Isola d’Elba: il visionario progetto Nesos di Arrighi

L’Azienda Agricola Arrighi si trova a pochi passi dal centro abitato di Porto Azzurro sulla meravigliosa Isola d’Elba. Nove gli ettari vitati di proprietà, estesi sui complessivi 22 totali e localizzati interamente nel parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Da oltre un secolo è di proprietà della famiglia elbana di albergatori, che coltivano vitigni quali i classici ansonica, trebbiano toscano (o procanico), vermentino, viogner e gli insoliti (da queste parti) chardonnay, sangiovese, sagrantino e syrah. Discorso a parte per l’aleatico, che Antonio Arrighi sa trasformare in una versione passito di rara bellezza.

Le vigne sono disposte ad anfiteatro, alcune delle quali giacciono su terrazzamenti naturali, altre sorrette da muretti a secco posti su suoli argillosi e ben protette dai venti. Finalmente è arrivato il giorno in cui conoscere questa splendida realtà. Dopo aver degustato i vini abbiamo fatto un tour con il quad tra i vigneti e malgrado il periodo di vendemmia Antonio si è reso molto disponibile, gentile e garbato come sempre a fornirmi dettagli sui vini. Un vero sperimentatore.

Progetto Nesos

In collaborazione con il Professor Attilio Scienza dell’Università di Milano è stata ricondotta sull’Elba una vecchia pratica utilizzata 2500 anni fa nell’isola greca di Chio. L’uva che si presta meglio è l’Ansonica  che ha delle similitudini con le uve greche. Gli acini integri vengono messi in alcune nasse di vimini e posti in mare ad una profondità di 7 metri, per una durata di circa 5 giorni. Il sale marino toglie la pruina e l’uva, una volta ripescata, viene esposta al sole appassendo più rapidamente. L’effetto antiossidante fa penetrare per osmosi il sale nell’acino, senza danneggiarlo, preservando l’integrità degli aromi primari del vitigno. La fermentazione avviene in anfore con le bucce e senza i raspi, senza aggiunta di solfiti, per un numero molto limitato di bottiglie.

Elba vitinicola

La storia vitivinicola dell’Elba risale all’epoca degli Etruschi: alcuni reperti ritrovati ne sono una pronta testimonianza. Napoleone Bonaparte, nel suo periodo di esilio, è stato un grande estimatore di un vino questa terra, l’Aleatico. Agli inizi del 900 l’Isola era una delle tre zone vitivinicole più estese della regione e la prima per quanto riguarda le uve a bacca bianca. La vite era coltivata per buona parte su terrazzamenti sorretti da muretti a secco che sfioravano altitudini fino ai 400 metri s.l.m. Con la propagazione della filossera ci fu una radicale riduzione del patrimonio viticolo e la coltivazione trovò spazio in zone più pianeggianti. Poi, con l’avvento massiccio del turismo, i produttori si sono cimentati a realizzare campioni di assoluta qualità.

La Doc Elba nelle tipologie Bianco e Rosso è arrivata nel 1967 ed in seguito anche Elba Aleatico, Elba Ansonica, Elba Ansonica Passito e Elba Rosato. Negli anni ’90 è stato costituito il Consorzio di Tutela del vino dell’Elba. Nel 1999 si aggiunge anche la denominazione Elba Moscato e nel 2011 anche le tipologie Elba Vermentino, Elba Trebbiano e Elba Sangiovese. Il 2011 è anche l’anno in cui l’Elba Aleatico Passito raggiunge l’apice ottenendo il sigillo Docg. Il suolo è ricco di minerali con terreni sia argillosi sia sabbiosi. Sino agli anni ’50 nelle miniere venivano estratte soprattutto ematite e limonite. Il clima è mite e di tipo mediterraneo.

I vini degustati

Valerius Toscana Igt 2022 – ansonica vinificato in anfora – Veste giallo paglierino luminoso, rivela note di fiori di ginestra, pesca  susina e agrumi, fresco e sapido, leggiadro e persistente.

Hermia Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in anfora – Nuance paglierine, emana sentori di albicocca, uva spina, mandarino, mughetto, zagara, mango ed ananas, sapido, avvolgente, coerente e persistente.

V.I.P. Toscana Igt 2022 – viogner vinificato in barriques – rimanda ai sentori di ananas, frutta esotica, scorza di limone e vaniglia, fresco, morbido, armonioso e duraturo.

Tresse Toscana Igt 2020 – sangiovese 50%, syrah 30% e sagrantino 20% vinificati in anfore – Rosso rubino intenso, libera sentori di violetta, frutti di bosco, visciola e spezie dolci, palato delicato e sapido, tannini setosi.

Sergio Arrighi Elba Rosso Doc Riserva  2020 – sangiovese 100%. Rosso rubino trasparente, vira sul granato, sprigiona note di ciliegia, prugna, ribes, mora e pepe nero. Pieno, avvolgente ed equilibrato.

Masseria Falvo 1727: la scelta (vincente) di cimentarsi in nuove sfide a Saracena

Si da per scontato che l’Italia sia un posto bellissimo da visitare, raccontare e godere in ogni dettaglio. Si da per scontato da chi ci vive, un po’ meno dagli incuriositi visitatori esterni, che non hanno mai posto attenzione come noi all’erba più verde del vicino.

Capita di trovarsi a Saracena (CS), in un territorio circondato da morbide colline ove albergano storiche varietà d’uva autoctone, olivi e piante secolari. Qui, tra i precursori della qualità in campo agricolo, abbiamo incontrato i coniugi Ermanno e Gabriella Falvo, due dei rappresentanti di Masseria Falvo 1727.

L’ingegnere Ermanno è un altro di quelli che ha trovato nella vigna il proprio sentiero di vita, complice la pace e la tranquillità di un lavoro a contatto con la natura più vera e profonda. Un uomo mite, che ama ciò che realizza pur nella calma serafica di chi deve quasi parlare di un figlio alla riunione dei professori.

Le difficoltà iniziali del partire praticamente da zero, la visione ambientale di ottenere la rigida certificazione biologica bio.inspecta e una cantina modello, funzionale e lungimirante al contempo. In mezzo i pendii poco distanti con i 26 ettari vitati ai piedi del Parco del Pollino, con suoli ed esposizioni molto differenti. Qui il clima non scherza, nello zigzagare tra estati torride e inverni rigidi, eccezion fatta per la stagione 2023 fuori da ogni schema.

