Viticoltori di Greve in Chianti: vecchie annate, nuovi modi per raccontare il Chianti Classico

I Viticoltori di Greve in Chianti si ritrovano nuovamente e stavolta propongono alla stampa una delle rare occasioni per parlare di vino in modo insolito. Sembra strano, ma quando si parla di degustazione vecchie annate alcuni storcono il naso, pensando a qualcosa che abbia a che fare col mondo dei trapassati.

Vini ossidati, mal conservati o, perché no, persino difettati, che celano le mancanze di un territorio dietro al concetto abusato di “emozione”. Altri invece, bramano dal desiderio di capirci qualcosa, parlando bene di crisantemi e ricordi plumbei e male di catrame e suoi derivati. O viceversa.

Esiste poi un luogo in Toscana, tra Firenze e Siena, dove tali dubbi si annullano. Dove piuttosto che narrare di annate si preferisce ripercorrere le tappe degli stili e dell’evoluzioni tecniche e commerciali, partendo dall’assunto che a far male un Chianti Classico ce ne vuole…

Il comune di Greve solo relativamente di recente, nel 1977, è entrato a far parte di diritto dell’areale denominato Classico e delimitato in maniera quasi immutata già dai tempi del Bando Granducale del 1716, potendo aggiungere al suo toponimo cittadino la dicitura “in Chianti”. Ed in quelle generazioni, parliamo degli anni ’70 e ’80, l’arte di essere viticoltore si contornava di tecniche empiriche nate sul campo, come la vigna tipica alla toscana mista da varietà foriere di uve bianche e rosse, raccolte insieme durante la vendemmia.

La regola del Barone Ricasoli esisteva da un secolo e consigliava, per dare serbevolezza ed eleganza ai vini eccelsi, di utilizzare solo Sangiovese, Canaiolo, Colorino e autoctoni tipici per l’epoca. Le uve bianche, però, hanno saputo in tanti casi preservare nel tempo quelle freschezze da sbuffi d’arancia sanguinella, impronte indelebili della tipologia.

In un pazzesco Chianti Classico Riserva 1979 Castello di Verrazzano, al di là di un colore ormai mattonato, resta un anelito sanguigno e speziato dal tannino quasi palpabile, che spinge l’assaggiatore a chiudere gli occhi sospirando di goduria. La zona di Montefioralle, con le sue vette, ha certamente contribuito a dare vigore, ma alcune cose non si possono comunque spiegare: vanno accettate e basta.

Così il Chianti Classico Riserva 1988 “Il Picchio” Castello di Querceto, bucolico, subliminale, puro sussurro d’arancia rossa e china Martini dal finale sapido e ferruginoso. O il Chianti Classico Riserva 1993 “La Prima” Castello di Vicchiomaggio, quando John Matta lo vinificava utilizzando solo acciaio, evitando sovrastrutture in tempi dove le maturazioni complete spesso latitavano. Un piccolo saldo di Canaiolo e Colorino e l’assaggio risulta ancora materico dopo tre decadi, ricco d’amarene gelatinose e liquirizia.

Da qui, da gente che ha dovuto superare la crisi gravissima del comparto culminata con quella del dramma del metanolo, si è passati alla seconda fase produttiva con l’arrivo di tecnologie ed enologi di fama consolidata. Arrivano i legni piccoli, le estrazioni, i cambi agronomici. Persino coloro che utilizzavano vecchi fusti grandi ne vengono, in qualche maniera, influenzati dal nuovo corso.

Chianti Classico 1994 Querciabella vede la presenza degli internazionali Cabernet e Merlot; la “new wave” prende piede in fretta, garantendo maggior prontezza di beva e tannini mansueti. Da allora e fino ai primi anni 2000, il trend ha visto un po’ ovunque prodotti dalla linea panciuta, apprezzatissimi a quei tempi, meno adesso. La qualità media si è però elevata salendo di gradino in gradino fino ai vini d’oggi, espressioni eleganti delle varie zone vocate.

Che sia il succo piacevole di Panzano, il tannino fitto della Destragreve, le potenze di Greti e Chiocchio e le acidità vibranti di Montefioralle unite ai tratti ancora verdi di Dudda e Lucolena (avvantiaggiati nel futuro dai cambiamenti climatici in atto), il vero fil rouge è l’assoluta aderenza al territorio. Meno schiettezza, ma tanta sostanza, come nel Chianti Classico 2022 di Viticcio o nel Chianti Classico 2021 di Terreno, reputati i migliori tra gli assaggi dei “giovani” scelti per la Masterclass condotta da Cristina Mercuri, candidata Master of Wine, in una rovente Sala Consiliare del municipio di Greve in Chianti.

Da sinistra Cristina Mercuri Wine Educator, Victoria Matta presidente Viticoltori di Greve in Chianti e Paolo Sottani sindaco di Greve in Chianti

Il Presidente dei Viticoltori di Greve in Chianti, Victoria Matta, non può che rallegrarsi dei risultati raggiunti nel calice, pur consapevole che il percorso è ancora in salita e nuovi ostacoli dovranno essere superati.

L’evento è terminato con le proposte gastronomiche degli chef Ariel Hagen del ristorante una stella Michelin “Saporium” di Simone Geri del “Ventuno Bistrot”, di Simone Caponnetto del “Locale” tutti di Firenze e poi di Giulia Talanti del “Dek” di Prato e Mattia Parlanti di “Palazzo Tiglio” a Bucine (AR).

“Calici di Stelle” a Sorrento con la cantina De Angelis 1930

Comunicato Stampa

Per la prima volta a Sorrento arriva Calici di Stelle, l’evento a cura del Movimento Turismo del Vino. L’edizione 2024 ha avuto come temi Mitologia – “Bacco e il vino” e “Astronomia e costellazioni”

Calice di Stelle nell’orto della Regina, organizzato dalla cantina De Angelis 1930 in collaborazione con il Relais Regina Giovanna, si è svolto il 20 Agosto nel ristorante pergolato “Pane & Olio”, complice la super Luna di agosto e l’affaccio panoramico sulla baia di Puolo e il Golfo di Sorrento, che hanno fatto da cornice alla passeggiata notturna in vigna al termine della serata.

“La Penisola Sorrentina ha un potenziale enorme per sviluppare un’offerta di enoturismo completa, grazie alla sua ricchezza paesaggistica, culturale e gastronomica” ha dichiarato Francesco Di Somma, titolare di De Angelis 1930. “Tuttavia – prosegue Di Somma – per diventare una destinazione di enoturismo a pieno titolo, ci sono alcuni elementi chiave che potrebbero essere sviluppati ulteriormente: primo tra tutti un Progetto condiviso con gli imprenditori della ristorazione e dell’ospitalità, che ancora non hanno ben focalizzato la ricchezza e la potenzialità del prodotto vino Penisola Sorrentina”.

Il focus della serata si è di fatto incentrato sulle tre etichette della cantina che rientrano nella doc Penisola Sorrentina sottozona Sorrento: Sorrento Bianco, Sorrento Rosso e Kalliope.

La Doc, riconosciuta nel 1994, ricomprende anche i vini prodotti nel territorio dei Monti Lattari – in primis i ben noti Gragnano e Lettere; è invece poco conosciuta per i vini della sottozona Sorrento, che per ottenere tale menzione possono essere vinificati solo a partire da uve provenienti dai comuni di Sorrento, Massa Lubrense, Sant’Agnello, Piano di Sorrento, Meta e Vico Equense. La cantina De Angelis 1930 è l’unica cantina a produrli nella città di Sorrento. Si tratta di vini fermi e secchi, la cui base ampelografica è costituita da falanghina, biancolella, greco bianco, per i bianchi, piedirosso, aglianico e sciascinoso per i rossi.

La viticoltura in Penisola Sorrentina è praticata sin dall’antichità, come dimostrano le fonti classiche che diffusamente parlano del vino Surrentium. Mentre il poeta Stazio (I secolo d.C.) in una delle sue composizioni poetiche, parlando della Villa di Pollio Felice, dimora residenziale risalente al I secolo dC posta  fuori Sorrento dove ora sorgono il Relais Regina Giovanna e una delle vigne della cantina De Angelis, scrive:

La villa di Pollio è posta in alto, di fronte al golfo, sui colli dove l’uva non teme confronti con quella del Falerno e i vigneti scendono giù a terrazze fin quasi sugli scogli, sÌ che le ninfe marine vengono di notte a rubarvi i grappoli”.

Oltre al Sorrento, durante la serata sono state degustate anche le tre Lacryma Christi del Vesuvio, Gaius, Plinius e Drusilla, rispettivamente bianco, rosso e rosato, che la cantina De Angelis 1930, in deroga al disciplinare, è autorizzata a vinificare fuori dall’areale della dop Vesuvio.

