Il Cesanese: una varietà che cresce in una terra fatta di storie antiche

di Olga Sofia Schiaffino

Alla scoperta della Ciociaria e dei suoi prodotti enogastronomici insieme a Le Donne Del Vino del Lazio

– parte prima –

Grazie alla passione e al lavoro di vignaioli illuminati si è assistito negli ultimi dieci anni alla promozione della conoscenza del vitigno Cesanese, che è intimamente legato con una terra ricca di storia e di bellezze naturali e artistiche.

La Ciociaria prende il nome dalle “ciocie”, le calzature che indossavano i pastori e i contadini dei territori che oggigiorno sono delimitati dai Monti Ernici, dal versante interno degli Ausoni e parte dei Lepini e la Valle del Sacco,rappresentato  grosso modo dalla zona compresa tra Piglio, Paliano, Serrone, Acuto prossimi alla città di Frosinone.

Il 6 giugno è iniziato un press tour ricco di appuntamenti, di esperienze e di visite in cantina, promosso dalla Associazione Le Donne del Vino del Lazio, di cui Manuela Zennaro è Delegata, in collaborazione con Regione Lazio.

La prima cantina ad accoglierci è stata Casale della Ioria, azienda che possiede circa 38 ettari vitati in conduzione biologica nella zona del Cesanese del Piglio Docg. Marina e Paolo Perinelli sono stati molto cordiali e hanno raccontato con passione il loro impegno nella produzione del vino, accompagnati dai figli, che curano la parte agronomica ed enologica.

Un grande leccio secolare sembra voler dare una benevola protezione ai visitatori. Di maestosa bellezza, viene a essere rappresentato sulle etichette della produzione della cantina. Il Cesanese di Affile è sicuramente il protagonista assieme alla Passerina.

La degustazione è iniziata con un metodo Martinotti davvero piacevole, Cesanese Lazio Igp Brut: bollicina perfetta come colonna sonora dell’estate.

Campo Novo2020 è la versione più fruttata vinificata totalmente in accaio. Etichetta molto invitante, nel calice si apprezza un vino dal colore rosso rubino e un profilo olfattivo che rimanda alla rosa, alla ciliegia e al lampone. Tannino di trama serica. Pulito, bello croccante.

Torre Del Piano 2017 è un Cesanese Superiore che si ottiene selezionando i migliori grappoli da appezzamenti su suoli vulcanici; dopo la fermentazione in acciaio, riposa in barrique per circa 8 mesi e segue un periodo di affinamento in bottiglia. Al naso si apprezzano sentori di gelatina di ciliegia, prugna, vaniglia, arancia sanguinella, tabacco, cacao. Tannino preciso e chiusura sapida.

Casale della Ioria 2020 è ottenuto da uve che maturano su suoli argillosi; terminata la macerazione in acciaio il vino riposa in botti di rovere da 20 ettolitri. Corredo olfattivo che rimanda a note balsamiche, lentisco, marasca, peonia ed erbe selvatiche. In bocca è secco, con un tannino delicato e la chiusura è sapida. Sempre dai terreni argillosi nella zona di acuto, a 260 mt slm si ottiene un vino senza solfiti aggiunti, Cesanese del Piglio Docg Zero Solfiti, ottenuto da uve perfettamente sane, lavorate in acciaio.

Dopo il pranzo, durante il quale ho potuto assaggiare delizie locali, è stata presentata l’opera di un pittore locale, Antonio Menenti che ha partecipato con le sue opere alla Biennale di Venezia nel 2007. La professoressa Mirella tomaselli ha inoltre affascinato la platea con alcuni aneddoti storici su Anagni e il comprensorio: non solo buon vino ma una full immersion nella cultura.

La seconda tappa del tour ha portato il nostro gruppo all’azienda L’Avventura. Il racconto della nascita della cantina è davvero coinvolgente, perché gli attuali proprietari, provenienti da mondi completamente diversi, si sono innamorati della vigna e come un “azzardo” hanno deciso di intraprendere questa avventura acquistando i primi vigneti, approssimativamente 8 anni fa.

Azienda biologica e sostenibile, segue e applica i metodi dell’Agricoltura Organica Rigenerativa. Bellissimo il Wine Resort Casale VerdeLuna finito nel 2019, dopo una ristrutturazione del vecchio casale in pietra, immerso totalmente nei vigneti dove si coltiva il Cesanese di Affile e il Cesanese Comune. Il primo si riconosce per gli acini più piccoli e neri, rispetto alla variante comune, viene vendemmiato nella prima metà di ottobre e si ottengono solitamente vini longevi.

Durante la splendida cena allietata dai canti di un gruppo folcloristico ciociaro gli Hernicantus di Palliano, abbiamo potuto assaggiare la produzione dell’azienda, raccontata da Stefano e Gabriella. Dopo aver iniziato con un metodo classico si è proseguito con Saxa, una Passerina in acciaio delicata e fedele alle caratteristiche del vitigno per poi proseguire con Con Te Lollo, che dimostra un struttura e una maggiore complessità.

Campanino è un blend composto da Cesanese di Affile 50% e Cesanese Comune 50%; fermentazione con lieviti indigeni  e maturazione in acciaio. Dinamico, croccante e succoso.

Picchiatello è ottenuto da 100% Cesanese di Affile coltivato su suoli argillosi; lieviti indigeni a temperatura controllata,in acciaio poi il 30% della massa prosegue la maturazione in acciaio mentre il 70% in botte grande per 12 mesi, seguiti da 2 mesi in bottiglia. Bellissima pulizia al naso con una nota balsamica importante, decisamente gradevole e una retro etichetta che fa sognare e che commuove, un vino del cuore.

Amor è un Cesanese di Affile in purezza che cresce su suoli argilloso-calcarei: fermenta in acciaio e sosta sei mesi in barrique. Il timbro del varietale non viene perso, si apprezzano al naso sentori di ciliegia matura, prugna cacao e una nota fumée.

Camere Pinte dopo la fermentazione alcolica, matura in barrique e tonneau per 14 mesi, a cui seguono 10 mesi di bottiglia. Al naso la frutta volge verso la confettura, il tannino è sempre perfettamente cesellato e integrato. Grande persistenza e respiro.

Una giornata intensa, trascorsa in compagnia di persone e vini che hanno lasciato un segno nel cuore e nell’anima. E non finisce qui…

Consorzio Vini Doc Grance Senesi: il racconto della Masterclass

di Adriano Guerri

Il Consorzio Vini Doc Grance Senesi, lo scorso 29 maggio, ha organizzato una Masterclass con 5 tipologie appartenenti alla denominazione di origine Grance Senesi

L’evento si è svolto presso la cantina della Tenuta Armaiolo di proprietà della famiglia Giovannini, a poca distanza dal centro abitato di Rapolano Terme (Si).  Guidata magistralmente da Gianluca Grimani, esperto degustatore e docente dei corsi AIS (Associazione Italiana Sommelier), la degustazione è stata preceduta da una panoramica sulla denominazione con l’intervento dei produttori presenti. 

La denominazione di origine controllata Grance Senesi è l’ultima nata in provincia di Siena e risale al 2010. Comprende l’area geografica dei comuni di Asciano, Rapolano Terme, Murlo, Monteroni d’Arbia e una parte del territorio Sovicille, tutti in provincia di Siena.

L’unico lembo di terra in provincia di Siena che era rimasto fuori dalle denominazioni, infatti a poca distanza si trovano le zone vitivinicole del Chianti Classico, del Nobile di Montepulciano, del Brunello di Montalcino e dell’ Orcia.

Il nome “Grance” deriva dalla presenza di queste fattorie fortificate sul territorio che nell’antichità gestivano i vasti possedimenti terrieri  ed erano dotate di ampi granai e cantine utili a immagazzinare e custodire i prodotti agricoli di appartenenza dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena.

Una piccola enclave di rara bellezza, da sempre vocata per la coltivazione della vite. Le altimetrie sono variabili, dai 400 ai 500 metri, con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne. I suoli sono di origine argillosa e ricchi di scheletro. Oltre alla coltivazione della vite, è molto diffusa anche quella dell’olivo e dei cereali. Le tipologie dei vini regolamentate dal disciplinare sono: Rosso, Rosso Riserva, Bianco, Passito, Vendemmia Tardiva, Malvasia Bianca Lunga, Sangiovese, Canaiolo, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Territori caratterizzati da suggestivi borghi, pievi, poderi e abbazie, una su tutte quella di Monteoliveto Maggiore (n.d.r. che racconteremo in un prossimo articolo dedicato).

Un paesaggio caratterizzato da colline brulle e ondulate, punteggiate da cipressi, querce, calanchi e folti boschi. La denominazione è stata fortemente voluta da Gabriele Giovannini, titolare della Tenuta Armaiolo, oggi guidata dal monaco benedettino guatemalteco don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore  di Asciano.

Una delle più piccole Doc italiane, ove vengono prodotti vini di elevata qualità, dotati di grandi potenzialità di crescita. Giocheremo ad analizzarli grazie anche a qualche stuzzicante abbinamento gastronomico.

I vini degustati

Grance Senesi Doc Rosso 2019 Abbazia di Monteoliveto Maggiore – Prevalentemente Sangiovese unito a Cabernet Sauvignon e Merlot.  Rosso rubino intenso, dipana sentori di rosa, violetta, fragoline di bosco, lamponi uniti a note balsamiche e speziate. Sorso fresco, dai tannini morbidi, rotondo e invitante. Ideale con il cacciucco alla livornese.

