Chianti Classico Summer 2023: 100 eventi per riscoprire le colline del Gallo Nero

Comunicato Stampa

Un calendario d’eccezione anima l’estate chiantigiana 2023. Ben 100 eventi da giugno a settembre, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea (MEET Chianti Classico) e alla preziosa collaborazione dei Comuni del territorio, organizzatori di appuntamenti culturali e artistici che vanno ad arricchire la già fitta agenda degli enoturisti. A cura del Consorzio Vino Chianti Classico la creazione di un unico calendario di eventi per la stagione 2023, ispirati da 4 direttrici principali: Arte, Musica, Teatro e Vino.

L’arte. La mostra diffusa Art message in a Chianti Classico Bottle, curata da Francesco Bruni e Giuseppe D’Alia, presenta 7 nuovi artisti: Nian, Mono_graff, Rachel Morellet, Letizia Pecci, Cecco Ragni, Silvia Canton e Andrea Guanci. Ciascuno di loro ha interpretato il vino Chianti Classico con i propri mezzi espressivi, utilizzando come “tela” una bottiglia bordolese alta tre metri. Le opere sono visitabili liberamente da tutti i turisti, inserite in contesti di grande fascino nei 7 comuni del territorio, con l’invito a scoprire la vocazione artistica del Chianti Classico e le sue aziende che ospitano ricche collezioni.

La musica. Tutto pronto per una delle nuove proposte dall’9ª edizione del Chigiana International Festival & Summer Academy: Chigiana Chianti Classico Experience, ciclo di 7 appuntamenti tra musica e vino, in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, in selezionate cantine del Gallo Nero. Un itinerario musicale che unisce il repertorio cameristico classico alla tradizione enogastronomica toscana e che vedrà protagonisti – con orario d’inizio all’ora del tramonto – i giovani talenti allievi dei Corsi di Alto perfezionamento Musicale dell’Accademia Chigiana.

Il teatro. Un format ormai ben sperimentato nel corso della prima edizione della Chianti Classico Summer è lo street theater DiVinum, in collaborazione con Arca Azzurra Eventi, uno spettacolo dedicato al vino e pensato per superare la barriera linguistica attraverso una forma narrativa  accessibile a tutti, anche ai tanti spettatori stranieri presenti durante la stagione.

Se il vino accompagna tutti questi appuntamenti con degustazioni, non possono mancare anche i principali eventi del territorio, ormai tradizioni da non perdere, EXPO Chianti Classico (7-10 settembre, Greve in Chianti); Vino al Vino (Panzano, 15-17 settembre); Montefioralle Divino (Montefioralle, 22-24 settembre).

Il Calendario

Musica

12/07/2023       Greve in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Tenuta Casenuove Concerto di Chitarra”

21/07/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Rocca delle Macìe Quartetto d’archi”

08/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Vallepicciola Concerto di Oboe”

09/08/2023       Gaiole in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Badia a Coltibuono Concerto di Violoncello”

23/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Fèlsina Concerto di Violino e pianoforte”

24/08/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Castello la Leccia Concerto di Chitarra Fisk”

26/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Villa Mocenni Concerto di Violoncello e pianoforte”

Teatro

28/06/2023       Gaiole in Chianti                               Teatro: diVINUM

24/07/2023       San Donato in Poggio                      Teatro: diVINUM

23/08/2023       Castellina in Chianti                         Teatro: diVINUM

Vino

7-10 settembre Greve in Chianti                51° Expo del Chianti Classico

15-17 settembre               Panzano in Chianti           Vino al Vino

22-24 settembre               Montefioralle                     Montefioralle Divino

Tutte le iniziative sono consultabili sul sito chianticlassico.com

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella dallo chef una Stella Michelin Peppe Guida

di Silvia De Vita

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella

Un incontro interregionale tra due fuoriclasse del mondo enogastronomico: il produttore vitivinicolo Roberto Pighin e lo chef una Stella Michelin, con l’Antica Osteria Nonna Rosa, Peppe Guida.

In una cornice del tutto originale con un panorama mozzafiato, inerpicandosi tra strade sinuose, strettissime e vertiginose della Costiera Sorrentina, ad Alberi (NA), si è svolta la prima tappa del Pighin Tour. Villa Rosa – La Casa di Lella è stata la location prescelta per la cena degustazione durante la quale si è compiuto un connubio insolito tra Friuli Venezia Giulia e Campania.

Da sinistra lo chef Peppe Guida e Roberto Pighin

Due eccellenze, Peppe Guida, la cui semplice e strepitosa cucina è fatta di prodotti stagionali dell’orto e del pescato del giorno, e Roberto Pighin, vice presidente e responsabile dell’Azienda Pighin, i cui vini sono frutto di un progetto e di un’esperienza lunghi ben 4 generazioni.

La réunion è stata possibile grazie all’impegno di Giuseppe Buonocore del Gambero Rosso e da Ab Comunicazione nel creare una serata unica e speciale. La sfida è stata lanciata, quella di ampliare gli orizzonti e sperimentare come vini friulani di qualità possano accompagnare con piacevolezza piatti gourmet di tutt’altra tradizione e radici, garantendo ai 5 sensi percorsi emotivi di grande spessore.

Ma chi sono i due protagonisti della nostra serata?

La cantina Pighin si trova a Risano, in provincia di Udine e con i suoi oltre duecento ettari vitati rientra nelle DOC Friuli Grave e Collio Doc. Dagli anni Sessanta è tra i più conosciuti produttori friulani. Roberto Pighin, attuale responsabile dell’azienda di famiglia, è un uomo ben radicato nel suo territorio, ma con lo sguardo attento ai mercati esigenti e preparati. La passione per la terra, per il vino, per il lavoro traspare dalle sue parole.  L’azienda lavora utilizzando vitigni autoctoni e internazionali, rigorosamente sottoposti a selezione massale. Le viti sono radicate su terreni di pianura, composti da ciottoli di origine alluvionale che conferiscono ai vini importanti doti minerali.  “La scelta – dice Roberto Pighin – è quella di prediligere freschezza e immediatezza di beva, senza essere mai banali…” Poi continua: “Il vino deve essere come un abito e va abbinato a ogni circostanza”

Scendiamo verso Sud, a casa nostra. Villa Rosa – La casa di Lella è il luogo dove Peppe Guida, nell’Antica Osteria Nonna Rosa, esprime la sua arte culinaria. Splendida la vista della Villa sul Vesuvio e sul Golfo di Napoli, un tutt’uno con l’orto su cui lo chef punta tanto. Peppe Guida è un autodidatta incallito, una voce fuori dal coro, un uomo dall’aspetto serio con uno sguardo intenso e di poche parole. “Per me la cucina di territorio è quella della penisola, stretta tra le braccia” dice lo chef, aggiungendo “Abbiamo un giacimento così prezioso di prodotti caseari, ortofrutticoli, di terra e di mare, tutto a portata di mano. Io mi concentro su questo valore. Non c’è scarto, tutto è materia”. Non c’è menu prefissato, si lavora su base stagionale, con verdure e pescato locale che fanno da canovaccio a una tela reinterpretata quotidianamente, seguendo un percorso che varia a seconda delle giornate.