Amarsi un po’ era il titolo di un capolavoro del cantante Lucio Battisti; Ermanno e Gabriella rivivono ogni giorno lo stesso amore nel cercare nuove sfide, senza essere mai ripetitivi. Hanno condotto le loro battaglie assieme a diversi enologi di punta, contribuendo, ciascuno a modo suo, alla crescita qualitativa dei prodotti già riconosciuta dalle migliori guide di settore.

Abbiamo constatato di persona quanto detto con alcuni assaggi in anteprima di ciò che verrà immesso in seguito sul mercato.

Il Pircoca 2022 è il primo degli esempi, un bianco frutto dell’assemblaggio di Guarnaccia Bianca, Malvasia, Traminer e Riesling in parti variabili da annata ad annata, seguita dall’abile competenza di Gabriella, chimica e responsabile del processo di controllo dalla vigna alla bottiglia. Si resta basiti dalla verticalità spinta di un campione nato in una stagione afosa, arsa dall’assenza di piogge. Nuance di pesca gialla ed agrumi conditi da erbe mediterranee a ricordarci il significato intimo del Sud.

Cires 2022 andrà invece in vendita durante la primavera del prossimo anno. Magliocco Dolce in purezza, elevato solo in acciaio. Delicato e fine, curato con assoluta grazia e tanti delestage per consetire l’ammorbidimento tannico di quest’uva ricca di personalità a volte da domare. Il bosco prevale nei suoi effluvi di more selvatiche e humus. Chiosa ancora contratto, nulla di strano per essere a metà del percorso: il succo espresso sulle nostre papille promette bene.

Don Rosario 2019, tra acciaio e legni di varia caratura, parla di oltre 36 mesi in fase maturazione. Ha tutto il tempo di assestarsi, con una trama tannica setosa da brividi e un finale sanguigno e cioccolattoso da masticare a lungo. Straordinaria la progressione fruttata che punta dritta verso il salmastro di forte impatto.

Parlare di Saracena e non menzionare uno dei suoi emblemi enologicoli, il passito da uve Moscato etichetta Milirosu, sembra come profanare un luogo sacro.

Oggi, però, i riflettori abbiamo deciso di spostarli su altri volti e anime dalle sfaccettature uniche, perché il cerchio possa chiudersi nel nome della Dop Terre di Cosenza e della Calabria che osa e vince.

Montalcino: la degustazione dei vini della cantina Sesta di Sopra

Quando percorrevo la strada bianca che da Sant’Angelo in Colle conduce verso Castelnuovo dell’Abate, passando in prossimità di Sesta di Sopra, ogni volta mi spingeva la curiosità dal fermarmi per una visita.

Oggi è arrivato il momento tanto atteso, accolto Matteo Marenda, nipote del titolare, dietro supporto del valido collaboratore Walter Tiberti. L’azienda Sesta di Sopra si trova nella patria del Brunello di Montalcino, nel versante a sud-est del Comprensorio.

Un antico casale si erge con torre d’avvistamento, acquistato e restaurato dai coniugi torinesi Enrica Bandirola e Ettore Spina nel 1980. La prima vendemmia del 1999 con immissione nel mercato nel 2004 fu subito un successo, con il punteggio di 95 centesimi attribuitogli dalla rivista americana Wine Spectator. Gli ettari vitati sono 4, estesi su una superficie complessiva di 60, ove trovano dimora anche alcune d’olivo e bosco. 

L’altimetria dei vigneti, che vantano la certificazione biologica, supera i 400 metri s.l.m. e le radici affondano su terreni ricchi di calcare ed in profondità argillosi. La cantina si trova accanto al casale ed è funzionale, perfettamente mantenuta con botti di rovere e barriques per l’élevage, e tini d’acciaio per la vinificazione.

Le rese per ettaro sono molto basse, il logo dell’azienda è il sole, un antico simbolo etrusco ritrovato nei pressi.

Brunello di Montalcino

Montalcino è un comune italiano della provincia di Siena in Toscana. È una località nota per la produzione del vino Brunello di Montalcino. Si colloca nel territorio a nord-ovest del Monte Amiata, alla fine della Val d’Orcia, al confine con la provincia di Grosseto.

Vino rosso, perla  che l’enologia italiana ha saputo esprimere con risultati strepitosi. La sua affermazione è notevole sia in Italia sia nel resto del Mondo. Nel 1966 il suo rilancio con l’ottenimento della Doc e la nascita del Consorzio di Tutela, che hanno consentito di fare notevoli passi in avanti con ammodernamenti in cantina e rinnovamenti di nuovi vigneti quasi esclusivamente con Sangiovese.

Seguirà nel 1980 l’arrivo della Docg, uno tra i primi vini in Italia ad ottenere questo prestigioso riconoscimento. Da qui, con modifiche al precedente disciplinare già severo, è stato raggiunto un ulteriore innalzamento in termini di qualità. Il territorio presenta aspetti pedoclimatici diversi in ogni zona. A nord si ottengono vini di buona struttura, profumati ed eleganti, ad est vini più tannici adatti all’invecchiamento, a sud vini di grande struttura, molto profumati, ad ovest, vini eleganti, armonici, da lungo invecchiamento.

La vicinanza al Monte Amiata crea un microclima ideale per la coltivazione della vite con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Si ottengono vini di eccellente qualità. Il Brunello di Montalcino viene prodotto con le tipologie: Vendemmia/Annata, Selezione e Riserva.

Il Sangiovese ha trovato a Montalcino un habitat ideale ed il baricentro nella sua massima espressione, più di ogni altra zona. A Montalcino si producono inoltre anche altri importanti  vini, come il Rosso di Montalcino e il Moscadello.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2021 – Rosso rubino trasparente, rivela sentori di viola mammola,  frutti di bosco,  prugna e ciliegia,  sorso lungo e soddisfacente. Fine ed equilibrato.

Brunello di Montalcino 2018 – Rubino con sfumature granato intenso, emana sentori di amarena, violetta,  rabarbaro, arancia sanguinella, liquirizia e spezie dolci. Sorso avvolgente, pieno e persistente.

Brunello di Montalcino Magistra 2018 – Tende al granato vivace, con nuances di rosa appassita,  tabacco, polvere di cacao,  ginepro e pepe nero. Materico, ricco e decisamente duraturo.