La passeggiata notturna nella vigna, affacciata sul mare e sul Vesuvio, è stata l’occasione per parlare di mitologia, Bacco e vino: dal legame tra la Penisola Sorrentina e le Sirene, che secondo il mito avevano dimora  in queste acque e dal cui nome secondo la tradizione deriverebbe quello di Sorrento, passando per la leggenda della Lacryma Christi del Vesuvio fino ad arrivare alle rovine della villa romana di Pollio Felice che sorgeva proprio qui.

La proposta gastronomica a buffet del Relais Regina Giovanna e del suo Ristorante Pane & Olio si è  basata su prodotti a chilometro zero biologici provenienti dagli orti della proprietà e proposti come antipasti, contorni in abbinamento a pizze rustiche e quiche, condimento per le pizze napoletane sfornate al momento e per il piatto principale, la pasta alla Nerano, preparata davanti agli ospiti.

A Palazzo Gentilcore si celebrano le eccellenze enogastronomiche del Cilento e Vallo di Diano

La splendida cornice di Palazzo Gentilcore, nel cuore del borgo antico di Castellabate, ha ospitato un evento straordinario dedicato alla celebrazione delle eccellenze del Cilento e Vallo di Diano. La manifestazione è stata fortemente voluta da Chiara Fontana e Giovanni Riccardi con la sapiente collaborazione di Marco Contursi e Assunta Niglio in rappresentaza della condotta Slow Food Gelbison.

La terrazza elegante e accogliente della Locanda Pancrazio ha fornito il palcoscenico ideale per questo viaggio culinario, con la partecipazione di appassionati di gastronomia e professionisti del settore, tutti accomunati dall’obiettivo di valorizzare e promuovere le risorse uniche del territorio.

Giovanni e Chiara, dopo aver trasformato l’edificio storico del XI secolo “Palazzo Gentilcore” in un’incantevole Art boutique hotel con annesso ristorante “Locanda Pancrazio”, hanno saputo coniugare il rispetto per la tradizione culinaria cilentana con una visione innovativa, sempre alla continua ricerca di nuovi stimoli sul territorio.

Marco Contursi, da sempre attivo sul territorio, ha concentrato il suo impegno nella valorizzazione delle eccellenze gastronomiche locali e nella promozione di una cucina che rispetti i ritmi della natura e le culture del luogo.

L’evento ha celebrato i sapori e i saperi della tradizione culinaria a chilometro zero: un vero e proprio omaggio alla ricchezza culturale, gastronomica e imprenditoriale del Cilento e Vallo di Diano: un’immersione totale nella sapienza dei popoli del Mediterraneo, che mette in risalto anche l’importanza della sostenibilità e del rispetto per le tradizioni locali.

Durante la serata uno degli aspetti più apprezzati è stato il percorso che ha offerto ai partecipanti la possibilità di degustare una vasta gamma di prodotti tipici. Dai formaggi ai salumi, dai vini agli oli, dai fagioli alla cipolla, dalle farine antiche ai magnifici prodotti della pesca locale, ogni assaggio è stato un viaggio nei sapori autentici di questa terra straordinaria.

Stazionando tra i vari stand, guidati dai sorrisi e dalle parole dei diversi produttori e dei padroni di casa, si è potuto raggiungere gustativamente i luoghi più affascinanti e significativi del territorio, percorrendo questo meraviglioso e selvaggio parco naturale in lungo ed in largo, dal mare alla montagna.

I vini autoctoni e biologici dell’alto e basso Cilento (Paestum, Perdifumo, Licusati, Prignano Cilento, Sant’Angelo a Fasanella, Giungano, Castellabate, Punta Licosa, Torchiara, Rutino), la soppressata di Gioi, lo struffolone e le olive ammaccate di Salento, le Alici di Menaica di Pisciotta, le ricotte e le mozzarelle di Paestum, l’Amaro del Tumusso di Padula, i salumi e i formaggi del Vallo di Diano, i panettoni di Agropoli, il fico, la genziana e il rosmarino distillati di Casalvelino, la cipolla di Vatolla, i taralli dai grani antichi di Sala Consilina, i tartufi di Colliano, la pasta fresca di Palomonte, i fagioli di Controne sono solo alcune delle tappe del lungo e suggestivo viaggio.

Ad allietare ulteriormente i presenti sono stati i piatti preparati con maestria dalla cucina di Locanda Pancrazio, coadiuvata purtroppo a distanza dallo chef Pietro Parisi. L’evento è iniziato con un aperitivo che ha introdotto gli ospiti ai sapori freschi e autentici della Campania, con antipasti creativi e sfiziosità che esaltavano ingredienti quali: pomodori, mozzarella di bufala, basilico e olio extravergine d’oliva. L’associazione “Pescatori di Castellabate” ha poi proposto la tradizionale “cunzatura” e un delizioso e delicato pacchero con scorfano e aragosta.

Gugliucciello Tartufi ha elaborato una profumatissima polenta al tartufo scorzone. Il pastificio “La sfoglia d’oro” ha fatto assaporare un intrigante raviolo allo zenzifero con tartufo. La cucina della “Locanda Pancrazio” ha invece preparato un appetitoso fusillo al ragù di fichi, armonioso e succulento.

Una cucina genuina e dedita al rispetto delle tradizioni con l’abbinamento ad alcuni vini coraggiosi e unici, tipicamente cilentani, delle cantine presenti all’evento. Particolare menzione meritano l’attraente e strutturato Antece 2022, il fiano della DOC Cilento, macerato in anfora, dei Viticoltori De Conciliis; l’elegante e fresco Rosato Ronnorà 2023, PAESTUM IGP ROSATO 2023 della cantina Donna Clara; il ramato e luminoso Ephyra 2023, IGP Campania di Rossella Cicalese; il biologico e fruttato Phasis 2023, Fiano Paestum I.G.P- Tenute del Fasanella; l’aromatico Iscadoro 2022, IGT Paestum della Cantina Casebianche. Nel post-dinner, hanno deliziato i palati i ricercati liquori e gli affascinanti distillati dell’Alchimista incantatore Giuseppe Pastore (Cilento, I Sapori della Terra) e l’artigianale Amaro del Tumusso, affinato in anfora, la cui miscela di genziana, alloro, carciofo, elicrisio, rafano e altre erbe autoctone segrete lo rende aromatico, avvolgente e morbido.

Un banchetto per il palato. Un momento di celebrazione, ma anche un’opportunità per riflettere sul futuro dell’areale. Gli ambasciatori del gusto presenti hanno tutti ribadito l’importanza di sostenere le eccellenze del territorio attraverso eventi che ne promuovano l’eccellenza, politiche di sviluppo sostenibile e progetti di valorizzazione che coinvolgano l’intera comunità.

Chiara Fontana, Giovanni Riccardi e Marco Contursi hanno condiviso con gli ospiti il loro impegno per la promozione della sostenibilità e della qualità degli ingredienti locali, evidenziando come la cucina possa essere un veicolo per preservare le tradizioni e sostenere l’ambiente.

Drink Pink: I Vini Rosati Brillano nei Giardini di Palazzo Brancaccio a Roma

Roma, con la sua storia millenaria, è un vero e proprio scrigno di palazzi storici che raccontano le vicende di imperatori, papi, nobili famiglie e artisti. Edifici che con le loro architetture maestose e i loro interni riccamente decorati, offrono una finestra sul passato glorioso della città eterna. Ecco alcuni dei palazzi più celebri.

Palazzo Brancaccio

Tra i numerosi palazzi storici di Roma, Palazzo Brancaccio è un esempio di bellezza architettonica e importanza storica. Costruito tra il 1886 e il 1912 per volontà della principessa Mary Elisabeth Field, moglie del principe Salvatore Brancaccio, è l’ultimo grande palazzo nobiliare costruito a Roma.

Palazzo Brancaccio è caratterizzato da uno stile eclettico che mescola elementi neoclassici e barocchi. Gli interni sono decorati con affreschi, stucchi dorati, marmi preziosi e arredi raffinati, riflettendo il gusto sfarzoso dell’epoca.

I Giardini

Uno degli elementi più affascinanti di Palazzo Brancaccio sono i suoi giardini. Situati nel cuore di Roma, questi giardini offrono un’oasi di verde e tranquillità, con fontane, statue e piante secolari che creano un’atmosfera incantevole. I giardini di Palazzo Brancaccio sono particolarmente apprezzati per la loro bellezza e per la capacità di offrire uno spazio ideale per eventi esclusivi.

