Panettone Maximo: a Roma la quinta edizione del Festival del panettone artigianale

Che Natale sarebbe senza il panettone? Nel giorno dell’Epifania, che “tutte le feste porta via”, vi raccontiamo di un evento giunto ormai alla quinta edizione: Panettone Maximo.

La città madre del panettone è indiscutibilmente Milano, anche se oggi, numerose pasticcerie d’Italia hanno sviluppato le proprie tradizioni, offrendo esperienze gastronomiche uniche che solo un panettone artigianale può regalare. Sebbene i laboratori artigianali siano stati influenzati dalle modifiche apportate ai panettoni industriali, hanno saputo preservare la nobiltà della tradizione di un tempo. Panettoni alti e bassi coesistono oggi nelle pasticcerie, entrambi distanti dalla produzione di massa. La tradizione si è evoluta, perfezionata e ha ampliato i suoi confini.

L’evento

Roma è stata il palcoscenico di una vera e propria festa per i buongustai con la quinta edizione del Festival del Panettone Artigianale, tenuta al Salone delle Fontane. Un tripudio di golosità ha invaso l’animo dei presenti, con migliaia di visitatori giunti ad assaporare le creazioni delle 42 pasticcerie e forni provenienti da diverse regioni d’Italia. Un evento organizzato da Fabio Carnevali e Stefano Albano con la collaborazione di Ristoragency e VERO Events.

Le delizie dei grandi lievitati hanno animato i banchi di degustazione, trasformando l’evento in una celebrazione gastronomica senza pari. Le pasticcerie hanno gareggiato in un prestigioso contest, mettendo in mostra la loro abilità nell’arte del panettone artigianale. Il grande trionfatore dell’edizione è stata la premiata pasticceria Vizio di Roma, che si è classificata al primo posto in entrambe le categorie regine: Miglior Panettone Tradizionale e Miglior Panettone al Cioccolato. La pasticceria ha dimostrato un’eccellenza culinaria indiscutibile, conquistando i palati dei giudici e degli appassionati presenti.

Gli spettacoli culinari hanno aggiunto un tocco di glamour all’evento, con show-cooking condotti da maestri gelatai di grido e grandi pastry Chef da noti ristoranti stellati. Le dimostrazioni culinarie hanno offerto agli spettatori un’occasione unica per apprezzare l’arte e la maestria di coloro che elevano il panettone a un’autentica opera d’arte gastronomica. Oltre ai panettoni, presenti numerose golosità come miele, dolci, birre artigianali e vino, per sottolineare l’importanza della ricchezza gastronomica che l’Italia offre in ogni festività della tradizione, con il supporto del Consorzio Tutela Roma DOC ed i vini del territorio.

L’affluenza massiccia e l’entusiasmo dimostrato dai partecipanti confermano il crescente interesse e l’amore degli italiani per il panettone artigianale. Il Festival del Panettone Artigianale si conferma così non solo come una competizione culinaria di alto livello, ma anche come un appuntamento imperdibile per gli amanti della tradizione dolciaria italiana.

I premi

Miglior Packaging

Pasticceria Panzini – Tolfa (RM)

Miglior Comunicazione Digitale

Il Frantoio – Roma

Premio del Pubblico

Spiga d’Oro Bakery – Roma

Premio Stampa Estera

Solo da Manduca – Roma

Isola del Liri: cosa ci insegna la storia?

N.d.r. pubblichiamo con piacere l’articolo di Stefano Viscogliosi, su un territorio visitato di recente e pieno di magia e mistero come Isola del Liri (link Castello Viscogliosi presenta l’evento CastelWine e le due etichette prodotte in Toscana). La storia è sempre maestra di vita.

“Sollecitato dall’amico Luca Matarazzo a raccontare un episodio della mia famiglia risalente a cavallo del cambio di secolo tra il 1700 ed il 1800, mi sono accinto a scrivere delle brevi note su quanto accaduto in quegli anni difficili e tormentati e come reagirono  coloro che ci hanno preceduti, lasciandoci una lezione di civiltà in un momento travagliato e violento, lezione che andrebbe ricordata e non dimenticata.

I fatti si svolsero nel paese di Isola del Liri, all’epoca denominata Isola di Sora, sita attualmente nel Lazio meridionale, ma al tempo facente parte del Regno di Napoli, (circa 3km dal confine con l’allora Stato Pontificio). Isola del Liri, come indicato dal nome, (d’ora in avanti semplicemente Isola, anche nel rispetto della lingua locale per la quale è indicata come L’Isera, cioè l’Isola)  è un’isola fluviale, formata appunto dal fiume Liri (nella parte finale assume il nome di Garigliano). Quest’isola ha la particolarità di essere formata da due cascate di circa 30 metri di altezza;  sulla biforcazione del fiume, prima del salto delle cascate,  sorge una rocca, poi trasformata in palazzo e residenza  dai Principi Boncompagni Ludovisi,  feudatari del Ducato di Sora. E’ possibile avere un’idea del posto a quei tempi, prima che la crescita urbanistica nascondesse alcune particolarità, da quanto riportato nell’etichetta dei vini del castello, ove compare un particolare della pianta del paese alla fine del 1700, cioè proprio coeva al racconto.

Il luogo è di una bellezza ed interesse naturalistico notevole ed è stato più volte rappresentato in dipinti presenti in diversi musei, tra cui anche il Louvre, collocato  sulla direttrice tra Roma e Napoli. Questa sua collocazione geografica e la particolarità del posto hanno fatto sì che più volte il paesaggio del castello sulle cascate fosse rappresentato nelle stampe dei viaggatori del Grand Tour di fine 1700 e metà 1800, proprio perché ne rappresentava una tappa in qualche modo obbligata dei viaggatori che da Roma si recavano a Napoli, passando poi per Montecassino, Capua ecc. (e viceversa). Un luogo dunque di “passaggio obbligato”, quale è la Valle del Liri, che ha purtroppo avuto anche conseguenze negative in periodi di avvenimenti bellici, l’ultimo dei quali legato al fronte di Cassino nel 1944.

Ma torniamo ai fatti: ci troviamo negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione francese; il 31 agosto del 1796  Il ducato di Sora, come entità feudale o (per meglio dire Stato feudale), aveva cessato di esistere, riunito alla diretta amministrazione dello stato centrale borbonico. Conseguentemente il Castello dei Principi Boncompagni Ludovisi era stato acquisito al Regio Demanio.

Il Sovrano del tempo, peraltro stretto parente della deposta dinastia borbonica francese[1], si schierò ovviamente, come tutte le monarchie del tempo, contro la Francia rivoluzionaria e ciò determinò una prima spedizione dell’esercito francese sia a Roma che poi a Napoli, con la proclamazione delle rispettive repubbliche liberali e filofrancesi. A seguito della formazione della seconda coalizione  anti francese, tra Austria e Russia durante la campagna di Egitto, fu necessario richiamare al Nord Italia le armate presenti al Sud ed in particolare a Napoli, sia per necessità di avere forze sufficienti per difesa, sia  per evitare che fossero tagliate fuori dagli eserciti della coalizione e colpite dai movimenti di resistenza filoborbonici, particolarmente agguerriti.

Fu così che in ambito generale di ripiegamento dell’esercito repubblicano francese,  dopo brevi scaramucce con le avanguardie, conclusesi con successo da parte dei difensori della guardia civica locale, fortificatasi nel Castello e nell’isola, il giorno  12 maggio 1799 si presentò una colonna dell’esercito francese, formata da circa 13.000  uomini chiedendo il libero passaggio per lo Stato Pontificio. La guarigione locale, probabilmente esaltata dagli esiti positivi dei precedenti scontri, confidando nell’arrivo di rinforzi dalle guarnigioni dei paesi vicini ed evidentemente sottostimando le forze avversarie, si rifiutò di concedere il passaggio all’esercito francese, accogliendo a fucilate i messaggeri inviati.