Sesta di Sopra

53024 Montalcino (SI)

www.sestadisopra.it

Liguria: Golfo del Tigullio mangiare e bere bene tra sapori, tradizioni e creatività in cucina

La Liguria è stata una meta gettonatissima dell’estate 2023 e il clima mite consente di poter godere di splendide giornate anche in autunno e di visitare il borgo di Portofino, Rapallo e il suo Castello, la basilica dei Fieschi nell’entroterra di Lavagna e di passeggiare sotto i portici medievali di Chiavari, non ultima la splendida Sestri Levante e la Baia del Silenzio.

Ecco i locali da non perdere assolutamente

Se amate la cucina gourmet troverete in trenta chilometri ben 2 ristoranti da Stella Michelin: il primo è Orto by Jorg Giubbani presso l’Hotel Villa Edera e la Torretta a Moneglia. Servizio impeccabile, cucina che utilizza materie prime a km zero prodotte nell’orto oltre a selezionati presidi slow food. Stupenda la carta dei vini. A Cavi di Lavagna lo chef Ivan Maniago accoglie gli ospiti per uniche esperienze culinarie a Impronta d’Acqua. Vale un viaggio sia per la cucina.

A Sestri Levante rimarrete affascinati dall’ambiente raffinato e dalla cortesia di Nadia ed Enrico di Cantine Cattaneo, dove il sommelier Vito Santolla vi consiglierà abbinamenti perfetti; inoltre la cucina di Rezzano, in via Asilo Maria Teresa è sicuramente un altro luogo dove i palati sopraffini rimarranno più che soddisfatti. La Trattoria Angiolina sul lungomare è una vera istituzione; frittura di pesce fatta ad arte e non solo, grande e bella selezione di  vini in mescita al bicchiere.

A Santa Margherita Ligure il pesce fresco e la competenza in sala nella mescita dei vini sicuramente da Beppe Achilli, una trattoria vicino al mercato del pesce, di fronte al porticciolo. Cucina francese e italiana, crostacei, frutti di mare  e ostriche che provengono dai migliori allevamenti mondiali da DuCoq in via Cairoli.

Boccon Divino a Chiavari è il luogo giusto per sperimentare la creatività di  Israel Feller, resident chef  che confeziona  autentiche meraviglie. Sotto i portici, in via Bighetti, Antonio Olivari vi accoglierà da Vino e Cucina: splendida selezione di vini naturali. Per un aperitivo indimenticabile, i cocktails, i piatti la cortesia di Casa Gotuzzo: affacciata su piazza dei Pescatori è un punto privilegiato per assistere a tramonti mozzafiato.

La cucina tradizionale ligure potrete scoprirla alla trattoria La Brinca di Né, nell’entroterra di Lavagna, dove il miglior sommelier d’Italia Matteo Circella saprà davvero stupirvi con i suoi suggerimenti. A Rapallo, in via San Massimo U Giancu è sicuramente una istituzione, famosa anche per la passione del titolare per i fumetti: cucina ligure e ottimi vini da scegliere insieme al sommelier Martino Oneto.

Alla ricerca di un agriturismo? Le donne del Castagneto a Castiglione Chiavarese, in via Provinciale 523, sapranno coccolarvi con i piatti preparati con molto amore e passione; altro locale da non perdere, ricavato da un antico frantoio è La Cuccagna a Rapallo, dove la famiglia Armanino propone un menù tipicamente genovese, con pasta ripiena fatta in casa e altre leccornie. A Villa Oneto, vicino a Leivi L’agriturismo U Cantin offre piatti della tradizione in abbinamento ai vini della annessa cantina, curati da Domenico Cuneo , che ha recuperato un antico vitigno ligure, lo cimixa.

La Riviera di Levante è rappresentata dalla Doc Golfo del Tigullio- Portofino con la sottozona Riviera dei Fieschi, istituita nel 1997. I vitigni a bacca bianca maggiormente coltivati sono il vermentino, la bianchetta genovese, lo cimixà, il moscato mentre tra quelli a bacca rossa sicuramente  il ciliegiolo e dolcetto,  a seguire sangiovese e granaccia.

Alcune delle cantine presenti sul territorio offrono delle wine experieces per gli enoturisti e i winelovers: Bisson , in contrada Pestella a Sestri Levante, La Ricolla e U Cantin. Non bisogna mancare di assaggiare i vini prodotti da Cantina Levante, Cantina Mortola, Pino Gino, Casa del Diavolo, Cantine Bregante, Cantina San Nicola per apprezzare al meglio la cucina del territorio.

Buon viaggio e… buone degustazioni in Liguria!

“Sorsi di solidarietà”: Radda in Chianti per la Romagna

Sangiovese di Toscana vs Sangiovese di Romagna.

Probabilmente uno degli “scontri più sentiti” nel mondo degli appassionati dI vino. Ognuno dice la sua: qualcuno si schiera per patriottismo, qualcun altro porta a sostegno esperienze della tal degustazione. Qualcun altro ancora parlando di storia, terroir o addirittura DI analisi organolettiche. Per tutta onestà, il Sangiovese Toscano si è sempre piazzato su un gradino del podio più alto rispetto a quello Romagnolo.

Tuttavia il giorno 2 settembre 2023 la suddetta partita ha avuto un terzo, inaspettato, vincitore: la solidarietà. A Radda in Chianti, ha avuto infatti luogo “Sorsi di solidarietà”, un evento ideato dall’associazione Vignaioli di Radda in unione alla Pro Loco di Radda.

Idea che, per riprendere le parole di Riccardo Porciatti, vice presidente della Pro Loco di Radda, è nata per non perdere il focus sull’alluvione che a maggio di quest’anno ha colpito la Romagna. 4 vignaioli Raddesi (Istine, Fattoria Poggerino, Tenuta di Carleone e Caparsa) a confronto con 4 vignaioli Romagnoli (Vigne dei Boschi, Marta Valpiani, Costa Archi e Villa Papiano) in una degustazione organizzata in 4 staffette.

Da sinistra: Paolo Cianferoni (Caparsa), Sean O’Callaghan (Tenuta di Carleone), Piero Lanza (Fattoria Poggerino), Angela Fronti (Istine)

Da sinistra: Paolo Babini (Vigne dei Boschi), Gabriele Succi (Costa Archi), Francesco Bordini (Villa Papiano), Elisa Mazzavillani (Marta Valpiani)

Luogo della manifestazione la suggestiva piazza Francesco Ferrucci di Radda in Chianti, adibita con tavoli da degustazione per l’occasione. Il ricavato risultante dalla presenza di ben 80 spettatori (fra cui oltre al sottoscritto, anche la collega Sara Cintelli) è stato devoluto in beneficenza alle associazioni dei vignaioli coinvolti nell’alluvione dello scorso maggio.