I giardini di Palazzo Brancaccio sono spesso utilizzati per eventi organizzati dal Gambero Rosso. Eventi, che includono degustazioni, cene di gala e presentazioni di guide enogastronomiche, sfruttando l’eleganza e la raffinatezza dei giardini.

I Drink Pink: i Vini Rosati brillano nei Giardini di Palazzo Brancaccio

I vini rosati, con il loro colore affascinante e il gusto rinfrescante, sono diventati una scelta popolare per molti appassionati di vino. Ma cosa rende questi vini così speciali? Scopriamolo insieme!

I vini rosati possono variare dal rosa pallido al rosso ciliegia, una varietà di colori risultato di diverse tecniche di produzione. Il metodo più comune è la macerazione breve, dove le bucce delle uve rimangono a contatto con il mosto per un breve periodo, giusto il tempo di conferire il colore desiderato.

I rosati offrono una gamma di sapori che possono soddisfare ogni palato. Dai delicati aromi di frutti di bosco dei rosati provenzali, ai sapori più robusti e speziati dei rosati spagnoli, c’è un rosato per ogni occasione, spesso fresco e fruttato, perfetto per accompagnare piatti leggeri e estivi.

Uno dei motivi per cui i rosati sono così amati è la loro versatilità negli abbinamenti gastronomici. Prova un rosato con pesce alla griglia, insalate fresche o anche con una pizza margherita. I rosati più corposi possono reggere anche piatti più saporiti come carni bianche o formaggi stagionati.

Anche se spesso associati all’estate, possono essere gustati tutto l’anno. La loro freschezza e leggerezza li rendono perfetti per ogni stagione, e la crescente qualità dei rosati disponibili sul mercato significa che c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.

L’evento ha offerto un viaggio sensoriale attraverso le diverse regioni vinicole d’Italia, dalla Lombardia alla Puglia, passando per Toscana, Marche, Abruzzo, Campania e Basilicata. Tra i protagonisti, il Consorzio Valtènesi ha brillato con le sue etichette del Lago di Garda, conquistando i presenti con note floreali e fruttate che hanno esaltato la qualità delle produzioni italiane.

La vera novità di quest’edizione è stata l’introduzione di gelati gourmet in abbinamento ai vini. Le migliori gelaterie recensite dalla guida “Gelaterie d’Italia 2024” del Gambero Rosso hanno partecipato all’evento, offrendo un’esperienza gustativa unica che ha sposato la freschezza dei rosati con la cremosità del gelato artigianale.

L’IGP Olio di Puglia conquista Roma: una serata di gusto e tradizione con il Gambero Rosso

Ehi, amici degli ulivi! Avete mai pensato che un lunedì sera potesse trasformarsi in un viaggio sensoriale attraverso i sapori della Puglia? Beh, è esattamente quello che è successo il 22 luglio nei Giardini di Palazzo Brancaccio a Roma.

L’IGP Olio di Puglia ha fatto il suo ingresso trionfale nella Città Eterna. Immaginate la scena: un palazzo storico, giardini mozzafiato e l’aroma inconfondibile dell’olio extravergine d’oliva che fluttua nell’aria. Non stiamo parlando di un olio qualsiasi, ma del re degli oli. E sapete una cosa? La Puglia non scherza quando si parla di olio: pensate che produce il 65% dell’olio di tutta l’Italia.

Non è solo una questione di quantità. La Puglia ha dimostrato di poter giocare alla grande anche quando si parla di qualità. Le sue olive sono come una squadra di calcio di Serie A: abbiamo la Peranzana, star del centrocampo, la Coratina, il difensore roccioso, l’Ogliarola, il regista tuttofare, e la Cellina di Nardò, l’attaccante veloce. E come se non bastasse, hanno pure i nuovi acquisti: la Favolosa e il Leccino.

Maria Francesca Di Martino, la capitana di questa squadra d’oro (o meglio, d’olio), nonché Presidente del Consorzio IGP Olio di Puglia, non poteva essere più felice: “Ragazzi, più del 40% dell’olio buono che mangiate e che pensate venga da chissà dove, in realtà è made in Puglia!” E dove meglio per dirlo se non nella cornice da sogno di Palazzo Brancaccio?

Ma la serata non è stata solo un “guarda e annusa”. Prima del grande evento, c’è stata una masterclass per veri intenditori. Immaginate di essere a scuola ed invece dei libri avete bottiglie d’olio e invece della lavagna c’è Stefano Polacchi, il guru degli oli del Gambero Rosso, che vi spiega tutti i segreti dell’oro verde.

Il focus della masterclass è stato la resilienza e la rinascita del settore olivicolo pugliese, in particolare alla luce delle sfide poste dalla Xylella, un batterio, noto per i suoi effetti devastanti sulle coltivazioni agricole, che ha avuto un impatto economico significativo sugli uliveti della regione.

Nonostante queste difficoltà, la Puglia mantiene un ruolo di primo piano nella produzione olivicola nazionale. Con il 65% della produzione italiana, che ammonta a 366 mila tonnellate annue, la regione si conferma leader del settore. Tuttavia, questa produzione non è sufficiente a soddisfare il fabbisogno interno: il consumo medio pro-capite annuale in Italia si attesta intorno alle 700 mila tonnellate, rendendo necessaria l’importazione di olio da altri paesi del Mediterraneo, principalmente Spagna e Tunisia.

Durante la degustazione guidata è emersa la necessità di una maggiore consapevolezza sull’importanza dell’Olio Extravergine di Oliva. Nonostante sia un ingrediente fondamentale della dieta mediterranea, riconosciuta per i suoi benefici sulla salute, l’olio EVO rimane spesso sottovalutato nel dibattito pubblico e nella percezione dei consumatori.

Serve una presa di coscienza collettiva sul ruolo cruciale che l’olio extravergine di oliva riveste non solo come condimento, ma come alimento quotidiano essenziale per l’intero comparto alimentare italiano. La sua valorizzazione potrebbe avere ricadute positive non solo sulla salute pubblica, ma anche sull’economia del settore agricolo e sulla promozione del Made in Italy nel mondo.

La masterclass si è conclusa con un appello a una maggiore educazione del consumatore e a politiche di sostegno per il settore olivicolo, in particolare per quelle realtà che, come la Puglia, stanno dimostrando una straordinaria capacità di rinascita e innovazione di fronte alle sfide ambientali ed economiche.

Gli oli proposti in degustazione sono stati dieci di cui si elencano le caratteristiche organolettiche

  1. IGP Olio di Puglia Monocultivar Leccino – AGRICOLA TAURINO: Sentori di mandorla e nocciola.
  2. IGP Olio di Puglia (blend di Ogliarola Barese e Leccino Peranzana) – ASSOCIAZIONE FRANTOIANI DI PUGLIA: Profumi e sapori dierba, carciofo, cicoria, con sensazioni amaricanti.
  3.  IGP Olio di Puglia (blend di Coratina, Ogliarola Barese, Leccino Peranzana) – DE CARLO: erba tagliata, rucola, mandorla e carciofo. Sapore decisamente amaro.
  4. IGP Olio di Puglia (blend di Coratina e Olgiarola Barese) – OLIO CICCOLELLA: Sentori tipici della Coratina con evidenza di erba tagliata e nota speziata finale.
  5. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina 4 CONTRADE: Maggiore morbidezza con sentori di mandorla e erba tagliata. Finale amaricante.
  6. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina PANTALEO: Più delicato rispetto ai campioni precedenti, con sentori di mandorla e erbe amare.
  7. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina OLIO GUGLIELMI: Un olio pulito ed elegante con sentori di mandorla e carciofo.
  8. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina AZIENDE AGRICOLE DI MARTINO: note erbacee, mandorla, erba tagliata, finale amaricante.
  9. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina LE FERRE: Nota amara marcata, più potenza che eleganza,erbe amare e carciofo.
  10. IGP Olio di Puglia Monocultivar Coratina COOPERATIVA MADONNA DEL ROSARIO: mela gialla, sentori di frutta secca, erbe amare.

Per chi pensa che l’olio sia solo per condire l’insalata, preparatevi a ricredervi. Lo chef Marco Brioschi della Gambero Rosso Academy ha tirato fuori dal cilindro piatti da far venire l’acquolina in bocca solo a sentirli: Acquasale, pasta con cozze, cacioricotta e taralli (praticamente la Puglia in un piatto), e le mitiche bombette pugliesi. Il tutto, ovviamente, impreziosito dall’olio IGP di Puglia.

Tra un assaggio e l’altro, potevate incontrare i big dell’olio pugliese come l’azienda Agricola Taurino, De Carlo, Olio Ciccolella, Pantaleo. Ognuno con il suo olio speciale, alcuni puri come un diamante (i monocultivar), altri mix sofisticati da far invidia a un cocktail di un barman stellato.

