Rauscedo: alle radici del Vino

Avrete spesso sentito parlare di quanto lavoro ci sia dietro ad un calice di vino: anni di grande sacrificio, di passione e dedizione da parte di produttori, enologi e tutte quelle persone che rendono possibili le nostre degustazioni: dalla cura dei vigneti, alla trasformazione dell’uva in vino, dall’imbottigliamento alla distribuzione. Oggi affronteremo un viaggio che inizia ancor prima del vigneto, nei primi 12 mesi di vita della vite (scusate il gioco di parole), quando la stessa prende il nome di “barbatella”.

La visita al VCR Research Center – Vivai Rauscedo si è rivelata istruttiva e al tempo stesso suggestiva: un percorso iniziato con la visione di un documentario sulla storia di Rauscedo e delle barbatelle, la passeggiata nei vivai, la degustazione e la visita alla cantina storica.

Un po’ di storia

I primi documenti storici sulla storia di Rauscedo, piccola frazione del comune di San Giorgio della Richinvelda, in Friuli-Venezia Giulia, risalgono al 1204, l’etimologia del nome “Rauscedo” deriva da “rausea” che nel basso latino significa “canna” o “canneto”. In tale ambiente estremamente dinamico e complesso, per via dei fiumi che lo percorrono, nella prima decade del Novecento è fiorita la produzione delle barbatelle, un’attività che ha consegnato Rauscedo alla storia mondiale.

Nel XIX un insetto proveniente dall’America sconvolse la vite: il parassita della fillossera, un afide che si nutre di linfa e attacca le radici della vite. Svolge il suo intero ciclo di vita a contatto con la pianta: dalle foglie, dove depone le uova, alle radici dove inizia a creare danni. Un vero e proprio flagello di natura che portò alla distruzione di interi vigneti in tutta Europa.

Correva l’anno 1880 quando due ricercatori Charles Valentine Riley e Jules Émile Planchon capirono come l’unica strada percorribile fosse cambiare l’innesto. Avevano notato la resistenza dell’apparato radicale di alcune varietà di vite americana, da innestare con le varietà di vite europea, aggirando il parassita. Inizialmente l’innesto veniva fatto su un ceppo di vite americana già presente sul terreno.

Bisogna attendere qualche anno ancora, nel 1917, quando un caporale maggiore dell’esercito sabaudo, sopravvissuto alla disfatta di Caporetto, nel tornare a casa, ricevette ospitalità da Andrea Rauscedo a cui insegnò la tecnica dell’innesto al tavolo. Non fu più necessario unire la gemma europea su un ceppo americano già sul terreno, era sufficiente avere un tralcio di vite americana e una gemma, unirli in modo che i legni attecchissero e solo dopo fare in modo che la nuova piante sviluppasse radici e foglie. Una tecnica questa che cambiò radicalmente l’approccio dei rauscedesi che oggi arrivano a produrre il 75% delle barbatelle italiane e più di ¼ di quelle mondiali.

Il processo di produzione delle barbatelle

Verso la fine di dicembre e gli inizi di febbraio avviene la raccolta dei tralci di vite europea e di quella americana; il legno americano viene ripulito e tagliato ad una lunghezza di 40/50 cm, etichettato e conservato in frigo. Stessa sorte per le gemme di vite europea che però vengono tagliate ad una lunghezza di 5/6 cm. Agli inizi di febbraio si avvia la fase dell’innesto al tavolo: la marza, gemma europea, viene innestata sul piede americano, il porta innesto.

L’incisione può avere diverse forme, la più comune è il taglio ad omega. L’innesto passa quindi alla paraffinatura che protegge e rinforza la zona di contatto dei due legni. Da questa unione nascerà la nuova pianta che, sistemata in una cassa di legno con segatura umida, creerà il callo di cicatrizzazione tra la marza e il porta innesto. 

A metà aprile si controlla la cicatrizzazione e si ripuliscono le barbatelle che vengono sottoposte ad una seconda paraffinatura di protezione coprirà metà pianta e dopo 10/15 giorni si procederà con la messa a dimora della barbatella nel vivaio. Questa operazione è totalmente manuale: inserite una ad una ad una distanza che varia dagli 8 agli 11 cm garantiscono lo sviluppo dell’apparato fogliale e di quello radicale. In estate seguono controlli, irrigazione, pulitura dei polloni prodotti dal porta innesto.

A settembre la maturazione della pianta è oramai vicina e ad ottobre inizia l’espianto; le barbatelle saranno conservate in ambienti chiusi e umidi fino a quando avverrà l’ultima paraffinatura di protezione per essere poi etichettate e conservato in locali refrigerati in attesa di essere vendute.

Da più di un secolo la produzione di barbatelle di vite accomuna i cittadini di Rauscedo, paese ai piedi delle Alpi Carniche, un’avventura diventata ormai leggenda. Oggi oltre 200 aziende e tante cooperative, come quella dei Vivai Cooperativi Rauscedo. Costituita nel 1930, vanta attualmente duemila dipendenti, 210 soci-produttori, oltre 80 milioni di barbatelle innestate all’anno e una presenza commerciale capillarmente distribuita in 35 Paesi nel mondo. Una realtà che ha saputo trasformare una terra povera nel primo distretto al mondo per la produzione di barbatelle.

Nel 1965 la creazione del primo centro sperimentale della Cooperativa. Da qui sono partite le prime selezioni clonali e le sperimentazioni delle varietà resistenti. La visita al VCR Research Center, ampliato e rinnovato nel 2019, si è svolta percorrendo le sale adibite ai laboratori, la cantina di microvinificazione, un vero e proprio gioiello unico nel suo genere dove vengono effettuate 900 microvinificazioni all’anno, le celle climatizzate per l’imbottigliamento e la sala per le degustazioni dove abbiamo assaggiato tre anteprime di varietà resistenti: il Sauvignon Kretos con una linea aromatica di buona intensità e un buon potenziale di invecchiamento; il Sauvignon Rytos dalla bella mineralità e sentori di frutta tropicale; il Pinot Iskra spumantizzato con notevole freschezza e persistenza.

La visita è proseguita nella cantina storia Rauscedo, nata nel 1951, una cooperativa che unisce persone con ideali di condivisione e aggregazione. 1900 ettari di superficie vitata, la più importante del Friuli, il 92% di uve è a bacca bianca. Gli spazi ampi ospitano le cisterne e i sistemi all’avanguardia con cui si vinifica.

Abbiamo degustato anche il Metodo Classico Brut Villamanin, Pinot Nero e Chardonnay, oltre 32 mesi di affinamento sui lieviti, dai sentori fruttati di ananas e mela, ottima mineralità e lunghezza; il Traminer Aromatico, dai ricordi floreali di rosa e di frutta a polpa gialla, elegante e di buon corpo; lo Chardonnay Rauscedo secco e armonico, elegante e intenso.

I vini di Rauscedo esprimono l’essenza di questo territorio con terreni di origine alluvionale, prevalentemente sassosi e ghiaiosi dove la vite ha trovato il suo habitat ideale. La visita è terminata con una pausa pranzo da Antica Osteria Il Favri per assaggiare le prelibatezze culinarie di questi luoghi. Un posto autentico con una cucina casalinga da 10 e lode.

Un grazie sincero a Lorenzo Tosi, Michele Leon e Mauro Genovese, senza dimenticare le amiche divine e di vino Claudia e Marta.

Prosit!

Un viaggio in Trentino: le Dolomiti a un passo dal cielo

Che il Trentino sia un posto speciale non è un modo di dire. Basta guardare il panorama, le sue bellezze naturali, le vette spettacolari delle Dolomiti, i laghi, parchi naturali e le valli verdi. E poi i paesini con costruzioni di montagna dalle quali svettano chiesette che sembrano uscire da una fiaba.

Nelle pianure e sulle pendici collinari si stendono vigneti che sembrano un tappeto verde in contrasto con il rosso scuro della roccia porfirica. Il Trentino è una Regione ricca di bellezze naturali, storia, cultura e tradizioni, che offre opportunità uniche sia per il turismo che per i momenti di ogni giorno.

Le Dolomiti, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, sono una meta ideale per attività all’aperto quali l’escursionismo, l’arrampicata e lo sci. I laghi, come il Lago di Garda, il Lago di Caldonazzo e quello di Levico ad esempio, offrono occasioni per nuoto, vela e relax. I parchi naturali, tra cui il Parco Naturale Adamello Brenta e il Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, proteggono la biodiversità e sono ideali per escursioni e osservazione della natura.

Il Trentino ha una storia lunga e complessa, influenzata dalle vicende politiche e culturali della regione alpina. Per secoli, il territorio è stato sotto il controllo del Principato Vescovile di Trento. Nel corso del XIX secolo, è diventato parte dell’Impero Austro-Ungarico fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando fu annesso all’Italia. Un patrimonio culturale unico, che condivide elementi italiani e tirolesi.