Sembra che in tale contesto fosse rimasta ferita anche la moglie del generale francese Oliver che non prese bene tale accadimento, con la conseguente decisione di andare ben oltre le iniziali richieste. Piazzati i cannoni  sulle alture circostanti iniziò un bombardamento cui non vi poteva essere opposta la fucileria della piccola guarnigione della milizia del posto; ancora oggi si possono vedere sulla torre del castello, dove era concentrata la resistenza, gli effetti delle cannonate francesi e sono anche conservate palle di cannone rinvenute nel corso dei successivi restauri.

In breve, le truppe francesi dopo aver abbattuto a colpi di cannone le porte di accesso, invasero l’abitato, dal quale i cittadini non potevano più allontanarsi, avendo i difensori precedentemente demolito i ponti di attraversamento del fiume Liri[2];  restava loro un unico rifugio convenzionalmente ritenuto inviolabile, quali erano le chiese, dentro le quali vigeva una sorta di diritto di asilo e di impunità, risalente al medioevo. L’esercito rivoluzionario francese, nemico giurato della nobiltà e del clero, evidentemente non ritenne di rispettare l’antica regola e sterminò tutti coloro che si erano rifugiati nella chiesa di San Lorenzo, compresi donne e bambini, in un numero di 350 . Altre uccisioni vi furono nelle abitazioni, in quanto tutto l’abitato, comprensivo degli edifici religiosi, fu sottoposto a saccheggio e devastazione per due giorni. Dalle cronache del tempo si ha notizia di uccisioni di 600 cittadini  su di una popolazione censita di un migliaio di abitanti. Dopo alcuni mesi i superstiti ritornarono ad Isola e iniziarono la ricostruzione dopo aver dato sepoltura alle vittime e riconsacrato gli edifici di culto.

Passarono gli anni e la Francia vide il passaggio dal regime giacobino a quello imperiale di Napoleone, il quale in una successiva campagna d’Italia riconquistò nuovamente l’Italia ed il Regno di Napoli, dove non fu più insediata una forma repubblicana di governo locale, ma semplicemente insediate  delle  monarchie di stampo borghese, affidate ai familiari dell’imperatore e come tali filofrancesi. In tale contesto nel 1809 divenne Re di Napoli il cognato di Napoleone, nella persona di Gioacchino Murat, il quale, seppure fosse principalmente un valente generale e pertanto interessato più a questioni militari che di amministrazione, volle prendersi cura del suo nuovo regno , sottraendolo al ruolo di stato vassallo della Francia, come sarebbe stato nelle intenzioni di Napoleone, dotandolo di  una sua autonomia economica. I territori dell’ex ducato di Sora rappresentavano uno dei siti  di produzione dei tessuti del Regno di Napoli, in particolare delle lane (provenienti dai monti del vicino Abruzzo – all’epoca indicati come Abruzzi), lavorate mediante telai manuali nella vicina città di Arpino. Murat volle ammodernare e potenziare la produzione industriale del suo Regno e per realizzare le sue intenzioni, volle chiamare dalla Francia imprenditori del settore che affinché introducessero  le innovazioni tecnologiche necessarie.

Limitando il racconto agli avvenimenti “isolani” va detto che in quello che una volta era chiamato il “Delfinato” cioè l’odierna zona a sud di Lione, era fiorente l’industria tessile, con l’adozione dei telai denominati Jacquard. Diversi imprenditori francesi furono invitati dal Murat ad installarsi nel Regno di Napoli per dare impulso alle nuove iniziative imprenditoriali, godendo di importanti  benefici statali, resi possibili  anche dalle abolizioni dei privilegi ecclesiastici[3]. Con decreto del settembre 1809 Gioacchino Murat concesse in comodato decennale il castello dell’Isola (di Sora) all’imprenditore Charles Lambert affinchè vi impiantasse una fabbrica di panni “ad uso di Francia”.

Unitamente al Lambert, mio antenato, arrivarono  diversi imprenditori francesi nel circondario, attratti sia dai benefici agevolativi del Murat, ma anche dalle prospettive di produzione offerte dal sito. Infatti la presenza del fiume Liri, alimentato dalle nevi dei vicini monti dell’Abruzzo, nonché la conformazione orografica (con frequenti “salti” o cascatelle)  offriva una prospettiva di utilizzo di energia idraulica gratuita, necessaria al funzionamento dei macchinari installati, con sostituzione della pregressa energia manuale. In quello che convenzionalmente è indicato come “decennio francese” corrispondente alla dominazione francese nel Regno di Napoli della famiglia Bonaparte (venuto meno nel 1815), furono  impiantate da parte di imprenditori francesi diverse attività industriali sia nel campo della tessitura che nel campo della produzione cartaria, produzione questa che poi prese in sopravvento nel territorio di cui parliamo.

Sappiamo tutti che la caduta definitiva del sistema napoleonico e con gli assetti disposti  dal congresso di Vienna, furono ristabiliti gli antichi regimi monarchici preesistenti e pertanto vi fu il ritorno della monarchia borbonica nel Regno di Napoli. Alla luce di quanto successo nel 1799  e di quelle che sono le conoscenze generali “di come va il mondo”, ci si sarebbe aspettato che la popolazione ed i nuovi governanti, individuassero negli “stranieri” francesi i soggetti sui quali muovere azioni di rivincita, di vendetta ed anche esperire azioni di arricchimento ai danni dei “nemici”.

Accadde invece che il popolo isolano inviò al sovrano borbonico delle suppliche per non allontanare questi nuovi imprenditori dal territorio, suppliche che furono ben accolte dal sovrano che emise apposito decreto con il quale metteva sotto la protezione reale i cittadini francesi ed i loro beni. Non mi risulta che a seguito della caduta del regno murattiano si siano  registrati rientri in patria della “colonia” francese[4], peraltro probabilmente malvista in patria  in quanto costituita da “bonapartisti” (Dumas racconta nei suoi romanzi l’ostilità dell’ancien régime francese contro i bonapartisti come si può leggere nel “Conte di Montecristo”) e pertanto le industrie nate dai decreti del Murat,  prosperarono e si ingrandirono nel tempo, anche con il crescente contributo dell’imprenditoria locale che nel tempo si è prima affiancata e poi anche  in parte sostituita a quella inziale francese, così come accadde anche nel caso della mia famiglia.

La storia  ci ha abituato a racconti che vedono i vinti cacciati e soggetti a sopraffazioni  dovendo in qualche modo ripagare quanto altri prima di loro hanno compiuto contro la popolazione locale; siamo stati abituati a vedere la monarchia borbonica, di evidente stampo assolutista, come retrograda e sorda ad ogni iniziativa di progresso, mentre quanto vi ho  raccontato evidenzia l’intelligenza di un popolo, la sua capacità di accoglienza e di condivisione di culture e usi, dandoci una lezione di civiltà, di intelligenza e collaborazione che sembra appartenere più ad un futuro immaginario che ad un passato lontano.