La nostra cena degustativa ha inizio con aria fritta, una deliziosa montanara, leggerissima e ben fritta con una salsa di pomodoro sul fondo. La leggerezza dell’impasto denota un’alta percentuale di idratazione oltre che un processo di lievitazione ottenuto con i giusti tempi. In abbinamento al piatto è stato proposto il Pinot Grigio Friuli Grave DOC 2022 di Pighin. Vitigno coltivato su terreni ghiaiosi, ben esposti con sistema di allevamento a Guyot. Vinifica unicamente in vasche di acciaio inox. Nel calice si presenta giallo paglierino tenue, mentre al naso spiccano leggeri profumi di frutta bianca. La persistenza non è lunga e nell’abbinamento la memoria del vino viene persa a vantaggio del piatto. 

Arriva la carrellata degli antipasti con i quali lo chef dimostra la sua passione per le verdure. La selezione prevede: culatello con emulsione di mozzarella, caponata, Melanzane a barchetta, tonno con pomodorini, alici marinate, fritto, totano e patate, Pasta e fagioli ripassata. Tutto cucinato con cura e con attenzione ai sapori originali. Particolare menzione merita il tonno con pomodorini e la pasta e fagioli del giorno prima ripassata.

Viene servito un Ribolla Gialla 2022 del Collio, meno declinato sui tipici sentori varietali. Coltivato nella zona del Collio Goriziano, terreno ricco della presenza di “ponca”, una roccia marnosa che sa conferire un carattere minerale ai prodotti del territorio. Al naso il vino regala profumi di frutta a polpa gialla in fase di iniziale maturazione e fiori di campo combinati a lievi cenni di pietra focaia e agrumi. Al sorso esprime freschezza e una nitida mineralità. Ottimo l’abbinamento sia con la pasta e fagioli ripassata che con il tonno. Degno di nota anche l’abbinamento con i fritti.

La pasta e patate con cozze e pecorino è la sorpresa che Peppe Guida ci riserva tra i primi. Un piatto estremamente equilibrato, con gli ingredienti risultano bene amalgamati tra di loro. Gradevole la trama dei sapori e delle consistenze. Il vino in accompagnamento è una Malvasia del Collio 2022. Riconosciamo l’espressività dei vitigni istriani. Il vigneto si trova a meno di 200 m sul livello del mare e cresce anch’esso sulla ponca. Nuance rivestite di giallo paglierino brillante, con note floreali di ginestra, camomilla ed erbe aromatiche e, a seguire, buccia d’arancia miste a sentori di frutta secca. Piacevole alla beva, arricchita da una grande freschezza e sapidità. Abbinamento riuscito alla perfezione!

La seconda sorpresa dello chef è un piatto di pesce: Pesce Musdea o Mostella le cui carni sono simili a quelle del merluzzo nordico, saporite e bianchissime, delicate e gustose. La mostella è servita con patate e scarolina tenera in una riduzione di limone, molto persistente e pregnante al palato. Il Collio Bianco Soreli ’20, di carattere, è ottenuto dal blend di tre bianchi autoctoni del Collio: il Friulano, la Malvasia Istriana e la Ribolla gialla. Naso da albicocca matura e vaniglia, e sorso fresco e longevo. Le uve vengono sottoposte a criomacerazione; Una parte del mosto ottenuto fermenta in vasche di acciaio sulle proprie fecce nobili. Una parte fermenta in “tonneaux” e in “barrique” di rovere Slavonia naturale e di media tostatura ove riposa fino all’assemblaggio.

Il fine pasto è affidato a una sfogliatella santa rosa scomposta con crema e amarene, degna rivisitazione della ricetta originale. In bocca è un’esplosione di sapori ed odori. Immancabile jolly è la zeppola fritta, che qui è una vera e propria istituzione da assaggiare.

Il Picolit ha un colore giallo ambrato, al naso è intenso, fine ed elegante. Ricorda l’albicocca e i fichi secchi. In bocca è dolce, caldo e armonico. Un vino passito, di grande concentrazione e persistenza. Ottimo chiusura di serata.

Un territorio cresce ogni qualvolta il confronto è cercato, condiviso e ragionato. Il connubio a Villa Rosa tra due grandi eccellenze del mondo enogastronomico ha sicuramente lasciato il segno. Il dialogo, la sperimentazione e l’apertura consentono sempre di migliorare e perfezionare le intese. Per il Pighin Tour 2023 possiamo concludere con la tipica espressione cinematografica “Buona la prima”!

MALVASIA un diario mediterraneo – presentazione del libro di Paolo Tegoni

di Maura Gigatti

Presentazione del libro dedicato al frutto a bacca bianca del docente di enogastronomia Paolo Tegoni a Ozzano Taro (PR) presso la cantina Monte delle Vigne, azienda rappresentante e portavoce della Malvasia, un vitigno di origine greca che per la grande qualità fu presto commercializzato dai veneziani durante la Serenissima.

Ed è proprio il viaggio verso la Grecia (e non solo) che intraprende Paolo Tegoni, attraverso i racconti e le realtà di piccoli produttori a cui si rivolge andandoli a trovare, pronti a introdurre le loro malvasie nel libro che odorano di mare, sole e calore. 

Il pubblico giornalistico applaude alla passione trasmessa, pronti a conoscere le varie interpretazioni della Malvasia, frizzante, ferma, dolce abbinare ai piatti dello chef Mariano Chiarelli patron dell’Antico Casale situato sulla piccola collina sopra l’azienda. 

Il sipario si alza con la verticale di Callas, Malvasia di Candia aromatica ottenuta dalla selezione dei migliori grappoli dal vecchio vigneto Montebianco e vinificata in acciaio (dalla vendemmia 2020 una parte  sarà dedicata all’anfora). 

La degustazione prende vita con la 2005, l’annata più vecchia della serie sino alla 2017.

Annate dalla propria grande personalità di espressione e di longevità, mostrando ai più scettici che il tempo regala evoluzione, ma sopratutto l’anima e la vitalità della Malvasia. Un vino che per tradizione si beve nella versione frizzante ma la grande polivalenza è il suo punto di forza, rendendolo un vino eclettico. 

“Parlare e far parlare della Malvasia” soprattutto comunicare e far comunicare agli addetti al settore  Horeca l’eccellenza del vitigno abbinato al caratteristico territorio parmense, sono le parole di Lorenzo Numanti amministratore delegato di Monte delle Vigne, mentre Andrea Bonini, agronomo, spiega che è molto importante lavorare in campagna, portare uve sane in cantina che avranno macerazioni lunghe, ricche di estrazione. Uve che diventeranno Callas, in onore della più importante soprano italiana di origine greca come la Malvasia. 

Callas 2005 

Materico e gastronomico, note terziarie di caffè e tartufo. Ampio e suadente il palato, agile al sorso, cremoso il finale con rintocchi di uva sultanina, fieno secco in buono stato complessivo. 

Callas 2008

La star assoluta introdotta da un naso complesso e variegato. Elegantemente… elegante!!

Callas 2011

Riconduce verso idrocarburi, sviluppi balsamici, miele. Giusto l’equilibrio. 