L’economia è diversificata: il turismo gioca un ruolo fondamentale grazie alle attrazioni naturali e sportive. L’agricoltura è importante, con una produzione di mele, uva e vini e la protezione di enti quali il Consorzio Vini del Trentino. L’italiano è la lingua ufficiale, ma sono presenti minoranze che parlano il ladino nelle valli delle Dolomiti, il mocheno e il cimbro in altre aree. Le tradizioni locali sono ricche e varie, con feste, sagre e rievocazioni storiche che celebrano la cultura e la storia della regione. Le tradizioni culinarie includono piatti come i canederli, la polenta, lo speck e numerosi formaggi tipici.

La città capoluogo è Trento, dal centro storico ben conservato, con il Castello del Buonconsiglio, la Cattedrale di San Vigilio, il Museo di Scienze Naturali MUSE e i palazzi rinascimentali come Palazzo Roccabruna. Altre città di interesse includono Rovereto, con il suo Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (MART), e Riva del Garda, situata sulle rive del Lago di Garda.

Il Consorzio Vini del Trentino: un esempio di squadra e Identità Territoriale

Quando si parla del Consorzio Vini del Trentino, la definizione più calzante è quella di una squadra che rappresenta la quasi totalità (oltre il 90%) dei produttori e viticoltori della regione. Il termine “squadra”, non è usato a caso: la sua forza risiede non solo nella legge che gli affida il compito di salvaguardare le denominazioni di origine enologiche della provincia, ma soprattutto nella capacità di mantenere salda e credibile l’identità delle produzioni vitivinicole locali.

Avere una identità forte e riconosciuta è essenziale per ogni produttore, viticoltore, imbottigliatore e cooperatore del Trentino. Questa identità rappresenta le fondamenta su cui costruire una promozione efficace e credibile delle aree produttive, dei vitigni, dei vini e delle aziende della regione. È grazie a tale coesione che il Consorzio è in grado di tutelare le produzioni enologiche trentine, garantendo la sostenibilità ambientale e promuovendo i vini del Trentino sia a livello nazionale che internazionale.

I vini sono il risultato di una terra con un’alta vocazione e di una tradizione di livello mondiale, soprattutto, dell’impegno, soprattutto nel campo spumantistico.

L’Istituto Tutela Grappa del Trentino

L’Istituto Tutela Grappa del Trentino svolge in parallelo un ruolo fondamentale nella valorizzazione di un’altra produzione tipica: la grappa. Fondato nel 1969 conta oggi 24 soci, di cui 20 distillatori che rappresentano quasi tutta la produzione. L’Istituto ha il compito di valorizzare la grappa ottenuta esclusivamente da vinacce prodotte in Trentino, qualificandola con un apposito marchio d’origine e la dicitura “Trentino Grappa”.

La produzione di grappa in Trentino rappresenta il 10% di quella italiana, un dato significativo che ne testimonia l’importanza e la qualità. Il Consorzio Vini del Trentino e l’Istituto Tutela Grappa del Trentino rappresentano due pilastri fondamentali per l’economia e la cultura locale. Grazie alla loro azione congiunta, questi enti garantiscono la salvaguardia delle produzioni enologiche e distillatorie, promuovendo al contempo l’identità e la tradizione di una terra unica.

Hotel Villa Madruzzo: connubio di storia, eleganza e gastronomia nel cuore del Trentino

Situato tra le colline verdi e le vette maestose del Trentino, l’Hotel Villa Madruzzo offre un’esperienza che combina la storia del XVI secolo con il comfort e il lusso moderni. Residenza nobiliare, originariamente dimora della famiglia Madruzzo, sa accogliere i suoi ospiti in un ambiente elegante e raffinato, suddiviso in due aree distinte ma complementari: la zona Classic e l’area Belvedere.

La zona Classic, con il suo fascino d’epoca, permette di immergersi completamente nell’atmosfera storica della villa. Le camere sono arredate con mobili antichi e dettagli che richiamano il passato glorioso dell’edificio, offrendo al contempo tutti i comfort moderni per un soggiorno piacevole e rilassante. Dall’altra parte, l’area Belvedere rappresenta una fusione armoniosa di modernità e benessere, dove il moderno si fonde con il calore del legno. La chicca è il centro benessere che rigenera e regala momenti unici. Gli ospiti possono godere di una vasta gamma di trattamenti, dalla sauna al bagno turco ai massaggi, immersi in un ambiente sereno e panoramico.

Al suo interno, il Ristorante Villa Madruzzo ha sale eleganti in grado di ricevere, non solo gli ospiti dell’albergo, ma anche il pubblico esterno. Il menu è un viaggio sensoriale attraverso le delizie della cucina trentina: dai canederli ai formaggi locali, passando per piatti a base di selvaggina e dolci tradizionali, ogni portata è preparata con cura e presentata con eleganza. L’attenzione ai dettagli e la passione per la gastronomia fanno di questo ristorante una meta imperdibile per gli amanti del buon cibo.

Dall’erba al formaggio lungo la filiera del latte

Un tour guidato in compagnia di Albatros tra i prati della campagna di Predazzo per scoprire il forte legame che c’è tra erba, latte e formaggi. Prima tappa in stalla presso l’azienda agricola Moser dove Maria Letizia ci aspetta con Mariapia Morandini e la sua famiglia per raccontare l’importanza che ha l’alimentazione delle mucche nella qualità del latte. Abbiamo avuto modo di assistere anche alla mungitura e scoprire le innovazioni che caratterizzano le stalle dei nostri giorni. La filosofia di famiglia è incentrata sul benessere degli animali. La produzione di latte è affidata a 110 capi diversi per razza e resa. Di queste, circa 70 vacche sono in lattazione durante l’inverno e le altre in estate per la produzione del celebre Puzzone di Moena DOP.

La scelta accurata del fieno e delle erbe sono importanti per la qualità del formaggio, sottoposto 2 o 3 volte al mese a controlli alla fine dei quali viene assegnato un punteggio con un valore numerico che può variare da 0,4 a 25. Assistere alla mungitura è un’esperienza che fa tornare la mente a quando guardavamo Heidi che mungeva e beveva il latte. Ovviamente non è proprio come il cartone animato, perché la mungitura avviene con mezzi sofisticati che tutelano la salute degli animali e dei consumatori. Una mungitura soffice e costante che serve, oltre a prelevare il prezioso liquido bianco, ad evitare dolorose mastiti alle mammelle.

Arrivando al Bistrot Caseificio Sociale Predazzo e Moena ci attende un vero e proprio Cheese Tasting narrato in compagnia del produttore: presenti in assaggio un caprino pastorizzato dolce e delicato, il “Gradevole” che ricalca lo stile dei formaggi a crosta lavata, il Puzzone di Moena Dop da mezza stagionatura saporito ma non troppo, un formaggio a pasta dura stagionata in stile 3 mesi e infine il Trentingrana, fatto esclusivamente con il latte del Trentino. Il tutto accompagnato ai vini della Tenuta Gottardi: nasce nel 2016 e le prime etichette escono nel 2022 con il “Posador” Pinot Nero, il Lagrëin, il Müller Thurgau e il Gewürztraminer.  

Roverè della Luna – la ricerca al servizio della viticoltura: Innovazione e Sostenibilità nei vigneti del Trentino

In una giornata di sole tra i vigneti del Trentino, Stefano Rizzi del Consorzio Vini del Trentino ci accoglie per parlare dell’importanza della ricerca nella coltivazione della vite. Il suo entusiasmo è palpabile mentre ci introduce alle tecniche innovative che stanno rivoluzionando il modo di coltivare i vigneti, con l’obiettivo di ridurre drasticamente, se non eliminare, l’uso di fitofarmaci.

Tra le pratiche più interessanti, l’uso della confusione sessuale per contrastare gli attacchi di lepidotteri e della Tignola. Una tecnica, che consiste nel diffondere feromoni che confondono gli insetti impedendo loro di accoppiarsi, si sta rivelando un metodo efficace e sostenibile per proteggere le viti senza ricorrere a sostanze chimiche nocive.

La ricerca non si ferma qui. Paolo Fontana e Livia Zanotelli, apidologi della Fondazione Edmund Mach, insieme a Maurizio Bottura, dirigente del Centro di Trasferimento Tecnologico, ci accompagnano nei vigneti per approfondire il tema della biodiversità. Gli studi condotti dalla Fondazione Edmund Mach in collaborazione con l’Università di Trento sono orientati a 360 gradi, esplorando ogni aspetto che possa contribuire a una viticoltura più sostenibile.

Fontana e Zanotelli ci parlano degli “apoidei”, un gruppo di insetti impollinatori di cui fanno parte anche le api. L’osservazione delle abitudini e degli orientamenti di questi insetti è fondamentale per studiare la biodiversità e adattare le conoscenze alla viticoltura. “Conoscere le interazioni tra gli apoidei e le viti può portare a pratiche agricole che favoriscono non solo la salute dei vigneti ma anche quella degli ecosistemi circostanti”, spiega Zanotelli.

Un altro tema cruciale trattato durante la nostra visita è quello della micro-irrigazione. Rizzi ci spiega come questa tecnica permetta di fornire alle piante la quantità d’acqua necessaria con precisione, riducendo gli sprechi e migliorando la qualità del raccolto. “La micro-irrigazione è un esempio di come l’innovazione tecnologica possa andare di pari passo con la sostenibilità ambientale”, afferma Rizzi.