Vorrei chiudere questa piccola testimonianza con un passo di un libro scritto dal celebre compositore francese Hector Berlioz nelle sue “memorie” di un viaggio in Italia del 1830 , nel quale racconta ed indirettamente conferma il contenuto di questo mio scritto: “ Una marcia forzata da San Germano (Cassino) ci fece arrivare in un giorno a Isola di Sora, , un villaggio[5] situato sulla frontiera del Regno di Napoli, che vale la pena di visitare  per il suo piccolo fiume che dopo aver messo in funzione parecchi stabilimenti industriali, viene a formare una bellissima cascatala nostra prima parola, entrando in città, fu per chiedere di una locanda. “ E …locanda.. non c’è né “ ci rispondevano i contadini con un’aria di canzonatoria pietà. “Ma la notte dove si và?”  “ E … chi lo sa?” Chiedemmo di passare la notte in una brutta rimessa; non c’era un filo di paglia ed il proprietario si rifiutava… Avevo già trascorso a Isola di Sora una giornata; per fortuna ricordavo il nome di Courrier, francese, proprietario di una cartiera. Ci viene indicato tra un gruppo di persone suo fratello; espongo a costui il nostro problema, e, dopo un istante di riflessione, mi risponde in tutta tranquillità in francese, anzi, visto l’accento, potrei anche dire in dialetto del Delfinato: “Perdio! Vi si troverà una sistemazione per dormire bene”. “Ah ! siamo salvi, Courrier  è del Delfinato, io sono del Delfinato, e tra gente del Delfinato, come dice Charlet, l’affare si può arrrangiare”. In effetti, il cartaio, che mi riconobbe , si comportò con noi con la più sincera ospitalità. Dopo una cena più che confortevole, un letto gigantesco, come non ne ho visti che in Italia, ci accolse tutti e tre; vi riposammo assai comodamente, riflettendo sul fatto che sarebbe stato meglio, per il resto del nostro viaggio, sapere quali fossero i villaggi con almeno una locanda, per non correre il rischio al quale eravamo appena sfuggiti…


[1] Va ricordato che Maria Antonietta, Regina di Francia, ghigliottinata  sulla Place della Concorde  era la sorella della Regina di Napoli.

[2] Sembra peraltro che il fiume fosse particolarmente “gonfio” perle piogge cadute nei giorni precedenti.

[3] Molte iniziative industriali  vennero ubicate in ex conventi o chiese sottratte agli enti ecclesiali.

[4] In francese si utilizza il termine di resortissant, cioè di cittadino francese residente all’estero.

[5] La traduzione villaggio è tipica di un francesismo, dove village, indica una piccola città (ville); mentre noi utilizziamo più il termine di paese.

Lunarossa: le 7 vite di 7 annate del Quartara di Mario Mazzitelli

Sette vite come i gatti. Sette annate così diverse ed entusiasmanti del Quartara di Lunarossa. Mario Mazzitelli non manca di stupire continuamente con la ricerca spasmodica della perfezione; lo fa andando controcorrente nell’utilizzo di tecniche e contenitori per elevare i suoi vini ad uno status di reperti unici sul mercato.

Parlare di terracotta, sotto forma di orcio anni fa e divenuta adesso prodigio di uniformità con le anfore Tava, saper maneggiare al meglio tale materiale retaggio di uno stile primordiale, è da veri precursori del ramo. Ebbi una folgorazione nel 2015, all’epoca ancora imberbe del mondo del vino mi appoggiavo ad un ristorante purtroppo scomparso che si chiamava Sorso 23. Per i pochi eletti che hanno avuto la fortuna di scoprirlo (la location era a dir poco curiosa, posta nelle vicinanze di una pompa di benzina verso Baronissi), la proposta vini era davvero interessante, curata nei dettagli dal sommelier Alessandro Pecoraro, ex della braceria Terrantica e attualmente in capo a Casa del Nonno 13.

Mario Mazzitelli

Gli studi iniziali

Trascorsi quasi 10 anni da allora, dopo aver incontrato più volte Mario Mazzitelli negli eventi enogastronomici, finalmente ho avuto modo di visitarne l’azienda nata nella filosofia “parva sed apta mihi”. Mario si è prima laureato in Scienze delle preparazioni alimentari a Portici, iniziando a lavorare da un amico produttore a Mirabella Eclano e, successivamente, dall’istrionico Bruno De Conciliis che lo ha avviato alla conoscenza dell’enologia. Nel 2001 passa da Venica & Venica come tecnico di laboratorio, per conseguire l’anno seguente il Master in Viticoltura ed Enologia dalle mani del prof. Attilio Scienza.

L’incontro con Roberto Cipresso

Ormai il tarlo di come realizzare un vino aveva già intaccato la sua mente, avida di nozioni e metodi da apprendere. Ed ecco spuntare Roberto Cipresso che lo volle con sé agli inizi del 2003 a Montalcino per aiutarlo nelle consulenze delle Tenute. Il rientro a Salerno con un bagaglio di esperienze importanti conducono Mazzitelli a lavorare dapprima alla Cooperativa Vitivinicola Cantine Monte Pugliano e, dopo la chiusura, a creare il marchio Lunarossa acquisendo le uve da alcuni conferitori per iniziare a imbottigliare.

Il progetto Lunarossa

Siamo giunti nel 2007 con Lunarossa, e con l’aiuto dell’enologo Fortunato Sebastiano viene concepita l’idea del Quartara, un Fiano vinificato e maturato in anfore di argilla e pietra lavica. Con la dovuta calma, imparando anche dagli sbagli, si è passati anche all’inserimento di legni piccoli di rovere e a calcolare lotto per lotto, parcella per parcella, quali dovessero essere i tempi esatti per ottenere il meglio. Un’opera certosina, impressionante, che lascia di stucco per la modestia del suo autore che non si vanta mai di quanto realizzato con sacrificio quotidiano. Oggi parleremo di 7 annate di un vino icona della Campania, amato da chi riconosce le cose belle di questo mondo che ha ancora tantissimo da raccontare (senza “supercazzole” per carità); temuto e visto con diffidenza da chi si limita ad una visione superficiale o in malafede e preferisce prodotti omologati costruiti ad arte.

A ciascuno il suo Quartara

La degustazione seguirà l’andamento dalla vintage più recente a quelle più lontane nella memoria:

2020: assaggiata proprio per le Festività natalizie, in abbinamento ad un formaggio a pasta molle dell’azienda Kasanna di Nicola Memoli a Sala Consilina, affinato nelle vinacce di uve Aglianico. La linerarità del sorso lascia disarmati. C’è tutto del Fiano, dai fiori bianchi alla polpa di pera e mela per concludere verso un tocco aromatico di spezie dolci. Equilibrio e potenza uniti verso il futuro.

2019: la sosta in anfora prevale nell’espressione resinosa e balsamica con sensazioni di tostature e mandorla essiccata nel finale. Pecca leggermente in lunghezza, mostrando i limiti di un’annata a tratti siccitosa, a tratti troppo fresca nei momenti salienti di sviluppo degli acini e di vendemmia.

2018: bella, scattante, agrumata. Per i rossi italiani è stata in chiaroscuro, ma dai bianchi arrivano numerose soddisfazioni. Emerge la vena minerale tipica del varietale, con nuance iodate di salsedine e pietra marina. Saporito.

2017: pesa il caldo eccessivo, a volte fiaccante. Anche la vigna più forte e resistente alla lunga si chiude a riccio per sopravvivere, a discapito di acidità e note vibranti. Ha ormai detto il suo.

2014: le piogge eccessive hanno influito sulle corrette maturazioni, tuttavia il prodotto finale risulta delicato ed espressivo; un carattere a tratti mordace, quasi un ricordo di catechine, che rendono il vino instancabile al palato (e fortemente defaticante).