Ovviamente non potevano mancare i vini pugliesi e tanti produttori delle eccellenze gastronomiche. Tra questi abbiamo intervistato i coniugi Lombardi della Pasticceria L’Arte di Luciano che ad Apricena in provincia di Foggia hanno il laboratorio di produzione dolciaria. Infine i formaggi di Capra Garganica, Panificio Di Biase e La Bella Contadina.

Insomma, amici, l’olio pugliese non è solo buono, è un vero e proprio protagonista della dieta mediterranea, un supereroe del gusto che fa bene alla salute e al palato.

“L’olio nostro è come l’ammore: fa bene al core!”

Rauscedo: alle radici del Vino

Avrete spesso sentito parlare di quanto lavoro ci sia dietro ad un calice di vino: anni di grande sacrificio, di passione e dedizione da parte di produttori, enologi e tutte quelle persone che rendono possibili le nostre degustazioni: dalla cura dei vigneti, alla trasformazione dell’uva in vino, dall’imbottigliamento alla distribuzione. Oggi affronteremo un viaggio che inizia ancor prima del vigneto, nei primi 12 mesi di vita della vite (scusate il gioco di parole), quando la stessa prende il nome di “barbatella”.

La visita al VCR Research Center – Vivai Rauscedo si è rivelata istruttiva e al tempo stesso suggestiva: un percorso iniziato con la visione di un documentario sulla storia di Rauscedo e delle barbatelle, la passeggiata nei vivai, la degustazione e la visita alla cantina storica.

Un po’ di storia

I primi documenti storici sulla storia di Rauscedo, piccola frazione del comune di San Giorgio della Richinvelda, in Friuli-Venezia Giulia, risalgono al 1204, l’etimologia del nome “Rauscedo” deriva da “rausea” che nel basso latino significa “canna” o “canneto”. In tale ambiente estremamente dinamico e complesso, per via dei fiumi che lo percorrono, nella prima decade del Novecento è fiorita la produzione delle barbatelle, un’attività che ha consegnato Rauscedo alla storia mondiale.

Nel XIX un insetto proveniente dall’America sconvolse la vite: il parassita della fillossera, un afide che si nutre di linfa e attacca le radici della vite. Svolge il suo intero ciclo di vita a contatto con la pianta: dalle foglie, dove depone le uova, alle radici dove inizia a creare danni. Un vero e proprio flagello di natura che portò alla distruzione di interi vigneti in tutta Europa.

Correva l’anno 1880 quando due ricercatori Charles Valentine Riley e Jules Émile Planchon capirono come l’unica strada percorribile fosse cambiare l’innesto. Avevano notato la resistenza dell’apparato radicale di alcune varietà di vite americana, da innestare con le varietà di vite europea, aggirando il parassita. Inizialmente l’innesto veniva fatto su un ceppo di vite americana già presente sul terreno.

Bisogna attendere qualche anno ancora, nel 1917, quando un caporale maggiore dell’esercito sabaudo, sopravvissuto alla disfatta di Caporetto, nel tornare a casa, ricevette ospitalità da Andrea Rauscedo a cui insegnò la tecnica dell’innesto al tavolo. Non fu più necessario unire la gemma europea su un ceppo americano già sul terreno, era sufficiente avere un tralcio di vite americana e una gemma, unirli in modo che i legni attecchissero e solo dopo fare in modo che la nuova piante sviluppasse radici e foglie. Una tecnica questa che cambiò radicalmente l’approccio dei rauscedesi che oggi arrivano a produrre il 75% delle barbatelle italiane e più di ¼ di quelle mondiali.

Il processo di produzione delle barbatelle

Verso la fine di dicembre e gli inizi di febbraio avviene la raccolta dei tralci di vite europea e di quella americana; il legno americano viene ripulito e tagliato ad una lunghezza di 40/50 cm, etichettato e conservato in frigo. Stessa sorte per le gemme di vite europea che però vengono tagliate ad una lunghezza di 5/6 cm. Agli inizi di febbraio si avvia la fase dell’innesto al tavolo: la marza, gemma europea, viene innestata sul piede americano, il porta innesto.

L’incisione può avere diverse forme, la più comune è il taglio ad omega. L’innesto passa quindi alla paraffinatura che protegge e rinforza la zona di contatto dei due legni. Da questa unione nascerà la nuova pianta che, sistemata in una cassa di legno con segatura umida, creerà il callo di cicatrizzazione tra la marza e il porta innesto. 

A metà aprile si controlla la cicatrizzazione e si ripuliscono le barbatelle che vengono sottoposte ad una seconda paraffinatura di protezione coprirà metà pianta e dopo 10/15 giorni si procederà con la messa a dimora della barbatella nel vivaio. Questa operazione è totalmente manuale: inserite una ad una ad una distanza che varia dagli 8 agli 11 cm garantiscono lo sviluppo dell’apparato fogliale e di quello radicale. In estate seguono controlli, irrigazione, pulitura dei polloni prodotti dal porta innesto.

A settembre la maturazione della pianta è oramai vicina e ad ottobre inizia l’espianto; le barbatelle saranno conservate in ambienti chiusi e umidi fino a quando avverrà l’ultima paraffinatura di protezione per essere poi etichettate e conservato in locali refrigerati in attesa di essere vendute.

Da più di un secolo la produzione di barbatelle di vite accomuna i cittadini di Rauscedo, paese ai piedi delle Alpi Carniche, un’avventura diventata ormai leggenda. Oggi oltre 200 aziende e tante cooperative, come quella dei Vivai Cooperativi Rauscedo. Costituita nel 1930, vanta attualmente duemila dipendenti, 210 soci-produttori, oltre 80 milioni di barbatelle innestate all’anno e una presenza commerciale capillarmente distribuita in 35 Paesi nel mondo. Una realtà che ha saputo trasformare una terra povera nel primo distretto al mondo per la produzione di barbatelle.

Nel 1965 la creazione del primo centro sperimentale della Cooperativa. Da qui sono partite le prime selezioni clonali e le sperimentazioni delle varietà resistenti. La visita al VCR Research Center, ampliato e rinnovato nel 2019, si è svolta percorrendo le sale adibite ai laboratori, la cantina di microvinificazione, un vero e proprio gioiello unico nel suo genere dove vengono effettuate 900 microvinificazioni all’anno, le celle climatizzate per l’imbottigliamento e la sala per le degustazioni dove abbiamo assaggiato tre anteprime di varietà resistenti: il Sauvignon Kretos con una linea aromatica di buona intensità e un buon potenziale di invecchiamento; il Sauvignon Rytos dalla bella mineralità e sentori di frutta tropicale; il Pinot Iskra spumantizzato con notevole freschezza e persistenza.

La visita è proseguita nella cantina storia Rauscedo, nata nel 1951, una cooperativa che unisce persone con ideali di condivisione e aggregazione. 1900 ettari di superficie vitata, la più importante del Friuli, il 92% di uve è a bacca bianca. Gli spazi ampi ospitano le cisterne e i sistemi all’avanguardia con cui si vinifica.

Abbiamo degustato anche il Metodo Classico Brut Villamanin, Pinot Nero e Chardonnay, oltre 32 mesi di affinamento sui lieviti, dai sentori fruttati di ananas e mela, ottima mineralità e lunghezza; il Traminer Aromatico, dai ricordi floreali di rosa e di frutta a polpa gialla, elegante e di buon corpo; lo Chardonnay Rauscedo secco e armonico, elegante e intenso.

I vini di Rauscedo esprimono l’essenza di questo territorio con terreni di origine alluvionale, prevalentemente sassosi e ghiaiosi dove la vite ha trovato il suo habitat ideale. La visita è terminata con una pausa pranzo da Antica Osteria Il Favri per assaggiare le prelibatezze culinarie di questi luoghi. Un posto autentico con una cucina casalinga da 10 e lode.

Un grazie sincero a Lorenzo Tosi, Michele Leon e Mauro Genovese, senza dimenticare le amiche divine e di vino Claudia e Marta.

Prosit!

Un viaggio in Trentino: le Dolomiti a un passo dal cielo

Che il Trentino sia un posto speciale non è un modo di dire. Basta guardare il panorama, le sue bellezze naturali, le vette spettacolari delle Dolomiti, i laghi, parchi naturali e le valli verdi. E poi i paesini con costruzioni di montagna dalle quali svettano chiesette che sembrano uscire da una fiaba.

Nelle pianure e sulle pendici collinari si stendono vigneti che sembrano un tappeto verde in contrasto con il rosso scuro della roccia porfirica. Il Trentino è una Regione ricca di bellezze naturali, storia, cultura e tradizioni, che offre opportunità uniche sia per il turismo che per i momenti di ogni giorno.