Non solo viticoltori, ma anche olivicoltori. È l’olio, infatti, un altro elemento che condivide con il vino i confronti su quale sia il migliore, se questo o quello. Ma ciò che ci preme sottolineare è che in Romagna l’olio ha condiviso purtroppo anche la stessa sorte del vino, ovvero quella di aver subito gli ingenti danni delle frane causate dall’alluvione. Brisighella, uno dei territori maggiormente colpiti, è la terra dove viene prodotto il “Brisighello”, il primo olio extravergine d’oliva d’Italia ad aver ricevuto la certificazione DOP nel 1996. L’intervento di Nicola Pederzoli, vice presidente del Consorzio Olio DOP di Brisighella, ci ha fatto capire che il consorzio è composto da piccoli produttori, e che quindi se uno di loro dovesse abbandonare scoraggiato dagli ingenti danni subiti, potrebbe causare un effetto domino e portarsi dietro anche gli altri. Risulta quindi fondamentale che rimangano tutti uniti.

Da destra: Nicola Pederzoli, Federica Assirelli (Consorzio Olio DOP Brisighella)

A fare da portavoce dei vignaioli colpiti, invece, c’è Francesco Bordini, colonna dell’agronomia vitivinicola Romagnola e titolare di Villa Papiano, l’azienda di famiglia. Oltre a fornire qualche numero per aiutare la platea a visualizzare meglio quale sia stata la portata dei fenomeni meteorologici che hanno colpito la Romagna, ha calcato la mano sul rapporto che l’uomo ha con la natura. Essa, infatti, ha una potenza inarrestabile, ma quali responsabilità ha l’uomo? È ligio al dovere eseguendo tutti gli interventi di manutenzione con costanza? Anche Radda sorge su un territorio collinare con parecchie analogie con quello Romagnolo, il che suona quasi come una sorta di monito, o appello, affinché la stessa sorte non capiti ad altri.

Da sinistra: Carlo Macchi (Wine Surf), Francesco Bordini (Villa Papiano)

Si è passati quindi alle degustazioni, ma questa volta non vogliamo perderci in analisi, punteggi e classifiche. Vogliamo tuttavia raccogliere il suggerimento di Carlo Macchi, giornalista enogastronomico e direttore di Wine Surf (nonché conduttore della serata) nel capire somiglianze e differenze fra queste due tipologie di Sangiovese e di territorio, confrontando vini della stessa annata – la 2019 – (o quasi… qualcuno ha portato la 2020). Le somiglianze? Il Sangiovese si conferma probabilmente uno dei vitigni maggiormente capaci di leggere il terroir, per cui ogni vino ci ha parlato esattamente del luogo in cui viene prodotto. Le diversità? Radda in Chianti gioca sul corpo e sulle morbidezze. Vini pieni, ricchi e con tannini complessi. La Romagna invece fa rimanere in estate, con prodotti freschi, tesi, caratterizzati da finezza di aromi e succose acidità che invogliano il sorso successivo. De gustibus non disputandum est.

Conclude la serata un ricco buffet organizzato con prodotti tipici provenienti da entrambe le zone, con l’intervento di Pierpaolo Mugnaini sindaco di Radda in Chianti. Oltre a ringraziare i produttori per l’innegabile lavoro di qualità ravvisato nella degustazione, egli auspica che questa neonata partnership possa continuare anche in futuro contribuendo a scambi utili per conoscersi, condividere storie e culture, divenendo una crescita positiva per gli attori in gioco. Anche fra vignaioli le “rivalità positive” si trasformano in amicizia e unione quando il minimo comune denominatore è la solidarietà.

Perché, alla fine, cosa c’è di meglio di un’atmosfera intima, del buon cibo e un calice di vino, magari Sangiovese?

I Balzini: la famiglia D’Isanto nel passaggio generazionale in continua crescita

Correva l’anno 1980 quando Vincenzo D’Isanto impiantava il primo ettaro di vigna a Barberino Tavarnelle (FI), frazione Pastine, in una località chiamata al catasto “Balzini” per via dei numerosi avvallamenti del terreno ancora ben visibili.

Inizia così il suo progetto enologico affiancato dalla moglie Antonella. Siamo nel cuore del Chianti Classico, ma qui a I Balzini non si produce Chianti Classico per una scelta precisa di Vincenzo: legato nella sua professione di commercialista a regole rigide, decide di staccarsi da quelle del disciplinare per produrre un vino espressione di una Toscana diversa. Dunque insieme al sangiovese, che non costituisce il nucleo storico della vigna, Vincenzo punta su cabernet sauvignon, merlot e mammolo. Attualmente la cantina vinifica cinque etichette – Balze Rosa, Balze Verdi, Balze Rosse, Balze Nere, I Balzini sotto la denominazione IGP Colli della Toscana Centrale, collocandosi a pieno titolo nel solco della tradizione dei Supertuscans.

Diana D’Isanto

A guidarmi è Diana, figlia di Vincenzo e Antonella, energica, appassionata e innamorata di un’eredità familiare, alla quale sta imprimendo il proprio personale contributo in maniera decisiva dal 2017. Diana, sempre affiancata da Wilma, Tea e Ugo, i tre cani di famiglia, riesce a intrecciare in maniera entusiasmante il racconto delle origini insieme a quello dei traguardi presenti e dei progetti futuri: nelle sue parole si scorge chiaramente l’orgoglio del passaggio generazionale, costituito in egual misura da filiale devozione e sana competizione. È suo il progetto Ritorno al Futuro, con il quale ha riportato in auge nel 2017 la storica etichetta dai tratti minimal e il nome del primo vino prodotto nel 1987, I Balzini, sostituendo l’ormai affermato White Label. Stessa operazione di restyling è stata fatta per il Black Label, che nel 2017 ha trasformato il suo nome in Balze Nere e la sua etichetta in una versione più stilizzata.

Gli ettari di vigna oggi sono diventati sette, tutti parcellizzati data l’acquisizione successiva nel tempo, il regime biologico – sempre praticato –  è stato ufficializzato da pochi anni, la produzione si è attestata tra le 25 e le 30 mila bottiglie annue, di cui una buona parte destinate al mercato estero.