Gli studi condotti dalla Fondazione Edmund Mach e dall’Università di Trento non solo offrono nuove prospettive per una viticoltura più verde e sostenibile, ma rappresentano anche un modello di come la ricerca e l’innovazione possano contribuire significativamente alla protezione dell’ambiente. La giornata si conclude con una nota di ottimismo: il futuro della viticoltura trentina sembra sempre più orientato verso pratiche sostenibili che rispettano la natura e promuovono la biodiversità.

La Fondazione Edmund Mach: eccellenza nella ricerca e formazione agricola

Situata a San Michele all’Adige, la Fondazione Edmund Mach rappresenta un’istituzione di rilevanza mondiale nel campo della viticoltura ed enologia. Fondata 150 orsono, la sua missione iniziale era quella di approfondire la conoscenza scientifica applicata all’agricoltura, con un focus particolare sulla viticoltura. Sin dall’inizio, l’istituto ha svolto un ruolo cruciale nel trasferire conoscenze e innovazioni agli agricoltori e viticoltori, diventando così un centro di formazione, ricerca, sviluppo e sperimentazione.

La Fondazione Edmund Mach gestisce 120 ettari di terreni, di cui metà destinati alla produzione di uva e l’altra metà alla coltivazione di mele. Questa vasta area di sperimentazione agricola permette di condurre ricerche avanzate su varie colture. Dal 2008, l’Istituto San Michele all’Adige è diventato ufficialmente la Fondazione Edmund Mach, in omaggio al suo primo direttore. Nello stesso anno, l’istituto ha incorporato il Centro di Ecologia Alpina del Monte Bondone, ampliando così il suo campo di ricerca anche all’ambiente.

Le “Tre A” della Fondazione: Agricoltura, Alimentazione e Ambiente

La filosofia della Fondazione Edmund Mach si riassume nelle “Tre A”: Agricoltura, Alimentazione e Ambiente. La sezione dedicata all’alimentazione comprende laboratori all’avanguardia per l’analisi del vino, includendo studi sulla vinificazione e tecniche avanzate di tracciabilità per prevenire sofisticazioni. 

Nel settore agricolo, la ricerca si concentra su due principali aree: il miglioramento genetico e la sostenibilità. La Fondazione ha registrato numerose varietà di melo e piccoli frutti, come i mirtilli, e ha sviluppato viti resistenti alle malattie, riducendo così la necessità di prodotti chimici. Inoltre, studia metodi alternativi per la lotta contro i parassiti, come la confusione sessuale, che evita l’accoppiamento degli insetti nocivi.

Supporto Tecnico e Formazione

Altro aspetto fondamentale della Fondazione Edmund Mach è l’assistenza tecnica agli agricoltori. Attraverso una rete di centri periferici specializzati vengono forniti supporto continuo per la gestione delle attività agricole, garantendo che gli agricoltori possano beneficiare delle ultime innovazioni e metodologie. La Fondazione ospita anche uno dei migliori Istituti Tecnici Agrari in Italia e collabora con l’Università di Trento per i corsi di Viticoltura ed Enologia.

Un’eredità storica

La sede della fondazione vanta una storia affascinante, nata in origine come una struttura fortificata nel dodicesimo secolo. Successivamente trasformata in un edificio monastico, i monaci iniziarono a coltivare la vite, costruendo una cantina nel 1200 che è ancora oggi operativa, mantenendo viva una tradizione secolare.

Un faro di innovazione e tradizione, combinando ricerca scientifica avanzata con un profondo rispetto per la storia e la cultura agricola. La sua continua evoluzione e il suo impegno per l’eccellenza garantiscono che rimanga un punto di riferimento nel panorama agrario e enologico mondiale.

Muse, Museo delle Scienze di Trento

Il MUSE, Museo delle Scienze di Trento, è un moderno museo scientifico situato nel quartiere Le Albere, progettato dall’architetto Renzo Piano. Inaugurato nel 2013, il MUSE offre un’esperienza interattiva che esplora la natura, la scienza e la tecnologia. Le sue esposizioni spaziano dalla storia naturale delle Alpi alla biodiversità, passando per la sostenibilità ambientale e le innovazioni scientifiche. Con una vasta gamma di mostre temporanee e permanenti, laboratori educativi e attività per tutte le età è un punto di riferimento per la divulgazione scientifica in Italia.

Proprio qui che il Consorzio Tutela Vini del Trentino ha organizzato la presentazione del secondo Bilancio di Sostenibilità del Consorzio. Ad aprire il convegno è stato Albino Zenatti, Presidente del Consorzio, che ha ricordato che questa è la seconda edizione della presentazione e che la precedente si è tenuta nel 2021. Zenatti ha inoltre sottolineato l’importanza che riveste lo studio e l’applicazione della sostenibilità; l’applicazione di regole e la messa in pratica di azioni volte alla tutela del terreno e dell’equilibrio naturale può portare nel tempo a risultati significativi. Ricerca, innovazione e investimenti mirati a ridurre drasticamente i trattamenti fitosanitari con l’obiettivo di annullarli totalmente sono fondamentali. Il concetto è chiaro: la terra che coltiviamo oggi è la stessa che avranno i nostri figli e le generazioni future. Investire ora in sostenibilità significa garantire un futuro migliore per chi verrà dopo di noi.

Le certificazioni SQNPI, VIVA e EQUALITAS sono fondamentali per portare avanti progetti e studi volti alla realizzazione di pratiche sostenibili. Un elemento cruciale è la partecipazione delle aziende: il 97% delle aziende vinicole ha aderito al protocollo di intesa, un successo inimmaginabile prima d’ora. Temi come l’Agenda 2030, la Certificazione SQNPI – qualità sostenibile e l’importanza di saper comunicare la sostenibilità sono stati al centro del dibattito.

La presentazione del bilancio si è conclusa con un aperitivo e una cena a buffet offerti dal Consorzio nella sala al livello inferiore del museo, accompagnati dai vini del Trentino e dai cocktail con la Grappa del Trentino, il tutto circondati da dinosauri, animali preistorici e oggetti dell’età della pietra, creando una bellissima atmosfera conviviale.

Palazzo Roccabruna: un gioiello rinascimentale nel Cuore di Trento

Nel cuore del centro storico di Trento sorge Palazzo Roccabruna, dimora nobiliare risalente alla seconda metà del Cinquecento. Questo edificio, recentemente restaurato dalla Camera di Commercio di Trento, è tornato al suo antico splendore e ospita oggi l’Enoteca Provinciale del Trentino. Tale spazio non è solo un museo di vini, ma un vero e proprio centro per eventi enogastronomici e culturali, dedicato alla valorizzazione del territorio trentino, della sua ricca storia e dei suoi prodotti tipici.

Tra i vari eventi organizzati presso l’Enoteca, la conferenza tenuta da Alessandro Marzadro ha illustrato la storia della grappa, dalle sue origini fino ai giorni nostri. Marzadro ha spiegato come questo distillato, che un tempo poteva essere considerato più una medicina che una bevanda, sia divenuto la celebre grappa piacevole e raffinata. “La gradevolezza è la caratteristica principale di una buona grappa”, ha sottolineato Marzadro, sfatando il mito che sia solo un digestivo. “Non è assolutamente un digestivo, ma una bevanda da meditazione, studiata per offrire momenti di puro piacere grazie ai suoi aromi complessi.”

La grappa trentina è un distillato ottenuto dalle vinacce italiane, con una gradazione alcolica minima di 37º, e gode del marchio di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Questo la distingue dall’Acquavite, un termine generico che può riferirsi a distillati ottenuti da qualsiasi materia prima idonea.

Interessante anche l’origine della grappa, nata con un intento di recupero: la distillazione delle vinacce consente di valorizzare gli scarti della vendemmia, un processo sostenibile che non consuma ulteriore suolo agricolo. Tuttavia, è importante ricordare che, pur essendo un prodotto di qualità, la grappa non è un bene di prima necessità e l’abuso può essere nocivo per la salute.

Palazzo Roccabruna, con la sua storia secolare e il suo rinnovato ruolo di centro culturale, si conferma così un punto di riferimento per gli amanti del buon vino e delle tradizioni trentine. Gli eventi organizzati al suo interno rappresentano un’occasione imperdibile per scoprire e apprezzare i tesori enogastronomici del Trentino, in un ambiente che celebra il passato ma guarda con entusiasmo al futuro.

Dopo aver parlato della storia dei vini e delle grappe del Trentino, l’evento è proseguito con un tasting dedicato, offrendo ai presenti un viaggio sensoriale attraverso le diverse varietà prodotte nella regione.

La degustazione comprendeva:

  • Vini Bianchi: Nosiola (1-4), Chardonnay (5-19), Pinot Grigio (20-24), Kerner (25-27), Manzoni Bianco (28-32), Solaris (33), Müller Thurgau (34-46), Riesling (47-48), Sauvignon (49-54), Gewürztraminer (55-62).
  • Vini Rosati: Tagli Bianchi (63-68), Rosati (69-72).
  • Vini Rossi: Pinot Nero (73-89), Marzemino (90-98), Rebo e Sennen (99-101), Lagrein (102-114).
  • Grappa del Trentino.

