraneo”, Paolo Tegoni con il fotografo Francesco Zoppi di cui la collega Maura Gigatti ha parlato già nell’articolo MALVASIA un diario mediterraneo – presentazione del libro di Paolo Tegoni.

Varietà dotata di precursori aromatici straordinari; un’uva eccellente dalla quale si possono ottenere vini di grande eleganza e versatilità.

La prima giornata si è conclusa con la Cena di Gala al Rollipop Bistrot con i piatti preparati dal resident Chef Luca Satta.

Antipasto “ribagnun”: la rivisitazione delle acciughe ripiene che in dialetto genovese si chiamano bagnun.

Per primo il risotto Pasqualina, ispirato alla torta di verdure ed un secondo composto da filetto di ombrina, puntarelle e salsa alla mugnaia.

Il dolce, una delizia per occhi e palato, è il “sasso di panera”. Due semifreddi al caffè ricoperti di cioccolato fondente, poggiati su una granella di caffè e spolverati sempre con polvere di caffè.

Non ci resta che aspettare la terza edizione della Guida dei Vini del Cuore, che sarà ulteriormente arricchita e piena di spunti interessanti, visto che i vini che ogni autore potrà descrivere saranno sette invece di tre. Tante le novità allo studio da parte dell’Organizzazione che ha fatto un lavoro egregio e di grande qualità.

Le cantine partecipanti all’evento

Andrea Bruzzone (Liguria)

Cà du Ferrà (Liguria)

Cantina della Volta (Emilia-Romagna)

Cantina di Vicobarone (Emilia-Romagna)

Casale Azienda Agricola (Toscana)

Crotin 1897 (Piemonte)

Enotria Tellus (Veneto)

Eraldo Dentici (Umbria)

Il Paluffo (Toscana)

John Maiolo (Piemonte) *

La Leccia (Toscana)

La Pietra del Focolare (Liguria)

La Salceta (Toscana)

Lecci e Brocchi (Toscana)

Marisa Cuomo (Campania)

Marzocco di Poppiano (Toscana)

Podere Casina (Toscana)

Podernuovo (Toscana)

Ramoino (Liguria)

Tröpflthalof (Trentino-Alto Adige)

Vini Moras (Campania)

Freschi&Bufano Wine Merchants (Svizzera) con le cantine ospiti:

Fattoria Pagano (Campania)

La Badiola (Toscana)

Piccoli (Veneto)

Tenuta del Vallone Rosso (Sicilia)

Liquorificio Fabbrizii (Liguria)

Tra questealcune che mi hanno emozionato particolarmente senza un ordine di preferenza.

Inizio con Pierin il Barolo secondo John Maiolo, un produttore di Monforte D’Alba, presente con tre referenze del famoso rosso piemontese, il Langhe Rosso, il Langhe Nebbiolo e il grande Barolo Pierin 2016 e 2017. Tre vini di grande eleganza dove le attente selezioni delle uve e le basse rese fanno la differenza.

Dal Veneto l’azienda Piccoli con le bellissime etichette di rose colorate del Valpolicella Superiore DOC Rocolo, il Valpolicella Superiore Ripasso DOC Caparbio e AMARONE della Valpolicella DOCG La Parte.

Sempre dal Veneto una giovane realtà enoica di Fabio Lucchese e Anita Abazi. Le bottiglie si distinguono per le etichette molto colorate e decisamente originali, che sembrano opere d’arte. Parliamo di Enotria Tellus, la cantina inaugurata nel 2016. Vini di un’eleganza sorprendente che ho apprezzato molto.

Rimanendo sui grandi rossi, era presente la Cantina Podernuovo rappresentata da Roberto Mercurio, con il Brunello di Montalcino, Orcia Rosso DOC Il Primo, Orcia Rosso DOC Nectar, Toscana IGT Il Moro e Toscana IGT bianco Gemma. Vini fatti con cura, dove il progetto enologico di fare vini longevi, si ritrova alla beva non solo con la componente fresca ma con un corredo gusto-olfattivo decisamente interessanti.