Creta” Grance Senesi Doc 2020 Podere Bellaria – Sangiovese in purezza. Rosso rubino vivace, rimanda note di violaciocca, rosa, amarena e prugna che ben si fondono con spezie dolci e cuoio. Palato ricco e suadente, decisamente lungo. Un ottimo viatico per un filetto di manzo alla griglia.

Cipresso” Toscana Igt 2016 Tenuta Masciello – Sangiovese 100%. Rubino intenso, emana sentori di tabacco, rosa appassita, frutta rossa matura, nuances speziate e tostate. Generoso e caldo, con ottima corrispondenza gusto-olfattiva. Matrimonio ideale con il cinghiale in umido.

Sangiovese Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese in purezza. Riflessi che virano sul granato, trasparente, sprigiona sentori di frutta di bosco matura, scorza d’arancia, ciliegia e melograno, conditi da pepe nero e bacche di ginepro. Avvolge e persiste con coerenza e gradevolezza. Si sposa bene sui tipici formaggi stagionati delle Crete Senesi.

Nistiola” Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Le sfumature diventano color granato, impenetrabili. All’olfatto libera note di frutti di bosco, cacao, polvere di caffè e scie mentolate finali. Di corpo, dalla trama tannica fitta e vellutata setosa. Compagno perfetto per le preparazioni a base di selvaggina.

Viticoltori Lenza: la storia di Guido Lenza e del suo sogno realizzato a pochi passi da Salerno

di Luca Matarazzo

Ci sono poche occasioni nella vita per conoscere persone genuine come Guido Lenza di Viticoltori Lenza.

Questo perché mettersi in gioco è un affare per pochi e bisogna sapersi adoprare con umiltà, disinvoltura e un pizzico di sana follia. Il sogno di un’azienda completa, iniziata da papà Valentino e proseguita nelle mani sapienti del figlio a pochi passi dall’Ippodromo di Salerno.

Guido Lenza

Cererali, cavalli e vino un trittico da autentica tela bucolica, fatta di Natura viva! Oggi parleremo dell’ultima pennellata, l’attività da vigneron che costa immane tempo e sacrificio. Il primo appezzamento era di circa 5 ettari, tutti Aglianico, con il quale il babbo vendeva le uve per portare fieno in cascina. I terreni non sono certo quelli poveri collinari, ma ricchi di sabbie e limo, molto drenanti e raramente soggetti alle siccità estreme degli ultimi anni.

Attualmente Lenza gestisce 10 ettari vitati: oltre la varietà a bacca rossa principe della Campania le fanno compagnia Piedirosso, Greco, Fiano e Falanghina. L’aiuto iniziale di Sergio Pappalardo ha consentito alla start-up di partire con la fase di vinificazione e imbottigliamento, in mano poi a vari conto terzisti nel tempo e adesso stabilmente in capo alla Cantina Firosa di Olevano sul Tusciano, con enologo il giovane e competente Michele D’Argenio.

Andiamo alla degustazione dei campioni proposti

Rosato Pèt-Nat: il classico frizzante da aperitivo? Siamo fuori strada; indubbiamente ammicca ad uno stile piacevole, ma la struttura importante lo rende un prodotto gastronomico ben adatto a specialità a base di pesce. Ancestrale sì… con grazia.

Vale Fiano 2021: in commercio dagli inizi di marzo. Eccessi balsamici sul sorgere di bocca che non accennano a diminuire nel prosieguo, sostenuti da acidità vibranti e nuance erbacee. Il Fiano ha bisogno di riposo per essere compreso nel suo carattere ribelle mai domo. Da riassaggiare in futuro.

Ida 2021: suddiviso in parti uguali tra Greco e Fiano. Dal primo ne giova la palpabilità gustativa, con presenza astringente sul finale, mentre dal secondo la delicatezza di fiori bianchi e agrumi di Sicilia. Buona l’accoppiata, sempre per restare nel gergo dell’ippica. Matura 10 mesi a contatto con le fecce fini.

Massaro 2019: la forte vena bianchista dei produttori campani la si nota subito quando si esercitano timidamente nella produzione dei rossi. Non perfetta l’esecuzione, con freschezze esuberanti corredate da sfumature verdi. Già quattro anni sulle spalle e sembra in bottiglia da pochi giorni. La consapevolezza, forse, di un grande potenziale che necessita però di ulteriore approfondimento e studio.

Valentinia 2021: complice il venir meno di un importante acquirente per le sue uve, Guido decise di realizzare un vino sull’esempio di quanto avviene in Valpolicella, riuscendoci benissimo. Ottima bevibilità, declinata su un frutto nitido al sapore di bosco e speziature calde, su finale di confettura di ciliegie. Tannini sontuosi, ben equilibrati ad un alcool potenziale da sfiorare i 18 gradi volumici senza sentirli.

Ogni nome in etichetta rappresenta un componente della famiglia, eccezion fatta per il Massaro. Sintomo di come Lenza (professione avvocato) concepisca lavoro, vigna e affetti in perfetta soluzione di continuità. Una “scommessa vincente” per il domani dell’areale salernitano.

Roma DOC: una denominazione avvolta nel verde e nella storia

di Matteo Paganelli

Qual è la prima cosa che viene in mente quando si pensa a Roma? Immaginiamo il Colosseo, il Pantheon, la fontana di Trevi o tutte le altre maestose architetture religiose, funerarie, civili o militari. Se rimanessimo a un livello superficiale potremmo persino essere spinti ad associarla al cemento e al traffico senza controllo.

Pochi però sanno che con i suoi 86.000 ettari di aree verdi (ben il 67% rispetto ai 128.500 totali) la Capitale si attesta come il più grande comune agricolo d’Europa. Ma Roma è soprattutto storia. Con ben 2.700 anni sulle spalle può raccontarci tanto: da Romolo e Remo ai giorni nostri si è davvero mostrata la caput mundi per eccellenza.

Verde e storia: sono proprio questi i fili conduttori della seconda parte del press tour numero 4 del progetto “Roma ha un cuore DiVino”. Progetto che, ricordiamo, è nato dall’idea del Consorzio di Tutela dei vini Roma DOC a nome del suo presidente Tullio Galassini, che ringraziamo per averci fatto da cicerone con il supporto organizzativo di Maria Grazia D’Agata e Stefano Carboni dell’agenzia MG Logos e di Silvia Baratta di Gheusis.

Dopo aver navigato le aree sud/sud-est di Roma nell’areale dei castelli Romani, oggi ci spostiamo nel lato diametralmente opposto, a nord/nord-ovest, in quella porzione di agro Romano racchiusa fra il lago di Bracciano, i monti Sabatini e il mar Tirreno.

La prima realtà visitata è Terre del Veio – Azienda Agricola, situata proprio all’interno del parco del Veio, riserva naturale ed archeologica, storica necropoli Etrusca. Terre del Veio nasce ben 60 anni fa, e anche se il territorio è da sempre vocato alla viticoltura dobbiamo attendere gli inizi degli anni 2000 per voltare quella pagina che separa il capitolo conferitori da quello produttori. Questo grazie al titolare Paolo David che rileva l’attività del suocero impiantando nuovi vigneti e abbandonando gradualmente l’approccio tradizionalistico per far spazio alla sua impronta stilistica orientata verso la qualità.

Ad accoglierci è Dario, figlio di Paolo, giovane agronomo ed enologo orgoglioso per il lavoro di famiglia. Ragazzo solare, così come la giornata che veglia su di noi accanto ai vigneti. Tra galline, caprette e instancabili api impollinatrici di sovescio, Dario ci racconta di quanto creda non semplicemente nell’agricoltura biologica, ma in una sorta di versione 2.0 per limitare l’uso dei trattamenti. La certificazione SQNPI che effettua campionamenti annuali su foglie e terreno per verificare che siano assenti eventuali residui preservando così il prodotto che troveremo dentro al calice, si presta degnamente al ruolo, assieme alla certificazione vini VEGAN.

La visita nella cantina sotterranea esalta la composizione del terreno: tufo di origine vulcanica. Siamo, infatti, non molto distanti dal vulcano Sabatino (attivo in passato e ora quiescente, così come l’altro di Roma, il vulcano Albano); una matrice che si tramuta in probabile sapidità nei prodotti finali. Altra caratteristica del tufo è la sua capacità di assorbire e rilasciare acqua, indubbiamente un grosso vantaggio nell’era del cambiamento climatico.

Dei 10,5 ettari vitati, che danno luogo a circa 40.000 bottiglie, sono quasi 10.000 quelle che – da pochi anni – possono uscire nella denominazione Roma DOC, fregiandosi anche della menzione Classico parte della zona più antica di Roma.

A colpire maggiormente è stato proprio il Roma DOC Classico Malvasia Puntinata “Cremera” 2021, che prende il nome dal fiume che scorre proprio in quella zona. Al calice lascia trasparire un vino dal color giallo paglierino molto intenso, con lucenti sfumature oro verde sui bordi. La consistenza alla mescita suggeriscono una buona estrazione. Al naso è proprio come porre la testa all’interno di una cesta di frutta fragrante appena colta: pesca a polpa bianca, albicocca ancora acerba e ananas. Le erbe aromatiche, basilico e menta, sono un preludio a ciò che troveremo al sorso: una bilanciata freschezza, supportata da mineralità. Durezze che ben si sposano con una sorprendente morbidezza. Da abbinare a un risotto con asparagi.