Pranzo al Ristorante Borgo Nuovo: Un’Esplosione di Sapori Sardi nel Cuore di Trento

Nel vivace centro di Trento, tra strade storiche e moderni negozi, si trova un angolo di Sardegna: il Ristorante Borgo Nuovo. Un locale, rinomato per la sua cucina di pesce che offre un’esperienza culinaria unendo la tradizione sarda alla freschezza del mare, proponendo sia piatti crudi che cotti di altissima qualità. La chiave del loro successo risiede nell’utilizzo di materie prime sempre fresche, che garantiscono sapori autentici e piatti impeccabili.

L’ambiente del Ristorante Borgo Nuovo è caldo e accogliente, arredato con gusto e attenzione ai dettagli. Ogni elemento del design interno contribuisce a creare un’atmosfera rilassante e raffinata, ideale per godersi un pasto in tranquillità. Gli ospiti vengono accolti con un sorriso sincero, che riflette l’ospitalità sarda e la passione per la cucina.

Il menù del Borgo Nuovo inizia con antipasti di mare, dove i crudi di pesce, come tartare e carpacci, si distinguono per freschezza e la delicatezza dei sapori. A seguire, una selezione di primi piatti che celebra la tradizione sarda, con specialità come i malloreddus e la fregola, arricchiti da salse a base di pesce fresco e ingredienti di stagione.

Credits e ringraziamenti finali: Valentina Voltolini (Consorzio Vini del Trentino), Stefano Rizzi (Consorzio Vini del Trentino), Alessandro Maurilli (Istituto Tutela Grappa del Trentino) Lavinia Furlani (Wine Meridian), Dora Tavernaro (Strada dei Formaggi delle Dolomiti).

Il decennale di Wip Burger & Pizza: 10 anni non bastano a raccontare come fare ristorazione di qualità in Campania

Diciamocelo: Wip Burger & Pizza se lo aspettavano davvero in pochi agli inizi. La longevità ha sorpreso, ma non troppo, persino i titolari Domenico Fortino e Lorenzo Oliva, partiti in sordina 10 anni fa con un piccolo locale ai margini di una stazione di rifornimento a pochi passi dall’uscita autostradale di Nocera Inferiore.

E a ben pensarci, crescere in un contesto simile, affermarsi presso il pubblico anche selezionato ed esigente che non mangia solo “pane e puparuoli” ha rappresentato un traguardo simile alla scalata di una cima vertiginosa. Domenico, Lorenzo, due anime ben integrate dalla stessa idea di ristorazione: quella basata sull’esaltazione e lavorazione delle materie prime che la Campania sa offrire. Diverse scelte gastronomiche, a cominciare dall’immancabile pizza, passando per una cucina con piatti della tradizione e chiudendo sulla carne, per accontentare ogni palato.

Quanto detto sin qui non spiega il successo fatto di piccoli passi, uno dopo l’altro, che li hanno portati a festeggiare il primo decennale con un evento fuori dalla norma: l’annullo filatelico concesso dai dirigenti di Poste Italiane – agenzia di Nocera Inferiore – quale tributo al saper fare impresa da parte dei concittadini imprenditori. Il vero segreto di Pulcinella è l’abilità dimostrata nel tessere rapporti con le eccellenze del settore alimentare nostrano.

I banchi d’assaggio organizzati durante la manifestazione, rappresentano gli ingredienti “nascosti” nei piatti di Wip Burger & Pizza e quando giochi con la qualità è difficile distruggere e rovinare tutto con impreparazione e mancanza di rispetto per le materie prime. Difficile, ma non impossibile per chi scrive da anni di cibo e cultura enogastronomica.

Fare ristorazione di qualità si può ovunque, specialmente in Campania ove non mancano gli ingredienti e le tecniche giuste per utilizzarli in cucina. E quello di Wip Burger & Pizza ne è un caso lampante.

Ad esempio nella scelta di un Olio Extravergine di Oliva monocultivar Carpellese dell’azienda Pregio con sede a Serre (SA); o i salumi e le carni della Macelleria del Centro Storico di San Marzano sul Sarno (SA), dai prodotti innovativi come il salame di Scottona con Parmigiano Reggiano stagionato 120 mesi.

Gli affettati richiamano necessariamente, almeno al Sud Italia, la mozzarella, specie se di Bufala come quella proposta dal treccione del Caseificio Nonno Peppe a Marina di Eboli (SA). Infine, per placare la sete i gin di Prisco Sammartino di Officine Alkemiche Spirits per un abbinamento intrigante anche con la pizza, e il beverage di Perrella Distribuzione che segue i migliori locali della Regione.

Manca, a completare il quadro, la presenza di Andrea Ferraioli e della moglie Marisa Cuomo, da sempre inclusi nell’ampia lista vini proposti sia alla mescita che alla bottiglia, segno che la cultura e il consumo del vino sta cambiando in modo positivo nelle scelte degli avventori.

Presenti al momento clou della serata, l’annullo filatelico sulle cartoline commemorative, la funzionaria di Poste Italiane dott.ssa Elvira Graziano, il vice sindaco di Nocera Inferiore dott. Gianluca Pagliuca ed i giornalisti Annibale Discepolo e Gaetano Cataldo, estimatori della prima ora di Wip Burger & Pizza e dell’impegno di Fortino e Oliva.

Altri 100 di questi 10 anni!

Wip Burger & Pizza

Via Giuseppe Atzori 271

84014 Nocera Inferiore (SA)

La “Yellow Night” da Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel inaugura la stagione estiva nella divina Costiera

Esistono pochi posti al mondo dove il sapore della pizza incontra la suggestione di atmosfere uniche ed incantevoli e la Costiera Amalfitana è certamente in cima alla classifica. Ma se il matrimonio tra la tonda mediterranea viene officiata dal maestro Gino Sorbillo presso La Locanda della Canonica dell’Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel, la celebrazione non può che essere esclusiva e dal tocco decisamente glamour.

Di pizzerie in location mozzafiato ce ne sono tante al mondo, a dimostrazione del fatto che la pizza è la perfetta ambasciatrice della Dieta Mediterranea persino nella sua versione più elegante e gourmet, ma gustarne una all’interno di un monastero risalente al 1212, dalle mani di Gino Sorbillo tra i più iconici maestri pizzaioli, e godendo della vista mare sul Golfo di Salerno, non ha prezzo. Neanche mangiarla sul rooftop del grattacielo più alto del mondo sarebbe lontanamente equiparabile ad un’esperienza così profonda e rara.

La Locanda della Canonica è il pizza outlet di Gino Sorbillo, incastonata in uno dei luoghi simbolo di quella che un tempo è stata una delle quattro Repubbliche Marinare, sorto ad Amalfi nel XIII secolo e sovrastante il borgo marinaro dal colle Falconcello, antico crocevia sui traffici marittimi verso l’Impero Bizantino, Alessandria d’Egitto e l’India. La serata del 22 giugno scorso ha costituito un’esperienza davvero profonda: paesaggio, cultura ed enogastronomia, uniti all’istrionica giovialità di Gino Sorbillo, disponibile e cortese verso tutti gli ospiti.

Accompagnati dal personale cortese ed estremamente specializzato nell’arte dell’accoglienza è stato difficile resistere all’invito di esplorare la struttura nel suo cuore: le mura originarie dell’antico cenobio fondato dal cardinale Pietro Di Capua nel XIII secolo, prima ad uso dei monaci cistercensi e poi, nel 1583, affidato alle cure dei frati Cappuccini. La suggestione è forte nell’attraversare il complesso monumentale di San Pietro della Canonica, apprezzandone la struttura primigenia in stile arabo-normanno con il chiostro e l’antro naturale, scavato dalla forza del mare, per non parlare della chiesetta dedicata a San Pietro de Toczulo, con le sue vestigia e l’odore di incenso, in cui si officiano ancora cerimonie religiose. Percorriamo adesso il cammino a ritroso e poi la passeggiata dei monaci medievali, per raggiungere gli altri ospiti e celebrare i sapori di un menu che ha lasciato il segno.

Il Maestro Gino Sorbillo

La montanarina con pomodoro, parmigiano e basilico mette subito allegria assieme alle bollicine brut da metodo classico “Alta Costa”, con uve Biancazita e Biancatenera, di Tenuta San Francesco, briose e sapide, ma i fan della ”bionda” non hanno saputo resistere alle lusinghe della birra Ravello. A seguire una freschissima e delicata insalata di gamberi con cuore di insalata e maionese piccante, poi tartare di tonno rosso, pomodori secchi e olive e caponata napoletana con mozzarella di bufala e pomodori, fiori di zucca ripieni di ricotta e basilico, peperoni ripieni con capperi e olive taggiasche e crostini con burrata e zucchine alla scapece. Insomma, le danze si sono aperte con sapori autentici e combinazioni molto interessanti e qualcuno ha pensato bene di ballare con il cocktail di accompagnamento a base di Malfy gin, non a torto, mentre altri andavano di bolla con il rosato, ancora inedito, a base di uve Tintore della Tenuta San Francesco.

I tagliolini di limone sfusato amalfitano preparati dinanzi agli ospiti dallo Chef Resident Claudio Lanuto, hanno costituito un inno alla solarità della bella Costiera e un degno preludio alle pizze del maestro Sorbillo.