Callas 2015

Articolato nel porsi al calice. Iris, miele, poi di nuovo sbuffi timidi e socchiusi di fiori bianchi. 

Callas 2017

Solare e raggiante, mostra la verve accattivante dell’essere Malvasia. Finale su nuance erbacee.

Puglia: il racconto del tour organizzato dal Consorzio di Tutela Vini D.O.P. Salice Salentino

di Luca Matarazzo

Puglia. Nell’immaginario collettivo la mente va subito alle spiagge bianche, al mare cristallino, al ballo della taranta, al vento e al buon cibo. Senza dimenticare il vino che tanto bramiamo raccontare tra le pagine di 20Italie.

Puglia, però, significa tante denominazioni di origine. Molteplici sfaccettature della stessa medaglia, ognuna con la sua storia da raccontare. Tra di esse parleremo dello sforzo comunicativo attuato dal Consorzio di Tutela Vini D.O.P. Salice Salentino nell’offrire la visione dello stato attuale produttivo, tra le province di Lecce (Salice Salentino, Veglie e Guagnano), Brindisi (San Pancrazio Salentino e San Donaci) e parte del territorio comunale di Campi Salentina in provincia di Lecce e Cellino San Marco in provincia di Brindisi.

Una zona apparentemente ricca in termini numerici con circa 1670 ettari vitati iscritti e ben 42 cantine impegnate nella produzione di 110 mila ettolitri di vino. A visualizzare la cartina geografica colpisce l’estensione del territorio riversato giusto al centro, a mo’ di cuneo, tra una sponda e l’altra dei mari che bagnano la regione: Adriatico e Ionio.

Urgeva, dunque, una visita in loco per vedere di persona la bellezza degli alberelli di Negroamaro, forma di coltivazione a forte rischio di scomparsa, le tante meraviglie del archeologiche e capire il sacrificio di chi cerca di lavorare con passione, non pensando alla quantità come nel passato. Un confronto virtuoso tra realtà di medie dimensioni – difficile trovare aziende di pochi ettari, per retaggio del latifondismo e per il costo relativamente basso dei terreni agricoli – e Cooperative vitivinicole di ampio respiro che stanno attuando accorgimenti in positivo sulla filiera.

Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie al contributo del Masaf, ai sensi del decreto direttoriale n.553922 del 28 ottobre 2022 (cfr. par. 3.3 dell’allegato D al d.d. 302355 del 7 luglio 2022); non possiamo che rallegrarci di simili iniziative. Tutto bene quindi? La risposta che usiamo utilizzare in tali frangenti è: dipende! Di certo l’impressione avuta di primo impatto spinge verso una vena di profondo ottimismo, pensando ai trascorsi in chiaroscuro che ha vissuto l’areale.

Resta la necessaria e ulteriore valorizzazione del principe di queste zone: quel Negroamaro, capace di emozionare esaltandosi nelle versioni in rosa e sublime nei rossi a patto di non mostrare eccessive estrazioni e muscoli. A tal scopo, il dibattito in seno al Consorzio sta portando a una radicale modifica del disciplinare con l’inserimento di una nuova versione da minimo 85% di Negroamaro e maturazioni soft unicamente in tini di acciaio. Forse non basterà, ma è un primo passo compiuto non certo per condannare quanto fatto finora, quanto piuttosto per spiegare una nuova visione stilistica. A parere del sottoscritto, comunque, l’uso del legno in affinamento per una varietà così instabile nel colore e difficile da domare nei profumi può essere un valore aggiunto (se utilizzato cum grano salis).

Partiamo nel tour da Apollonio, azienda del 1870 certificata tra quelle storiche del Comprensorio. I fratelli Marcello e Massimiliano hanno cominciato a imbottigliare dagli anni ’60 del secolo scorso, con un successo commerciale raggiunto in 40 Paesi.

Scenografica la cantina sotterranea ricavata da antiche vasche di cemento, così come validi i prodotti offerti tra i quali spicca il rosato Diciotto Fanali 2019, selezione delle uve migliori da vecchi impianti di Negroamaro ad alberello con palo di sostegno. Ottima la progressione tra note di macchia mediterranea, liquirizia e frutta di bosco matura.

Proseguiamo con Cantina Cooperativa Vecchia Torre a Leverano, composta attualmente da 1240 soci aderenti per quasi 1500 ettari vitati. Pensando ai 44 conferitori del 1959, tra cui v’erano due donne e persino un sacerdote, sembra un altro mondo.

Straordinaria l’idea di presentare un Vermentino 2022, varietà qui consentita, interessante e dinamico. Danza tra salvia, pera williams e fiori di zagara. Ottimo il rapporto qualità-prezzo, riservato anche al Salice Salentino Riserva 2016 dal tannino setoso e integrato.

Claudio Quarta e la figlia Alessandra sono l’emblema di come si possa fare ricerca, sperimentazione, con un occhio alle tradizioni e uno fisso al futuro. Cantina Moros, giovane realtà, dimostra già di essere un’azienda dal potenziale ragguardevole, persino trainante per l’eccellenza del suo metodo produttivo.

Al momento un’unica sublime etichetta, degustata in 2 annate molto diverse: il Moros Salice Salentino Rosso Riserva 2018 è scuro e potente, denso e maturo. Meglio performante l’anteprima 2019 elegante, di impronta da grande rosso di carattere e serbevolezza.

Il mito Leone de Castris meriterebbe un intero articolo dedicato solo alla storia leggendaria che li ha condotti a esser i primi imbottigliatori e commercianti di rosato in Italia. Five Roses resiste inossidabile dal 1943, più identitario nello standard rispetto a quello “Anniversario”.

Piernicola Leone de Castris può andar fiero dell’opera del suo staff e del progetto Per Lui, che tra le tante versioni presenta anche un Salice Salentino Riserva 2019 avvolgente, grazie a un lieve appassimento delle uve in pianta.

Ci avviamo verso la conclusione del viaggio, con la doverosa tappa alla Cantina Cantele, accolti da Gianni Cantele erede di una dinastia di commercianti di vino e adesso a capo di un’impresa conosciuta in tutto il mondo. Il padre, enologo di fama, sul finire del secolo scorso ha rivoluzionato il concetto di fare Chardonnay in Puglia.

Gianni ne ha seguito le orme stilistiche, proponendo un Metodo Classico Rohesia Pas Dosé millesimo 2016 – sboccatura febbraio 2022 – dalle nuance speziate e fini, con mortella, ribes rosso e pasticceria finale. Impressionante il Teresa Manara Salice Salentino Riserva 2020 che uscirà entro fine 2023. Leggera surmaturazione, balsamico e succoso al punto giusto, dalla trama antocianica compatta. Puro velluto.

Terminiamo con la Cooperativa San Donaci e il vulcanico presidente Marco Pagano. Estensioni più ridotte rispetto alle sue omologhe, ma importante attività di presidio, soprattutto per quanto concerne la tutela dell’alberello di Negroamaro. Molto parcellizzata tra la Provincia di Brindisi e di Lecce, con appezzamenti belli e selvaggi in cui passeggiare diventa un lusso per gli occhi.