Per la seconda parte del tour, ci si sposta in direzione mare, per visitare la Cantina Castello di Torre in Pietra. Poco distante da Fiumicino (tappa obbligatoria per chi visita Roma atterrando all’aeroporto Da Vinci) si erge la torre del castello, simbolo di un borgo agricolo fortificato che sorse nel lontano 1200. Qui le vigne sono parte integrata da secoli, di esse ve n’è menzione già dai primi del ‘500 quando la residenza apparteneva a Camilla Peretti, sorella nel noto Papa Sisto V. Fu il nipote Michele a trasformare la dimora in una residenza signorile, ma il castello che oggi ammiriamo nella sua sontuosità è merito dei principi Falconieri. I loro ingegneri non si dedicarono solo all’architettura della dimora, ma costruirono anche un sistema per velocizzare le operazioni di vinificazione.

Ancora oggi, si può notare come sulla collina, sia presente un canale in cui veniva calata l’uva appena vendemmiata facendola finire direttamente nella vasca sottostante per le operazioni di pigiatura. Torre in Pietra purtroppo ha anche vissuto un secolo di puro abbandono, terminato nel 1926 quando Luigi Albertini, utilizzò la sua liquidazione dal Corriere della Sera per acquistare Torre in Pietra, bonificare la zona e ridare lustro alla tenuta. Da allora è sempre rimasta di proprietà della stessa famiglia; è infatti il pronipote Filippo Antonelli il padrone di casa che ci accoglie in maniera davvero ospitale.

Ben 52 ettari vitati, che danno alla luce 200.000 bottiglie e 50.000 bag-in-box. Il tutto in rigoroso regime biologico dal 2011, su terreni tufacei e cinerei. Merito del Tevere, che nel corso dei secoli ha portato nel suo estuario ceneri vulcaniche contenenti fossili preistorici. Non è un caso infatti che l’Osteria dell’Elefante abbia questo nome in onore dei resti appunto degli elefanti pleistocenici ritrovati (anche esposti all’interno del ristorante). È qui che Filippo ci omaggia della degustazione dei suoi vini, alcuni di essi che escono con la fascetta della denominazione Roma DOC.

Delle numerose proposte, è proprio un Roma Doc a colpirmi particolarmente: sto parlando del Roma DOC Rosso 2021. Un blend di Montepulciano (circa il 50%), Sangiovese e Cesanese. Buona trasparenza vestita di rosso rubino intenso con sfumature ancora purpuree. La consistenza, il titolo alcolometrico al 14% sono tutti fattori precursori di una particolare struttura che troveremo in seguito. Al naso esplode il bosco in tutti i suoi sentori, a partire da quelli fruttati di fragoline e more di rovo, passando per quelli vegetali di resina e ago di sempreverde, e terminando con note fungine. La speziatura è simile alla ciliegina sulla torta, ma con al palato un’importante spalla acido-sapida che assieme al tannino ben integrato concede lungo equilibrio.

In chiusura, assieme a Filippo e Tullio, abbiamo provato a chiederci quale potrebbe essere il futuro della Roma Doc. Una denominazione che ha tanto da raccontare sul profilo dei vini bianchi, grazie soprattutto ai numerosi autoctoni (Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Bellone, ma che ancora non riesce ad affermarsi con prepotenza nel panorama dei rossi. L’attuale disciplinare infatti, è stato appositamente impostato per utilizzare sui rossi una quantità minima di Montepulciano al 50%, lasciando il restante 50% alla personalizzazione del produttore. Questo vantaggio, a nostro parere, potrebbe però essere un’arma a doppio taglio perché allontana dal legame tra vitigno e terroir.

Se dico “Nebbiolo” si pensa, in prima battuta, al Piemonte. Qual è dunque il corrispondente Nebbiolo Romano? Sono principalmente due le idee che daranno traccia a una probabile impostazione futura: la variazione del nome Montepulciano in Violone (per distaccarsi dal richiamo alla viticoltura Abruzzese), il suo utilizzo in purezza e una remota possibilità dell’introduzione del Cesanese, vero e proprio cavallo di razza. Di una cosa possiamo essere certi: i produttori hanno tutte le carte in regola per farsi conoscere ad alta voce, come il grido forte di un gladiatore dell’antica Roma.

Le Donne del Vino del Lazio: amore per la terra e passione per il vino

di Morris Lazzoni

Nel mio ultimo viaggio sono stato ospite de Le Donne del Vino del Lazio, associazione tutta al femminile che racchiude differenti figure professionali inerenti il mondo del vino: nel Lazio le socie produttrici sono 23, le associate 70 mentre il totale nazionale supera le mille aderenti.

Non mi dilungherò oltre riguardo la genesi dell’Associazione, mentre vorrei soffermarmi maggiormente sulla delegazione del Lazio di cui sono stato ospite poche settimane or sono.

Le Donne del Vino del Lazio hanno organizzato tre differenti press tour, dedicati a giornalisti e blogger, per scoprire la territorialità del vino laziale coltivata, gestita e promossa dalle socie aderenti. Non posso esimermi dal ringraziare la Delegata Regionale Manuela Zennaro, la vice Delegata Floriana Risuglia e l’ufficio stampa MG Logos di Maria Grazia D’Agata per l’invito: ho passato tre bellissime giornate in queste terre, con la possibilità di visitare nuovi areali, degustare vini e conoscere donne di spessore e grande personalità.

Coraggio, passione e tenacia: tre parole per descrivere Le Donne del Vino del Lazio

Proprio su quest’ultimo aspetto vorrei soffermarmi, al di là del racconto delle esperienze fatte e dei vini degustati. Nel concetto di “territorio” non può mancare la corrispondenza con le persone che lo vivono, coltivano e comunicano. Le Donne del Vino del Lazio riescono a trasmettere amore per la propria terra e grande, enorme passione per quello che quotidianamente portano avanti.

Mi hanno fatto capire quanto impegno, coraggio, tenacia e sacrifici ci fossero dietro le loro scelte. Ognuna di loro mette in campo la propria personalità, capacità e stile ed è come se ogni storia e racconto avessero all’interno un filo conduttore.

Chiara, Cristina, Federica, Floriana, Giulia, Manuela, Maria Laura, Matilda, Rossella, Sara e Tiziana hanno tanto da raccontare, tra emozioni e sfumature differenti. Esuberanza, vitalità, eleganza, precisione, decisione, determinazione, allegria, sana follia, timidezza, rigore ed autorevolezza possono sembrare un prolisso elenco di parole, ma sono le caratteristiche principali suggeritemi dalla conoscenza di ognuna di loro.

Non conta l’esperienza, perché la voglia di fare, l’entusiasmo e la grinta non si misurano in anni: ciascuna di esse trasmette ardore e voglia di far conoscere territori a loro volta di antica tradizione vinicola, oltreché permeati di storia e cultura.

Non sempre però storicità di un areale e successo commerciale creano un perfetto sillogismo, soprattutto quando si guarda al complesso mercato internazionale del vino. Succede anche in Italia, ove alcune zone di produzione non sembrano cavalcare la cresta dell’onda rispetto ad altre, ma ciò non significa che manchino qualità intrinseche ed ottime credenziali per un futuro successo.

Probabilmente i vini di Frascati, Castelli Romani e Orte ( le zone che ho visitato nei miei tre giorni di press tour ) dovranno fare qualcosa in più a livello comunicativo e promozionale, per sbocciare definitivamente sul palcoscenico del vino italiano e mondiale: Le Donne del Vino del Lazio sono sulla strada giusta, quella della comunione d’intenti e della “sorellanza”. Quando si uniscono forze, idee e buoni propositi si possono avere sicuramente maggiori possibilità di emergere, rispetto a viaggiare da soli e senza aiuto altrui.

Poggio Le Volpi, prima tappa del press tour

Iniziamo da Poggio Le Volpi, storica realtà di Monte Porzio Catone, che da tempo miete successi e riconoscimenti per la produzione dei suoi vini. Ad attenderci c’è Rossella, moglie di Felice, e colonna portante dell’azienda. Rossella ci guida attraverso una passeggiata nei vigneti dell’azienda, raccontando genesi e trasformazione dell’azienda, che negli anni è riuscita a portare i vini del territorio in giro per l’Italia ed il Mondo.

Essere portavoce di una cantina come Poggio Le Volpi non è un compito facile: la dimensione aziendale, la bellissima struttura della cantina e degli ambienti ricettivi chiedono alti livelli di responsabilità ed impegno. Rossella però dimostra quanto la passione per il lavoro, unita a competenza, attenzione e rigore, possano essere da esempio: ciò che trasmette è di essere un punto cardine della cantina, sempre presente ed attenta ad ogni minimo particolare.

Torniamo alla storia della cantina, partita nel 1996, e con una produzione odierna incentrata su Frascati, Lazio Igt e da ultimo anche Roma Doc, valorizzando soprattutto il potenziale dei vitigni autoctoni ma anche l’adattabilità di quelli internazionali. La filosofia di Poggio Le Volpi mira al mantenimento delle tradizioni locali, coadiuvato da un attento utilizzo delle tecniche moderne in cantina, in modo da rispettare ed esaltare le caratteristiche territoriali.