Chef Claudio Lanuto

Si parte con la Convent Pizza, con impasto di grani italici, crema di fiori di zucca, provola, alacce, terra di olive nere e zest di limone. Si prosegue con la Yellow Pizza, a base di crema di pomodorini gialli, fior di latte, chips di zucchine e provolone del monaco. Sempre preparata da Gino Sorbillo, arriva la Fresca Fresca, una focaccia fatta con mozzarella di bufala, pomodoro cuore di bue, bresaola di bufala e misticanza dell’orto. Tra gli invitati, qualcuno si è divertito a preparare la pizza assieme al Maestro Sorbillo, ben felice di condividere alcuni “trucchi del mestiere”. Il secondo piatto di pesce spada, melanzane e mozzarella ha anticipato l’ultima portata, costituita da totani e patate. C’è chi ha optato per un Tramonti bianco doc e chi per la versione in rosso, rispettivamente a base di Falanghina, Pepella e Biancolella, quindi di Aglianico, Tintore e Piedirosso, sempre di Tenuta San Francesco.

Hanno vinto entrambi gli abbinamenti, ma tutte e due le fazioni, poi, sono state sopraffatte dal buffet dei dolci con le delizie tipiche della pasticceria campana. Serata da ripetere assolutamente, sulle note briose di una serata estiva indimenticabile.

Le prossime date imperdibili per la Yellow Night: 12 luglio, 17 agosto, 16 settembre e 12 ottobre.

Le “P” nascoste nel simbolo VitignoItalia

No, non siamo impazziti! L’anticiclone africano sta finalmente prendendo piede con sole e temperature estive quasi tropicali, ma abbiamo avuto la vista lunga, a maggior ragione da Media Partner della manifestazione, per capire che VitignoItalia contiene ben 3 volte la lettera “P” dell’alfabeto nascosta tra le pieghe del suo simbolo.

P come Produttori, quelli entusiasti di partecipare all’evento per avere visibilità e presentare una Campania enogastronomica che ha ancora tantissimo margine in potenziale: 300 aziende e consorzi presenti hanno popolato la Stazione Marittima di Napoli, all’altezza della situazione. Tra banchi d’assaggio, talk e degustazioni top level, VitignoItalia ha acceso i riflettori sulle realtà enologiche più prestigiose della Penisola, puntando sul dialogo diretto con i produttori, che da sempre caratterizza questo format di successo.

Ampi focus sulle grandi denominazioni quali Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, Friuli Doc e Roma Doc , intervenuti ai microfoni di 20Italie, passando per i migliori vini regionali come i rossi di Sicilia, i bianchi vulcanici da invecchiamento, i bianchi e spumanti siciliani e il verdicchio dei Castelli di Jesi.

P come Premiazioni, con il meglio dell’enologia tricolore grazie alla quarta edizione di 100 Best Italian Rosé, la guida edita da LucianoPignataroWineBlog di Luciano Pignataro e curata dai giornalisti Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Granieri Raffaele Mosca, che hanno raccontato da Nord a Sud le migliori etichette di una tipologia spesso erroneamente vista come vino semplice e beverino senza prospettiva di evoluzione nel tempo.

P come Protagonisti dunque, anche nell’arduo abbinamento pizza-vino con la presentazione di Calici & Spicchi di Antonella Amodio, Verso del Vino – Verso Divino, il volume di Marianna Ferri e Ottavio Costa e con la presentazione di 50 Insoliti Noti, la guida ai migliori 50 vini per tradizionalità e legame con il territorio, a cura di Gimmo Cuomo, firma del Corriere del Mezzogiorno. Cala così il sipario su VitignoItalia 2024, giunta all’anno della “maturità” simbolica con le sue diciotto candeline spente e che ha riunito 10.000 tra wine lover e traders.

Maurizio Teti Direttore di Vitigno Italia

Un’edizione eccezionale nei numeri e più coinvolgente che mai – sottolinea Maurizio Teti, Direttore di VitignoItaliaresa possibile grazie alla sinergia con i principali player della manifestazione a partire dalle istituzioni. In particolare con l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania che da sempre crede fortemente nel nostro progetto. Siamo stati spettatori di un’edizione davvero sorprendente: a partire dal nostro fedele pubblico che ogni anno ci stimola nell’ideazione di nuovi contenuti, alle grandi cantine presenti che costituiscono l’essenza della manifestazione”.

Abbiamo messo in campo – prosegue Teti – un programma di incontri che hanno soddisfatto e incuriosito tanto gli appassionati quanto gli esperti, con attività trasversali tra il vino e altri settori, mettendo sempre al centro il piacere della degustazione e l’interazione con i produttori. Chiuderei con un ringraziamento a Unicredit e FEAMPA per il prezioso contributo e all’ICE per l’importanza in ambito internazionale che ogni anno conferisce alla nostra manifestazione, coinvolgendo grandi esperti del settore”.

Non da meno l’interesse dei buyers, un gruppo di 30 tra gli operatori più competenti provenienti da 18 paesi, selezionati in collaborazione con ICE, che hanno mostrato grande apprezzamento per le cantine presenti e hanno preso parte all’educational tour nei Campi Flegrei, approfondendo i vini di questo territorio enologico, tra i più affascinanti della regione. 

Infine l’affascinante masterclass sugli underwater wine, un viaggio tra i vini degli abissi più interessanti della Penisola che ha dato risalto ai produttori (Tenuta del Paguro con il Romagna Albana Docg Squilla Mantis 2019 UWW, Tenuta Campo al Signore con il Bolgheri Rosso Doc 2018 UWW, il Consorzio Agerasprinio Più o Meno Dieci con Asprinio DOC Aversa 2023 e Tenuta Asinara e il suoCayenna Submariner) che con passione e cura si dedicano a questo tipo di produzione singolare quanto affascinante. Un ringraziamento particolare all’Agenzia Mg Logos di Stefano Carboni e Maria Grazia D’Agata per il supporto, la condivisione e l’organizzazione stampa.

Il G7 in Italia: l’analisi “gastronomica” di Gaetano Cataldo

Il G7 in Italia, fuori dalla geopolitica e dagli aspetti diplomatici, ha costituito una grandissima opportunità di mostrare al mondo quanto il nostro Paese sia il più spettacolare giardino di biodiversità che si sia mai visto. È straordinario poter affermare che lo Stivale, al 1600° posto per superficie rispetto a tutte le altre terre emerse del pianeta, detenga un primato inarrivabile in termini di materie prime, tradotte dal genio italico in raffinate preparazioni culinarie da gustare tra paesaggi di mare e di montagna.

Ce lo dicono anche i radar astronomici della Nasa: le colazioni più belle, gli aperitivi più glamour, i pranzi e le cene più esclusive, forse anche qualche happy-hour chissà, hanno avuto luogo tutte in Puglia dal 13 al 15 giugno per accogliere i vertici delle varie nazioni durante il G7. Con tutte le gatte da pelare, in periodi di gravi crisi e nel bel mezzo di due focolai bellici, gli uomini più potenti della terra si sono rinfrancati dalle loro immani fatiche nel salvare il mondo dall’inquinamento e dal riscaldamento globale, oltre che da un’umanità che da troppo tempo ha perso la giusta misura delle cose. Il G7 in Italia è un simbolo di cultura, bellezza, gastronomia, arte, vino e chi più ne ha.

I “grandi della Terra”, non conoscono invece le palesi difficoltà di chi vive nel Belpaese e si devono accontentare (per fortuna) del meglio che l’italica arte culinaria e vitivinicola ha da offrire. E Dio non voglia, se la legge del contrappasso infernale dovesse esistere, che Cerbero prenda ad annotare da quali leccornie e regali servigi siano stati deliziati. Il 13 giugno al Castello Svevo di Brindisi, il presidente Mattarella ha fatto gli onori di casa con i classici convenevoli e protocolli vari, agli occhi compiaciuti della Premier Giorgia Meloni, nel suo modello di sobria e galante compostezza.

Facciamo un salto indietro nel tempo

Sono stati sei i G7, o G8 a seconda della presenza di alcuni stati, che hanno avuto la presidenza italiana da quando il summit internazionale è nato, e cioè nel 1975. I primi si svolsero a Venezia nel 1980 e poi nel 1987, gli ospiti furono invitati a cena nell’appartamento del Doge a Palazzo Ducale. Nel 1994, durante il primo governo Berlusconi, il G8 si svolse a Napoli con una cena memorabile all’interno della Reggia di Caserta. Chef Salvatore Di Meo, napoletano doc trapiantato poi in Sardegna, che portò in tavola i più celebri piatti della tradizione campana.

Famosa in quell’occasione la visita del Presidente americano Bill Clinton alla Pizzeria Di Matteo, storica insegna in Via Dei Tribunali di Napoli, durante una passeggiata per i vicoli del centro. Avanti poi fino al 2001, in quel drammatico G8 di Genova passato alla storia non certo per ciò che mangiarono i Capi di Stato, blindati all’interno della zona rossa tra proteste e guerriglie. Nel 2009, invece, il G8 arrivò a L’Aquila, in Abruzzo, e a cucinare fu lo chef personale del Cavaliere: Michele Persechini dalle cucine di Palazzo Grazioli si trasferì in quei giorni nella caserma della Guardia di Finanza di Coppito. Il menù riprendeva a dir poco ingenuamente le tonalità del tricolore: pennette verde, bianco e rosso con pesto, al pomodoro e ai quattro formaggi.