Le Dolomiti, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, sono una meta ideale per attività all’aperto quali l’escursionismo, l’arrampicata e lo sci. I laghi, come il Lago di Garda, il Lago di Caldonazzo e quello di Levico ad esempio, offrono occasioni per nuoto, vela e relax. I parchi naturali, tra cui il Parco Naturale Adamello Brenta e il Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, proteggono la biodiversità e sono ideali per escursioni e osservazione della natura.

Il Trentino ha una storia lunga e complessa, influenzata dalle vicende politiche e culturali della regione alpina. Per secoli, il territorio è stato sotto il controllo del Principato Vescovile di Trento. Nel corso del XIX secolo, è diventato parte dell’Impero Austro-Ungarico fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando fu annesso all’Italia. Un patrimonio culturale unico, che condivide elementi italiani e tirolesi.

L’economia è diversificata: il turismo gioca un ruolo fondamentale grazie alle attrazioni naturali e sportive. L’agricoltura è importante, con una produzione di mele, uva e vini e la protezione di enti quali il Consorzio Vini del Trentino. L’italiano è la lingua ufficiale, ma sono presenti minoranze che parlano il ladino nelle valli delle Dolomiti, il mocheno e il cimbro in altre aree. Le tradizioni locali sono ricche e varie, con feste, sagre e rievocazioni storiche che celebrano la cultura e la storia della regione. Le tradizioni culinarie includono piatti come i canederli, la polenta, lo speck e numerosi formaggi tipici.

La città capoluogo è Trento, dal centro storico ben conservato, con il Castello del Buonconsiglio, la Cattedrale di San Vigilio, il Museo di Scienze Naturali MUSE e i palazzi rinascimentali come Palazzo Roccabruna. Altre città di interesse includono Rovereto, con il suo Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (MART), e Riva del Garda, situata sulle rive del Lago di Garda.

Il Consorzio Vini del Trentino: un esempio di squadra e Identità Territoriale

Quando si parla del Consorzio Vini del Trentino, la definizione più calzante è quella di una squadra che rappresenta la quasi totalità (oltre il 90%) dei produttori e viticoltori della regione. Il termine “squadra”, non è usato a caso: la sua forza risiede non solo nella legge che gli affida il compito di salvaguardare le denominazioni di origine enologiche della provincia, ma soprattutto nella capacità di mantenere salda e credibile l’identità delle produzioni vitivinicole locali.

Avere una identità forte e riconosciuta è essenziale per ogni produttore, viticoltore, imbottigliatore e cooperatore del Trentino. Questa identità rappresenta le fondamenta su cui costruire una promozione efficace e credibile delle aree produttive, dei vitigni, dei vini e delle aziende della regione. È grazie a tale coesione che il Consorzio è in grado di tutelare le produzioni enologiche trentine, garantendo la sostenibilità ambientale e promuovendo i vini del Trentino sia a livello nazionale che internazionale.

I vini sono il risultato di una terra con un’alta vocazione e di una tradizione di livello mondiale, soprattutto, dell’impegno, soprattutto nel campo spumantistico.

L’Istituto Tutela Grappa del Trentino

L’Istituto Tutela Grappa del Trentino svolge in parallelo un ruolo fondamentale nella valorizzazione di un’altra produzione tipica: la grappa. Fondato nel 1969 conta oggi 24 soci, di cui 20 distillatori che rappresentano quasi tutta la produzione. L’Istituto ha il compito di valorizzare la grappa ottenuta esclusivamente da vinacce prodotte in Trentino, qualificandola con un apposito marchio d’origine e la dicitura “Trentino Grappa”.

La produzione di grappa in Trentino rappresenta il 10% di quella italiana, un dato significativo che ne testimonia l’importanza e la qualità. Il Consorzio Vini del Trentino e l’Istituto Tutela Grappa del Trentino rappresentano due pilastri fondamentali per l’economia e la cultura locale. Grazie alla loro azione congiunta, questi enti garantiscono la salvaguardia delle produzioni enologiche e distillatorie, promuovendo al contempo l’identità e la tradizione di una terra unica.

Hotel Villa Madruzzo: connubio di storia, eleganza e gastronomia nel cuore del Trentino

Situato tra le colline verdi e le vette maestose del Trentino, l’Hotel Villa Madruzzo offre un’esperienza che combina la storia del XVI secolo con il comfort e il lusso moderni. Residenza nobiliare, originariamente dimora della famiglia Madruzzo, sa accogliere i suoi ospiti in un ambiente elegante e raffinato, suddiviso in due aree distinte ma complementari: la zona Classic e l’area Belvedere.

La zona Classic, con il suo fascino d’epoca, permette di immergersi completamente nell’atmosfera storica della villa. Le camere sono arredate con mobili antichi e dettagli che richiamano il passato glorioso dell’edificio, offrendo al contempo tutti i comfort moderni per un soggiorno piacevole e rilassante. Dall’altra parte, l’area Belvedere rappresenta una fusione armoniosa di modernità e benessere, dove il moderno si fonde con il calore del legno. La chicca è il centro benessere che rigenera e regala momenti unici. Gli ospiti possono godere di una vasta gamma di trattamenti, dalla sauna al bagno turco ai massaggi, immersi in un ambiente sereno e panoramico.

Al suo interno, il Ristorante Villa Madruzzo ha sale eleganti in grado di ricevere, non solo gli ospiti dell’albergo, ma anche il pubblico esterno. Il menu è un viaggio sensoriale attraverso le delizie della cucina trentina: dai canederli ai formaggi locali, passando per piatti a base di selvaggina e dolci tradizionali, ogni portata è preparata con cura e presentata con eleganza. L’attenzione ai dettagli e la passione per la gastronomia fanno di questo ristorante una meta imperdibile per gli amanti del buon cibo.

Dall’erba al formaggio lungo la filiera del latte

Un tour guidato in compagnia di Albatros tra i prati della campagna di Predazzo per scoprire il forte legame che c’è tra erba, latte e formaggi. Prima tappa in stalla presso l’azienda agricola Moser dove Maria Letizia ci aspetta con Mariapia Morandini e la sua famiglia per raccontare l’importanza che ha l’alimentazione delle mucche nella qualità del latte. Abbiamo avuto modo di assistere anche alla mungitura e scoprire le innovazioni che caratterizzano le stalle dei nostri giorni. La filosofia di famiglia è incentrata sul benessere degli animali. La produzione di latte è affidata a 110 capi diversi per razza e resa. Di queste, circa 70 vacche sono in lattazione durante l’inverno e le altre in estate per la produzione del celebre Puzzone di Moena DOP.

La scelta accurata del fieno e delle erbe sono importanti per la qualità del formaggio, sottoposto 2 o 3 volte al mese a controlli alla fine dei quali viene assegnato un punteggio con un valore numerico che può variare da 0,4 a 25. Assistere alla mungitura è un’esperienza che fa tornare la mente a quando guardavamo Heidi che mungeva e beveva il latte. Ovviamente non è proprio come il cartone animato, perché la mungitura avviene con mezzi sofisticati che tutelano la salute degli animali e dei consumatori. Una mungitura soffice e costante che serve, oltre a prelevare il prezioso liquido bianco, ad evitare dolorose mastiti alle mammelle.

Arrivando al Bistrot Caseificio Sociale Predazzo e Moena ci attende un vero e proprio Cheese Tasting narrato in compagnia del produttore: presenti in assaggio un caprino pastorizzato dolce e delicato, il “Gradevole” che ricalca lo stile dei formaggi a crosta lavata, il Puzzone di Moena Dop da mezza stagionatura saporito ma non troppo, un formaggio a pasta dura stagionata in stile 3 mesi e infine il Trentingrana, fatto esclusivamente con il latte del Trentino. Il tutto accompagnato ai vini della Tenuta Gottardi: nasce nel 2016 e le prime etichette escono nel 2022 con il “Posador” Pinot Nero, il Lagrëin, il Müller Thurgau e il Gewürztraminer.  

Roverè della Luna – la ricerca al servizio della viticoltura: Innovazione e Sostenibilità nei vigneti del Trentino

In una giornata di sole tra i vigneti del Trentino, Stefano Rizzi del Consorzio Vini del Trentino ci accoglie per parlare dell’importanza della ricerca nella coltivazione della vite. Il suo entusiasmo è palpabile mentre ci introduce alle tecniche innovative che stanno rivoluzionando il modo di coltivare i vigneti, con l’obiettivo di ridurre drasticamente, se non eliminare, l’uso di fitofarmaci.