Il Roma Doc Rosato 2022, un vino dal sapore agrumato, floreale, dalla bella sapidità e dalla beva piacevole. Continuiamo con Epos Frascati Superiore Riserva Docg 2018, il quale mostra il percorso evolutivo di un vino pensato per allungare la propria durata: pietra focaia, scorza di agrumi e note tostate incontrano succosità, ricordi sulfurei, buona acidità e distensione al palato.

Roma Doc Rosso 2021 è ben fruttato e speziato al naso, mentre in bocca evidenzia bilanciamento tra frutti densi, trama tannica e giusta acidità. Il Roma Doc Rosso Edizione Limitata 2019 invece fa leva su affinamento in legno e maggiore sosta in bottiglia: i frutti sono più maturi e più dark, oltre a note fumé e lievemente terrose di sottobosco e terriccio. L’assaggio è carico di sapore, con tannino sostenuto ed importante calore alcolico, chiudendo con liquirizia, foglie di tabacco e prugna.

Seconda tappa da Villa Simone, dove incontriamo la più giovane tra Le Donne del Vino del Lazio

Nonostante un meteo inclemente, arriviamo da Villa Simone, sempre nel comune di Monte Porzio Catone, all’interno dei terreni dell’antico vulcano laziale. Ad accoglierci troviamo Sara, dalla personalità altrettanto vulcanica e coinvolgente. Assieme al padre Lorenzo ed alla madre Fulvia gestisce l’azienda di famiglia nata nel 1982, che oggi conta circa 21 ettari divisi tra i comuni di Monte Compatri, Roma, Frascati e Monte Porzio Catone.

La storia di Sara è legata a stretto giro con il vino, visto che già il nonno Armando negli anni 60 possedeva un’enoteca. L’acquisto di una casa a Monte Porzio Catone per passare le vacanze estive fece da precursore: acquistare i primi vigneti fu una naturale conseguenza.

Sara è la più giovane tra le socie produttrici de Le Donne del Vino del Lazio, ma ciò non le impedisce di dimostrare passione ed attaccamento al lavoro come poche. Sa come raccontare e promuovere la sua realtà e il territorio dispensando sana allegria, potendo contare su un background di studi in ambito turistico.

Prima di passare al racconto dei vini, non posso che accennare alla bella introduzione sul territorio e la geologia della zona da parte di Lorenzo, padre di Sara. Grazie alla sua spiegazione abbiamo avuto modo di conoscere la genesi del vulcano laziale, passato attraverso eruzioni, trasformazioni e conseguente conformazione del territorio dei Castelli Romani.

L’assaggio si è svolto all’interno della grotta, scavata nella collina: data la sua conformazione si adatta sia all’affinamento dei vini in barrique e ad ospitare eventi e degustazioni.

Villa dei Preti Frascati Superiore 2022 mi ha colpito con l’abbondante aromaticità di agrumi e frutti tropicali, con un palato succoso, eppur rotondo nel gusto, sapido e di buona acidità. Un vino che può soddisfare per differenti situazioni di bevuta, dall’abbinamento al cibo all’assaggio singolo.

Ho modo di conoscere anche un nuovo vitigno, il Nerobuono, tornato in auge dopo anni di oblio ed abbandono, oltreché imparentato al Montepulciano per similare livello tannico.

Il Torraccia Igp 2020 è un assemblaggio di 80% Cesanese e 20% Nerobuono che fa dei profumi dolci, densi e profondi di frutti neri il proprio tratto distintivo, caratterizzandosi per una bevuta giustamente tannica, un filo terrosa e sempre golosa nel frutto.

Cambiano le percentuali ( 60% Cesanese e 40% Nerobuono ) per il Ferro e Seta 2019 che sosta per circa 24 mesi in barrique. La maturazione dei frutti neri, unita a sentori di cioccolato, caffè, balsamico e china fanno il pari con profondità di gusto, giusta scorrevolezza al palato e buona sapidità finale.

Infine la vera chicca, spesso difficile da trovare anche in zona, il Cannellino di Frascati Docg 2017: avvolge ed ammalia al naso grazie ai profumi di frutti canditi, fico secco, dattero, foglie di menta e noce moscata. L’assaggio è giustamente grasso ed oleoso, ma senza perdere slancio in freschezza e scorrevolezza di beva, sempre coadiuvata da una brillante sapidità.

Eredi dei Papi: la bella storia di Chiara e Lorenzo

Per agevolare la conoscenza delle produttrici da parte di giornalisti e blogger, Le Donne del Vino del Lazio hanno scelto di ospitare un’altra azienda durante ogni visita in cantina: da Villa Simone è stato il turno di Eredi dei Papi.

A raccontarci da dove nasce il progetto ed il proprio percorso professionale è Chiara, giovane ma ben determinata ragazza, che ha abbandonato una scintillante carriera nel marketing di Google per dedicarsi all’azienda di famiglia.

A onor del vero è giusto parlare anche del fratello Lorenzo, anch’esso artefice di questa nuova avventura: dopo essersi accorto che il mondo della giurisprudenza non gli apparteneva, virò verso gli studi enologici, indispensabili per lavorare all’interno della propria cantina.

Eredi dei Papi sorge a Monte Compatri, su quelle terre che furono già del nonno di Chiara e Lorenzo e sulle quali, molto tempo prima, erano piantate varietà di uva da tavola. Sono circa 3,5 ettari produttivi sui 6 totali, coltivati oggi in regime biologico e principalmente dedicati a vitigni autoctoni.

Fuorionda Rosè Brut, un metodo classico da uve Montepulciano, è fruttato e speziato al naso, con leggeri ricordi di erbe aromatiche e pan brioche, porta una bolla abbastanza soffice e fine al palato, oltre a sostenuta sapidità e buona lunghezza di gusto.

Albagia Roma Doc 2021 profuma di frutti tropicali, erbe aromatiche, frutta secca e mentolo, mentre al palato gioca sul bilanciamento tra scorrevolezza del sorso, nitida sapidità e finale di lusinghiera persistenza.

Sempre Malvasia Puntinata in purezza per il Galatea Lazio Igt 2021 ma cambia l’affinamento, svolto per circa 9 mesi in botti di castagno da 350 litri. Ai frutti gialli maturi si affiancano sentori di burro fuso, noci tostate, tabacco biondo, arachidi, foglie di tè e caramello salato. Cremoso ed ampio in bocca, giustamente caldo e finache lungo in persistenza, dona complessità ed aggiunge ricordi fumè e tostati. Acidità sostenuta e bel bilanciamento globale.

Chiudo con Composto Lazio Igt 2021, da uve Syrah e Montepulciano, che fa dell’immediatezza dei profumi freschi di frutti rossi e fiori, chiodi di garofano, ginepro e macchia mediterranea un proprio timbro. È croccante al palato, mai troppo tannico, di buona freschezza e beva golosa grazie anche ad un’abbondante salivazione.

Terre d’Aquesia e Borgo del Baccano: fine del terzo giorno

Faccio un salto temporale nel racconto del press tour con Le Donne del Vino del Lazio per passare direttamente alla fine della terza giornata. Spetterà al collega Alberto Chiarenza raccontare le altre esperienze, in modo che i lettori di 20Italie ne abbiano totale conoscenza.

Ad ospitare le due cantine di cui parlerò è stata l’azienda Ciucci di Orte, nella quale abbiamo dapprima degustato i vini e poi pranzato. La prima delle altre due cantine è Terre d’Aquesia, azienda di circa 10 ettari vitati ad Acquapendente nell’Alta Tuscia viterbese, rappresentata da Tiziana e da Vincenzo, legati nella vita e nell’attività vinicola.

Tiziana è una preside di scuola, ma non manca, sotto la “coriacea corazza” del ruolo che esercita, di mostrare spirito allegro e passione per il vino. Terre d’Aquesia nasce nel 2019 grazie alla volontà di Vincenzo, dopo che lo stesso decide di abbandonare la propria carriera nel settore dell’ingegneria chimica per dedicarsi totalmente al vino. La scelta è ricaduta su vitigni locali misti ad internazionali, cercando di seguire la vocazione dei terreni del luogo.

L’Aquesia Bianco Lazio Igt 2021 è un assemblaggio di Chardonnay al 70% e 30% Grechetto che alterna profumi di albicocca, pompelmo, susina bianca e pera a note di frutta secca e floreale. Quanto è morbido e rotondo al naso, tanto è agrumato, salivante e sapido al palato, denotando anche una buona persistenza.

Santermete Lazio Igt 2018 è stato creato da 60% di Cabernet Sauvignon e 40% di Sangiovese, oltre a compiere un affinamento misto tra acciaio e legno di circa 20 mesi. I profumi aprono su note erbacee e vegetali, lieve ematico, frutti neri in confettura, eucalipto, liquirizia e oliva nera. Calore e piccantezza accolgono il palato, seguite da buona densità fruttata, tannino mai eccessivo e giusta salivazione che anticipano un finale noir da tabacco e cacao amaro.

Borgo del Baccano, ultima conoscenza del mio press tour

La storia della cantina Borgo del Baccano è davvero recente, nata nel 2020 ed ancora in continuo divenire. Il progetto di Matilda, amministratrice dell’azienda, è quello di creare un polo agrituristico che si occupi di produzione enologia ma anche di ospitalità e ristorazione. I 53 ettari totali si trovano a Campagnano di Roma, nella Valle del Baccano da cui l’azienda trae il nome.