Passeggiando nel prato che digrada verso il fondo della balza su cui sorge l’edificio storico della cantina, iniziamo la visita dalla parte più recente, la barriccaia, e per la precisione dalla sua copertura, perché l’ambiente dove affinano i vini si trova interrato proprio sotto i nostri piedi. Questa scelta permette di mantenere una temperatura adeguata senza l’utilizzo di condizionatori, mentre la luce necessaria per garantire l’illuminazione all’interno del locale è ottenuta dal cattura luce che si erge proprio al centro del prato.

Rispetto per l’ambiente come per l’utilizzo dei pannelli solari, che ricoprono completamente la tinaia di fermentazione, o l’impiego di bottiglie più leggere. Tutti i vini della linea fanno fermentazione in acciaio e, ad eccezione del Balze Rosa e del Balze Verdi, passaggio in legno. Le barriques utilizzate sono di diversa provenienza per poter beneficiare delle variegate caratteristiche del contenitore e le botti vengono sfruttate ben oltre la consuetudine, dal primo al quinto passaggio.

Entriamo successivamente in un locale ricco di emozioni, dove vengono conservati i formati speciali (da 1,5 lt a 12 lt) di White e Black Label (dal 2017 I Balzini e Balze Nere) delle annate passate, spesso già acquistati da chi vuole garantirsi una bottiglia particolare per un evento. In questa saletta climatizzata troviamo le tre Jéroboam che i nonni hanno acquistato per il diciottesimo dei tre nipoti gemelli o la Mathusalem che dovrà essere recapitata a Chicago nel 2036, per il ventunesimo compleanno della figlia dell’acquirente. Un servizio sartoriale che prevede anche l’etichetta con dedica personalizzata su richiesta.

La degustazione si svolge sulla bella terrazza da cui si scorge in lontananza la prima vigna impiantata da Vincenzo e l’uliveta, preesistente alla cantina. Assaggio tutti i vini della linea: le tre etichette per bere bene tutti i giorni (Rosa, Verde, Rossa), i due prodotti di punta (Balze Nere e I Balzini), oltre a una piccola sorpresa che posso, senza tema di smentita, definire intrusa.

Si parte col Balze Rosa, sangiovese in purezza vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce: ha normalmente una tonalità fior di pesco affascinante, che, unita al nome dell’etichetta, evoca quasi le balze di una gonna sollevate da un vento dispettoso. Ma io non bevo l’annata corrente, la 2022, già terminata da tempo, bensì un’inaspettata 2020, che nel colore si distingue avvicinandosi più a un orange-wine. Stupisce il naso netto di arancia e spezie dolci, rivelando in bocca ottima struttura, con un tannino piacevolmente presente, salino e persistente su ricordi di melagrana.

Balze Verdi 2021 – blend di sangiovese e mammolo, è un vino croccante e immediato, con sentori fragranti di frutta ed erba sfalciata, che ritroviamo nella bocca fresca e pulita. Effetto volutamente ricercato grazie alla macerazione carbonica e alla vinificazione senza bucce del mammolo. D’altronde anche la scelta dei colori delle varie etichette ha proprio lo scopo di evocare determinati sentori che saranno poi presenti nel bicchiere…

Balze Rosse 2018 il blend di sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, è il primo vino della linea che fa passaggio in legno, generalmente sei-otto mesi in barrique dismesse. Fitto nel rosso granato, al naso si distingue per l’oliva in salamoia, la salsedine, il cappero e il sentore di peperone fresco. Morbido e di ottima freschezza al palato, ritorna con sentori balsamici.

La quarta etichetta in degustazione, Summofonte 2015, prende il nome da un borgo nelle vicinanze, Semifonte, perché ne riproduce la cappella, versione 1:8 della Cupola del Brunelleschi, intorno alla quale si estende il vigneto. Non viene sempre vinificata perché la vigna non è di proprietà. È un blend variabile di sangiovese, cabernet, ciliegiolo e un fattore X ancora non conosciuto.

Chiudiamo la degustazione con le due etichette top di gamma, Balze Nere e I Balzini.

Balze Nere 2017, cabernet e merlot, compatto nel colore e nel naso, si apre lento, svelando una personalità posata, da gentleman di campagna: cuoio, tabacco di sigaro, cenere di camino, cardamomo e chiodi di garofano, il frutto arriva molto dopo con la ciliegia sotto spirito e la mora di rovo. Tannino setoso e freschezza equilibrata invitano continuamente al sorso che si chiude su una liquirizia in caramella.

I Balzini 2017, sangiovese e cabernet, ha un carattere più scattante per la leggera nota di pietra focaia che impreziosisce il naso di prugna e continua su sentori di cumino, noce moscata, fresia, olive in salamoia e rosmarino. La bocca svela ancora una volta un tannino fine e ben integrato con una chiusura che rimanda al cioccolato fondente.

I Balzini

Località Pastine, 19

50021 Barberino Tavarnelle (FI)

Valle d’Aosta: “La Toupie Gourmanda”

Immaginate una passeggiata bucolica tra i filari di Morgex alla scoperta del vitigno locale Prié Blanc e dei prodotti gastronomici tipici della zona, immaginate di essere accompagnati da guide locali che vi raccontano la storia e le tradizioni di questi luoghi… ebbene smettete di immaginare e venite a “La Toupie Gourmanda”.

La “Pergola Golosa”, in dialetto patois La Toupie Gourmanda, è una passeggiata enogastronomica, è un brindisi all’estate, una stagione che ai piedi del Monte Bianco scorre velocemente, ma risulta essere di grande intensità proprio come un vino di montagna.

La camminata parte dai prati lungo la Strada Vi Plana di Morgex e si sviluppa in tappe nelle caratteristiche “casette delle vigne” del Prié Blanc, segue un percorso ad anello dove si viene allietati da intrattenimenti musicali e culturali.

Un format innovativo voluto fortemente dai produttori locali, nato nel 2015, che ha lo scopo di promuovere il territorio nella sua interezza, un modo originale per raccontare Morgex e i suoi dintorni, rivisitando sapori e abbinamenti in chiave contemporanea.

Un’esperienza della durata di circa 3 ore, ma prenotando l’ultimo turno vi assicuro che le ore sono molte di più (anche 5), intervallate da momenti di animazione che permettono di scoprire le tradizioni e la vita rurale tipica dell’agricoltura di montagna.