Tra le pratiche più interessanti, l’uso della confusione sessuale per contrastare gli attacchi di lepidotteri e della Tignola. Una tecnica, che consiste nel diffondere feromoni che confondono gli insetti impedendo loro di accoppiarsi, si sta rivelando un metodo efficace e sostenibile per proteggere le viti senza ricorrere a sostanze chimiche nocive.

La ricerca non si ferma qui. Paolo Fontana e Livia Zanotelli, apidologi della Fondazione Edmund Mach, insieme a Maurizio Bottura, dirigente del Centro di Trasferimento Tecnologico, ci accompagnano nei vigneti per approfondire il tema della biodiversità. Gli studi condotti dalla Fondazione Edmund Mach in collaborazione con l’Università di Trento sono orientati a 360 gradi, esplorando ogni aspetto che possa contribuire a una viticoltura più sostenibile.

Fontana e Zanotelli ci parlano degli “apoidei”, un gruppo di insetti impollinatori di cui fanno parte anche le api. L’osservazione delle abitudini e degli orientamenti di questi insetti è fondamentale per studiare la biodiversità e adattare le conoscenze alla viticoltura. “Conoscere le interazioni tra gli apoidei e le viti può portare a pratiche agricole che favoriscono non solo la salute dei vigneti ma anche quella degli ecosistemi circostanti”, spiega Zanotelli.

Un altro tema cruciale trattato durante la nostra visita è quello della micro-irrigazione. Rizzi ci spiega come questa tecnica permetta di fornire alle piante la quantità d’acqua necessaria con precisione, riducendo gli sprechi e migliorando la qualità del raccolto. “La micro-irrigazione è un esempio di come l’innovazione tecnologica possa andare di pari passo con la sostenibilità ambientale”, afferma Rizzi.

Gli studi condotti dalla Fondazione Edmund Mach e dall’Università di Trento non solo offrono nuove prospettive per una viticoltura più verde e sostenibile, ma rappresentano anche un modello di come la ricerca e l’innovazione possano contribuire significativamente alla protezione dell’ambiente. La giornata si conclude con una nota di ottimismo: il futuro della viticoltura trentina sembra sempre più orientato verso pratiche sostenibili che rispettano la natura e promuovono la biodiversità.

La Fondazione Edmund Mach: eccellenza nella ricerca e formazione agricola

Situata a San Michele all’Adige, la Fondazione Edmund Mach rappresenta un’istituzione di rilevanza mondiale nel campo della viticoltura ed enologia. Fondata 150 orsono, la sua missione iniziale era quella di approfondire la conoscenza scientifica applicata all’agricoltura, con un focus particolare sulla viticoltura. Sin dall’inizio, l’istituto ha svolto un ruolo cruciale nel trasferire conoscenze e innovazioni agli agricoltori e viticoltori, diventando così un centro di formazione, ricerca, sviluppo e sperimentazione.

La Fondazione Edmund Mach gestisce 120 ettari di terreni, di cui metà destinati alla produzione di uva e l’altra metà alla coltivazione di mele. Questa vasta area di sperimentazione agricola permette di condurre ricerche avanzate su varie colture. Dal 2008, l’Istituto San Michele all’Adige è diventato ufficialmente la Fondazione Edmund Mach, in omaggio al suo primo direttore. Nello stesso anno, l’istituto ha incorporato il Centro di Ecologia Alpina del Monte Bondone, ampliando così il suo campo di ricerca anche all’ambiente.

Le “Tre A” della Fondazione: Agricoltura, Alimentazione e Ambiente

La filosofia della Fondazione Edmund Mach si riassume nelle “Tre A”: Agricoltura, Alimentazione e Ambiente. La sezione dedicata all’alimentazione comprende laboratori all’avanguardia per l’analisi del vino, includendo studi sulla vinificazione e tecniche avanzate di tracciabilità per prevenire sofisticazioni. 

Nel settore agricolo, la ricerca si concentra su due principali aree: il miglioramento genetico e la sostenibilità. La Fondazione ha registrato numerose varietà di melo e piccoli frutti, come i mirtilli, e ha sviluppato viti resistenti alle malattie, riducendo così la necessità di prodotti chimici. Inoltre, studia metodi alternativi per la lotta contro i parassiti, come la confusione sessuale, che evita l’accoppiamento degli insetti nocivi.

Supporto Tecnico e Formazione

Altro aspetto fondamentale della Fondazione Edmund Mach è l’assistenza tecnica agli agricoltori. Attraverso una rete di centri periferici specializzati vengono forniti supporto continuo per la gestione delle attività agricole, garantendo che gli agricoltori possano beneficiare delle ultime innovazioni e metodologie. La Fondazione ospita anche uno dei migliori Istituti Tecnici Agrari in Italia e collabora con l’Università di Trento per i corsi di Viticoltura ed Enologia.

Un’eredità storica

La sede della fondazione vanta una storia affascinante, nata in origine come una struttura fortificata nel dodicesimo secolo. Successivamente trasformata in un edificio monastico, i monaci iniziarono a coltivare la vite, costruendo una cantina nel 1200 che è ancora oggi operativa, mantenendo viva una tradizione secolare.

Un faro di innovazione e tradizione, combinando ricerca scientifica avanzata con un profondo rispetto per la storia e la cultura agricola. La sua continua evoluzione e il suo impegno per l’eccellenza garantiscono che rimanga un punto di riferimento nel panorama agrario e enologico mondiale.

Muse, Museo delle Scienze di Trento

Il MUSE, Museo delle Scienze di Trento, è un moderno museo scientifico situato nel quartiere Le Albere, progettato dall’architetto Renzo Piano. Inaugurato nel 2013, il MUSE offre un’esperienza interattiva che esplora la natura, la scienza e la tecnologia. Le sue esposizioni spaziano dalla storia naturale delle Alpi alla biodiversità, passando per la sostenibilità ambientale e le innovazioni scientifiche. Con una vasta gamma di mostre temporanee e permanenti, laboratori educativi e attività per tutte le età è un punto di riferimento per la divulgazione scientifica in Italia.

Proprio qui che il Consorzio Tutela Vini del Trentino ha organizzato la presentazione del secondo Bilancio di Sostenibilità del Consorzio. Ad aprire il convegno è stato Albino Zenatti, Presidente del Consorzio, che ha ricordato che questa è la seconda edizione della presentazione e che la precedente si è tenuta nel 2021. Zenatti ha inoltre sottolineato l’importanza che riveste lo studio e l’applicazione della sostenibilità; l’applicazione di regole e la messa in pratica di azioni volte alla tutela del terreno e dell’equilibrio naturale può portare nel tempo a risultati significativi. Ricerca, innovazione e investimenti mirati a ridurre drasticamente i trattamenti fitosanitari con l’obiettivo di annullarli totalmente sono fondamentali. Il concetto è chiaro: la terra che coltiviamo oggi è la stessa che avranno i nostri figli e le generazioni future. Investire ora in sostenibilità significa garantire un futuro migliore per chi verrà dopo di noi.

Le certificazioni SQNPI, VIVA e EQUALITAS sono fondamentali per portare avanti progetti e studi volti alla realizzazione di pratiche sostenibili. Un elemento cruciale è la partecipazione delle aziende: il 97% delle aziende vinicole ha aderito al protocollo di intesa, un successo inimmaginabile prima d’ora. Temi come l’Agenda 2030, la Certificazione SQNPI – qualità sostenibile e l’importanza di saper comunicare la sostenibilità sono stati al centro del dibattito.

La presentazione del bilancio si è conclusa con un aperitivo e una cena a buffet offerti dal Consorzio nella sala al livello inferiore del museo, accompagnati dai vini del Trentino e dai cocktail con la Grappa del Trentino, il tutto circondati da dinosauri, animali preistorici e oggetti dell’età della pietra, creando una bellissima atmosfera conviviale.

Palazzo Roccabruna: un gioiello rinascimentale nel Cuore di Trento

Nel cuore del centro storico di Trento sorge Palazzo Roccabruna, dimora nobiliare risalente alla seconda metà del Cinquecento. Questo edificio, recentemente restaurato dalla Camera di Commercio di Trento, è tornato al suo antico splendore e ospita oggi l’Enoteca Provinciale del Trentino. Tale spazio non è solo un museo di vini, ma un vero e proprio centro per eventi enogastronomici e culturali, dedicato alla valorizzazione del territorio trentino, della sua ricca storia e dei suoi prodotti tipici.

Tra i vari eventi organizzati presso l’Enoteca, la conferenza tenuta da Alessandro Marzadro ha illustrato la storia della grappa, dalle sue origini fino ai giorni nostri. Marzadro ha spiegato come questo distillato, che un tempo poteva essere considerato più una medicina che una bevanda, sia divenuto la celebre grappa piacevole e raffinata. “La gradevolezza è la caratteristica principale di una buona grappa”, ha sottolineato Marzadro, sfatando il mito che sia solo un digestivo. “Non è assolutamente un digestivo, ma una bevanda da meditazione, studiata per offrire momenti di puro piacere grazie ai suoi aromi complessi.”

