A cena col produttore: Tenuta Stroblhof sulla Strada del Vino un punto fermo per una sosta in Alto Adige

Scegliere l’Alto Adige per le proprie vacanze è da sempre il sogno di molti visitatori. Farlo nella pace delle campagne intorno a San Michele – Appiano (BZ), in compagnia della famiglia Nicolussi-Leck nella loro Tenuta Stroblhof è, senza dubbio, un punto fermo nella proposta enoturistica regionale.

Creare bellezza producendo ricchezza potrebbe essere il motto di questa terra fantastica, dove ogni cosa segue il ritmo delle stagioni e nulla viene lasciato al caso. La Tenuta è nata dal lavoro incessante degli Hanni-Ausserer. Una delle discendenti e moglie di Andreas, la signora Rosemarie è l’esempio lampante di come debba essere concepita l’accoglienza e il rispetto per i clienti.

Camere di lusso, una SPA immersa nel verde della natura preappenninica, con la vista rivolta verso le montagne del Passo della Mendola. Cucina Gourmet di chiara impronta territoriale e cantina vini con le migliori eccellenze che l’Alto Adige sa offrire tra Pinot Bianco, Chardonnay e Pinot Nero. La vena bianchista dell’azienda viene ben compensata dai rossi, nati su suoli porfirici antichissimi, tinti di venature rossastre. Acidità l’elemento dominante, unita a sapidità e lunghezza di palato.

Espressioni taglienti di un clima ancora contenuto, con brezze fresche nelle giornate primaverili, forti escursioni termiche e protezione dalle inclemenze meteo grazie alle ripide cime ravvicinate. L’areale, a detta di tanti operatori del settore, rappresenterà sempre più una zona ideale per la coltivazione della vite a fronte degli attuali rialzi termici. Ma andiamo per ordine.

La cucina

Lo Chef Enzo Bellia, esperienze pluriennali in ristoranti Stella Michelin, parte dalle origini siciliane e riesce a contaminare le tradizioni con le materie prime a chilometro zero e quel tocco di originalità nato dall’amore per gli ortaggi e le spezie del Sud Italia. La sua idea di canederlo, il piatto tipico regionale, presentato in doppia consistenza esprime un concetto che va ben oltre la classica idea di ristorazione da hôtellerie. Potrete seguirne i vari passaggi nel video sottostante.

Sorprendente pure la battuta di manzo con toast di coda di bue alla vaccinara e il gelato all’erborinato con royale di zucca, mirtillo rosso e semi di zucca, per soddisfare anche le esigenze vegetariane degli avventori.

I vini

Andreas e Rosemarie ripongono fiducia nelle scelte enologiche del figlio Thomas, poco più che ventenne, già dall’avvenire radioso. Fermentazioni in legno e successive maturazioni sempre in contenitori di rovere di varie dimensioni. Lo Strahler 2022, storica etichetta di Pinot Bianco prodotta già dagli anni ’90, ha gusto e pienezza con nuance da miele di millefiori, pesca gialla e ananas, su corredo d’erbe mediterranee.

Il Pigeno 2020, un Pinot Nero di razza, dimostra grande versatilità sui toni caldi di frutti di bosco (mirtilli e lamponi), humus e rosa canina. Un’annata felice per equilibrio, con sprint finali tra zenzero e arancia sanguinella. Il Pinot Nero proprio in Alto Adige ha trovato qui la giusta vocazione per raccontare il potenziale sublime e misterioso di una varietà che ha fatto la parte del leone nell’enologia mondiale.

Come non vederlo nel sublime Sepp Hanni 2019, la superselezione di 10 filari scelti tra quelli destinati a fare la Riserva. Ampio, elegante e avvolgente, per nulla fiaccato dall’utilizzo del legno. La croccantezza vira verso sensazioni di confettura, pepe verde e cannella con rimandi iodati di vento di mare. E siamo invece nelle fredde vallate scavate dalle glaciazioni.

Che altro aggiungere?

Buona fortuna Stroblhof e vento sempre in poppa alla famiglia Nicolussi-Leck.

Foto di copertina Ph. Alex Filz per gentile concessione di Tenuta Stroblhof

Merano Wine Festival 2023: “c’è chi dice no”…

Noi vi spieghiamo, invece, il perché dei tanti “sì” e le ragioni per essere presenti alla vera “Festa dell’Enogastronomia”

Festa o Festival, il passo è davvero breve. Dopo mesi di duro lavoro, visite, esposizioni e degustazioni di varia natura, arriva il momento per tutti di resettare la mente e ritrovare la serenità persa. Costi quel che costi si intende, e la tematica del “vil denaro” influirà nel merito del discorso.

Merano Wine Festival è il luogo dove, per un giorno, due e finanche una settimana, le lancette dell’orologio cessano di muoversi. Un immenso parco giochi dove sentirsi come Pinocchio nel Paese dei Balocchi. Espositori di vino, Area Gourmet con primizie provenienti da ogni angolo dello Stivale, masterclass e show cooking appetitosi.

Una sezione dedicata al biologico, biodinamico e naturale ed ai prodotti provenienti dai mercati esteri, come in una sorta di infinito gemellaggio itinerante. L’abile mano di Helmuth Köcher – The WineHunter – il visionario uomo immagine e patron della manifestazione, si è fatta sentire in maniera ancora più pressante e articolata. Merano dovrebbe intitolargli vie, piazze e statue d’oro, anche per buon augurio di altri 100 anni al timone della nave.

Helmuth Köcher ai microfoni di 20Italie

L’indotto comportato in queste 32 edizioni è stato tangibile fin da subito per la cittadina dell’Alto Adige. I miei ricordi d’infanzia della Merano fine anni ’80 cozzano decisamente con la versione aperta all’Europa e al mondo intero dei tempi odierni. Servizi, cura e decoro, che si autoalimentano proprio in simili occasioni, quando ogni angolo diventa meta di incontri, dibattiti e persino accordi commerciali.