2013: ecco il mio colpo di fulmine, eseguito ancora alla vecchia maniera ovvero spingendo con la parte ossidativa in stile orange wine. Alla cieca lo avrei posto ai confini tra Friuli e Slovenia, invece siamo qui nella Provincia di Salerno. Fiori secchi, albicocca disidratata e tanto zenzero e pepe bianco in chiusura. Eterno.

2012: commovente. Dai riverberi di miele di millfiori, pesca acerba ed erbe officinali. Struttura e nerbo in un guanto di velluto. Ancora vivo e scalpitante, il migliore assaggiato finora, anche se la 2020… chissà.

Ave al “tuo” Quartara o Mario Mazzitelli!

Beux 2023 i vini del Piave e la storica forma di allevamento della vite “a bellussera”

Il Piave oggi “non mormora”: è invece fragorosa la sua voce sulla valorizzazione del territorio.

Fa scoprire al visitatore attento le proprie tradizioni, la propria cultura, accompagnandolo in percorsi enogastronomici e paesaggistici che lasciano il segno e che parlano di un Veneto orgoglioso e antico; il primo weekend di dicembre ho avuto l’occasione, insieme ad altri wine blogger e giornalisti, di partecipare alla terza edizione dell’evento Beux 2023 dedicato alla Bellussera, antica forma di allevamento della vite, e alle Terre del Piave, organizzato dalle cantine Enotria Tellus, Tenuta Giol, Bonotto Vini, Casera Frontin e Casa Roma.

Un’occasione per conoscere questa zona vitivinicola e la sua gente che porta avanti con determinazione, competenza e passione un lavoro tanto difficile quanto pieno di grandi soddisfazioni. Oltre alle visite in cantina, siamo stati coinvolti in una degustazione alla cieca di vini scelti dai partecipanti, il fil rouge la vendemmia tardiva. Abbiamo dovuto aguzzare ingegno e abilità per cimentarci nell’assaggio di vini dolci e secchi e decretarne il vincitore. Ad accoglierci sabato mattina Anisa e Fabio di Enotria Tellus, giovani e pieni di entusiasmo. Un nome, quello della cantina, che rimanda alla vocazione vitivinicola dell’Italia già nell’antichità. Venne inaugurata nel 2016 ed i suoi vigneti si estendono nel comune trevigiano di San Polo di Piave. I prodotti sono ben curati sin dalle etichette, uniche ed eleganti, create dalla vena artistica di Anisa.

Nella degustazione sono stata rapita dal loro “Viajo” (in veneto viaggio), Pinot Grigio delle Venezie DOC dosaggio zero che sprigiona profumi delicati di fiori bianchi e note fruttate, all’assaggio sapido e minerale. Tra i rossi spicca il “Piradobis” da uve Merlot surmature, Raboso Piave e Passito di Raboso Piave. Vinificato e affinato in anfore di terracotta, il nome nasce dalla traslitterazione di una parola georgiana che significa identità, omaggio alla patria della vinificazione in terracotta. Anche la linea dei Prosecchi: Prosecco Doc Treviso Brut Millesimato e Prosecco Doc Treviso Extra Dry Millesimato esprime un carattere deciso, come il papavero giallo rappresentato sulle etichette, un fiore tenacemente radicato nel terreno in cui vive. Perlage fine e persistente con profumi di gelsomino, mela, glicine.

Da Tenuta Giol la data del 1427 campeggia all’ingresso e qui il tuffo nella storia è assicurato. Questa antica cantina è un complesso che ha resistito nel tempo, circondato da alberi secolari costeggiati da un ruscello d’acqua sorgiva. Qui sono presenti le testimonianze della civiltà contadina di San Polo di Piave. Nel 1919 Giovanni Giol, da poco rientrato da Mendoza (Argentina), dove era emigrato giovanissimo e aveva creato un impero e la più grande cantina del mondo, acquistò dalla famiglia Papadopoulos l’intero complesso: il Castello, il Parco, le Antiche Cantine e un immenso terreno.

E’ Vittorio Carraro, nipote di Giovanni Giol, che ci guida alla scoperta della tenuta e delle cantine, l’azienda è legata alla coltivazione dei vigneti e alla produzione di vini DOC del Piave. Durante la visita scopriamo gli edifici storici: il vecchio caseificio e l’enorme granaio, si respira l’aria della vita quotidiana vissuta negli anni trascorsi e le vicissitudini tra le due guerre. Vittorio ci racconta di come il massimo rispetto per l’ambiente e la ricerca continua della qualità lo abbiano portato alla produzione di vini biologici e vegani nel rispetto della tipicità delle uve, vini genuini e autentici.

La visita alla Cantina Granda e alle cripte di invecchiamento è molto suggestiva, diversificata la proposta enoica: da vini prodotti con vitigni resistenti (Bronner), agli eleganti Prosecchi; dai bianchi Pinot Grigio e Chardonnay che regalano una piacevole beva, ai rossi Merlot e Cabernet Sauvignon che trovano in questo territorio un’ottima interpretazione. Una chicca il loro 1427 spumante Metodo Classico di Raboso che riposa per 40 mesi nella parte più antica delle cantine.

Parlando della Tenuta Giol una digressione è d’obbligo per dare qualche cenno sul fiabesco castello che appartiene alla famiglia. Un antico palazzo in stile neogotico inglese e un parco storico realizzato attorno al lago. La struttura attuale risale al 1865 ed era la residenza di campagna della famiglia Papadopoli, venne incendiata sul finire della Grande Guerra, nel 1921 fu acquistata e ricostruita nelle parti interne dal commendator Giovanni Giol. In questa splendida cornice si è tenuta la cena di gala dell’evento BEUX dove i vini delle cantine ospitanti accompagnati da dell’ottimo cibo hanno deliziato noi commensali.

Finalmente arriva l’incontro con la Bellussera da Tenuta Bonotto. Riccardo Bonotto ci conduce nei vigneti con il trattore, addentrarsi sotto i tralci, ascoltare la storia di questa famiglia che dal 1870 porta avanti con dedizione l’attività vitivinicola, è veramente emozionante. Ma cos’è la Bellussera? E’una tecnica di allevamento della vite ideato alla fine dell’800 dai fratelli Bellussi proprio in questa zona, prevede un sesto d’impianto con pali di legno alti quattro metri e collegati tra loro con fili di ferro disposti a raggi, una vera opera d’arte.  

lo scopo era quello di combattere il flagello della peronospora e di sfruttare al massimo le risorse della terra: nei larghi corridoi dell’interfilare potevano essere coltivati ortaggi e, se le viti venivano maritate ai gelsi, si potevano utilizzare le foglie delle piante per allevare bachi da seta. Il vigneto si trasformava così in un piccolo eco-sistema di coltivazioni agricole integrate, che doveva garantire la sussistenza di famiglie molto numerose.

La degustazione in cantina, accompagnata da rimandi storici, è molto interessante: il Manzoni Bianco che regala profumi floreali, un vino fine e delicato; Il rosato leggermente mosso prodotto con uve Manzoni Moscato, un sapore armonico e vellutato; il Raboso che viene vendemmiato tardivamente così da ottenere una lieve surmaturazione in pianta, vitigno identitario della zona del Piave, complesso ed elegante con una grande struttura.

Il Raboso fu largamente diffuso fino al 1949 nell’area della riva sinistra del Piave. Successivamente a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta gli agricoltori iniziarono a preferire le varietà internazionali più richieste dal mercato e il Raboso finì per essere quasi dimenticato. E’recente la sua riscoperta anche grazie al grande interesse che si è sviluppano negli ultimi anni verso i vitigni autoctoni e alla perseveranza delle cantine della zona che lo stanno facendo riemergere dall’oblio.