La grappa trentina è un distillato ottenuto dalle vinacce italiane, con una gradazione alcolica minima di 37º, e gode del marchio di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Questo la distingue dall’Acquavite, un termine generico che può riferirsi a distillati ottenuti da qualsiasi materia prima idonea.

Interessante anche l’origine della grappa, nata con un intento di recupero: la distillazione delle vinacce consente di valorizzare gli scarti della vendemmia, un processo sostenibile che non consuma ulteriore suolo agricolo. Tuttavia, è importante ricordare che, pur essendo un prodotto di qualità, la grappa non è un bene di prima necessità e l’abuso può essere nocivo per la salute.

Palazzo Roccabruna, con la sua storia secolare e il suo rinnovato ruolo di centro culturale, si conferma così un punto di riferimento per gli amanti del buon vino e delle tradizioni trentine. Gli eventi organizzati al suo interno rappresentano un’occasione imperdibile per scoprire e apprezzare i tesori enogastronomici del Trentino, in un ambiente che celebra il passato ma guarda con entusiasmo al futuro.

Dopo aver parlato della storia dei vini e delle grappe del Trentino, l’evento è proseguito con un tasting dedicato, offrendo ai presenti un viaggio sensoriale attraverso le diverse varietà prodotte nella regione.

La degustazione comprendeva:

  • Vini Bianchi: Nosiola (1-4), Chardonnay (5-19), Pinot Grigio (20-24), Kerner (25-27), Manzoni Bianco (28-32), Solaris (33), Müller Thurgau (34-46), Riesling (47-48), Sauvignon (49-54), Gewürztraminer (55-62).
  • Vini Rosati: Tagli Bianchi (63-68), Rosati (69-72).
  • Vini Rossi: Pinot Nero (73-89), Marzemino (90-98), Rebo e Sennen (99-101), Lagrein (102-114).
  • Grappa del Trentino.

Pranzo al Ristorante Borgo Nuovo: Un’Esplosione di Sapori Sardi nel Cuore di Trento

Nel vivace centro di Trento, tra strade storiche e moderni negozi, si trova un angolo di Sardegna: il Ristorante Borgo Nuovo. Un locale, rinomato per la sua cucina di pesce che offre un’esperienza culinaria unendo la tradizione sarda alla freschezza del mare, proponendo sia piatti crudi che cotti di altissima qualità. La chiave del loro successo risiede nell’utilizzo di materie prime sempre fresche, che garantiscono sapori autentici e piatti impeccabili.

L’ambiente del Ristorante Borgo Nuovo è caldo e accogliente, arredato con gusto e attenzione ai dettagli. Ogni elemento del design interno contribuisce a creare un’atmosfera rilassante e raffinata, ideale per godersi un pasto in tranquillità. Gli ospiti vengono accolti con un sorriso sincero, che riflette l’ospitalità sarda e la passione per la cucina.

Il menù del Borgo Nuovo inizia con antipasti di mare, dove i crudi di pesce, come tartare e carpacci, si distinguono per freschezza e la delicatezza dei sapori. A seguire, una selezione di primi piatti che celebra la tradizione sarda, con specialità come i malloreddus e la fregola, arricchiti da salse a base di pesce fresco e ingredienti di stagione.

Credits e ringraziamenti finali: Valentina Voltolini (Consorzio Vini del Trentino), Stefano Rizzi (Consorzio Vini del Trentino), Alessandro Maurilli (Istituto Tutela Grappa del Trentino) Lavinia Furlani (Wine Meridian), Dora Tavernaro (Strada dei Formaggi delle Dolomiti).

Il decennale di Wip Burger & Pizza: 10 anni non bastano a raccontare come fare ristorazione di qualità in Campania

Diciamocelo: Wip Burger & Pizza se lo aspettavano davvero in pochi agli inizi. La longevità ha sorpreso, ma non troppo, persino i titolari Domenico Fortino e Lorenzo Oliva, partiti in sordina 10 anni fa con un piccolo locale ai margini di una stazione di rifornimento a pochi passi dall’uscita autostradale di Nocera Inferiore.

E a ben pensarci, crescere in un contesto simile, affermarsi presso il pubblico anche selezionato ed esigente che non mangia solo “pane e puparuoli” ha rappresentato un traguardo simile alla scalata di una cima vertiginosa. Domenico, Lorenzo, due anime ben integrate dalla stessa idea di ristorazione: quella basata sull’esaltazione e lavorazione delle materie prime che la Campania sa offrire. Diverse scelte gastronomiche, a cominciare dall’immancabile pizza, passando per una cucina con piatti della tradizione e chiudendo sulla carne, per accontentare ogni palato.

Quanto detto sin qui non spiega il successo fatto di piccoli passi, uno dopo l’altro, che li hanno portati a festeggiare il primo decennale con un evento fuori dalla norma: l’annullo filatelico concesso dai dirigenti di Poste Italiane – agenzia di Nocera Inferiore – quale tributo al saper fare impresa da parte dei concittadini imprenditori. Il vero segreto di Pulcinella è l’abilità dimostrata nel tessere rapporti con le eccellenze del settore alimentare nostrano.

I banchi d’assaggio organizzati durante la manifestazione, rappresentano gli ingredienti “nascosti” nei piatti di Wip Burger & Pizza e quando giochi con la qualità è difficile distruggere e rovinare tutto con impreparazione e mancanza di rispetto per le materie prime. Difficile, ma non impossibile per chi scrive da anni di cibo e cultura enogastronomica.

Fare ristorazione di qualità si può ovunque, specialmente in Campania ove non mancano gli ingredienti e le tecniche giuste per utilizzarli in cucina. E quello di Wip Burger & Pizza ne è un caso lampante.

Ad esempio nella scelta di un Olio Extravergine di Oliva monocultivar Carpellese dell’azienda Pregio con sede a Serre (SA); o i salumi e le carni della Macelleria del Centro Storico di San Marzano sul Sarno (SA), dai prodotti innovativi come il salame di Scottona con Parmigiano Reggiano stagionato 120 mesi.

Gli affettati richiamano necessariamente, almeno al Sud Italia, la mozzarella, specie se di Bufala come quella proposta dal treccione del Caseificio Nonno Peppe a Marina di Eboli (SA). Infine, per placare la sete i gin di Prisco Sammartino di Officine Alkemiche Spirits per un abbinamento intrigante anche con la pizza, e il beverage di Perrella Distribuzione che segue i migliori locali della Regione.

Manca, a completare il quadro, la presenza di Andrea Ferraioli e della moglie Marisa Cuomo, da sempre inclusi nell’ampia lista vini proposti sia alla mescita che alla bottiglia, segno che la cultura e il consumo del vino sta cambiando in modo positivo nelle scelte degli avventori.

Presenti al momento clou della serata, l’annullo filatelico sulle cartoline commemorative, la funzionaria di Poste Italiane dott.ssa Elvira Graziano, il vice sindaco di Nocera Inferiore dott. Gianluca Pagliuca ed i giornalisti Annibale Discepolo e Gaetano Cataldo, estimatori della prima ora di Wip Burger & Pizza e dell’impegno di Fortino e Oliva.

Altri 100 di questi 10 anni!

Wip Burger & Pizza

Via Giuseppe Atzori 271

84014 Nocera Inferiore (SA)

La “Yellow Night” da Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel inaugura la stagione estiva nella divina Costiera

Esistono pochi posti al mondo dove il sapore della pizza incontra la suggestione di atmosfere uniche ed incantevoli e la Costiera Amalfitana è certamente in cima alla classifica. Ma se il matrimonio tra la tonda mediterranea viene officiata dal maestro Gino Sorbillo presso La Locanda della Canonica dell’Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel, la celebrazione non può che essere esclusiva e dal tocco decisamente glamour.

Di pizzerie in location mozzafiato ce ne sono tante al mondo, a dimostrazione del fatto che la pizza è la perfetta ambasciatrice della Dieta Mediterranea persino nella sua versione più elegante e gourmet, ma gustarne una all’interno di un monastero risalente al 1212, dalle mani di Gino Sorbillo tra i più iconici maestri pizzaioli, e godendo della vista mare sul Golfo di Salerno, non ha prezzo. Neanche mangiarla sul rooftop del grattacielo più alto del mondo sarebbe lontanamente equiparabile ad un’esperienza così profonda e rara.