Nel 2017 fu l’anno della Sicilia a Taormina: la cena dei grandi della terra avvenne all’Hotel Timeo e fu curata dallo chef Roberto Toro, siciliano legato ai sapori della Dieta Mediterranea.  Una cena rimasta negli annali perché il Presidente degli Stati Uniti Trump, bontà sua, consumò ai pasti solo Coca-Cola. A Pino Cuttaia fu affidato il pranzo delle First Lady e dei First Gentlemen del summit siciliano di quell’anno. Lo chef due stelle Michelin per il ristorante La Madia di Licata, preparò una degustazione tutta locale: arancinimelanzanecannoli, tenerume di cocuzza e molto alto per il pranzo al Palazzo degli Elefanti di Catania.

E al G7 del 2024?

Il club dei Paesi più importanti al mondo, quello del G7, si è dato appuntamento a Borgo Egnazia dal 13 al 15 giugno 2024, con l’Italia come paese ospitante. Un congresso aperto anche ad altri paesi oltre gli USA, il Canada, la Francia, la Germania, l’Inghilterra e il Giappone e Città del Vaticano. Tra i leader presenti anche il presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Sono stati invitati, inoltre, i paesi cosiddetti “outreach” anche le seguenti nazioni: 

Troika G20 (BrasileIndia e Sudafrica), MauritaniaKenyaAlgeriaGiordaniaTurchiaArabia SauditaEmirati Arabi UnitiTunisiaArgentina, ma anche l’Onu con il segretario generale Guterres, la Banca Africana di Sviluppo, l’Ocse, l’Fmi e la Banca Mondiale.

La tavola imbandita con i piatti e i vini italiani è forse l’unico luogo del G7 dove non era possibile firmare un accordo finale condiviso preventivamente: tutto in diretta, tutto giudicato al momento, una prova da brividi per lo chef Massimo Bottura e per il suo staff. La politica d’altronde si fa anche a tavola, sperando che i piatti spettacolari siano riusciti a limare le differenze, ammorbidire gli opposti schieramenti.

Cibo e vino, le vere armi a disposizione per una pace temporanea

Lo chef dell’Osteria Francescana di Modena, per questi tre giorni, è stato il re della cucina al Castello di Brindisi ed a Borgo Egnazia. Il menù, studiato attentamente, ha fatto pivot sulle eccellenze italiane, con un percorso gastronomico che prende il nome Vieni in Italia con me, ed un focus da Nord a Sud.

Il pranzo del primo giorno

Pane e pomodoro della Campania, passando alla zuppa di pesce dell’Adriatico, direttamente dalla Laguna di Venezia, con cottura in forno a vapore di cozzecannolicchigranchio bluvongolegamberi rossi ed erbe aromatiche. Si fa un salto in Sardegna con il risotto all’astice blufondo di branzino e agrumi e si torna in Costiera Amalfitana con brodetto di olive verdi capperi e colatura d’alici. Come dessert l’immancabile “Ooop, mi è caduta la crostata” dello chef, uno dei suoi piatti più celebri.

La cena del primo giorno

l’organizzazione è stata affidata a Tenuta Moreno, struttura recettizia a Mesagne, e lo chef Vincenzo Elia ha portato in tavola i sapori della Puglia. Originario di San Vito dei Normanni, dopo esperienze a Roma Londra è alla direzione di Tenuta Moreno dal 2002.

Le proposte: scorfano con pomodorini secchi ed erbe aromatichetortelli ripieni di gallinella con pesce serra affumicato, per poi proseguire con il filetto di dentice alle mandorle di Toritto e crema di burrata di Andria. Una cucina fresca a base di pesce a cui si abbinano i prodotti del territorio, come i vini di Tenute Rubino, per finire un amaro a base di carciofo, il Carduus Brindisino, e il caffè di una torrefazione di Francavilla Fontana.

Il 14 giugno invece tutto è dedicato al Nord Italia

Il piatto d’apertura è ispirato alla Liguria, ed è anche uno dei grandi classici dello chef, dal nome “Come un pesto alla genovese. Si passa in Emilia con altre due ricette che hanno fatto la fortuna di Bottura:” La parte croccante di una lasagna”, interpretazione creativa del piatto bolognese, e il “Tortellino del dito mignolo”, servito con crema leggera al Parmigiano Reggiano di Rosola. Immancabile l’omaggio al Piemonte con la fassona piemontese servita con una salsa leggera alle verdure, più salsa al Barolo e tartufo nero d’Abruzzo. Per dolce: frutti di bosco in una crema di latte e vaniglia.

I vini

Immancabili il Tignanello, che proprio quest’anno festeggia 50 anni dal suo esordio, e il Sassicaia. Poi tre Chianti Classico, denominazione che di anni ne celebra i suoi primi 100: Vigna del Sorbo di Fontodi, Ruello di Boschetto Campacci e Castello di Volpaia. Poi quella che dai più viene definita la star del Brunello di Montalcino, Casanova di Neri, schiera il Tenuta Nuova a fianco del Barolo di Ceretto e del Valpolicella Toar di Masi, quindi le bollicine di Ferrari Trento, BellavistaVittorio Moretti” di Villa Sandi, Cantina della Volta, Tenuta Foricola e Marcalberto, inoltre Torre Rosazza e poi le cantine Jermann con il Vintage Tunina. Non mancavano altri grandissimi vini bianchi: l’abbruzzese Marina Cvetic di Masciarelli, il sardo Is Argiolas di Argiolas Winery, l’altoatesino Aristos di Valle Isarco e il campano Furore Bianco Fiorduva di Marisa Cuomo che, mentre il Sassicaia veniva eletto il vino più buono al mondo, nello stesso aveva già raggiunto i massimi punteggi sulle guide più prestigiose.

Due gli autorevoli commenti raccolti per i nostri lettori a caldo

Intanto va sottolineata la presenza in carta di vitigni reputati a torto i meno blasonati, come il Vermentino, con le sue miriadi di espressività. Ecco perché teniamo alle parole di Mariano Murru, enologo di Argiolas Winery, nonché presidente Assoenologi Sardegna, che può essere tanto fiero del recente summit più importante del vino in Italia, officiato a Cagliari, quanto della presenza di una sua speciale referenza, l’Is Argiolas Vermentino. Infatti afferma: <<Il motivo dell’inserimento del Vermentino di Sardegna tra i vini che hanno rappresentato l’Italia al G7 è legato alla qualità. Il vermentino è un vitigno che ama il mare e in Sardegna ha trovato la sua terra d’elezione, con ormai oltre 5000 ettari vitati, l’unica denominazione di origine controllata e garantita, il Vermentino di Gallura, e una denominazione di origine controllata, il Vermentino di Sardegna, che abbraccia tutta l’isola, si attesta come la regione più importante a livello mondiale>>.

Il Vermentino Is Argiolas, un classico della produzione regionale e uno dei Vermentino storici dell’azienda Argiolas, nasce sulle colline di marne calcaree che si affacciano sul golfo di Cagliari.

Qui la dichiarazione di Andrea Ferraioli, presidente del Consorzio Vita Salernum Vites, nonché proprietario delle storiche cantine amalfitane: <<Non è la prima volta che siamo presenti al G7 con i vini delle cantine Marisa Cuomo e non sarà certo l’ultima, però continua ad essere sempre motivo di orgoglio crescente ogni volta, oltre che di impatto emotivo e soddisfazione, per me e per la mia famiglia. Tengo a precisare, ringraziando Riccardo Cotarella per la curatela della carta dei vini, che questo risultato è collettivo per la provincia di Salerno e premia tutte le cantine che si prendono cura delle viti e del paesaggio, esprimendo vini di altissimo profilo qualitativo. Da presidente del Consorzio il mio ringraziamento va a tutte le cantine salernitane, motivo di fierezza e vanto. Dunque un successo inclusivo per tutti i salernitani>>.

Proprio durante il buffet di chiusura, manco a dirlo, c’erano il Donna Augusta di Vespa Vignaioli, tanto il Bruno nazionale si è giustificato dicendo il suo vino fosse già lì in carta, oltre a Carvinea di Eliele spumante metodo classico 2013 ed il Primitivo Igt del Salento firmato da Gianfranco Fino: l’Es Red 2019.

Dal blu al Bue Apis: la storia dell’Aglianico del Taburno in sei annate

La Cantina del Taburno cambia passo. Siamo nel Sannio beneventano: il massiccio del Monte Taburno, sede del Parco regionale Taburno-Camposauro, è una delle zone a maggior vocazione vitivinicola della Campania e del Mezzogiorno. Qui, più di mezzo secolo fa, nasceva la Cantina Sociale del Taburno, cooperativa fondata ad iniziativa del Consorzio Agrario Provinciale di Benevento che – insieme ad altre simili realtà sannite – contribuì fortemente alla conservazione del vasto patrimonio ampelografico della zona, tutelando il reddito di migliaia di viticoltori beneventani.