Gli assaggi che ci riserva Casa Roma- Peruzzet spaziano dai vitigni internazionali agli autoctoni, mi soffermo sulla loro Marzemina Bianca, una vera perla enoica, un vitigno di antica coltivazione presente nella pianura trevigiana già dal 1700. Regala un vino dal gusto fresco e asciutto con profumi floreali e una piacevole mineralità.

Di Casera Frontin il loro Spumante Brut Nature è una piacevole scoperta: vitigni resitenti, Bronner, Johanniter, Pinot Grigio e Solaris. Delicate note floreali e fruttate, sensazioni fresche e minerali fanno di questo vino, che affina in anfore di terracotta, un inno alla natura e alla biodiversità.

Sono stati due giorni intensi che mi hanno regalato un’esperienza immersiva in questo territorio e tra la sua gente. Una zona coinvolgente che invito a scoprire.

Prosit!

Be.Come 2023 : edizione che conferma l’importanza dello “Human-Centered Manufactoring”

Si è svolta a Milano presso il Radisson Collection Santa Sofia la terza edizione dell’evento che vuole puntare sulla centralità del fattore umano nel sistema produttivo nel mondo del vino. Alessandra Montana, founder di Allumeuse Communication, spiega come “ in un mondo pervaso dalla tecnologia, dove ormai i social sembrano obsoleti e si parla solo di Intelligenza Artificiale, Be.Come 2023 vuole affermare con vigore le persone al centro”.

Gabriele Gorelli, Master of Wine e co-fondatore di Be.Come, aggiunge che l’evento ha un appeal “internazionalizzato e internazionalizzante, che sposta su Milano appunto, per mostrare una inconfondibile italianità che vuole fare squadra, confrontarsi ed elevarsi sempre più attraverso tutta quella serie di valori intangibili, ma fortissimi, che circondano il calice.

Un format che ha permesso alle persone del settore intervenute di incontrare, ai tavolini dedicati in una sala adiacente la hall dell’albergo, i produttori in una atmosfera speciale, dove è stato possibile approfondire la conoscenza delle persone e il racconto dei  vini in degustazione.

Silvia Allegrini ha narrato la nascita dell’azienda e le scelte fatte dal nonno Giovanni mentre era in degustazione uno dei loro grandi vini, La Poia 2018, ottenuto da corvina in purezza, un vitigno del territorio capace di regalare grandi emozioni nell’invecchiamento. Un vino figlio di una “annata di luce” (o leggera, più fresca), in cui si apprezzano le note erbacee, i sentori netti e puliti di amarena e prugna, la struttura e la dinamicità del sorso; venti mesi in botti nuove di Allier, otto in botti di rovere di Slavonia prima di essere messo ad affinare i bottiglia per 10 mesi.

Chiara Lungarotti ha testimoniato l’impegno della sua famiglia nella promozione e nel riconoscimento della viticoltura umbra non solo in Italia ma anche nel Mondo. Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio è un vino che sa esprimersi nel tempo, mantenendo l’eleganza. Rubino intenso, con un corredo olfattivo di squisita complessità che si declina in note di mora e marasca, violetta, menta e spezie dolci. Tannino morbido e vellutato, di buona persistenza. Da uve sangiovese che vengono vinificate in acciaio e maturano in botti di diversa capienza per circa un anno, a cui seguono 4 anni di affinamento in bottiglia.

Masciarelli inizia negli anni Ottanta a produrre vino e ad andare in  controtendenza: invece di puntare sugli internazionali, strizza l’occhio al montepulciano d’Abruzzo, l’autoctono per eccellenza della sua regione. Nel 1987 conosce Marina Cvetic che diventa la sua compagna e madre dei suoi figli. Purtroppo scompare prematuramente Gianni e Marina porta avanti l’azienda che attualmente conta su di una presenza femminile al 54% . Villa Gemma è il luogo da dove tutto è iniziato e in degustazione erano presenti sia il montepulciano che il cerasuolo. Due vini di grande espressioni territoriale e veramente emozionanti. Il Cerasuolo 2022 è ottenuto facendo macerare per 12 ore a 4 gradi le uve di montepulciano, ha buona struttura, freschezza e succosità del frutto. Chiusura sapida, perfetto in abbinamento al cibo.

Gabriele Gorelli ha condotto una prima masterclass, in collaborazione con Danielle Callegari, dal titolo “Wanderers above the sea fog” ispirandosi al celebre quadro di Friedrich – Il Viandante della Nebbia- per presentare le etichette che emergono nel panorama del mondo del vino: un percorso davvero emozionante.

La “contaminatio” con le opere d’arte è proseguita nella seconda masterclass, condotta da Gabriele Gorelli MW e Jeffrey E. Porter, giornalista, wine educatore e wine consultant, ispirata dall’opera di Jeff Koons che ritrae una cane fatto da palloncini: proprio il palloncino può essere visto come il simbolo degli obiettivi, desideri e delle aspirazioni. Essi possono alzarsi e sperimentare quel senso di libertà che noi stessi vorremmo provare.

Eric Guido editor di Vinous ha condotto invece la masterclass “Exposing the terroir of Montalcino”: numerose le aziende ilcinesi presenti alla manifestazioni tra cui Altesino, Argiano, Baricci, Castello Romitorio, Castiglion del Bosco, Col d’Orcia, Fuligni, la Magia, Poggio di Sotto, Salicutti, Talenti, Uccelliera. La comunità di Be.Come 2023 ha visto inoltre ampliare il suo orizzonte d’azione grazie all’intervento di partner internazionali: una delegazione di viticultori della Napa Valley, Champagne Morel e De Venoge e due aziende asiatiche, la cinese Silver Heights e la Shinken con i sake spumanti del Sol Levante e l’evento risalta nel panorama degli appuntamenti enoici, sia in Italia che all’Estero, per la qualità e l’innovazione del modo di comunicare il vino.

L’esperienza culinaria a bordo di una nave da crociera sulla MSC World Europa

A bordo di una nave da crociera, il lusso e il piacere si fondono in un’esperienza culinaria straordinaria che solletica i sensi e soddisfa i palati più esigenti. Invitato a questo viaggio in mare a bordo della nuova nave di MSC Crociere, la World Europa, il cibo diventa una parte fondamentale del pacchetto turistico, trasformando ogni pasto in un’avventura enogastronomica.

La nuova nata, entrata a far parte della flotta della celebre Compagnia di navigazione italiana, è una nave di ultima generazione con particolare attenzione alla sostenibilità. I suoi potenti motori sono alimentati a GNL (Gas Naturale Liquefatto), uno dei combustibili più puliti al mondo. Solo dai numeri ci si rende conto che si tratta di un miracolo della tecnologia: ha una capacità di 6.762 passeggeri, 2.138 membri di equipaggio, 2.626 cabine di cui 66 adatte a ospiti con disabilità, 7 piscine, 13 vasche a idromassaggio, 13 ristoranti, 14 bar/lounge, 5 bar all’aperto, 9 negozi, un teatro con 1.153 posti a sedere e tante attrazioni per il divertimento di grandi e piccini, oltre agli spazi dedicati al fitness e al benessere con il settore Aurea SPA.