La gioventù accomuna Matilda alla sua stessa “creatura enologica”, senza perdere di vista il focus sull’obiettivo che vuole raggiungere: dietro un iniziale velo di timidezza si scoprono idee chiare e volontà di creare un grande progetto. La produzione di tutte le colture sarà in regime biologico, dal momento che non si limiterà solo al vino ma si estenderà anche a piante di olivo ed alberi da frutto.

Il territorio in cui sorge l’azienda è intriso di storia e natura, grazie alle vicine via Francigena e Cassia, al parco di Veio e quello di Bracciano e Martignano. Con queste premesse territoriali e con la volontà che ci potrà mettere Matilda, sono certo che le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare.

Il primo vino è il Piana del Mosaico Lazio Igt 2021, assemblaggio da uve Vermentino, Malvasia e Grechetto. Apre al naso con decisi profumi fruttati da pesca e mandarino, spezie dolci, note floreali e sulfuree, mentre al palato continua con sentori agrumati, buona salivazione ed interessante sapidità.

Il Roma Doc Rosso 2021 è alla prima annata di produzione e porta in bottiglia 70% di uve Montepulciano e 30% di Cesanese per un affinamento di circa sei mesi in barrique. I profumi fruttati sono polposi e dolci, le note floreali spiccate, così come si sentono influssi di tabacco, erbe aromatiche e cioccolato. In bocca ha corpo, frutto ma anche un tannino un pò fuori dai ranghi della compostezza che limita la distensione dell’acidità.

Morris Lazzoni Autore di 20Italie

Un caloroso saluto a Le Donne del Vino del Lazio come l’accoglienza che mi hanno riservato

Sono tornato dalla zona dei Castelli Romani, Frascati ed Orte con la consapevolezza di aver conosciuto areali vinicoli finora mai solcati e di aver sentito, dalla voce di chi vi è cresciuto, storie, aneddoti e particolarità di queste terre dalla storia millenaria.

Le civiltà che hanno vissuto in questi luoghi hanno lasciato segni indelebili: non posso chiudere il racconto senza menzionare la visita al Parco Archeologico di Tuscolo. Le tracce del popolo dei Latini prima e dei Romani poi, sono lì a testimoniare la posizione strategica del luogo in ottica geografica, climatica ed anche paesaggistica: oggi da quella collina si può ammirare non solo Roma, ma, volgendo lo sguardo in direzione quasi opposta, anche Castel Gandolfo.

Francesca e Manuela ci hanno accolti per una visita dedicata al parco archeologico, spiegandoci la genesi territoriale dei vulcani, la nascita della città di Tusculum da parte dei Greci e del passaggio di dominazione tra il popolo dei Latini ed i Romani avvenuto tra il 496 a.c. ed il 494 a.c.

Per lo stesso motivo è di notevole menzione anche la visita alla Orte sotterranea, esperienza che ha chiuso la tre giorni con un tour attraverso gli antichi acquedotti di origine etrusca e romana sottostanti la città. Vedere con i propri occhi quanto ingegno e studio ci fosse per realizzare le antiche condutture dell’acqua in quell’epoca, lascia senza fiato. Scendendo dalla piazza principale di Orte, Piazza della Libertà, si incontra subito la Fontana Ipogea da cui partivano le antiche condutture. Da lì in poi è tutto un susseguirsi di cunicoli, anticamente utilizzati come acquedotti, cisterne e pozzi.

Da ultimo rammento le due cene a Frascati: ‘Na Fojetta e ConTatto sono due anime belle del centro storico, ognuna con proprie sfumature e tipo di cucina. ‘Na Fojetta è una trattoria famigliare ma ammicca alla ricercatezza, con verdure ed erbe di produzione propria, puntando su sapore ed estetica dei piatti: il loro tagliolino alla vignarola me lo ricorderò per diverso tempo.

ConTatto si lega al territorio per la spettacolare location e le grotte sotterranee, facendo leva sullo spirito di ricerca e la voglia di stupire dello chef Luca, cercando di creare un nuovo concetto per Frascati: c’è una ricerca quasi maniacale del più piccolo particolare, in ogni aspetto della cucina e del servizio, senza dimenticare sapore, effetto sorpresa e totale valorizzazione della materia prima. Se ne sentirà parlare!

Grazie care Donne del Vino del Lazio, con Voi mi sono divertito, ben accolto e piacevolmente acculturato su territori, vini e storie che porterò con me per sempre.

Online la Guida ai Migliori Vini dell’Irpinia 2023 di Vinodabere.it

Comunicato Stampa

On line da qualche giorno la Guida ai Migliori Vini dell’Irpinia 2023 di Vinodabere.it, curata dai giornalisti Antonio Paolini e Maurizio Valeriani – 122 vini recensiti di cui 48 premiati con Standing Ovation

È on line da qualche giorno sulla testata giornalistica Vinodabere.it la Guida ai Migliori Vini dell’Irpinia 2023, curata dai giornalisti enogastronomici Antonio Paolini e Maurizio Valeriani.

Si tratta di un vero e proprio focus sullo stato dell’arte dello storico e vocatissimo areale campano, territorio di elezione per varietà cardine quali Fiano, Greco ed Aglianico. Le etichette menzionate e recensite sono quelle che hanno superato il punteggio medio  di 90 centesimi nella degustazione alla cieca del panel composto da 17 persone scelte tra giornalisti, critici ed esperti di settore (Ruggero Faliva, Paolo Frugoni, Federico Gabriele, Maurizio Gabriele, Emanuele Giannone, Luca Matarazzo Direttore Responsabile di 20Italie, Daniele Moroni, Gianmarco Nulli Gennari, Antonio Paolini, Pino Perrone, Emanuela Pistoni, Stefano Puhalovich, Franco Santini, Marco Sciarrini, Gianni Travaglini, Paolo Valentini e Maurizio Valeriani).

Ben 300 i campioni assaggiati che hanno impegnato a fondo, ma anche convinto in pieno, la Commissione di Vinodabere per qualità complessiva in profonda crescita e ben aderente alle denominazioni ed ai territori di provenienza. Diverse le punte di eccellenza, soprattutto tra i bianchi, che si propongono come l’inclinazione produttiva migliore della Campania. Chi ha rischiato e sostenuto, con pazienza, un ulteriore riposo in bottiglia di uno o due anni dalla vendemmia prima dell’immissione sul mercato, ne ha raccolto i frutti indiscussi esprimendo al meglio le potenzialità del varietale d’origine. Non mancano, però, prestazioni altamente positive (e sorprese graditissime) anche dal fronte Taurasi, che cresce complessivamente in finezza, e dalle versioni Irpinia Campi Taurasini e Aglianico, Doc di ricaduta ricche di personalità e ormai sdoganate dal concetto di semplice “vino d’ingresso”.

Una fotografia dell’Irpinia dunque davvero molto confortante. A maggior ragione per una Guida che nasce con l’intento di divulgare il livello qualitativo raggiunto da territori per i quali esso non è ancora stato universalmente e completamente suffragato.

Ben 122 vini recensiti, di cui 48 premiati con il riconoscimento più alto, la Standing Ovation. La Guida è consultabile al link seguente: https://vinodabere.it/guida-ai-migliori-vini-dellirpinia-2023-di-vinodabere-la-guida-completa/

Roma DOC: una denominazione degna di una Capitale

di Matteo Paganelli

Il grande cantautore Lando Fiorini in una delle sue celebri canzoni recitava “Faje sentì ch’è quasi primavera”. C’è da dire che dopo le tristi notizie riguardanti il maltempo è molto piacevole passare una bella giornata di piena primavera proprio in Capitale, e qual miglior modo per farlo se non partecipando a uno dei press tour del progetto “Roma ha un cuore DiVino”.

Il progetto è nato dall’idea del Consorzio di Tutela Vini Roma DOC, soprattutto grazie alla volontà del suo presidente Tullio Galassini, e all’organizzazione meticolosa delle agenzie MG Logos di Maria Grazia D’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta.

Da sinistra l’autore di 20Italie Matteo Paganelli e Tullio Galassini presidente Consorzio di Tutela Vini Roma Doc

La giornata di oggi, Tour Marino, prende il nome proprio da uno dei comuni su cui la denominazione insiste. Siamo esattamente a sud-est rispetto alla capitale, sui Colli Albani nell’area dei Castelli Romani, in una specie di morsa fra il vulcano Albano (uno dei due vulcani di Roma, entrambi ancora attivi ma dormienti), i laghi Albano e Di Nemi e il mare.

Il tour parte dalla cantina Gotto D’Oro, situata nel comune di Marino, indubbiamente la realtà più grande di tutta la regione Laziale. Grande non solo per i 1000 ettari vitati e i 7 milioni di bottiglie prodotte annualmente, ma anche a motivo della loro storicità che prende vita nel lontano dopoguerra. È il 1945 quando un gruppo di 41 viticoltori costituisce il consorzio denominato “Cantina Sociale Cooperativa di Marino”. La sede dell’epoca era uno stabilimento dello Stato situato a Ciampino. Dobbiamo aspettare il 1973 per il trasferimento nell’attuale stabilimento di Frattocchie. Il principale motivo di crescita esponenziale della Gotto D’Oro è sicuramente da ricercare nell’intuizione che il vino si potesse anche esportare (inizialmente era distribuito solo nel territorio circostante) e quindi questo rese necessaria la precoce realizzazione di una linea completa di imbottigliamento e di conseguenza, di uno stabilimento che potesse accogliere la crescita di volumi.