Arriviamo al punto di ritrovo alle 14 dove ci vengono distribuiti i calici per le degustazioni, si parte lungo la strada Vi Plana che si fa spazio nel verde, tra vigneti circondati da vette altissime, saliamo sul trattore che ci condurrà nelle vigne.

Le tappe enogastronomiche sono deliziose, dall’antipasto al dolce, ospitate nelle “casette delle vigne”, piccole strutture in pietra che per generazioni i vignerons hanno utilizzato per organizzare il loro lavoro, come magazzino o alloggio temporaneo (in alcune troviamo stufe e camini) e per conservare l’acqua piovana utilizzata per i trattamenti della vigna o per l’irrigazione.

In ogni casetta troviamo i produttori di vino del territorio, ogni vino è stato abbinato al menù dello chef Agostino Buillas, realizzato servendosi esclusivamente dei prodotti di Morgex et La Salle.

Ecco gli assaggi:

  • Corn dog di escargot: lumache su stecco fritte in pastella
  • Fantasia del vigneron: una insalatina con fiori eduli e gelatina di vino bianco
  • Gnocchetti di patate con fonduta di caprino e polvere di mocetta (la mocetta è un tipico salume valdostano, preparato con la coscia di mucca invecchiata secondo l’antico metodo di salagione e conservazione)
  • Asado gourmet
  • Cassata valdostana
  • Rivisitazione del tipico caffè alla valdostana (il caffè valdostano è quello nella grolla, una coppa dell’amicizia dalla quale si beve a turno)

Ad accompagnare i piatti i vini dei 5 produttori locali:

Brunet Piero

Cave Mont Blanc

Café Quinson Winery

Ermes Pavese

Vevey Marziano

Qui il Prie Blanc la fa da padrona, a Morgex troviamo i vigneti più alti d’Europa, fino a 1250 metri. Una varietà coltivata a piede franco su terrazzamenti eroici che regala vini decisamente minerali, con una marcata acidità e un’elegante struttura. Molto versatile, si presta alla spumantizzazione in metodo classico e alla produzione di icewine con uve vendemmiate a fine dicembre quando la temperatura scende al di sotto dello zero.

Una breve descrizione dei vini

  • Cave Mont Blanc Metodo Classico “Glacier”, un vino che va bene a tutto pasto che regala al naso note di fiori bianchi, agrumi e pera. Fresco e minerale in bocca. Cave Mont Blanc è un’istituzione nella zona, ai piedi del Monte Bianco, valorizzazione e rispetto del territorio la filosofia che portano avanti.
  • Piero Brunet, una piccola realtà a conduzione famigliare che opera dal 1985 e che coltiva in maniera eroica il vitigno Prie Blanc. Una grande attenzione all’ambiente nella produzione con la riduzione al minimo dei trattamenti antiparassitari. Un vino di grande piacevolezza che richiama erbe di montagna e fiori di campo, un gusto secco ma molto delicato.
  • Vevey Marziano – la Crotta de la Meurdzie, azienda agricola che nasce nel 1981. Marziano è un vigneron d’altri tempi con un grande attaccamento alla tradizione e uno sguardo sempre attento all’innovazione. Il suo vino è veramente interessante, di grande equilibrio e avvolgente al palato dove le note erbacee, agrumate e di frutta come mela e pera creano una bella armonia. L’etichetta è un’opera d’arte.
  • Blanc de Morgex e de La SalleNathan”- Ermes Pavese La cantina si estende su 3 ettari vitati coltivati a “pergola bassa” per evitare i danni dalle rigide temperature notturne e salvaguardare l’integrità delle piante di Prié Blanc. Il vino è dotato di una bella freschezza e vivacità. La fermentazione avviene per la maggior parte in barrique di rovere francese di primo o di terzo passaggio, dove vengono effettuati frequenti batonage. Dopo 1 anno il vino ottenuto viene assemblato con il 30% fermentato in acciaio.
  • Finiamo in bellezza con Cave Mont Blanc “Chaudelune” Vin de Glace, un vino ottenuto dalla vendemmia notturna dopo le prime gelate, così da conferire una particolare concentrazione degli zuccheri. Fermentazione e affinamento in piccole botti di rovere. Un vino che sprigiona sentori di erbe aromatiche, miele e albicocca.

Tra un assaggio e un altro gli intrattenimenti sono stati numerosi

  • ospite speciale, in questa edizione, Silvana Bruno che con il suo ukulele ci intrattiene e coinvolge nel canto.
  • le guide locali ci guidano in un itinerario tra i luoghi più caratteristici del centro del paese, raccontandoci tradizioni, aneddoti e curiosità.

Spero di avervi incuriositi un po’, la mia esperienza è stata veramente unica, sembrava di esser catapultati indietro nel tempo, quando alla fine mi sono ritrovata seduta sotto un filare con il calice in mano ho pensato a quello che dovevano essere le libagioni nel mondo classico, i riti dionisiaci degli antichi Greci.

Santé!

Osteria La Briciola: mangiar bene a Tivoli (RM) tra arte e storia

Per gli amanti della buona cucina, a circa 30 chilometri da Roma si trova un posto che vale la pena raggiungere per soddisfare i piaceri del palato e fare (perché no) una bella gita fuori porta.

Da oltre un decennio a Tivoli, Osteria La Briciola è un faro di raffinatezza culinaria nella vibrante scena gastronomica della Città Tiburtina.

Nata dodici anni fa, ha costantemente abbracciato il cambiamento e l’innovazione, trasformando ogni visita in un’esperienza memorabile. Tutto è stato pensato per regalare all’ospite un’esperienza unica dall’inizio alla fine. Ampio parcheggio, raffinatezza degli arredi in stile coloniale, è un posto dove l’ospite può sentirsi a proprio agio.

Alla base della cucina dell’Osteria La Briciola c’è il rispetto per la tradizione enogastronomica italiana, arricchita da raffinata audacia. Piatti tradizionali rivisitati con maestria, abbracciando tecniche moderne di cottura e presentazione. Il risultato è un equilibrio gustativo che stupisce e delizia i palati più esigenti.

La selezione delle materie prime è un elemento fondamentale e l’Osteria La Briciola cura con attenzione la scelta dei fornitori, selezionando i migliori produttori locali del Lazio e le eccellenze nazionali certificate Slow Food.