E che dire della cantina di affinamento sotterranea, anche questa ricavata dalle vecchie vasche di cemento utilizzate nel passato.

Ottima interpretazione dei rosati, non solo dal vitigno cardine per la zona, ma anche dal Susumaniello, delicato e sempre più ricercato dagli estimatori.

Lu Salentu: lu sule, lu mare, lu ientu“.

Romagna: Raffaella Bissoni la “fata” delle vigne

di Matteo Paganelli

È sempre un piacere andare a trovare Raffaella in quel di Casticciano (piccola frazione ai piedi di Bertinoro), ma forse in questa occasione è ancora più piacevole poterla riabbracciare dopo i recenti disagi causati dalle alluvioni in Romagna.

Raffaella, infatti, aveva da poco finito di liberare la strada sterrata che separa quella principale dalla sua proprietà. Sono 4 in tutto le frane che l’hanno colpita spiega, indicandoci una parte smottata, tipologia di frane generate perché la terra nel sottosuolo non riesce ad assorbire l’acqua con la stessa velocità di quella in superficie. Si viene quindi a creare una sorta di cuscino d’acqua che spinge verso l’alto e causa lo scivolamento del terreno.

Raffaella Bissoni

Raffaella non esita un istante e inizia a raccontarci di natura. Ci fa notare ad esempio, che alle sue spalle c’è una tipologia di pianta da siepe (Viburnum Tinus) che fiorisce a fine febbraio e quindi molto utile sia per gli insetti che trovano già i fiori che è praticamente ancora inverno, sia per gli uccelli, i quali mangiando le bacche poi le digeriscono portando le sementi ovunque. “Io ne ho a decine e decine ovunque” dice Raffaella, mentre indica con la mano i vari punti in cui la siepe si è propagata tutt’intorno.

Quando la Bissoni arrivò a Bertinoro non aveva mai praticato la scienza agronomica prima di allora. Venne da una storia di paese, di quelle come ce ne sono tante. Si è letteralmente innamorata delle colline che le permettevano una visione allargata del paesaggio a dir poco rassicurante. Un paesaggio privo di illuminazione artificiale notturna, perché “la natura ha bisogno di avere la luce di giorno e il buio di notte”, il che permette anche una catena alimentare nel mondo animale e degli insetti più equilibrata (la tignola, ad esempio, si moltiplica a dismisura nei territori con un eccessivo inquinamento luminoso).

Sono tante le filosofie che Raffaella ha fatto sue e mette in campo: la permacultura, l’agricoltura rigenerativa, l’agromeopatia, la biodiversità: tutto ciò che possa permetterle di capire meglio come funziona la natura e quindi anche di rispettarla maggiormente. Quest’ultima, la biodiversità, ovvero la perfetta convivenza fra animali, insetti, piante e persone, va a influire sui vini. Le piante, convivendo in modo integrato con gli altri fattori, aumentano la loro resilienza e sono in grado di dare prodotti con maggiori complessità. Tutto ciò che vediamo in Raffaella è spontaneo, senza che ci sia stato un intervento umano di integrazione.

Ma veniamo alla degustazione: Raffaella ci ha preparato una memorabile verticale di Girapoggio, il suo Romagna DOC Sangiovese Superiore, nelle annate dalla 2020 alla 2010.

Batteria 1: Annate 2020, 2019, 2018, 2017, 2016

2020

Materico, dal colore trasparente e riflessi rubino. Al naso colpisce un’impronta fresca di menta nepitella, mentre il frutto è agrumato su note di pompelmo rosa e il floreale richiama i petali di rosa rossa. In bocca è agile con un tannino veramente piacevole frutto di una maturazione fenologica ben centrata.

2019

La rotazione del calice rivela una consistenza maggiore rispetto al campione precedente e l’olfatto è quasi ematico con richiami di sottobosco e corteccia. Riconoscibili ciliegia scura e fiore di papavero. In bocca domina la freschezza invitante e la struttura conferma il tutto.

2018

In quest’annata ritornano le note di menta miste a terra e sottobosco. Ciliegia rossa e fragrante, e un frutto che vira su lampone e fragoline di bosco. La rosa canina completa il bouquet floreale. Rispetto ai precedenti l’acidità scende andando a perdurare in un notevole equilibrio, merito anche del tannino delicato e appena percettibile.

2017

Naso polveroso e austero. Il vegetale passa al secco così come il floreale che diventa appassito. L’annata calda la si percepisce dalla nota calorica ben avvertibile che ci ricorda il tipico “mon chéry”. Si rivela comunque il più interessante della batteria, con sentori di crema di caffè, balsamico, tostatura, foglia di tabacco. Intrigante.

2016

Annata è sinonimo di grande evoluzione. Colore che inizia a virare su note granate. Frutta matura riconducibile come l’amarena, finalmente la viola mammola identificativa del Sangiovese. Completano il corredo aromatico timo, rosmarino, caffè e cioccolato. In bocca è integro e perfettamente bilanciato. Colpisce per lunghezza.

Batteria 2: Annate 2015, 2014, 2013, 2012

2015

Per questa seconda batteria i colori iniziano a virare sul granato non perdendo però in trasparenza. Ciliegia sotto spirito, fiori rosa appassiti, caramello, torrefazione e nota fungina. Entra al palato deciso e teso: nonostante l’invecchiamento la freschezza è invidiabile.

2014

Questo non sembra neppure un Sangiovese. Alla cieca, qualsiasi esperto potrebbe affermare di trovarsi di fronte a un Borgogna compassato. Pesca melba, artemisia a tratti da vermouth rosso. Sapidità che colpisce.

2013

Al traguardo dei 10 anni, torna la freschezza a farla da padrona. Naso immerso in infusione di erbe aromatiche e speziature accattivanti. Tannino palpabile, essenziale per controbilanciare una notevole rotondità data dalle morbidezze.

2012

Superlativo. Naso elegante e fine, recuperiamo le note di mentuccia che sentiamo anche nelle annate più recenti e le andiamo a completare con agglomerati di spezie. In bocca avvolge come un liquore al cioccolato.

Batteria 3: Annate 2011, 2010

2011

Sugli ultimi esemplari in degustazione i colori diventano granato intenso. Altra annata calda simile alla 2017, che trova riscontro in aromi di frutti rossi in confettura, finocchietto selvatico, cera e caramella mou. In bocca resta timido, non confermando ciò che aveva rivelato il naso. Tannino scontroso.

2010

Sentori nitidi, franchi, puri che toccano tutte le famiglie passando fra marasca, pot-pourri, resina, catrame e liquore di caffè. Sorso vibrante ed energico. Vino complesso. Questa interessante verticale non può far altro che confermare l’encomiabile lavoro di Raffaella dimostrata nell’ottima serbevolezza dei suoi prodotti.

Alla scoperta dei vini della Doc Grance Senesi

di Olga Sofia Schiaffino

Cosa sono le Grance Senesi da cui la Doc istituita nel 2010 prende il nome?

Nel Secolo XII lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, per gestire e ottimizzare lo sfruttamento dei cospicui possedimenti terrieri aveva creato delle fattorie fortificate, le Grance, poste a capo delle tenute che occupavano vasti territorio nella Val d’Arbia, Val d’Orcia e parte della Maremma.