Le navi da crociera moderne non sono solo un mezzo di trasporto, ma veri e propri mondi galleggianti che racchiudono insieme il meglio di un hotel, della ristorazione, dello svago e del divertimento a 360 gradi, con spettacoli e attrazioni di altissimo livello. I ristoranti a bordo offrono una varietà di cucine internazionali, portando l’ospite in un viaggio attraverso sapori e tradizioni di tutto il mondo. Che si tratti di sushi fresco preparato al momento, piatti mediterranei leggeri o banchetti ispirati alle cucine esotiche, la scelta è ampia e soddisfa ogni preferenza culinaria.

I ristoranti “a tema” sono spesso il cuore di questa esperienza gastronomica, per coloro che cercano un’esperienza più intima. Che sia un ristorante di carne alla griglia, un locale di cucina fusion o un raffinato gourmet, gli ospiti hanno l’opportunità di assaporare piatti prelibati in un ambiente più esclusivo. Con i loro eleganti allestimenti e il servizio impeccabile, offrono la possibilità di gustare pietanze eccellenti mentre ci si gode una vista mozzafiato sul mare.

Il menù varia giornalmente, offrendo una selezione di antipasti, primi, secondi e dessert preparati con maestria dagli chef di bordo. Inoltre è stata appositamente approntata una selezione di vini ed è presente anche uno Champagne Bar in cui è possibile degustare deliziose ostriche abbinandole alle bollicine per antonomasia. Ma l’esperienza culinaria non si ferma ai tradizionali ristoranti. Le navi da crociera, come la MSC World Europa, sono anche dotate di caffetterie accoglienti, gelaterie, cioccolateria e buffet con vasta scelta di cibi e spazi dedicati persino ai barbecue all’aperto.

Per garantire i pasti per un numero così importante di passeggeri, equipaggio compreso, la nave ha in dotazione numerose cucine provviste di macchinari all’avanguardia che sono  stati appositamente progettati per la preparazione e lavorazione di alimenti a bordo, grazie a personale altamente qualificato che opera con turni programmati per fornire un servizio giorno e notte, 7 giorni su 7.

Eleganza e stile con un occhio alla tecnologia i punti cardine sviluppati dai progettisti, in cui ogni ambiente è studiato per far vivere un’esperienza indimenticabile agli ospiti. La zona MSC Yacht Club con suite lussuose e spaziose crea la giusta tranquillità e discrezione che viene riservata ai clienti più esigenti.

La nave stessa diventa un’ambita meta culinaria, offrendo viaggi attraverso i sapori del mondo in un ambiente lussuoso e rilassante.

Buon Natale da 20Italie

Comincia una nuova rubrica settimanale all’interno del palinsesto di 20Italie. L’abbiamo chiamata L’editoriale del lunedì, con lo scopo di offrire spunti di riflessione ed informazioni utili a chi vive nella quotidianità il settore enogastronomico. Il ruolo sarà quello di semplici spettatori imparziali: non troverete mai giudizi tagliati con l’accetta o premonizioni sul futuro in stile Nostradamus.

L’anno vissuto è stato ricco di emozioni, a cominciare dalla coda conclusiva dell’incubo pandemia, relegata per sempre ai ricordi sbiaditi di un momento difficilissimo per il mondo intero. I numeri, in particolare quelli del vino, gridano vittoria in numerose tipologie e la fiducia del consumatore medio ha raggiunto livelli impensabili fino a qualche anno fa. Ben poco aggiungono o tolgono al prodotto finale le polemiche sul Brunello di Montalcino 2018 di Argiano, miglior vino al mondo per Wine Spectator. O la storia del “piccolo chimico” della trasmissione Report, che nel marasma generale di un servizio bulimico ha evidenziato (in maniera molto grossolana e con delle imprecisioni), alcuni temi caldi che andrebbero invece affrontati in sedi diverse.

Manchiamo, a volte, di sano spirito d’autocritica rischiando di trincerarci dietro il motto “tutto va bene madama la Marchesa”; non va tutto bene (lo sappiamo perfettamente) e di sicuro la dualità tra aziende da grandi numeri e piccoli produttori artigianali continuerà anche nel 2024, rappresentando l’ostacolo maggiore nei rapporti di forza del settore enologico. Il vino sta diventando sempre più fenomeno di massa, con prezzi ormai fuori da qualsiasi logica di mercato, dimenticando il delicato potere di rappresentare un territorio e le sue tradizioni. Il paese di Bengodi, dove i 30 denari di Giuda si sono moltiplicati all’infinito, ha prodotto storture e artifici legalmente validi, ma eticamente discutibili.

Chiudiamo con una punta di tristezza nel ricordo di un imprenditore campano scomparso all’alba della Vigilia per un drammatico incidente: Luciano Bifulco. Di lui scrissi qualche anno fa per un’altra testata, ammirandone l’operato nelle sue moltiplici attività da allevatore, produttore e commerciante di carni. Non ultimo il progetto riuscito di realizzare un ristorante braceria in stile gourmet nella sua sede di Ottaviano, per creare cultura gastronomica. Ricorderò sempre il sorriso di un uomo soddisfatto del suo sogno e l’amarezza degli ostacoli che doveva superare ogni giorno. Lo rividi l’anno scorso e parlammo proprio degli enormi rincari della bolletta energetica, per mantenere le sue celle frigo ad ambiente e pressione controllata, opera d’ingegneria aerospaziale.

Alla sua splendida famiglia l’abbraccio del sottoscritto e di tutta la redazione. Il tempo di fermarci a riflettere su quanto sia breve e aleatoria la nostra esistenza non è mai abbastanza: il 2024 è alle porte e speriamo porti con sé notizie più lievi… e polemiche meno sterili.

Buon Natale da 20Italie.

A Natale un brindisi a tutta Puglia

Piatti tipici e calici di vino che non possono mancare sulle vostre tavole

Natale è davvero alle porte e il tempo per stilare il perfetto menu per pranzo e cena, stringe. In Puglia – e chi vi scrive è piuttosto di parte – ci si sta già dando da fare per rispettare appieno le tradizioni senza alcuna sbavatura. Tra le variazioni sul classico plateau di crudo di mare o sul “sopratavola” fatto di cruditè di verdure, senza farsi mancare i dolcetti fritti o di pasta di mandorla in ogni declinazione, da Nord a Sud andiamo alla scoperta di tutta la tipicità del buon mangiare e di abbinamenti “enoici” 100% pugliesi per festeggiare davvero al meglio.

Fritto e bollicine

Che Natale è senza la frittura? Certamente non il tipico Natale pugliese! Sulle tavole del tacco d’Italia dall’8 dicembre fino all’Epifania non possono e non devono mai mancare le frittelle di pasta cresciuta. Focaccine, pettole, scorpelle, tutte gustose declinazioni che “aprono lo stomaco” prima di grandi battaglie a tavola. Le frittelle, rigorosamente vuote o al massimo aromatizzate al pomodoro o al rosmarino, sono perfette sempre e si accompagnano con una bollicina, magari a km zero. Tra le referenze che abbiamo amato di più e a cui non vogliamo rinunciare, c’è il metodo classico da Bombino Bianco.

Un vitigno autoctono, ben radicato in Capitanata foggiana e lavorato finemente a San Severo, dove la tradizione spumantistica è storica. Una referenza raffinata, che mette tutti d’accordo in tavola la firma D’Araprì – RN spumante da Bombino Bianco che nasce da una prima fermentazione in tonneaux, svolge una permanenza sur lie, senza farsi mancare ripetuti bâtonnage. L’affinamento sui lieviti  e bottiglia poi, va avanti per 36 mesi. Accompagna egregiamente un aperitivo festoso tutto pugliese, a cui si aggiunge sempre qualcosa in più prima di passare davvero al pezzo forte.