La successiva crisi nazionale dei Consorzi ha portato ad un lento declino, dal quale solo la dote reputazionale costruita nei primi decenni ha evitato la sospensione delle produzioni vinicole o peggio la capitolazione definitiva. Oggi arriva il sannita Enzo Rillo, imprenditore multitasking a capo dell’omonimo, variegato gruppo industriale già operativo, anche in questo settore, con la cantina torrecusana “La Fortezza”, a pochi passi dalla neo-acquisita cantina di Foglianise. Una discontinuità nel segno e nel dichiarato rispetto della tradizione, del territorio, dei pionieri/protagonisti degli albori: in una parola, della storia di Cantina del Taburno.

Prova ne sia che l’evento scelto e voluto per tagliare ufficialmente il nastro del new deal è dedicato al vino forse più iconico della maison: il Bue Apis, storico cru di Aglianico – oggi DOCG “Aglianico del Taburno” – proveniente dalle uve prefillosseriche di contrada Pantanella in agro di Vitulano. Una vigna di qualche centinaio di ceppi a piede franco, tutti secolari ma alcuni risalenti addirittura a più di 250 anni fa. Si pensi che da misurazioni effettuate con moderne procedure si è stimato un fittonamento radicale delle piante di oltre 16/17 metri.

“Dal blu al Bue Apis – la storia dell’Aglianico del Taburno in sei annate” il nome dato alla celebrativa verticale che si è tenuta giovedì 13 giugno nel cortile dinanzi la bottaia di Cantina del Taburno; dal 2017 a scendere fino al 1987 (anno di prima vinificazione del vino dedicato al simulacro granitico egiziano posto, secondo leggenda, a guardia del Tempio di Iside di Benevento) passando per il 2015, 2008, 2004, e la memorabile 1999. E pensare che proprio la vigna vitulanese di Contrada Pantanella sarebbe tutt’ora interessata ad un espianto forzoso a causa di uno contestato progetto stradale progettato per collegare la vallata e che prevederebbe il pieno attraversamento del vigneto franco di piede.

Da sinistra il sindaco Raffaele Scarinzi e l’autore di 20Italie il giornalista Antonio Follo

Raffaele Scarinzi, battagliero sindaco di Vitulano, da tempo è impegnato, spesso in un clima di diffusa indifferenza, contro l’infelice scelta progettuale, avendo fortunatamente registrato i primi importanti successi giudiziari contro il nefasto tracciato che arrecherebbe un danno inestimabile alla memoria storica della viticoltura locale.

Angelo Pizzi

L’evento è stato condotto da Luciano Pignataro che, da par suo, ha ricordato ogni dettaglio della genesi della Cantina introducendo o semplicemente menzionando, di volta in volta, tanti protagonisti di questa bella storia; come nel caso di Angelo Pizzi primo ed importante enologo ad aver a lungo seguito il progetto cooperativo di Foglianise, cui fece seguito un giovane Luigi Moio. Il suo imprimatur in Cantina portò all’idea di destinare proprio quelle uve prefillosseriche al vino “alfiere” della casa potendo contare sulla diligente solerzia del suo allievo Pippo Colandrea tutt’ora alla guida tecnica della cantina dopo l’uscita di scena del professore di Mondragone.

Il giornalista sannita Pasquale Carlo, ampelografo e antropologo della vitivinicoltura sannita, ha citato dapprima Mario Soldati e Luigi Veronelli quali espliciti estimatori della prima ora dei vini taburnini, tracciando poi i profili di alcuni tra coloro che, come Libero Iannella e Mimì Grasso, furono parte attiva della Governance che resse il peso di una start-up, come diremmo oggi, che per i tempi e per i luoghi (zona interna dell’appennino centrale) poteva apparire… mission impossible. I Sindaci dei due maggiori paesi, il già detto Raffaele Scarinzi affiancato dal collega di Foglianise Govanni Mastrocinque, hanno entrambi simpaticamente fatto cenno al sano, composto e rispettoso campanilismo che da sempre anima le due confinanti comunità di Vitulano e Foglianise: ebbene proprio la Cantina (di Foglianise) e il Bue Apis (da uve di Vitulano) mettono proprio tutti d’accordo sul gradino massimo dell’eccellenza.

Le sei bellissime annate in calice sono state tutte raccontate, decodificate, disvelate sin nelle più remote sensazioni da Tommaso Luongo, Presidente AIS Campania che ha sciorinato – calice dopo calice – l’intero percorso evolutivo che Bue Apis ha saputo indicare. Una specie di tela di Penelope che, proprio come quella della fedele sposa di Itaca, si spera non abbia mai termine! Una speranza che si fa quasi certezza ma sicuramente impegno e dedizione, nelle appassionate parole dedicate al progetto da Michela Rillo, in rappresentanza della famiglia neo-proprietaria; a riprova del fatto che qualunque futuro non può prescindere da ciò che si è stato.

Chianti Classico: i 500 anni di Villa Calcinaia celebrati dalla famiglia Capponi

Viaggiare nel territorio del Chianti Classico è come fare un tuffo in un mondo variegato di panorami, terreni e biodiversità. Le dolci colline si alternano ai boschi montani, passando da suoli argillosi a quelli pietrosi calcarei, in un continuo saliscendi inebriante. Scorci pittoreschi e borghi medievali con il celebre Gallo Nero che campeggia a guardia delle meraviglie di natura.

Ogni curva svela un territorio intriso di storia e quando raccontarla sono i protagonisti, allora stiamo parlando davvero di qualcosa di unico e irripetibile. Qualcosa che rimane nel cuore e non se ne va via: non succede infatti di celebrare tutti i giorni i cinquecento anni di una cantina, quella della famiglia Capponi a Villa Calcinaia.

Situata a Greve in Chianti, questa magnifica Villa-Fattoria è stata il fulcro delle celebrazioni del 23 maggio 2024, in occasione dei 500 anni dall’acquisto della proprietà da parte dei Capponi, avvenuto il 23 maggio 1524. Una giornata splendida, scandita dai momenti storici della famiglia Capponi, raccontati da Tessa, Sebastiano e Niccolò, di fronte al Sindaco di Greve in Chianti Paolo Sottani, al Vicepresidente della Denominazione Chianti Classico, Sergio Zingarelli ed al consulente enologo Federico Staderini.

Giunti alla trentasettesima generazione, originari di Pistoia, i Capponi si stabilirono a Firenze nel XIV secolo, divenendo rapidamente una delle famiglie più influenti toscane. Mercanti di lana e seta accumularono notevoli ricchezze, investendole poi in proprietà agricole. Nel 1244 Compagno Capponi fu il primo membro della famiglia ad intraprendere il commercio della seta. Durante il Rinascimento, la famiglia consolidò il proprio potere politico e sociale. Gino Capponi (1350-1421), noto uomo d’affari e politico, fu un membro di spicco coinvolto nelle dinamiche della Repubblica Fiorentina. I Capponi furono anche mecenati delle arti, commissionando opere come la “Cappella Capponi” nella Chiesa di Santa Felicita a Firenze, dove lavorò Pontormo.

Nel Risorgimento italiano, un altro Gino Capponi (1792-1876) si distinse come storico e politico, giocando un ruolo chiave nel movimento per l’unificazione italiana. Nei secoli, i Capponi hanno continuato a essere una presenza di rilievo nella società fiorentina, adattandosi ai cambiamenti politici, umanistici e sociali. Interessante la prima testimonianza in cui si parla di Chianti che risale al 26 settembre 1872 ad opera di Bettino Ricasoli, in cui descrive, come in una ricetta, le caratteristiche delle uve per fare un Vino Chianti da bere ogni giorno:

“…Mi confermai nei risultati ottenuti già nelle prime esperienze cioè che il vino riceve dal Sagioveto (così si chiamava all’epoca il Sangiovese) la dose principale del suo profumo, a cui io miro particolarmente, e una certa vigoria di sensazione; dal Cannajuolo L’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana…”

Villa Calcinaia

Dimora nobiliare, è un esempio perfetto di architettura rinascimentale famosa per la produzione di vino Chianti Classico, attività che i Capponi hanno sempre seguito con grande impegno e innovazione. La storica cantina della villa è testimonianza della lunga tradizione vinicola della famiglia. Oggi, Villa Calcinaia continua a essere un’azienda agricola e vinicola attiva, offrendo visite guidate, degustazioni di vino e ospitalità agrituristica.

Degustazione Storica

La giornata del 23 maggio è stata caratterizzata da una degustazione che ha seguito i momenti storici di Villa Calcinaia:

Parte 1 – Prequel – An Intimate Tale of Renaissance Florence: La storia del Chianti e della famiglia Capponi fino all’acquisto di Villa Calcinaia. Vino in abbinamento: Mauvais Chapon Metodo Classico 2018.

Parte 2 – The High Renaissance: Dal Rinascimento al Granducato, la vita e l’organizzazione della villa. Vino in abbinamento: AD 1613 Rosso Toscana IGT 2011.