Lo Spedale era un vero e proprio xenodochio, capace di ospitare, curare e accudire i pellegrini che percorrevano la via Francigena: per quasi cinque secoli le Grance riuscirono, con la produzione di grano, vino e olio, a sostenere le esigenze economiche del Santa Maria, fino a che il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena nel 1775 ne mise in vendita tutti i beni.

Attualmente la Doc Grance Senesi comprende i territori di cinque comuni della provincia di Siena, immersi in paesaggi dall’aspetto lunare dati dai calanchi, in verdi e dolci colline ammantate da boschi, vigneti e oliveti.

Rapolano Terme è famosa sin dai tempi dei Romani per le sue acque termali e per il travertino: nelle sue vicinanze la Grancia di Serre di Rapolano è una delle più antiche e meglio conservate, ininterrottamente abitata sin dall’antichità.

Asciano, di origini etrusche ospita l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, fondata nel 1319 da un nobile senese, Bernardo Tolomei che scelse la vita monastica e la regola di san Benedetto: una realtà che produce da sempre il vino e che è diventata azienda nel 2002.

Murlo si sviluppa intorno all’insediamento etrusco di Poggio Civitate del VII secolo a.C. e a partire dall’XI secolo fu dominato dai vescovi di Siena: pare che il patrimonio genetico degli abitanti somigli più a quello dei popoli orientali che non a quello del resto dell’Italia, facendo ipotizzare un legame diretto con gli Etruschi, verosimilmente arrivati dal Medioriente.

A Monteroni d’Arbia, su di una collina poco distante dalla via Cassia, si trova una delle Grance meglio conservate, quella di Cuna.

Sovicille è stato ricompreso nell’areale della Doc ed è caratterizzato da un ambiente naturalistico ricco di boschi e di fauna, attraversato dal fiume Merse.

I vitigni più coltivati sono Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Malvasia bianca lunga, ma il disciplinare ammette alcuni vitigni internazionali quali Cabernet Sauvignon e Merlot che possono essere anche riportati in etichetta accanto alla denominazione.

Presso il Castello di Modanella si è tenuta il 9 giugno la masterclass condotta da Maurizio dante Filippi, miglior sommelier AIS d’Italia 2016 , che ha coinvolto quattro aziende del Consorzio, quivi rappresentato da Gabriele Giovannini e Don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

Grance Doc Crete 2020 Podere Bellaria:  giovane azienda fondata da due fratelli nel 2010, punta sul Sangiovese in purezza. La fermentazione avviene in acciaio a cui segue un periodo di affinamento di 6 mesi in acciaio e poi un anno in legno.  Profilo olfattivo che rimanda al frutto rosso, al sottobosco, ai chiodi di garofano e alle erbe aromatiche. Sorso pieno e avvolgente.

Grance Senesi Doc Rosso Abbazia di Monte Oliveto Maggiore 2019: una realtà che ho potuto visitare con i colleghi del press tour. Bellissima la cantina sotterranea, la degna dimora per le botti. Un luogo della fede che merita la visita per la bellezza del chiostro e delle opere esposte. Il vino apre all’olfatto su note speziate dolci, a cui si aggiungono sentori di ciliegia, prugna, foglia di peperone verde, peonia. In bocca il tannino è preciso e la chiusura su note fruttate con piacevole persistenza.

Grance Senesi Doc Sangiovese 2016 Tenuta L’Armaiolo: Gabriele Giovannini ci ha accolto nella nuova cantina e durante il lunch presso il casale Santa Maria, ha raccontato della nascita dell’azienda avvenuta negli anni ’70, quando la sua famiglia acquistò la tenuta. Le uve effettuano una pigiatura soffice, prima di fermentare in vasche di acciaio; segue un affinamento di 6-8 mesi, sempre in acciaio. Al naso ricorda la frutta rossa matura, il pepe bianco, seguiti da effluvi balsamici. Tannino preciso e chiusura con una nota leggermente amaricante.

Grance Senesi Doc Il Cipresso 2016 Tenuta Masciello: i proprietari, di origine pugliese, sono arrivati a Murlo nel 1965. Ottenuto da sangiovese in purezza si presenta con un corredo di vaniglia, china, tabacco frutta in confettura; sorso di buona struttura e avvolgenza.

Grance Senesi Doc Nistiola 2016 Tenuta Armaiolo: blend composto dal 75% da Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon e 5% Merlot, fermenta in acciaio e prosegue la maturazione in barrique da 225 hl per 8 mesi e ulteriori 6 mesi in acciaio. Colore rubino che vira verso il granato in un manto quasi impenetrabile; si apprezzano note di frutta rossa matura, caffè cacao, lentisco, humus. Tannino integrato e di buona persistenza.

L’evento si è concluso con una sontuosa cena di gala al Castello di Modanella, tra i deliziosi piatti dello chef Loris Mazzini e gli assaggi del raro Poggio L’Aiole , Canaiolo  in purezza, dalle bellissime sensazioni fruttate e speziate con tannino perfettamente integrato. Grance Senesi è una denominazione che farà parlare di sé: speriamo “osino” di più in una caratterizzazione soprattutto del Sangiovese, vitigno incredibilmente capace di definire e raccontare i territori della Toscana.

#riveLAZIOni: il progetto comunicativo dell’Associazione Le Donne del Vino

di Alberto Chiarenza

#riveLAZIOni è il progetto messo in campo dall’ Associazione Nazionale Le Donne del Vino delegazione del Lazio, organizzato insieme all’Agenzia di Stampa MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni.

Chi sono le Donne del Vino del Lazio? Un’Associazione no profit che conta su una rete di socie di diverse figure professionali legate al vino: produttrici, enologhe, sommelier, giornaliste, esperte di marketing e comunicazione.

La Delegazione Lazio conta circa 70 socie di cui 23 produttrici di vino ed è rappresentata dalla Delegata, la giornalista Manuela Zennaro e dalla Vice Delegata, Avv. Floriana Risuglia, che fanno un lavoro encomiabile per la promozione delle attività associative.

Foto Delegata Manuela Zennaro

“Custodi di tradizioni, si dedicano all’arte di assemblare passioni, con mano esperta guidano le fermentazioni, per dare al mondo nettare di emozioni”.

Poesia, bellezza, gentilezza, ma anche tanta determinazione. Il progetto #riveLAZIOni lo dimostra e, il tour per le cantine ha messo in evidenza ‘amore per il lavoro che viene quotidianamente svolto con tanti sacrifici e ritmi segnati esclusivamente dalla natura.

Un tour suddiviso in tre tappe di tre giorni ognuno, che ci ha portato a conoscere tante realtà al femminile. La prima tappa, di tre giorni intensi, è stata ricca di emozioni e di conoscenze, vecchie e nuove, condivise con il collega Morris Lazzoni, per le Cantine dei Castelli Romani fino alla Tuscia nel Nord della Regione Lazio.