Quando si va di bianco

La natura contadina di Puglia è sempre ben nota, ma tra le ricette che non devono assolutamente mancare per il 26 dicembre, il detox day per intenderci, è la minestra di verdure o la cosiddetta fògghja mìsche. Uno sformato di verdure di stagione ripassate in forno, condito con brodo e con un po’ di carne sfilacciata, il tutto tenuto insieme da mozzarella e formaggio grattugiato. Una teglia che arriva in tavola trionfante e si accompagna con focaccine fritte da riempire semppre con la verdura o con un po’ di pane. Un piatto che simboleggia in pieno il detto “Natale al pomodoro, Santo Stefano in brodo”.

Il perché sta nella riscoperta della tradizione, o anche nell’illusione che mangiare verdura, in qualche modo, serva per alleggerirsi dai troppi sensi di colpa di precedenti pranzi. Ma cosa scegliere in abbinamento? La Falanghina in regione sta riscoprendo la sua stagione felice e quella Cortecampana di D’Alfonso del Sordo è un ottimo compromesso per chi cerca un vino di carattere, perfetto per reggere piatti di questa portata, frittura compresa.

Vigilia al sugo

La vigilia è pesce, certo, ma un piatto di pasta bisogna pure mangiarlo, meglio se al sugo. Allora ecco trionfare il baccalà al pomodoro da servire con le amate lagane, un tipo di pasta che ben si presta a trattenere il saporito sugo di pesce. Da Nord a Sud questo è un piatto trasversale, che piace a tutti ed è piuttosto semplice da preparare. Bastano un po’ di sponsali, pomodori, baccalà già spinato e una padella pronta a fare faville. In qualche minuto il sugo è già pronto per tuffarci dentro le lagane da risottare e da portare a tavola.

Si presta bene per terminare quest’impresa un rosato da Bombino Nero e con quel po’ di Nero di Troia quanto basta. Direttamente da Castel del Monte è indicato per i suoi sentori non scontati, freschi e fragranti, con dei ricordi di frutta di bosco. Fiore di Ribes di Cantina Santa Lucia è un’espressione di Puglia di cui proprio non si può fare a meno, nemmeno per le feste.

Non è Natale senza dolcetti

Il periodo che precede il 25 Dicembre in Puglia è tutto un fabbricare dolci di ogni misura e gusto, per i più piccoli, ma anche per gli adulti golosi. Tra i grandi classici a base di mandorle spiccano i sasamelli. Tipici della piccola Gravina in Puglia, hanno saputo conquistare proprio tutti per il sapore inconfondibile che ci fa dire subito “Ora è Natale”. Preparati con mandorle tritate, rigorosamente di Toritto, farina, cacao amaro, cannella vin cotto, chiodi di garofano e olio evo, chiudono in bellezza il pranzo delle feste.

Per accompagnarli il Primitivo di Manduria Dolce Naturale è la giusta scelta e fa sempre bella figura. Il suo livello di zucchero non è mai troppo invadente o stucchevole, in grande equilibrio con tannicità e acidità. Il Chicca di Varvaglione 1921, sposa perfettamente l’atmosfera avvolgente del Natale con tutti i suoi profumi.

Mai dire no al panettone

Se il panettone non è figlio della tradizione di Puglia, bisogna dire che molte cose sono cambiate e le tavole di casa, ormai, si sono aperte alle declinazioni più fantasiose del gran lievitato milanese. Sono molti i mastri panificatori che in questi anni si sono cimentati a trovare la ricetta del panettone pugliese per eccellenza, ma Eustachio Sapone ha trovato la formula perfetta con il suo Pugliettone. Realizzato interamente con ingredienti regionali, omaggia la regione così, arrivando in tavola con un concept ben definito. “Arancia candita del Golfo di Taranto, finocchietto selvatico e odori della Murgia, Burro di Turi, fichi dottati del Salento e la tipica glassa realizzata con le mandorle di Toritto.

Una cottura in contenitore d’argilla con dei fori praticati per liberare il vapore in eccesso durante la cottura”. Una formula semplice, però di sostanza. Inutile dire che è un’armonia di sapori che piacerà anche agli haters del candito. Il Moscato di Trani è la scelta per eccellenza, con le sue inconfondibili note fruttate che ricordano gli agrumi canditi e che vanno a intersecarsi perfettamente con le arance tarantine e la mandorla di Toritto utilizzata per il topping del Pugliettone. Un abbinamento ben riuscito, quello del Moscato di Trani di Villa Schinosa, in ogni singolo dettaglio.

Buone Feste a tutti e che Natale pugliese sia!

LIFE OF WINE 2023: un viaggio tra i ricordi delle annate che furono

Life of Wine 2023, atteso con fervore da appassionati e esperti di vino, ha nuovamente brillato in tutta la sua magnificenza grazie all’abile organizzazione di Roberta Perna e di Studio UMAMI. L’evento del 3 dicembre, presso l’Hotel Villa Pamphili a Roma, è stato un autentico trionfo dedicato all’evoluzione del vino nel corso del tempo.

La giornalista Roberta Perna con Alberto Chiarenza autore di 20Italie

Nonostante le sfide legate alla viabilità delle domeniche green, il pubblico ha risposto numeroso confermando che Life of Wine è ormai un appuntamento imperdibile per gli intenditori e gli amanti del vino. Al di là dei dati di affluenza e partecipazione, la manifestazione si è distinta per la sua importanza. Una giornata che ha offerto l’esperienza straordinaria di potersi immergere in una selezione di cantine degne di nota. Verticali storiche di etichette senza tempo e senza pari. c

Quest’anno, la presenza di piccoli e talentuosi produttori è emersa maggiormente, aggiungendo quel tocco di eccellenza in più. Life of Wine ha inoltre confermato che la passione per il vino è una forza inarrestabile, capace di unire intenditori, produttori e appassionati in una celebrazione unica, che continua a far brillare la cultura enologica nella città eterna.

Gli assaggi

Metodo Classico Trento DOC di Lucia Letrari “Quore”

Tra le colline a nord di Trento sorge la storica Cantina che ha scritto le prime pagine del successo del Metodo Classico di quella valle, insieme al visionario Giulio Ferrari. Il Metodo Classico Trento DOC di Lucia Letrari Quore, un Blanc de Blanc Grandi Millesimi di Chardonnay, invecchiato per 60 mesi sui lieviti ha recitato il ruolo di protagonista nel mondo degli sparkling d’autore.

La storia della famiglia Letrari è intrecciata con quella del Metodo Classico. Quore vuole essere una celebrazione di quattro annate straordinarie, dalla vibrante annata 2016 e 2015 alle più mature 2012 e 2011. Un viaggio attraverso il tempo, con i millesimi 2016 e 2015 che apportano profumi freschi e fruttati, mentre il 2012 e 2011 offrono una complessità avvolgente, arricchita da sentori di panificazione. Il colore dorato brillante si fa sempre più carico con il passare degli anni, una testimonianza dell’evoluzione e della maturità che avviene nella quiete della cantina. Ogni sorso è un’esperienza sensoriale che avvolge il palato in un abbraccio di eleganza e complessità.

La Stradina a Gattinara conquista il cuore degli esperti

In una piccola comunità ai piedi delle Alpi, cinque amici hanno trasformato il loro legame d’infanzia in un’avventura unica nel suo genere. La Stradina, così chiamata dal punto d’incontro che li ha visti crescere, è diventata il palcoscenico di un sogno condiviso: la produzione di un Nebbiolo elegantissimo.