La Locanda della Canonica è il pizza outlet di Gino Sorbillo, incastonata in uno dei luoghi simbolo di quella che un tempo è stata una delle quattro Repubbliche Marinare, sorto ad Amalfi nel XIII secolo e sovrastante il borgo marinaro dal colle Falconcello, antico crocevia sui traffici marittimi verso l’Impero Bizantino, Alessandria d’Egitto e l’India. La serata del 22 giugno scorso ha costituito un’esperienza davvero profonda: paesaggio, cultura ed enogastronomia, uniti all’istrionica giovialità di Gino Sorbillo, disponibile e cortese verso tutti gli ospiti.

Accompagnati dal personale cortese ed estremamente specializzato nell’arte dell’accoglienza è stato difficile resistere all’invito di esplorare la struttura nel suo cuore: le mura originarie dell’antico cenobio fondato dal cardinale Pietro Di Capua nel XIII secolo, prima ad uso dei monaci cistercensi e poi, nel 1583, affidato alle cure dei frati Cappuccini. La suggestione è forte nell’attraversare il complesso monumentale di San Pietro della Canonica, apprezzandone la struttura primigenia in stile arabo-normanno con il chiostro e l’antro naturale, scavato dalla forza del mare, per non parlare della chiesetta dedicata a San Pietro de Toczulo, con le sue vestigia e l’odore di incenso, in cui si officiano ancora cerimonie religiose. Percorriamo adesso il cammino a ritroso e poi la passeggiata dei monaci medievali, per raggiungere gli altri ospiti e celebrare i sapori di un menu che ha lasciato il segno.

Il Maestro Gino Sorbillo

La montanarina con pomodoro, parmigiano e basilico mette subito allegria assieme alle bollicine brut da metodo classico “Alta Costa”, con uve Biancazita e Biancatenera, di Tenuta San Francesco, briose e sapide, ma i fan della ”bionda” non hanno saputo resistere alle lusinghe della birra Ravello. A seguire una freschissima e delicata insalata di gamberi con cuore di insalata e maionese piccante, poi tartare di tonno rosso, pomodori secchi e olive e caponata napoletana con mozzarella di bufala e pomodori, fiori di zucca ripieni di ricotta e basilico, peperoni ripieni con capperi e olive taggiasche e crostini con burrata e zucchine alla scapece. Insomma, le danze si sono aperte con sapori autentici e combinazioni molto interessanti e qualcuno ha pensato bene di ballare con il cocktail di accompagnamento a base di Malfy gin, non a torto, mentre altri andavano di bolla con il rosato, ancora inedito, a base di uve Tintore della Tenuta San Francesco.

I tagliolini di limone sfusato amalfitano preparati dinanzi agli ospiti dallo Chef Resident Claudio Lanuto, hanno costituito un inno alla solarità della bella Costiera e un degno preludio alle pizze del maestro Sorbillo.

Chef Claudio Lanuto

Si parte con la Convent Pizza, con impasto di grani italici, crema di fiori di zucca, provola, alacce, terra di olive nere e zest di limone. Si prosegue con la Yellow Pizza, a base di crema di pomodorini gialli, fior di latte, chips di zucchine e provolone del monaco. Sempre preparata da Gino Sorbillo, arriva la Fresca Fresca, una focaccia fatta con mozzarella di bufala, pomodoro cuore di bue, bresaola di bufala e misticanza dell’orto. Tra gli invitati, qualcuno si è divertito a preparare la pizza assieme al Maestro Sorbillo, ben felice di condividere alcuni “trucchi del mestiere”. Il secondo piatto di pesce spada, melanzane e mozzarella ha anticipato l’ultima portata, costituita da totani e patate. C’è chi ha optato per un Tramonti bianco doc e chi per la versione in rosso, rispettivamente a base di Falanghina, Pepella e Biancolella, quindi di Aglianico, Tintore e Piedirosso, sempre di Tenuta San Francesco.

Hanno vinto entrambi gli abbinamenti, ma tutte e due le fazioni, poi, sono state sopraffatte dal buffet dei dolci con le delizie tipiche della pasticceria campana. Serata da ripetere assolutamente, sulle note briose di una serata estiva indimenticabile.

Le prossime date imperdibili per la Yellow Night: 12 luglio, 17 agosto, 16 settembre e 12 ottobre.

Le “P” nascoste nel simbolo VitignoItalia

No, non siamo impazziti! L’anticiclone africano sta finalmente prendendo piede con sole e temperature estive quasi tropicali, ma abbiamo avuto la vista lunga, a maggior ragione da Media Partner della manifestazione, per capire che VitignoItalia contiene ben 3 volte la lettera “P” dell’alfabeto nascosta tra le pieghe del suo simbolo.

P come Produttori, quelli entusiasti di partecipare all’evento per avere visibilità e presentare una Campania enogastronomica che ha ancora tantissimo margine in potenziale: 300 aziende e consorzi presenti hanno popolato la Stazione Marittima di Napoli, all’altezza della situazione. Tra banchi d’assaggio, talk e degustazioni top level, VitignoItalia ha acceso i riflettori sulle realtà enologiche più prestigiose della Penisola, puntando sul dialogo diretto con i produttori, che da sempre caratterizza questo format di successo.

Ampi focus sulle grandi denominazioni quali Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, Friuli Doc e Roma Doc , intervenuti ai microfoni di 20Italie, passando per i migliori vini regionali come i rossi di Sicilia, i bianchi vulcanici da invecchiamento, i bianchi e spumanti siciliani e il verdicchio dei Castelli di Jesi.

P come Premiazioni, con il meglio dell’enologia tricolore grazie alla quarta edizione di 100 Best Italian Rosé, la guida edita da LucianoPignataroWineBlog di Luciano Pignataro e curata dai giornalisti Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Granieri Raffaele Mosca, che hanno raccontato da Nord a Sud le migliori etichette di una tipologia spesso erroneamente vista come vino semplice e beverino senza prospettiva di evoluzione nel tempo.

P come Protagonisti dunque, anche nell’arduo abbinamento pizza-vino con la presentazione di Calici & Spicchi di Antonella Amodio, Verso del Vino – Verso Divino, il volume di Marianna Ferri e Ottavio Costa e con la presentazione di 50 Insoliti Noti, la guida ai migliori 50 vini per tradizionalità e legame con il territorio, a cura di Gimmo Cuomo, firma del Corriere del Mezzogiorno. Cala così il sipario su VitignoItalia 2024, giunta all’anno della “maturità” simbolica con le sue diciotto candeline spente e che ha riunito 10.000 tra wine lover e traders.

Maurizio Teti Direttore di Vitigno Italia

Un’edizione eccezionale nei numeri e più coinvolgente che mai – sottolinea Maurizio Teti, Direttore di VitignoItaliaresa possibile grazie alla sinergia con i principali player della manifestazione a partire dalle istituzioni. In particolare con l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania che da sempre crede fortemente nel nostro progetto. Siamo stati spettatori di un’edizione davvero sorprendente: a partire dal nostro fedele pubblico che ogni anno ci stimola nell’ideazione di nuovi contenuti, alle grandi cantine presenti che costituiscono l’essenza della manifestazione”.

Abbiamo messo in campo – prosegue Teti – un programma di incontri che hanno soddisfatto e incuriosito tanto gli appassionati quanto gli esperti, con attività trasversali tra il vino e altri settori, mettendo sempre al centro il piacere della degustazione e l’interazione con i produttori. Chiuderei con un ringraziamento a Unicredit e FEAMPA per il prezioso contributo e all’ICE per l’importanza in ambito internazionale che ogni anno conferisce alla nostra manifestazione, coinvolgendo grandi esperti del settore”.

Non da meno l’interesse dei buyers, un gruppo di 30 tra gli operatori più competenti provenienti da 18 paesi, selezionati in collaborazione con ICE, che hanno mostrato grande apprezzamento per le cantine presenti e hanno preso parte all’educational tour nei Campi Flegrei, approfondendo i vini di questo territorio enologico, tra i più affascinanti della regione. 

Infine l’affascinante masterclass sugli underwater wine, un viaggio tra i vini degli abissi più interessanti della Penisola che ha dato risalto ai produttori (Tenuta del Paguro con il Romagna Albana Docg Squilla Mantis 2019 UWW, Tenuta Campo al Signore con il Bolgheri Rosso Doc 2018 UWW, il Consorzio Agerasprinio Più o Meno Dieci con Asprinio DOC Aversa 2023 e Tenuta Asinara e il suoCayenna Submariner) che con passione e cura si dedicano a questo tipo di produzione singolare quanto affascinante. Un ringraziamento particolare all’Agenzia Mg Logos di Stefano Carboni e Maria Grazia D’Agata per il supporto, la condivisione e l’organizzazione stampa.