Foto Morris Lazzoni e Alberto Chiarenza autori di 20Italie

Ecco le protagoniste

  • Rossella Macchia – Cantina Poggio le Volpi;
  • Sara Costantini – Cantina Villa Simone;
  • Chiara Iacoponi – Cantina Eredi dei Papi;
  • Cristina Piergiovanni – Cantina Casale Vallechiesa;
  • Maria Laura Cappellini – Cantina Cifero;
  • Giulia Fusco – Cantina Merumalia;
  • Federica Ciucci – Cantina Bio Ciucci;
  • Tiziana Sallusti – Cantina Terre D’Aquesia;
  • Matilda Pedrini – Cantina Borgo del Baccano.

Descrivere nove realtà In un articolo, vi assicuro, non è semplice perché per ognuna ci sarebbe da dire molto. Tutte rappresentano un universo di storia e di eventi, di vini e uve, dalle caratteristiche completamente diverse. Ecco perché mi limiterò solo ad alcune cantine, mentre le altre le avete già lette nel precedente articolo di Morris.

Il tour ha inizio da Monte Porzio Catone, il paese alle porte della Capitale dedicato al grande oratore romano Marco Porcio Catone, proprio dalla Cantina Poggio le Volpi, dove siamo stati accolti da Rossella Macchia responsabile della comunicazione. 

Vini in degustazione:

  • EPOS – Frascati Superiore DOCG Riserva
  • ROMA DOC Rosé
  • DONNALUCE
  • ROMA DOC Rosso
  • ROMA DOC Rosso Riserva – Edizione Limitata.

La seconda sosta è stata la Cantina Villa Simone della famiglia Costantini, storici produttori del vino Frascati. È Sara Costantini a fare gli onori di casa e a parlarci della sua famiglia, della cantina e dei loro vini che abbiamo provato nella nuova sala degustazione proprio accanto alla grotta. Insieme a Sara, troviamo anche Chiara Iacoponi della Cantina Eredi Dei Papi, emozionandoci con la storia che ha portato lei e il fratello Lorenzo a cambiare il loro percorso di vita.

Vini in degustazione

  • Villa Simone – Spumante Brut, Metodo Charmat
  • EREDI DEI PAPI – Fuori Onda Rosé Brut Metodo Classico
  • EREDI DEI PAPI – ALBAGIA ROMA DOC Malvasia Puntinata
  • Villa Simone – Villa dei Preti Frascati Superiore DOCG
  • EREDI DEI PAPI – GALATEA Malvasia Puntinata
  • EREDI DEI PAPI – Composto Lazio IGT
  • Villa Simone – LA TORRACCIA
  • EREDI DEI PAPI – NERALBO SYRAH Edizione Limitata
  • Villa Simone – Ferro e Seta
  • Villa Simone – Cannellino di Frascati DOCG 2017

La giornata si è conclusa proprio al centro di Frascati, al ristorante Na’ Fojetta. Una “fojetta” era la misura di mezzo litro di vino a Roma e ai Castelli Romani al tempo dello Stato Pontificio, soprattutto nelle osterie. Posto caldo e accogliente, con piatti tipici della cucina romana come la famosa “Vignarola” rivisitata con le linguine e altre leccornie.

Dopo la pioggia del giorno precedente, il sole è sorto splendente mostrandoci in tutta la loro bellezza i colori e i profumi primaverili dei vigneti di Casale Vallechiesa. Oltre al sole, splende anche il sorriso di Cristina Piergiovanni che ci aspetta tra le sue splendide rose che sono a capo dei filari e ci porta alla scoperta della realtà della sua cantina storica di Frascati, che produce vino dagli inizi del 1900 grazie al capostipite Aristide Gasperini, che portava il vino alle osterie di Roma con il carretto trainato dai cavalli. In realtà la loro storia di agricoltura e produzione di vino risale agli inizi del 1800 nelle Marche.

Il nome Casale Vallechiesa deriva da una antica strada romana ritrovata tra i vigneti che era percorsa dai fedeli per le processioni dove probabilmente, il Casale si trova nella zona dove un tempo vi era una chiesa. La superficie vitata è di 13 ettari. Il ridente paesaggio collinare visto dall’alto ci permette di godere di strisce di vigne che si alternano su più livelli.

Scendendo ancora un altro tornante della collina, arrivando al vigneto sottostante, è possibile vedere una grotta scavata nel suolo vulcanico dove all’interno sono evidenti gli strati delle colate laviche avvenute centinaia di migliaia di anni fa. Nell’insieme, la superficie vitata è di 13 ettari.

Nella cantina osserviamo le tecniche di vinificazione molto improntate sulla integrità delle uve dalla vigna fino alla pressatura per poi avere dei processi di vinificazione, il cui progetto enologico è quello di conferire eleganza e pulizia, producendo vini di grande pregio che personalmente ho apprezzato molto.

Vini in degustazione

  • LE RUBBIE, Frascati DOC;
  • HEREDIO, Frascati Superiore DOCG;
  • SOLO MIA, Malvasia Puntinata;
  • HEREDIO RISERVA, Frascati Superiore DOCG Riserva;
  • CANNELLINO, Cannellino di Frascati DOCG.

La Cantina Cifero ha origine nel 1958 quando il nonno di Maria Laura Cappellini, decide di investire tutto acquistando campi da coltivare in controtendenza con quello che stava accadendo nel dopoguerra, ovvero l’abbandono delle campagne per trasferirsi in città alla ricerca di un posto fisso.

Partendo da questa storia, è da quell’appezzamento che Maria Laura insieme al fratello, dal 2010 decide di avviare una Cantina con il soprannome del nonno, “Cifero”. L’azienda si trova al confine tra il Comune di Colonna e il Comune di Zagarolo in una zona pianeggiante ma a 350 m s.l.m con una superficie di circa 35 ettari  di cui 10 vitati e 15 a kiwi. Da qui si scorge un panorama mozzafiato su Roma e i Castelli Romani.

I vecchi impianti a tendone sono stati sostituiti da  un allevamento a controspalliera a gouiot con rese molto basse, raccolta manuale in cassette, 20/25.000 bottiglie anno . Vitigni autoctoni come Cesanese e Malvasia Puntinata, vitigni nazionali come Vermentino e Sangiovese, infine vitigni internazionali come Sauvignon Blanc e Syrah. I vini che stanno sviluppando un bel potenziale sono eleganti e ben fatti e sono certo che si sentirà molto parlare di loro.

Vini in degustazione

  • Vermentino Lazio IGT;
  • ROMA DOC Bianco Malvasia Puntinata;
  • Sauvignon Blanc Lazio IGT;
  • Cesanese Lazio Rosso IGT.

Percorrendo Via di Pietra Porci, nelle campagne di Frascati, si sale lungo un pendio della zona che una volta era l’antico lago Regillo e si arriva alla Cantina Merumalia. Un piccolo paradiso da dove si scorge tutta la vallata piena di vigneti con lo sguardo che arriva fino a vedere la Capitale. Un panorama che al tramonto regala emozioni uniche che scaldano il cuore e l’anima. Giulia Fusco ci racconta la storia della sua cantina, che è legata con la storia della sua famiglia.