Parte 3 – DOC World: La promulgazione di un documento precursore della DOC, rendendo il Chianti famoso nel mondo. Vino in abbinamento: Villa Calcinaia Chianti Classico DOC 1969.

Parte 4 – World Largest Voluntary Emigration, Red Gravy and Chianti: Il Chianti Classico e la prima vigna non promiscua nel territorio. Vino in abbinamento: Vigna Bastignano Rosso Colli Toscana Centrale IGT 2006.

Parte 5 – Chianti Classico UNESCO World Heritage: La storia moderna del Chianti Classico e di Villa Calcinaia fino alla candidatura Unesco. Vino in abbinamento: Villa Calcinaia Chianti Classico Riserva DOCG 2010.

Il futuro riguarda il progetto di cui la Contessa Tessa Capponi è promotrice-Presidente: le Villa-Fattoria del Chianti Classico verso il riconoscimento di Patrimonio Mondiale dell’Umanità per l’UNESCO. Sebastiano con grande emozione, ha ringraziato la sua famiglia per averlo sempre appoggiato nelle decisioni aziendali e infine, Niccolò, da storico ha ripercorso la storia di famiglia concludendo che le proprietà non appartengono agli avi, né ai presenti, ma alle generazioni future.

Ciò che si fa oggi, lascerà il segno indelebile nel tempo.

VitignoItalia 2024 alza i sipari alla Stazione Marittima di Napoli ed è subito un successo di pubblico e operatori del settore

Prima giornata di VitignoItalia ospite, per la sua XVIII edizione, della Stazione Marittima di Napoli. 20Italie presente all’inaugurazione con gli autori Ombretta Ferretto e Carmela Scarano.

Grande partecipazione di pubblico per le oltre 300 cantine presenti, molte non regionali, che sempre di più investono nel mercato campano: VitignoItalia rappresenta una finestra su una regione come la Campania sempre più attenta ai vini provenienti da tante Denominazioni italiane. 

Grande soddisfazione di Diego Tomasidirettore Consorzio del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene – protagonista della prima masterclass della giornata: “È una novità la nostra presenza come Consorzio a questa manifestazione. Non mi aspettavo così tante persone interessate e desiderose di capire che il Prosecco non è solo una denominazione generica, ma incarna l’essenza di un’areale storico, costituita da 3000 cantine e altrettante famiglie. Oggi siamo venuti qui a raccontare questa bellissima storia “.

Forte la presenza campana con produttori da sempre presenti e nuovi arrivi. 

“Per la cantina di Solopaca un evento come Vitigno Italia rappresenta l’occasione per far conoscere al pubblico i progetti di ricerca e lo studio dietro alcune delle nostre etichette, come le macerate di falanghina”, ci racconta Rosa Falluto di Cantina di Solopaca, soddisfatta dell’affluenza di un pubblico attento e preparato. 

Per la giornata di oggi previste altre masterclass tra le quali una verticale di “Plenio” Verdicchio dei Castelli di Jesi di Umani Ronchi.

Ed è solo l’inizio, ne vedremo delle belle nei giorni a seguire.

Montevertine: la storia della famiglia Manetti

Nelle dolci colline di Radda in Chianti, borgo affascinante in provincia di Siena, si estendono i vigneti che danno vita ad alcuni dei vini più celebrati d’Italia. Benvenuti nel regno del Sangiovese, un territorio dove la famiglia Manetti ha scritto una storia di passione e dedizione vinicola che affonda le sue radici negli anni ’60.

La storia della famiglia Manetti inizia a Poggibonsi, quando Sergio Manetti, padre di Martino, proprietario di un’industria metallurgica produttrice di lamiere per elettrodomestici, decise di cambiare vita. Fu nel 1967 che, in un’asta poco frequentata, riuscì ad acquistare una tenuta nella zona del Chianti a un prezzo irrisorio. Da quell’anno, la tenuta divenne la culla di una nuova impresa vitivinicola, con la produzione del primo vino nel 1971.

Le vigne della tenuta si estendono su 20 ettari di terreno principalmente composto da galestro, suddiviso in nove zone: Le Pergole Torte, Montevertine, Il Sodaccio, Il Casino, Selvole, Pian del Ciampolo, La Casa, Docciola e Villanova. Il Sangiovese domina incontrastato con il 90% delle viti, mentre il restante 10% è costituito da Colorino e Canaiolo, vitigni tradizionali che rafforzano l’identità del territorio.

I vigneti sono coltivati secondo metodi tradizionali e innovativi: il sistema Guyot per le vigne più vecchie e il Cordone speronato per i nuovi impianti. Dal 2009, la gestione dei vigneti è completamente biologica, con l’inerbimento dei filari e l’uso di compost aziendale per la concimazione.

I Vini della Famiglia Manetti degustati

Pian del Ciampolo 2022 è un Sangiovese in purezza, fermentato in vasche di cemento per 25 giorni e successivamente affinato per 12 mesi in botti di rovere di Slavonia. 

La 2022 annata di grande piacevolezza di beva, che ha integrato una giusta dose di morbidezza rispetto ai sangiovese più freschi e austeri.

L’annata 2004 dimostra invece una sorprendente freschezza dopo 20 anni, con un tannino fine che esalta le caratteristiche del Sangiovese.

Montevertine è il vino storico della cantina, prodotto dal 1971. Composto al 90% da Sangiovese e al 10% da Colorino e Canaiolo, fermenta per 21 giorni in vasche di cemento dove segue la fermentazione malolattica e poi matura per 24 mesi in botti di rovere di Slavonia, un legno che conferisce al vino una struttura elegante senza sovrastare le note fruttate e floreali del Sangiovese. Successivamente, il vino riposa per altri tre mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio.

La 2021 si presenta con un colore rosso rubino intenso, al naso, offre un bouquet complesso e raffinato di frutti rossi maturi, ciliegia, e note floreali di viola. Al palato si distingue per freschezza ed eleganza. I tannini sono fini e ben integrati, contribuendo a una struttura equilibrata. Le note di frutta rossa sono accompagnate da un’acidità vibrante, che dona al vino una lunga persistenza e una piacevole bevibilità. 

L’annata 1999, un vino di 25 anni, rivela ancora un colore rosso rubino, che tende al granato, equilibrato, con una freschezza e morbidezza che sono quasi atipiche per il vitigno e sfumature speziate e terrose che emergono con il tempo.

Martino Manetti

Montevertine è un vino versatile che si abbina splendidamente con molti piatti della tradizione toscana. È ideale con carni rosse, cacciagione, e formaggi stagionati. Perfetto anche con primi piatti saporiti come la pasta al ragù di cinghiale preparata dalla famiglia Manetti in occasione della mia visita.

Infine Pergole Torte: “icona” del Sangiovese di Toscana, si è sempre distinto grazie alle etichette artistiche opere d’arte di Alberto Manfredi. Un elemento da collezione che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Prodotto per la prima volta nel 1977, è stato il primo Sangiovese in purezza vinificato nella zona di Radda in Chianti. Le uve provengono dai vigneti storici piantati tra il 1968 e il 1999. 

La fermentazione alcolica avviene in vasche di cemento per circa 25 giorni. Durante questo periodo, il vino svolge anche la fermentazione malolattica, un processo che contribuisce ad ammorbidire l’acidità naturale del Sangiovese e a sviluppare una maggiore complessità aromatica. Dopo la fermentazione, Pergole Torte matura per un anno in barrique di rovere Allier e per un ulteriore anno in grandi botti di rovere Slavonia. Questo doppio passaggio in legno conferisce al vino una struttura robusta e una gamma di aromi complessa. Infine, il vino riposa per altri tre mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio.

La 2021, si distingue per il suo colore rosso rubino brillante. Al naso, offre un bouquet intenso e complesso, con note di ciliegia, frutti di bosco, e sfumature floreali di violetta, accompagnate da sentori di spezie dolci, tabacco, e cacao derivanti dalla maturazione in legno. Al palato, è di grande eleganza e struttura. I tannini sono setosi e ben integrati, offrendo una sensazione di pienezza e rotondità. Le note fruttate sono bilanciate da un’acidità vivace, che dona al vino una lunga persistenza e un finale armonioso.

La 2014 si distingue non solo per la qualità e la finezza del vino. Questa annata si è distinta per la sua freschezza e la sua finezza. Nonostante le condizioni climatiche non ottimali, il vino ha mantenuto una grande eleganza e complessità, con una ottima capacità di invecchiamento. Pergole Torte si presta magnificamente a essere abbinato con piatti ricchi e saporiti. È perfetto con carni rosse alla griglia, brasati, e arrosti. Si abbina perfettamente anche con selvaggina, come il capretto stufato che abbiamo gustato e con formaggi stagionati. Con il suo profilo sensoriale ricco e raffinato, Pergole Torte continua a essere una delle massime espressioni del Sangiovese e un punto di riferimento per gli appassionati di vino di tutto il mondo.

La famiglia Manetti, con la sua dedizione alla tradizione e alla purezza del Sangiovese, ha creato un’eredità vinicola che resiste al passare del tempo e alle mode. I loro vini, autentica espressione del territorio del Chianti, continuano a incantare e a rappresentare l’eccellenza della viticoltura toscana.