Mario Mostini, Roberto Petterino, Prospero Biondi, Piergiorgio Cerello e Mauro Cometto, nati e cresciuti nella pittoresca Gattinara, decidono di tracciare un percorso diverso nella loro vita adulta. La decisione cruciale arriva quando, per non perdersi di vista, decidono di acquistare i vigneti di nonno Giorgio, in paese chiamato “Rusét” per via del caratteristico colore rossiccio dei capelli. Con Piergiorgio Cerello, enologo del gruppo, la squadra decide di dare vita a un vino che si distingue per eleganza, rispecchiando le caratteristiche uniche del territorio di Gattinara. Il progetto, nato dall’affetto per la terra e la tradizione, inizia a prendere forma nei vigneti acquisiti dai cinque amici di quasi un ettaro che producono circa 3000 bottiglie.

La verticale

Gattinara 2020: Un’annata che ha sfidato il caldo e la siccità, regalando un vino vigoroso con una struttura eccezionale. Un’esperienza che cattura l’anima di Gattinara.

Balós 2019 – 15°: Con l’annata calda, questo vino si presenta con forza e grande struttura. Un viaggio sensoriale che celebra la potenza del territorio.

Rusét 2009: Intensità olfattiva sorprendente, un ventaglio di aromi che incanta i sensi. In bocca, un viaggio di sensazioni uniche che raccontano la storia del 2009.

Rusét 2011: Connotazioni fresche e tanniche, note scure che dipingono un quadro gustativo raffinato. Un’annata che incanta con la sua complessità.

Rusét Cru Vigneto San Francesco, 2018 (migliore assaggio): Il culmine dell’eccellenza. Un’opera d’arte enologica che incarna il meglio di Gattinara. Un assaggio che lascia senza parole.

Rusét Cru Vigneto San Francesco, 2015 Riserva: Un inno al tempo, una riserva che racchiude l’anima di un territorio in ogni goccia. Un’annata che si fa ricordare.

Gini: storia di passione e tradizione a Soave

Nelle colline pittoresche di Monteforte d’Alpone, provincia di Verona, si snoda la storia della famiglia Gini, custode di una tradizione vinicola che si tramanda da ben 15 generazioni. Oggi Sandro e Claudio Gini guidano con passione e dedizione le sorti dell’azienda, portando avanti l’eredità vitivinicola con un tocco di innovazione e rispetto per la natura. Un tratto distintivo che rende unica la produzione Gini è la decisione pionieristica risalente al 1985 di abbandonare l’uso di anidride solforosa nella vinificazione. La vendemmia, momento cruciale nel ciclo vitale della vite, è inoltre gestita con una cura artigianale in tre periodi distinti. Questa strategia consente di vinificare uve in momenti diversi di maturazione, garantendo un perfetto equilibrio tra freschezza e grado zuccherino.

Gli assaggi

La Froscá 2021: Una sinfonia di freschezza e note floreali, con accenni di frutta a polpa bianca. Il 2021 si presenta come un’ode alla purezza e alla leggiadria, un Soave Classico DOC che incanta i sensi.

La Froscá 2019: Un frutto più maturo, ma sempre intriso di una freschezza distintiva. Profumi avvolgenti di fiori bianchi e frutta accompagnano questo vino equilibrato e delicato. Un’annata che abbraccia l’eleganza.

La Froscá 2013: Un salto indietro nel tempo rivela una leggera nota fumè. In bocca, un vino con corpo e morbidezza straordinari, impreziosito da note di miele millefiori. La perfetta armonia tra freschezza e una leggera sapidità chiude il sipario in bellezza.

Altri migliori assaggi presenti a Life of Wine

Il Colombaio di Santa Chiara – Vernaccia di Sangimignano DOCG 2016

Fontana Candida – Frascati Superiore Riserva DOCG Luna Mater 2019

Muscari Tomajoli Aita 2020

Il Borro – Toscana IGT 2016

Sergio Mottura – Tragugnano 2014

Antonelli Sanmarco – Sagrantino di Montefalco DOCG 2012

Food Year 2024: presentato il calendario delle eccellenze gastronomiche di Pompei

Martedì 19 dicembre, nella Sala dei Misteri di HABITA79 POMPEII MGALLERY, è stato presentato Food Year 2024, il calendario che celebra dodici eccellenze, sia culinarie che pasticcere della città di Pompei. Lo scopo è di rendere il 2024 un anno di sapori ma anche di ricette da preparare a casa, in cucina con parenti e amici. Dalla pizza napoletana al piatto gourmet, dal pesce alle verdure, concludendo con il panettone tipicamente “Pompeiano”. I protagonisti sono le tavole delle location che, ogni anno, i cittadini ed i turisti scelgono per colazioni, pranzi, cene ed eventi.

L’idea è nata dal sodalizio di tre professionisti del settore food: Gianni Cesariello, giornalista e fotografo ufficiale del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP, ma anche attivo collaboratore di Slow Food; la giornalista Ilaria Cotarella, che ha collaborato con la rivista “Cucina a Sud” ed ha ideato il blog “Sud Food Express” e Marco Pirollo, giornalista nonché direttore della rivista “Made in Pompei”.

Sala gremita nell’attesa di svelare i nomi presenti, mese per mese, nel calendario. Un format avvincente che prevede, per ciascuno di essi, anche l’indicazione di una ricetta tipica proposta in chiave tradizionale o rivisitata in veste moderna. Perché la cucina è camaleontica, in continua metamorfosi.

I mesi

Gennaio con chef Carlo De Gregorio del ristorante Donna Franca e la sua ricetta “Spaghettone alla Donna Franca”

Febbraio con Mercato Pompeiano, brand giovane e visionario, che rievoca l’antico macellum di Pompei (il mercato), dove selezionare e cucinare le migliori materie prime a chilometro zero.

Marzo presente con chef Raffaele Nocerino de La Gare Pompeii Restaurant e gli Spaghetti alla Nerano, grande classico della Campania.

Aprile è il mese de La Bettola del Gusto di chef Alberto Fortunato e la ricetta degli Spaghettoni di Gragnano IGP con alici fresche, colatura di alici di Cetara, tartufo nero e burro di bufala.

Maggio con chef Gianmarco Carli del ristorante Il Principe. Figlio d’arte, tradizione nella ristorazione gourmet, la sua proposta riguarda il Tonno Balfegò con midollo, limone e porro.

Giugno tempo di pizza con il maestro pizzaiolo Nunzio Gallo di Alleria pizzeria Newpolitana, esperto di Pizza senza glutine.

Luglio propone Il Circolo Habita 79 con chef Roberto Lepre e la sua idea di Melanzana a scarpone.

Agosto di fuoco nel forno a legna del maestro pizzaiolo Guido Iovino e lo staff di L’antica Pizzeria da Michele dal 1870.

Settembre con Casa Gallo Cucina & Puteca di chef Vincenzo Cascone e la ricetta dei Totani locali alla griglia su crema di patate aromatizzate al limone.

Ottobre arriva l’autunno con chef Circo Chechile di Bosco De’ Medici Winery ed i colori del suo raviolo ripieno di ricotta di bufala, con crema di zucca, funghi porcini e Provolone del Monaco.

Novembre di straordinaria dolcezza con le meraviglie offerte dalla premiata Pasticceria De Vivo, profumi vibranti che inebriano i sensi ed il palato.

Dicembre si chiude con due giovani e talentuose promesse della ristorazione gourmet di Pompei: Antonio Cesarano e Barbara Ruscinito, compagni nella vita e nel progetto Cosmo Restaurant. Il Baccalà con insalata di rinforzo è il simbolo stesso delle festività natalizie.