Enrico Magnanti – Osteria La Briciola

Dietro ogni piatto c’è la passione di Enrico Magnanti, chef, sommelier, assaggiatore esperto ONAV e appassionato assaggiatore di olio extravergine di oliva. Di giorno crea con sapienza i suoi piatti; di sera, indossa l’abito dell’ospitalità per accogliere i clienti con calore e discrezione. L’atmosfera intima dell’Osteria, che può ospitare fino a 40 ospiti, è arricchita dalla dedizione di un team di dieci persone, che lavora instancabilmente in cucina e in sala per garantire un’esperienza straordinaria.

Nel corso degli anni, l’impegno dell’Osteria La Briciola è stato riconosciuto da rinomate guide enogastronomiche come Gambero Rosso, Repubblica, Espresso, Bibenda e Gatti Massobrio. I punteggi che riflettono la crescita costante sono diventati sempre più elevati, dimostrando l’evoluzione continua di questo ristorante d’eccellenza.

L’attenzione all’eccellenza si estende anche alla cantina vini, con oltre 350 referenze, tra le migliori produzioni nazionali e internazionali tra le quali: Champagne, Borgogna, Nuova Zelanda e Germania. Inoltre gli amanti della birra e degli spirits troveranno soddisfazione grazie a una variegata selezione di birre artigianali e circa 150 distillati.

Le intolleranze alimentari vengono gestite al meglio, con paste fresche senza glutine per coloro che seguono una dieta celiaca. In un mondo in cui l’eccellenza culinaria è un traguardo ambizioso, l’Osteria La Briciola brilla come un faro di creatività, passione e impegno. Ogni visita a questo ristorante è un viaggio attraverso i sapori, le tradizioni e l’innovazione, un’autentica celebrazione della cucina italiana.

“Il Colle del Corsicano” a San Marco di Castellabate (SA): il sogno di una vita di Alferio Romito

Il vino si fa con passione, partendo da un sogno, da un progetto, da un impianto…

“La nostra fanciullezza, la molla di ogni nostro stupore, è non ciò che fummo, ma ciò che siamo da sempre”. Questa frase di Cesare Pavese delinea perfettamente il ritratto del protagonista del racconto di oggi: un giovane viticoltore, Alferio Romito, che da sempre aveva il sogno di potere dirigere la sua azienda vitivinicola, curandone ogni aspetto. Fin da bambino, sui trattori in vigna, aiutava a mandare avanti l’attività di famiglia che da ben quattro generazioni produceva vino sfuso destinato al consumo casalingo o alla vendita.

Alferio Romito

Stiamo parlando della cantina Il Colle del Corsicano e ci troviamo nel cilento e precisamente a San Marco di Castellabate (SA). Qui le verdi colline si tuffano nel blu del mare, baciate dal sole e protette da un microclima favorevole alla viticoltura. Le vigne crescono sul flysch, materiale argillitico friabile con suoli più sabbiosi in prossimità del mare.

Il progetto di Alferio prevedeva la riorganizzazione della vigna di famiglia, impiantando unicamente Aglianico e Fiano; ed è quanto ha realizzato dopo gli studi di viticoltura ed enologia. L’unica eccezione, sono state alcune piante di Primitivo, fortemente volute dal padre, le cui uve vengono adoperate per rendere più smussato e avvolgente l’Aglianico.

Studente del professor Luigi Moio (oggi presidente OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), Romito ricorda con emozione il periodo della discussione della tesi, uno dei momenti significativi della sua vita, mentre si chiudeva il ciclo universitario e si impiantava contemporaneamente il Fiano nella nuova vigna a Punta Licosa (tre ettari).

Le sue viti, coltivate in biologico, si sviluppano a pochi metri dal mare, e continuano nella collina denominata, appunto, Colle del Corsicano. Lo sguardo si incanta a seguire le colline vitate con i suoi curatissimi e ordinati filari di Fiano, che sfumano tra blu del cielo e il turchese del mare. La macchia mediterranea con i suoi colori e profumi fa da cornice al quadro magnifico dipinto apposta per incantare gli occhi del visitatore.

I segreti del successo di questa realtà e del suo giovane viticoltore “sono da ricercare unicamente nella cura della vigna”, come egli stesso afferma. Egli cura ogni fase del progetto con fierezza, apertura e professionalità, diventando uno dei punti di riferimento tra i viticoltori cilentani. Nulla è lasciato al caso: l’esposizione dei filari, l’uso della spalliera a Guyot, la potatura verde e la cimatura dei germogli in modo tale da convogliare le sostanze nutritive nel frutto. E ancora: la conservazione della foglia sulla vite per proteggere il grappolo dall’eccessiva esposizione al sole ed evitare l’aumento della produzione dei pigmenti e dei conseguenti fenomeni ossidativi preservando la longevità dei vini, la protezione delle piante dallo oidio e dalla peronospera con trattamenti costanti ed in linea con la coltivazione biologica.

La vendemmia è a mano in piccole cassette, trasportate e lavorate poi con cura in cantina. La sostenibilità è una priorità e si concretizza in vari processi, dalla scelta dei materiali alla produzione tout court.

Nel Licosa, nel Furano e nel Patrinus, le tre referenze aziendali, è chiara l’identità e lo stile che il giovane Alferio sta imprimendo ai suoi vini e la meticolosità nella cura della vigna diventa una garanzia.

Licosa – Cilento Fiano DOC -2022

In purezza. Le uve dopo la raccolta sono immediatamente sottoposte a deraspatura e pressatura soffice; il succo viene poi illimpidito staticamente a temperature di 14-15°C. Si aggiungono lieviti selezionati. La stessa etichetta è una stilizzazione di una foto catturata direttamente da Alfiero. Il vino degustato, di 13,5 % di alcool, ha stazionato 3 mesi in bottiglia.

Il colore è paglierino dai tenui riflessi verdi. Al naso predominano sentori di fiori bianchi, magnolia, acacia ed erbe aromatiche come il timo. Prevale una leggera morbidezza, che lascia spazio a freschezze importanti, presupposto di longevità. Chiude poi una bella sapidità. Riportando il vino al naso, si avvertono, un po’ in ritardo, i sentori di frutta bianca, fresca, a testimonianza della complessità del bouquet.

Licosa- Cilento Fiano DOC – 2018

Seconda vendemmia. Il colore tende al dorato e riempie il bicchiere. Un’intrigante complessità si manifesta subito, con sentori di idrocarburi cui seguono note di frutta a polpa gialla ed erbe aromatiche; una bella mineralità salmastra e persistente, che rende omaggio al territorio. In bocca, il vino, pur mostrando ancora tensione, risulta molto equilibrato e lungo. Presume un buon abbinamento con coniglio imbottito accompagnato da carciofi.