Al momento della visita, l’azienda è purtroppo ancora stretta nel cordoglio per la recentissima perdita di Luigi Caporicci, storico presidente della cantina. Siamo quindi ancora più grati dell’ospitalità che ci è stata mostrata. Veniamo accolti da Marco Zanibellato, tecnico responsabile di laboratorio, il quale ci accompagna lungo tutte le fasi del processo. Processo che inizia dalla ricezione delle uve in grandi vasche di conferimento. Uve che nonostante vengano prodotte da soci conferitori, sono oggetto di analisi specifiche e approfondite prima di essere processate. La visita prosegue visionando le presse soffici pneumatiche e le vasche di affinamento divise fra inox e cemento che condividono una capienza totale di ben 400.000 ettolitri. La linea di imbottigliamento e confezionamento è un serpentone molto tecnologico dove abbiamo avuto la possibilità di vedere dal vivo una cadenza di ben 7.700 bottiglie/ora.

L’eterna lotta “quantità vs qualità” trova una risposta chiara nel 2016, anno di nascita di Vinea Domini, nuova linea che rappresenta l’emblema della qualità Gotto D’Oro. L’idea nasce in realtà anni prima, nel 2004, quando l’azienda, spinta dalla curva positiva delle vendite, si chiese se non fosse il caso di investire anche in un prodotto di nicchia. Vengono quindi impiantati nuovi vigneti che sono quelli utilizzati tuttora per la produzione di questa linea premium. Etichette che possono vantare della denominazione Roma DOC, ad avvalorare il concetto di qualità. Le produzioni si assestano sulle 25.000 bottiglie per i Roma DOC Bianco e Roma DOC Rosso mentre sono in media 6.000 le bottiglie che escono in Roma DOC con la specificazione del monovitigno.

Fra i vari vini in degustazione, a colpire particolarmente è il Roma DOC Malvasia Puntinata Vinea Domini 2022. Di colore giallo verdolino con spiccati riflessi dorati, l’aspetto suscita già interesse. Scorre bene nel calice e quando avvicinato al naso dona spiccate note di erbe officinali unite a ginepro, cipresso e menta piperita. Il frutto arriva poco dopo in aromi di pesca bianca ed albicocca. A colpire è un equilibrio già centrato, merito di una freschezza presente ma non esuberante e un calore contenuto. La persistenza lunga sancisce definitivamente la qualità del prodotto.

La mattinata prosegue veloce e ci spostiamo di pochi km più a nord, precisamente a Frascati, per la visita a Cantine San Marco. L’azienda prende il nome dal colle su cui sorgeva inizialmente; dobbiamo infatti fare un bel balzo indietro per conoscere la sua storia. È il 1972 quando Umberto Notarnicola e Bruno Violo intraprendono la sfida per riuscire a promuovere il Frascati, vino d’eccellenza della zona, nel mondo. Se pensiamo solamente a quanto sia diffuso oggi il nome Frascati, soprattutto nel panorama oltreoceano, possiamo affermare che ci sono riusciti. Una loro bottiglia appare pure nella scena di un film, “Il talento di Mr. Ripley” (Paramount Pictures, 1999).

Oggi l’azienda è pilotata dai figli di Umberto e Bruno, Danilo e Pietro, che si dividono equamente i compiti manageriali. È proprio Pietro a guidarci in visita nel loro stabilimento atto a produrre ben 3 milioni di bottiglie/anno. Anche in questo caso il processo inizia con il ricevimento delle uve. A chi storce il naso supponendo che in questi casi non si abbia controllo di ciò che avvenga in vigna, mi preme sottolineare che i soci conferitori sono in realtà piccolissimi proprietari che in media possiedono appena 1 ettaro ciascuno. Questo si traduce nella possibilità di poter contare su un’attenzione meticolosa nella cura dei vigneti sommata al grosso vantaggio di un supporto agronomico/enologico centralizzato in San Marco.

Pietro ci fa notare che l’export occupa un buon 50% della loro produzione, e che nonostante i loro flussi siano impostati con la metodologia just-in-time (in perfetto stile Lean Production), i tempi legati all’esportazione dilatino al punto che si deve aspettare fino a 4 mesi dopo la spedizione per poter vedere quella bottiglia stappata sul tavolo di qualche cliente Americano, Cinese o Indiano. Questo non è affatto banale se si pensa al lavoro che si cela dietro al garantire un’aromaticità longeva, ottenuta grazie a criomacerazioni mirate. Le Malvasie Laziali, a dispetto del nome, non sono vitigni aromatici bensì neutri. La versatilità delle ben 25 referenze, oltre a dare la possibilità di poter provvedere prodotti per il mondo Ho.Re.Ca. che si potessero distinguere da quelli destinati alla GDO, ha permesso di poter dedicare una linea alla denominazione Roma DOC.

La giornata termina con la visita a Cantina Gaffino, ubicata più a sud, ad Ardea, esattamente a metà fra Castel Gandolfo e il mare (che dista in linea d’aria appena 18 km). Ciò che più colpisce appena arrivati sono i vigneti: puliti e ordinati, oserei dire “pettinati”, con una ricercatezza sulla perfetta ramificazione di ogni singola pianta e un’omogeneità priva di fallanze. Ad accoglierci calorosamente è Gabriele Gaffino, titolare dell’azienda. Gabriele ci parla di come suo nonno, Lucchese di origine ed ex giocatore in borsa, trasferitosi a Roma ebbe l’intuizione di acquistare nel 1961 il podere sul quale oggi sorge l’azienda, che ad oggi può vantare la certificazione biologica sui 28 ettari vitati. Dobbiamo però aspettare il 2014 per vedere l’intera produzione dalla vite alla bottiglia (prima le uve venivano conferite a una cantina sociale), anno in cui fu proprio Gabriele a impostare il suo personale stile vinicolo. Dobbiamo dire che la scelta ha dato i suoi frutti: dalla prima vendemmia del 2015 ad oggi, infatti, la produzione ha raggiunto le 75.000 bottiglie/anno.

Anche Gabriele ha scelto di uscire con alcune delle sue etichette all’interno della denominazione Roma DOC. Addirittura abbiamo avuto il privilegio di poter degustare una piccola verticale del loro Roma DOC Rosso, nelle annate 2018-2019-2020. Il confronto è un puro lettore dell’annata dato che lo stile è rimasto sempre il medesimo: Montepulciano e Sangiovese in blend rispettivamente al 60%-40%, rimontaggi durante tutta la fase di fermentazione e macerazione sulle bucce, poi successiva pressatura soffice e riposo delle masse per metà in acciaio e metà in legno piccolo. Affinamento in bottiglia per lo stesso tempo passato in inox/barrique. L’annata 2020, quella attualmente in commercio, è probabilmente quella di maggior interesse. Discreta trasparenza che aiuta a notare i riflessi purpurei all’interno di un rosso rubino molto intenso. Un naso che chiama immediatamente sentori di arancia sanguinella in succo, erbe aromatiche fresche come la salvia e una speziatura di pepe nero e chiodi di garofano. Al palato l’acidità è la componente principale ma gradevolmente non invadente, con un tannino percettibile e un alcol perfettamente integrato. Sapidità che invita al sorso e sposta ancora di più il vino sulle durezze, ma che si fa apprezzare proprio per questo motivo.

A conclusione della giornata ho constatato come i produttori di questa zona abbiano fermamente creduto al progetto Roma DOC, nonostante in ognuna di queste zone esistessero già altre denominazioni. Un motivo è da ricercare forse nel fatto che la nuova denominazione abbracci anche vitigni a bacca rossa, in modo da includere in un disciplinare, sinonimo di controllo e garanzia, vini che diversamente potrebbero uscire solo nella più generica Lazio IGT. Ma, probabilmente, il motivo principale è insito proprio nel nome: Roma. Con la sua potenza al semplice pronunciare quelle due sillabe, l’importanza e la responsabilità che riveste l’affacciarsi al mondo circostante come a dire “ci siamo anche noi, non siamo solo la capitale d’Italia ma siamo un popolo con una storia vitivinicola che vogliamo farvi conoscere”. E il Consorzio, devo ammettere che ci stia riuscendo bene.

Roma Doc: “piccola-grande” Denominazione del vino laziale

di Morris Lazzoni

Non me ne voglia l’immenso Claudio Baglioni se ho preso spunto da un suo celebre titolo, ma credo che entrambi gli aggettivi rendano bene l’idea di cosa sia oggi il territorio della denominazione Roma Doc. Ho passato un giorno intero ed una sera in questo areale e voglio raccontare dei vigneti e panorami visti, degli assaggi fatti nelle aziende e dei racconti di chi vive la zona quotidianamente.

È una piccola denominazione, se intesa come bottiglie prodotte rispetto ad altri territori del vino, ma ha una grande storia come può far ben intendere il suo nome. Quando si parla di Roma, qualunque connotazione le si voglia dare, è inevitabile scontrarsi con la grandezza e l’opulenza che questa città si porta appresso.

Nonostante il direttivo del Consorzio Roma Doc, capitanato dal Presidente Tullio Galassini, sia divenuto operativo appena nel 2018, ad essere grande e ben ampio è il territorio di competenza, che si estende, come in un caloroso abbraccio, attorno ai confini della Città Eterna.