Cantina Della Volta dall’Emilia, una Cantina che si è dedicata dal 1981 alla spumantizzazione con Metodo Classico di Chardonnay e Pinot nero, oltre al famoso Lambrusco di Sorbara nella versione Lambrusco Spumante metodo Classico. Quando si inizia una degustazione si predilige la bollicina per poi procedere con i fermi. Più volte durante la degustazione sono tornato invece a provare i loro spumanti.

Dall’areale Valdarno di Sopra era presente la Cantina La Salceta, con vini a base di Sangiovese e Cabernet Franc sia in purezza che in blend. Parlando con il produttore, Ettore Ciancico, uomo dalla grande personalità, mi ha parlato del progetto che lo sta portando a studiare un vitigno autoctono quasi sconosciuto e riscoperto da pochi anni e che darà vita a un vino bianco rarissimo: l’Orpicchio.

Ancora Toscana, nel Chianti Classico, con Lecci e Brocchi, realtà immersa in un territorio vocato grazie alla grande biodiversità di Castelnuovo Berardenga.

Dalla terra del Montefalco Sagrantino era presente Eraldo Dentici con i suoi vini di produzione “naturale” bilanciati da buona freschezza e avvolgenza al tempo stesso.

Il Nuovo Liquorificio FABBRIZII in Val d’Aveto nell’ entroterra di Genova è una Azienda di produzione di liquori artigianale che rinasce dal ricettario ritrovato dalla famiglia, appartenente a Giovanni Fabrizi che vendeva liquori in Liguria e Italia settentrionale fino al 1940. Ora è la pronipote Laura a seguire la produzione che vanta una vasta gamma di prodotti di assoluta qualità e bontà.

Cà du Ferrà, produzione di nicchia posizionata nella zona delle Cinque Terre in Liguria, dove la valorizzazione di vitigni antichi e autoctoni è stato il progetto fondamentale della Cantina. Sono il Ruzzese, il Rossese Bianco, il Picabon e l’Albarola Kihlgren le varietà che danno vita a vini di grande eleganza grazie al lavoro svolto dagli enologi, Barbara Tamburrini e Vittorio Fiore.

Non ci resta che attendere la prossima edizione della Guida dei vini del cuore in cui troverete anche i sette vini che ho appositamente selezionato.

Ora i link delle aziende citate

I Vini Del Cuore – https://associazioneampelos.it/

Andrea Bruzzone (https://andreabruzzonevini.it)

Cà du Ferrà (http://caduferra.wine/it/)

Cantina della Volta (https://cantinadellavolta.com)

Cantina di Vicobarone (https://www.cantinavicobarone.com)

Casale Azienda Agricola (http://www.casalewines.com)

Crotin 1897 (https://www.crotin1897.com)

Enotria Tellus (https://www.enotriatellus.it)

Eraldo Dentici (https://www.eraldodentici.com)

Il Paluffo (http://ifiassociazione.it)

John Maiolo (https://www.johnmaiolo.com/barolo/maiolo/pierin/) *

La Leccia (https://www.castellolaleccia.com)

La Pietra del Focolare (https://www.lapietradelfocolare.it)

La Salceta (https://www.lasalceta.it)

Lecci e Brocchi (https://www.vinolecciebrocchi.it)

Marisa Cuomo (https://www.marisacuomo.com)

Marzocco di Poppiano (https://www.marzoccopoppiano.it/it/)

Podere Casina (https://www.poderecasina.com/it/azienda/vino/)

Podernuovo (https://www.podernuovovini.com)

Ramoino (https://www.ramoinovini.com)

Tröpflthalof (https://www.bioweinhof.it/it/)

Vini Moras (https://www.vinimoras.it)

Freschi&Bufano Wine Merchants (https://www.freschibufano.ch/it/freschibufano-i-mercanti-del-vino/)

Fattoria Pagano (https://www.fattoriapagano.it)

La Badiola (https://www.labadiola.it)

Piccoli (https://www.piccoliwine.it)

Tenuta del Vallone Rosso (https://www.tenutadelvallonerosso.com)

Liquorificio Fabbrizii (https://www.liquorificiofabbrizii.com) AccessoriDa Vino (https://www.accessoridavino.com)