La storia inizia proprio da qui, dalla terrazza da cui si gode del meraviglioso panorama. Qui il papà di Giulia, osservando il panorama, se ne innamora e decide di comprare la tenuta con la volontà di fare vino. Viene costruita la nuova cantina con tecniche innovative e naturali, preservando il territorio integrando la stessa nella collina. Le vigne sono coltivate secondo il regime biologico ma soprattutto sono improntate alla sostenibilità. Il lavoro in vigna è affidato a un agronomo esperto e la raccolta dell’uva viene fatta esclusivamente da donne.

La degustazione dei vini è stata accompagnata da un delizioso pranzo preparato per l’occasione a base di prodotti locali del circolo Slow Food.

I vini in degustazione

  • ORMAE Malvasia Puntinata Lazio Bianco IGT
  • PRIMO Frascati Superiore DOCG Malvasia Puntinata 2021
  • PRIMO Frascati Superiore DOCG 70% Malvasia Puntinata, Greco e Bombino;
  • LIVIA Shyraz Lazio Rosso IGP
  • CANTO Cannellino di Frascati DOCG 2019

Esplorando Tuscolo: Un viaggio nella storia e nella natura

Tusculum è un luogo incantevole che offre un’esperienza unica, sia partecipando alle numerose iniziative che animano il sito, soprattutto durante la bella stagione, sia semplicemente godendosi liberamente questo angolo di natura. Il percorso di visita ti condurrà lungo antiche vie basolate, tra i resti degli edifici del foro e fino al teatro romano, il monumento più emblematico e rappresentativo. Costruito nella prima metà del I secolo a.C., durante il periodo di massima fioritura della città, il teatro romano poteva ospitare fino a 2000 spettatori. Oggi, è ancora possibile ammirare la sua maestosità e assistere a rappresentazioni teatrali legate alla tradizione del teatro classico, spettacoli musicali ed eventi culturali. È un luogo affascinante che ci riporta indietro nel tempo, consentendoci di immergerci nella grandezza dell’antica Roma.

La cena al Ristorante Contatto è stata un vero percorso esperienziale che è iniziato con la visita delle grotte sotterranee dove, nelle nicchie in cui una volta veniva conservato il vino. Lo Chef Luca Ludovici ha raccontato la sua storia e la filosofia in cucina, facendoci immergere gradualmente nei sapori che sa regalare con sapiente conoscenza delle materie prime.

Le grotte di materia lavica, sono un elemento fondamentale della preparazione degli ingredienti che qui vengono lasciati, anche per mesi così da assorbire tutti gli aromi che conferiscono sentori di affumicatura. L’ambiente raffinato è arricchito da quadri d’autore che donano un connubio perfetto tra cibo e arte, dove il cibo non è soltanto considerato un alimento, ma una vera e propria emozione sensoriale. Gli abbinamenti dei piatti ai vini delle Donne del Vino è stato perfetto.

Federica Ciucci è la quarta generazione di una famiglia di agricoltori. L’Azienda Ciucci nasce agli inizi del novecento con il bisnonno con una produzione di seminativi su grande scala.

L’A1 – Autostrada del Sole – attraversa sinuosa le campagne della Tuscia quando giungendo ad Orte, si scorge uno sperone di roccia tufacea sul quale è poggiato il borgo della omonima cittadina. Raggiunto il punto indicato troviamo una strada bianca che sale su per la collina e arrivati al casale della Azienda Bio Ciucci incontriamo Federica Ciucci, Tiziana Sallusti della Cantina Terre D’Aquesia e Matilda Pedrini della Cantina Borgo del Baccano.

Oltre alla degustazione dei vini delle tre produttrici, abbiamo poi visitato il frantoio dove il personale ha preparato dalle pizze cotte con il forno a legna, alle pietanze, fino ai dolci.

Vini in degustazione

  • Ciucci Malvasia Puntinata Lazio Bianco IGT;
  • Ciucci Violone;

Orte Sotterranea è un dedalo di cunicoli che erano i condotti delle cisterne fungenti da riserva idrica. Inizialmente ideati dagli etruschi, sono stati migliorati dai romani fino al medioevo, quando gli abitanti del paese hanno utilizzato gli spazi sotterranei anche per conservare il vino. Durante il secondo conflitto bellico sono stati utilizzati anche come rifuggi, per poi tornare ad essere impiegati nuovamente come cantine, nel dopoguerra. Oggi l’Associazione Proloco ne cura le visite, e grazie alla guida che è stata veramente coinvolgente, abbiamo potuto vedere anche due musei.

Vorrei ringraziare tutte Le Donne del Vino del Lazio e in particolar modo la Delegata Manuela Zennaro e la Vice Delegata Floriana Rusuglia, che hanno contribuito in modo determinante al successo della loro Delegazione.

Cantina La Sibilla: testimone della storia dei Campi Flegrei

di Luca Matarazzo

Narrare la storia dei Campi Flegrei significa passare necessariamente da La Sibilla, testimone da generazioni dell’opera vitivinicola di questo areale posto ai confini con Bacoli e immerso in una scenografia naturale da film di Hollywood.

La famiglia Di Meo persegue lo scopo praticato già dagli antichi romani, che hanno qui lasciato tracce indelebili sotto i resti dell’Opus Reticolatum tipico, probabilmente, di un vecchio acquedotto usato per le terme.

Nel mezzo, tra la fine dell’Impero d’Occidente e i tempi moderni, la storia fu scritta col dolore e con l’abbandono delle terre, causato dalla paura per i frequenti smottamenti dovuti al bradisismo. E poi eruzioni, brigantaggio, abusivismo edilizio: un lento incedere nel quale i produttori locali hanno dovuto confrontarsi per poter sopravvivere.

Terreni ricchi di materiale piroclastico sotto forma di cenere, mista a sabbie marine e argilla. Gli ettari vitati sono tornati 15 come i bei fasti del passato, anche se non tutti a regime, e le bottiglie vengono conservate assieme alle collezioni in una grotta ricavata nella roccia di tufo e recuperata abilmente dai Di Meo.

Mattia Di Meo la quinta generazione

La prima bottiglia è datata 1997; ai tempi, per l’intero comparto, la vendita era fatta in prevalenza di vino sfuso destinato a soddisfare i canali commerciali di Napoli e provincia. Proprio in quei momenti venne concepita la storica etichetta Cruna deLago, straordinario esempio di come la Falanghina riesca a dimostrare eleganza e serbevolezza quasi infinita.

La vedremo danzare in un confronto 2022 verso 2021, in due vintage simili per difficoltà tecniche e climatiche. Chiuderemo la carrellata degli assaggi con il raro Domus Giulii che esce in poche selezionate annate.

La degustazione

Cruna deLago 2022: assaggiato en primeur direttamente da vasca inox, dimostra straordinaria possenza, con immediatezza salmastra e acidità vibrante verso agrumi gialli. Non possiamo prevedere quanta vitalità conserverà nel futuro in bottiglia, ma se queste sono le basi…

Cruna deLago 2021: una gioventù disarmante, che le mantiene attivo al gusto tra richiami di ginestra essiccata, pepe bianco e mela golden. Rispetto al precedente campione sembra perdere qualcosina nell’allungo finale, pur in un paragone davvero ardito.