La storia di questi luoghi parla di vino e di coltivazione della vite già dai tempi degli Etruschi, da cui i Romani appresero alcune tecniche viticole. Importante per la zona era anche le esportazione dei prodotti dal porto di Ostia, per raggiungere varie zone delle colonie.

Il fulgore del vino in epoca romana durò fino al III-IV secolo d.c. quando, anche a seguito delle lotte politiche interne e delle invasioni barbariche, iniziò la fase calante della viticoltura, con una relativa epoca gaudente sotto lo Stato Pontificio. Si devono, pertanto, ai Papi ed al Clero alcune delle tappe importanti per la valorizzazione del vino di Roma: l’Università dei Tavernieri del 1481, l’Accademia dei Vignaioli del 1692 e l’Università dei mercanti di vino del 1854.

La lunga tradizione vinicola è arrivata fino ai giorni nostri, forse perdendo per strada un pò d’importanza e nobiltà a seguito di alcune scelte di marketing e di posizionamento sul mercato fatte negli ultimi decenni. L’aver creato una nuova Doc ed il credere nella territorialità e tipicità dei questi vini sono punti fermi per uno slancio che guardi al futuro con maggiore cognizione e consapevolezza.

I territori della Roma Doc visti da più angolazioni

L’idea di questi press tour è nata su volontà del Consorzio, ben supportato dalle agenzie di comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta. Un ruolo fondamentale nel tour l’ha avuto proprio il Presidente Tullio Galassini, che non ha mancato di accompagnarci ovunque, da vero e proprio Cicerone del territorio.

Abbiamo toccato quattro diverse realtà aziendali: due di esse le racconterà il collega Alberto Chiarenza in un altro interessantissimo articolo. Io mi concentrerò, invece, sulle restanti due: Principe Pallavicini a Colonna e Cantina Federici a Zagarolo.

Entrambe si trovano nel comprensorio dei Colli Albani i quali, assieme agli opposti Monti Sabatini, costituiscono l’area dei terreni vulcanici creati alla fine del Pliocene. Nei terreni più lontani dalle caldere si possono trovare le cosiddette terrinelle, ceneri vulcaniche simili alle sabbie, mentre, avvicinandosi al centro del cratere, si rinvengono tufi, derivanti dalla cementificazione di ceneri e lapilli, che hanno formato un terreno in cui l’acqua ha scarsa permeabilità.
Terroir e condizioni pedoclimatiche non mancano, come la storia ci insegna: solo il futuro potrà dirci se i produttori sapranno interpretare al meglio questi doni di Natura.

Principe Pallavicini è il connubbio perfetto tra vino e storia ddell’antica Roma

Le colline intorno a Tuscolo, antico paese di origine pre-romanica, conquistato dai discendenti di Romolo e Remo con la battaglia del 496 a.c., fanno da contraltare ai vigneti dell’azienda Principe Pallavicini, con piante di età comprese tra 60 e 70 anni.

L’azienda comprende novanta ettari vitati nel territorio dei Castelli Romani, divisi in tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Altre proprietà a Cerveteri ed a Gallicano oltre a Palazzo Rospigliosi Pallavicini a Monte Cavallo. I vigneti si trovano a circa 200/230 metri sopra il livello del mare, con sistema di allevamento a doppio guyot tra le varietà autoctone Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Grechetto e Bombino oltre ad internazionali quali Chardonnay, Traminer e Riesling.

La tenuta di Colonna non rappresenta solo un polo produttivo per i vini della cantina, ma anche un punto d’incontro con Roma, come testimoniano le cisterne sotterranee, ancora oggi ben conservate, dell’antico acquedotto Claudio.

La bellezza di quest’opera ingegneristica lascia senza fiato, soprattutto pensando all’epoca in cui è stata realizzata ed alla capacità d’innovazione che i Romani avevano già duemila anni fa. Davvero perfette le condizioni di mantenimento delle stesse.

Dopo la presentazione da parte di Michelle Smith e l’accoglienza del CEO Giulio Senni siamo passati alla degustazione, concentrandoci soprattutto sui vini di Roma.

Roma Doc Bianco 2021, Malvasia Puntinata in purezza, si presenta fine e compatto al naso con profumi di ananas, mela gialla, pesca, zafferano, salvia, erba di campo e ricordi burrosi. Sorso dinamico, mediamente ampio, con buona e lunga distensione di freschezza. Ha netti ricordi salini e sulfurei, con scorza di bergamotto e pompelmo. Il finale è ben fatto e piacevole.

Roma Doc Rosso 2021, assemblaggio da Montepulciano, Syrah e Cesanese che porta profumi noir da mora, mirtillo, prugna, pepe nero, liquirizia, foglie di menta, tabacco, ricordi terrosi e macchia mediterranea. Schietto e ben strutturato a livello olfattivo, in bocca è ricco di sapore, evidenziando discreta acidità, tannino vivido e struttura più snella che al naso.

Da Colonna a Zagarolo da Cantine Federici

A Zagarolo la terza e quarta generazione della famiglia Federici si sovrappongono, con il padre Antonio atto nella gestione aziendale ed il figlio Damiano che si divide tra l’azienda di famiglia e la nuova Damiano Federici.

La cantina è nata nel 1960, vivendo da lì in poi varie fasi di trasformazione: dalla produzione di vino sfuso alla coltivazione diretta dei vigneti, che mano a mano sono stati incrementati per soddisfare una crescente richiesta del mercato. Il totale a Zagarolo è arrivato a quaranta ettari, cui si aggiungono gli altri sedici della tenuta di Frosinone.

Lo stile della cantina guarda a precisione e corretteza nel calice, puntando anche su varietà locali come Malvasia Puntinata, Montepulciano e Cesanese. Il Roma Doc Bianco 2022 gioca su sfumature floreali e di frutti tropicali al naso, con valida intensità ed altrettanto spunto aromatico. All’assaggio dimostra una beva semplice, in cui il tono fruttato è evidente e nitido.

Nel caso del Roma Doc Rosso 2021 l’unione di Montepulciano e Cesanese connota l’olfatto per polposità da frutti rossi, vena speziata e floreale fresco. Acidità, tannino ed ampiezza di gusto sono bilanciate tra loro, creando un vino immediato, fresco e beverino.

Una giusta considerazione va fatta anche ai vini di Damiano Federici, con il Roma Doc Bianco 2021 più aromatico ed incisivo al naso, grazie anche ad un piccolo contributo di Sauvignon Blanc nell’uvaggio. In bocca è disteso, salivante, più sottile di quanto facesse intendere all’olfatto e di sufficiente persistenza. Il Roma Doc Rosso 2021 è ben espressivo nei profumi di mora, mirtillo, spezie e foglie di pomodoro. In bocca è croccante, con un tannino forse troppo protagonista ed un finale erbaceo che sa di chinotto e liquirizia.

Saluto Roma e la Doc avendo visto luci ed ombre

Sono rimasto decisamente affascinato dal territorio romano, del quale se ne potrebbe scrivere per ore e non solo per parlare dei suoi vini. In queste terre si è fatta la storia della civiltà mediterranea, creando le basi per lo sviluppo socio-economico e culturale delle civiltà successive.

I produttori della Roma Doc hanno tra le mani un “giocattolo” potenzialmente pronto a mettersi in bella mostra, qualora riescano a comprenderne e valorizzarne la vera natura. Limitandomi a parlare di argomenti che conosco, il vino appunto, intravedo ottime prospettive future, sempre ammettendo che ci siano comunione d’intenti, visione uniforme e voglia di fare qualità.

Per troppi anni, da queste terre od altre limitrofe, si è pensato ad inondare il mercato con enormi quantitavi di bottiglie limitando l’essenza stessa della natura di questi luoghi. Mi piace l’idea che si punti sulla Malvasia Puntinata e sul Bellone, veri vitigni autoctoni che potrebbero dare personalità e slancio a tutta la zona, caratterizzando inconfondibilmente i vini.

Ci sono ancora aziende però che guardano alla quantità, puntando a determinati settori di mercato, rinunciando a fare gioco di squadra. La lotta al prezzo basso porta ad un inevitabile appiattimento.

Bisogna fare vini più genuini, caratteriali e territoriali, che parlino il linguaggio di casa, piuttosto che un futile seppure elegante esercizio di stile.

Ciao Roma, tu sei sempre la più bella del Mondo!

Piemonte: gli eleganti vini di Gianni Gagliardo

di Carmela Scarano

Lunedi 8 maggio presso l’enopanetteria “I sapori della tradizione” di Stefano Pagliuca ho avuto il piacere di incontrare il produttore Gianni Gagliardo e di degustare i suoi vini più rappresentativi. Sono rimasta impressionata inizialmente dai bianchi, associando il Piemonte quasi esclusivamente ai rossi, e prima di parlarvene introdurrò brevemente la storia di Gianni.

La sua azienda nasce nel lontano 1847 dalla famiglia Colla, viticoltori piemontesi, il cui territorio di origine è Santo Stefano Belbo, terra di grandi Moscato. Generazione dopo generazione la famiglia si sposta a Diano d’Alba, dove nel 1913 nasce Paolo Colla, suocero di Gianni. Nel 1961 comincia la produzione di Barolo trasferendosi a La Morra e nel 1972 Gianni sposa l’unica figlia di Paolo e comincia a collaborare nell’azienda che poi erediterà qualche anno più tardi.