Furano – Cilento – IGP Paestum Aglianico Rosato – 2022

Le uve sono tutte coltivate a Punta Licosa e durante la maturazione giovano della brezza marina proveniente dal mare, denominata “furano” nel linguaggio cilentano. Tali uve vengono vinificate in bianco ottenendo un vino che ricorda la freschezza di un bianco ma con la struttura di un Aglianico. Il colore è un bellissimo e lucente rosa chiaretto. Si percepiscono immediatamente al naso i petali di rosa e la ciliegia. Al gusto, fresco ed avvolgente, risulta al palato morbido e persistente nelle sue note agrumate. Il vino oggi riesce a esprimere una longevità anche di 4-5 anni.

Patrinus – Cilento – IGP Paestum Aglianico – 2021

Composto da 95% di Aglianico ed un saldo di Primitivo. Il vino subisce una vinificazione classica con le bucce che rimangono a contatto con la polpa per 15-18 giorni ad una temperatura di 25 °C. La pressatura è molto soffice per evitare l’estrazione di tannini amari e sgradevoli. Le attenzioni, dalla coltivazione in vigna alla pressatura, consentono di ottenere un Aglianico cilentano con una buona dose di morbidezza. Dall’annata 2023 uscirà con la denominazione DOC Cilento.  

Il nome latino Patrinus richiama il padrino di Alferio, uomo motivatore che lo ha spronato molto nella realizzazione dei suoi progetti. Il colore è un intenso rosso rubino, limpido. Al palato entra molto morbido, con bella ampiezza per poi chiudere ampio. Riempie il naso di piccoli frutti rossi, mora, lampone e ciliegia e sentori di liquirizia. Chiude la confettura di ciliegia. Abbinabile perfettamente con carne tenera di bufalo arrostito oppure con un tonno rosso appena scottato.

Non deve mancare l’assaggio dell’Olio Extravergine di Oliva Corsicano che l’azienda produce, in coltivazione biologica. Proviene dalle cultivar Ogliarola, Rotondella, Frantoio e Leccino raccolte a mano ancora verdi. La lavorazione delle olive in oleificio avviene subito dopo la raccolta, direttamente in giornata, mediante sistema integrale con estrazione a freddo. Presenta un fruttato che ricorda la mandorla, la foglia di carciofo e l’erba appena sfalciata. L’amaro e il piccante sono equilibrati, rendendo il prodotto versatile negli abbinamenti.

I sogni inseguiti con purezza d’animo, competenza e sacrificio portano i risultati e noi auguriamo ad “Il Colle del Corsicano” e ad Alferio Romito di raggiungere vette straordinarie con i suoi prodotti d’esempio per tutti i giovani viticoltori cilentani.

Fontodi: la magia del Sangiovese in purezza nel cuore del Chianti Classico

Non capita tutti i giorni di varcare il cancello di cantine affascinanti come quella di Fontodi.

Ad accoglierci c’era il dinamico e autoctono Silvano Marcucci, panzanese doc, cuore pulsante dell’azienda, orgoglioso e consapevole di trovarsi in un territorio di rara bellezza. Dopo esserci sgranchiti le gambe passeggiando in vigna, Silvano ci ha illustrato la storia dell’azienda, per poi entrare in cantina e degustare con enorme piacere i vini. Dalla terrazza di Fontodi si gode di un panorama senza pari digradante verso le Alpi Apuane, l’Appennino Tosco-emiliano e lo splendore dei vigneti e oliveti sotto e circostanti.

Un’esperienza memorabile ed emozionante.

Fontodi si trova nel cuore del Chianti Classico, più precisamente nella vallata che si apre a sud del borgo di Panzano a forma di anfiteatro, denominata “Conca d’oro“.  Il biodistretto nel comune fiorentino di Greve in Chianti.

Un terroir rinomato da secoli per la sua alta vocazione alla viticoltura di qualità dovuta alla combinazione unica di elevata altitudine, terreni galestrosi, esposizioni ottimali e un microclima favorevole per l’allevamento della vite. Caldo e asciutto, caratterizzato da notevoli escursioni termiche tra le ore diurne e notturne.

L’azienda è, dal 1968, di proprietà della famiglia Manetti, con Giovanni Manetti attuale Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico. Vanta circa  110 ettari di vigneti, condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La cantina è disposta su tre livelli e si avvale della forza di gravità, evitando l’uso di pompe elettriche. Negli anni ottanta qui è nato Flaccianello della Pieve e da allora il  successo è stato enorme, fra i grandissimi nomi della vitivinicoltura toscana. 

Panzano con il recente arrivo delle UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) per la Gran Selezione, ha visto ancor di più certificare la propria qualità.

I vini degustati

Flaccianello della Pieve IGT 2019 – Sangiovese in purezza, matura in barriques e botti di rovere francese per 24 mesi. Tonalità rosso rubino intenso e luminoso, ricco e complesso, sprigiona sentori floreali di viola mammola, ribes, marasca, mora e di visciole sotto spirito, poi tabacco e china. Avvolgente e dotato di una nobile trama tannica, con un finale lunghissimo su cenni balsamici ed un sorso duraturo.

Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Sorbo 2020 – Sangiovese in purezza, matura per 24 mesi in barriques e botti di rovere francese. Rosso rubino intenso, al naso è un’ esplosione di profumi, viola, lampone, fragola  ciliegia, prugna, rabarbaro e bacche di ginepro, al gusto è pieno ed appagante,  morbido, generoso ed armonioso.

Chianti Classico 2020 – Sangiovese in purezza – Matura in legno piccolo e botti grandi di rovere per 18 mesi – Rosso rubino luminoso, al naso rimanda sentori inizialmente di viola mammola e frutti a bacca rossa, come ribes e ciliegie, per poi proseguire su gradevoli note di spezie dolci. Al gusto è fine, sapido e suadente.

Chianti Classico Filetta di Lamole 2020 – Sangiovese 100% –  Rubino trasparente, rivela note ciclamino, erbe aromatiche, la tipica arancia sanguinella e spezie dolci.  Tannini setosi e vivace freschezza a conclusione di un elegante sorso.

Fontodi

Via San Leonino 89 – Loc. Panzano

50022 Greve in Chianti (Fi)

http://www.fontodi.com