Domus Giulii 2015: attualmente in commercio. Nervoso, scalpitante tra nuance di miele, canditi e tonalità sulfuree. La lunghezza di bocca non è di sicuro il suo problema, ma necessita un obbligatorio abbinamento gastronomico, visto il suo ampio “calore”.

Consorzio Vini Doc Grance Senesi: il racconto della Masterclass

di Adriano Guerri

Il Consorzio Vini Doc Grance Senesi, lo scorso 29 maggio, ha organizzato una Masterclass con 5 tipologie appartenenti alla denominazione di origine Grance Senesi

L’evento si è svolto presso la cantina della Tenuta Armaiolo di proprietà della famiglia Giovannini, a poca distanza dal centro abitato di Rapolano Terme (Si).  Guidata magistralmente da Gianluca Grimani, esperto degustatore e docente dei corsi AIS (Associazione Italiana Sommelier), la degustazione è stata preceduta da una panoramica sulla denominazione con l’intervento dei produttori presenti. 

La denominazione di origine controllata Grance Senesi è l’ultima nata in provincia di Siena e risale al 2010. Comprende l’area geografica dei comuni di Asciano, Rapolano Terme, Murlo, Monteroni d’Arbia e una parte del territorio Sovicille, tutti in provincia di Siena.

L’unico lembo di terra in provincia di Siena che era rimasto fuori dalle denominazioni, infatti a poca distanza si trovano le zone vitivinicole del Chianti Classico, del Nobile di Montepulciano, del Brunello di Montalcino e dell’ Orcia.

Il nome “Grance” deriva dalla presenza di queste fattorie fortificate sul territorio che nell’antichità gestivano i vasti possedimenti terrieri  ed erano dotate di ampi granai e cantine utili a immagazzinare e custodire i prodotti agricoli di appartenenza dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena.

Una piccola enclave di rara bellezza, da sempre vocata per la coltivazione della vite. Le altimetrie sono variabili, dai 400 ai 500 metri, con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne. I suoli sono di origine argillosa e ricchi di scheletro. Oltre alla coltivazione della vite, è molto diffusa anche quella dell’olivo e dei cereali. Le tipologie dei vini regolamentate dal disciplinare sono: Rosso, Rosso Riserva, Bianco, Passito, Vendemmia Tardiva, Malvasia Bianca Lunga, Sangiovese, Canaiolo, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Territori caratterizzati da suggestivi borghi, pievi, poderi e abbazie, una su tutte quella di Monteoliveto Maggiore (n.d.r. che racconteremo in un prossimo articolo dedicato).

Un paesaggio caratterizzato da colline brulle e ondulate, punteggiate da cipressi, querce, calanchi e folti boschi. La denominazione è stata fortemente voluta da Gabriele Giovannini, titolare della Tenuta Armaiolo, oggi guidata dal monaco benedettino guatemalteco don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore  di Asciano.

Una delle più piccole Doc italiane, ove vengono prodotti vini di elevata qualità, dotati di grandi potenzialità di crescita. Giocheremo ad analizzarli grazie anche a qualche stuzzicante abbinamento gastronomico.

I vini degustati

Grance Senesi Doc Rosso 2019 Abbazia di Monteoliveto Maggiore – Prevalentemente Sangiovese unito a Cabernet Sauvignon e Merlot.  Rosso rubino intenso, dipana sentori di rosa, violetta, fragoline di bosco, lamponi uniti a note balsamiche e speziate. Sorso fresco, dai tannini morbidi, rotondo e invitante. Ideale con il cacciucco alla livornese.

Creta” Grance Senesi Doc 2020 Podere Bellaria – Sangiovese in purezza. Rosso rubino vivace, rimanda note di violaciocca, rosa, amarena e prugna che ben si fondono con spezie dolci e cuoio. Palato ricco e suadente, decisamente lungo. Un ottimo viatico per un filetto di manzo alla griglia.

Cipresso” Toscana Igt 2016 Tenuta Masciello – Sangiovese 100%. Rubino intenso, emana sentori di tabacco, rosa appassita, frutta rossa matura, nuances speziate e tostate. Generoso e caldo, con ottima corrispondenza gusto-olfattiva. Matrimonio ideale con il cinghiale in umido.

Sangiovese Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese in purezza. Riflessi che virano sul granato, trasparente, sprigiona sentori di frutta di bosco matura, scorza d’arancia, ciliegia e melograno, conditi da pepe nero e bacche di ginepro. Avvolge e persiste con coerenza e gradevolezza. Si sposa bene sui tipici formaggi stagionati delle Crete Senesi.

Nistiola” Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Le sfumature diventano color granato, impenetrabili. All’olfatto libera note di frutti di bosco, cacao, polvere di caffè e scie mentolate finali. Di corpo, dalla trama tannica fitta e vellutata setosa. Compagno perfetto per le preparazioni a base di selvaggina.

Liguria: l’inaugurazione della nuova Cantina Lunae di Bosoni.

di Olga Sofia Schiaffino

Sabato 10 giugno a Luni (SP) in via Madonnetta 97 la nuova cantina della famiglia Bosoni ha aperto le porte ai giornalisti per la presentazione ufficiale.

Un cielo incerto mi accoglie a Luni; le nuvole grigie creano uno scenografico contrasto con il verde rigoglioso dell’erba e i colori della nuova, bellissima costruzione che ospita la cantina di Bosoni, una vera opera d’arte voluta da Diego Bosoni e progettata insieme al designer fiorentino Andrea Del Sere.

Il viale oltre al cancello mi guida attraverso i filari che presentano i vitigni nativi della zona e mi conduce fino a raggiungere un cortile racchiuso tra muri alti in pietra, ordinati secondo la tradizione ligure: vedo Diego, è molto emozionato ma felice.

L’impatto iniziale evoca una immagine di sacralità del luogo e l’ampia sala dove si entra è stata pensata e realizzata con materiali che richiamano la terra, il lavoro dell’uomo, l’avvicendarsi del tempo, le luci che illuminano in modo diffuso creano una atmosfera di solennità.

Si è voluto realizzare “un progetto urbanistico che si basa su principi sociologici: sono spazi che generano altri spazi, che possono essere ampliati, in cui non esistono barriere tra area di lavoro e di rappresentanza”, come raccontano Diego e Andrea.

Nei locali sotterranei si accede attraverso un corridoio dove si odono i suoni dei lavori nei campi e su di una parte di essi passano le immagini dei collaboratori della famiglia Bosoni dediti alla cura delle vigne e della cantina.

Un trionfo della bellezza, la celebrazione del connubio tra il contadino e la vite in questa terra di Liguria di confine: Paolo Bosoni, il padre di Diego e di Debora, iniziò negli anni Settanta a puntare sul Vermentino e contribuì alla nascita della Doc avvenuta nel 1989.

Al termine della visita abbiamo brindato tutti insieme con il metodo classico Lunae, ottenuto da vermentino e albarola in parti uguali alla intraprendenza e lungimiranza di Diego e della famiglia Bosoni, con l’augurio di un radioso futuro per questa cantina e per il vino ligure.

L e visite saranno aperte al pubblico  a partire dal 1 luglio 2023

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