Gianni Gagliardo e l’Autore di 20Italie Carmela Scarano

Gianni, originario del Roero, comincia nei primi anni ’70 a produrre bianchi in un territorio dedito soprattutto ai rossi. Il vitigno prescelto è l’Arneis insieme alla Favorita. E’ nel 1986 che la casa vinicola Paolo Colla prenderà il nome di Gianni Gagliardo e le sue bottiglie saranno tutte contrassegnate da una maschera simboleggiante la capacità del vino di creare legami tra persone : in vino veritas! Oggi in azienda Gianni è affiancato dai suoi tre splendidi figli.

Dopo questa breve parentesi è il momento di passare ai fatti, cominciando la nostra degustazione. Un vero e proprio viaggio sensoriale tra profumi e sapori accompagnati dalle squisite pizze in teglia di Stefano Pagliuca.

Iniziamo con il FALLEGRO 2022, 100% Favorita, clone di Vermentino che parla piemontese coltivato nel Roero. Al calice si presenta giallo paglierino con riflessi verdolini, profumi fruttati e floreali, dal gusto fresco e sapido. Ideale da inizio pasto e con crudi di pesce. Colpisce la versione 2016, dalla fragrante evoluzione sia di colori che di profumi di idrocarburo, simili ad alcune tipologie di Riesling Renano. In bocca è fresco, sapido con spiccate mineralità da pietra focaia.

Altro bianco in degustazione, il ROERO ARNEIS 2022, 100% arneis, dal colore giallo paglierino con profumi di pesca, pera, mela e acacia. Gradevole e dal finale da mandorla dolce.

Nel 2017 la famiglia Gagliardo acquista Tenuta Garetto, situata ad Agliano Terme nel cuore della nuova denominazione Nizza. Proviamo il DERTHONA 2021, Timorasso prodotto nei Colli Tortonesi. Al calice è giallo paglierino con riflessi brillanti. I suoi profumi richiamano la frutta fresca, fiori bianchi e leggere spezie. Dal sorso pieno ed avvolgente, un cavallo di razza per la Denominazione.

Il GIASSA’, rosato da uve Grignolino con breve macerazione sulle bucce. Come suggerisce il nome, che in piemontese vuol dire ghiacciato, va servito molto freddo. Al calice è di un rosso rubino poco tenue, con nuance di lampone e zagare. Il sorso disseta per la facile beva, adatto davvero in ogni momento della giornata.

E veniamo ai pezzi forti di casa Gagliardo:

Il VIGNA SAN PONZIO 2019, 100% nebbiolo prodotto nel Roero. Veste rosso rubino dai riflessi granati, con profumi di frutti rossi di bosco, tabacco, liquirizia e humus. Sorso caldo e appagante.

Il BAROLO 2019, dai vigneti a La morra, Monforte, Serralunga d’Alba, Barolo e Verduno. Vendemmie e fermentazioni separate, con maturazione in legni piccoli fino alla primavera e, successivamente all’assemblaggio, in botti grandi da 35 ettolitri. Veste di rosso rubino già quasi granato. Si avvertono in successione ciliegia, prugna, mirtilli, petali di rosa e violetta. Palato avvolgente, tannino sotto controllo dalla chiosa di liquirizia.

BAROLO MONVIGLIERO 2019, cru prodotto nel pressi di Verduno, è rosso granato dai riflessi aranciati. Bouquet di gesso, talco, fragole, ciliegie e profumi floreali di lavanda e fiori di tulipano. Gioca sulle morbidezze.

Ultima sorpresa: BAROLO LAZZARITTO “VIGNA PREVE” 2016 prodotto nel comune di Serralunga d’Alba di grandissima qualità. Anch’esso rosso granato dai riflessi aranciato. Al naso è di un’eleganza disarmante, con note di piccoli frutti rossi scuri, note floreali di violette e ciclamini e balsamicità. Piacevole nei tannini setosi e ben integrato che lasciano un ricordo finale sublime. Decisamente il miglior vino della giornata.

Chiudiamo i sipari con il Vermouth di Torino Rosso Superiore elaborato da un’antica ricetta di famiglia, la cui botanica è a base di artemisia romana e gentile, vaniglia, liquirizia, coriandolo, arancia dolce. Ottimo da meditazione e per salutare, dopo questo breve viaggio in Piemonte, Gianni Gagliardo.

Romagna: Elisa Mazzavillani, “la vignaiola indipendente”

di Matteo Paganelli

Non trovo appellativo più appropriato di questo per descrivere Elisa Mazzavillani – Azienda Agricola Marta Valpiani.

Non solo per essere la coordinatrice Romagna FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, associazione di vignaioli che promuove l’anti-burocrazia e che assicura la produzione dalla A alla Z “dentro le mura di casa”), ma perché è davvero indipendente da tutto e da tutti. Lo dimostra nei suo modi di fare, nella caparbietà, nel non ascoltare nessuno se non il proprio istinto. Del resto questo titolo è scritto pure nel cartello che si può scorgere da Via Bagnolo, appena si varca la soglia della sua cantina.

È un lunedì pomeriggio di aprile, e ha appena smesso di grandinare. Elisa è visibilmente (e comprensibilmente aggiungo) contrariata: teme che la grandine possa aver causato qualche danno ai vigneti già in piena fioritura. Purtroppo, dobbiamo convivere con il fatto che il grande cambiamento climatico stia “guastando” il tempo creando eventi atmosferici anomali e inaspettati. «Se deve farla a Luglio [la grandine, n.d.r.], è meglio che la faccia adesso» commenta con un tono da magra consolazione.

Elisa mi accoglie nella sala degustazioni che ben conosco, ma che ogni volta mi lascia incantato per la cura dei dettagli. Sparse un po’ ovunque, in perfetto stile Shabby chic, troviamo le bottiglie: alcune sul banco, altre posizionate in basso, altre ancora su mensole dedicate e collocate come fossero trofei. Sono 7 etichette che Elisa produce: 4 da uve Sangiovese, 2 da Albana e 1 rifermentato in bottiglia da uve Trebbiano. Anche se in cantiere è previsto un ulteriore Sangiovese che uscirà a breve.

Dopo le classiche chiacchiere di routine, assaggiamo subito qualcosa, mentre approfitto del momento per affacciarmi sulle vetrate e scorgere i paesaggi quasi lunari, caratterizzati dai grossi scorci dei calanchi che primeggiano magistralmente sulla vallata. La visita odierna è principalmente dedicata alle sue due versioni di Albana, che oggi escono entrambe sul mercato sotto la denominazione Romagna Albana DOCG. La conquista della fascetta è stata piuttosto ardua; seppur produca Albana in purezza dal 2018 (prima in blend con altri bianchi autoctoni), ha potuto rivendicarla solo nel 2020. La chiusura screwcap con tappo a vite non era ancora ammessa da disciplinare.

Elisa crede fermamente in questo progetto, che ha una chiara impronta ambientalista, ed ha preferito declassare per alcuni anni i vini etichettandoli come Forlì IGT Bianco, continuando ad avanzare le proprie idee dall’interno, senza mollare di un centimetro. Ce l’ha fatta! Ed a chi critica questa scelta, sostenendo che un vino ha bisogno del tappo di sughero per respirare, ella risponde che “il vino non è un pesce rosso, ha bisogno di micro-ossigenazioni, non di ossidazioni, e la screwcap può essere una valida chiusura tecnica per raggiungere tale obiettivo”.

Due le etichette dedicate all’Albana degustate: “Delyus” “Madonna dei Fiori”.

Romagna Albana Docg Delyus 2022

Viene coltivata da nuovi impianti del 2016 su un appezzamento principalmente caratterizzato da arenaria con sabbie. Dedicata al padre Delio raffigura in etichetta una Mandragora, pianta mistica che qualcuno avrà sicuramente visto nei film su Harry Potter, e che indica, nel suo significato, il furore e delirio umano. L’aspetto nel calice è invitante, giallo paglierino e nuance dorate. Il naso ricco di erbe aromatiche: timo, rosmarino. Non tarda ad arrivare il frutto: la tipica albicocca dalla polpa ancora croccante e con scie di pesca bianca; c’è anche una nota iodata finale molto percettibile. In bocca la prima cosa che si avverte è il sale, filo comune di tutto il territorio di Castrocaro Terme. L’acidità palpabile, ma non invadente. La struttura di medio impatto, merito anche della componente alcolica poco esuberante e perfettamente integrata. Salino e immediato: che voglia di bere subito un altro calice!

Romagna Albana Docg Madonna dei Fiori 2022

Da vecchi impianti curati con amore. Terreni caratterizzati dalla presenza di argille ocra, che ritroveremo quasi per osmosi all’interno del vino, in una struttura più accentuata rispetto a Delyus.
Il nome è una dedica alla patrona di Castrocaro Terme e l’etichetta raffigura una hemerocallis o ‘bella per un giorno’, con un significato in contrapposizione alla breve vita dei fiori: Elisa persevera e non molla mai! Colore leggermente più saturo, con una nota dorata vivida. L’olfatto non richiama ad un’aromaticità spiccata, ma si percepisce piuttosto un frutto citrino, confermato al sorso, con una freschezza verticale spalleggiata armoniosamente dall’estrema sapidità.

Credo che dobbiate tutti andare a trovare Elisa Mazzavillani. Del resto lei è come l’Albana: non la si addomestica, la si ama e basta.