E veniamo all’altro tema in corso…

Può una fiera del vino e della gastronomia creare anche vantaggi economici per chi partecipa?

La domanda è tendeziosa si direbbe; la pubblicità è l’anima del commercio e Merano Wine Festival rappresenta una vetrina unica nel suo genere. Ma, come altre occasioni della vita, alla fine conta sempre l’abilità dell’imprenditore, compresa la propensione al rischio di esporsi a sonore fregature. Insomma: la partita Iva non è cosa per tutti (per fortuna).

Ci si potrebbe chiedere, dunque, se il gioco valga davvero la candela. Alla fine, però, sono tutti lì, aziende e comunicatori (stampa inclusa) con numeri mostruosamente in crescita da un anno all’altro. Numeri che costringono gli organizzatori a selezioni cruente al momento degli accrediti, con evidente scontento di chi resta fuori lista. Ormai è una macchina così ben collaudata che non ha bisogno neppure di quella bulimia comunicativa per trovare una propria dimensione o il benestare delle firme d’autore. Facciamocene una ragione ora e per l’avvenire.

Alla fine fa parte del mestiere: “a chi tocca non si ingrugna”. Nelle scelte economiche (legittime) di ciascun operatore, restare fuori dal giro significa un atto di coraggio che non è detto dia risultati sperati; basta non pensarci una volta tratto il dado e non denigrare un evento che, nel bene e nel male, raccoglie consensi ovunque da autentico fiore all’occhiello d’Italia. Chi fa parli, gli altri tacciano.

Abbiamo corso freneticamente tra gli stand, scalino dopo scalino, sui red carpet che conducono ai settori caldi del Merano Wine Festival. Le interviste integrali le troverete cliccando sul seguente link di youtube.

Ne pubblichiamo un estratto in particolare, riguardante due attori importanti dietro le barricate: il professor Luigi Moio, presidente di OIV ed enologo di chiara fama, e l’esperto sommelier comunicatore del vino Davide D’Alterio di Enoteca Pinchiorri, lo storico tre stelle Michelin di Firenze.

Il prof. Luigi Moio
Il sommelier e comunicatore del vino Davide D’Alterio

Non vogliamo convincere nessuno, ma offrire solo spunti per una buona riflessione.

Alto Adige: la cantina Tröpfltalhof di Andreas Dichristin presenta l’etichetta Cornus Mas

Giovedì 2 novembre presso l’azienda biodinamica Tröpfltalhof di Andreas Dichristin a Caldaro (BZ) si è svolta la presentazione, per giornalisti e operatori del settore, di Cornus Mas, etichetta davvero unica del suo Sauvignon Blanc.

Le viti condotte ad alberello sono disposte su tre filari distanziati tra loro dieci metri, in mezzo a un campo di grano, in un angolo del Vigneto Garnellen ( quello che circonda la casa e la cantina). E’ sicuramente la parte più selvatica e naturale, dove cresce inoltre una siepe alta e fitta di corniolo selvatico, che rappresenta una protezione dal mondo esterno e fonte di vita per le piante: Cornus Mas, il nome del vino è un tributo al Corniolo.

L’idea che ha ispirato Andreas era quella di creare un’espressione dell’armonia e sinergia della natura, di quella vitalità che viene ricercata dalla pratica biodinamica; questo è stato possibile nel 2015, quando Madre Natura si è esaltata, nelle maturazioni dei frutti della terra, dimostrando un perfetto equilibrio e una grande energia vitale.

I grappoli di Sauvignon Blanc vengono vendemmiati a mano, le uve fermentano e macerano per 7 mesi in un’anfora dedicata. Dopo la svinatura, il vino torna in anfora per altri 14 mesi, restando sulle fecce fini ed è imbottigliato senza aggiunta di solforosa. L’affinamento avviene nella medesima terra da giunge l’uva: una buca profonda 1,5 metri dove sono state posizionate le 100 (uniche!) bottiglie di Cornus Mas per 5 anni.

Date le premesse, l’aspettativa in sede di degustazione era molto alta e ognuno dei presenti immaginava certo un qualcosa, probabilmente di difficile definizione. L’etichetta nera è molto elegante e si legge il nome del vino scritto in caratteri dorati. Cornus Mas inizia subito a mostrarsi con un luminoso color topazio e un suono definito e acuto mentre raggiunge il bicchiere. La scelta di servirlo a temperatura ambiente (circa 15 gradi) è più che azzeccata, anzi scaldandosi si apre e svela profumi e complessità.

Iniziano le danze, guidata come in un romantico valzer da un principe azzurro, e si distinguono le note di agrume candito, di miele, di albicocca disidratata, di zenzero e incenso, di senape, di camomilla. In bocca si esprime elegante e persistente: le percezioni ritornano vive, come lontani echi. Un vino che ha cavalcato il tempo, di cui è sicuramente amico, vitale e dalla piacevole e raffinata beva.

Se dovessi disegnarlo probabilmente farei un cerchio perfetto, come quello di Giotto, per tradurre la sensazione di essere di fronte a qualcosa di vivo e di vero. La capacità di osservare la natura di Andreas, unita al suo approccio biodinamico hanno dato vita a un vino inimitabile: abbiamo chiesto ad Andreas quando uscirà la prossima annata di Cornus Mas: ha semplicemente sorriso, non sapendo rispondere.

Il momento sarà sicuramente quando quelle condizioni di armonia, equilibrio e vitalità si ripresenteranno. Da allora dovremo ancora attendere 8 anni per assaggiare il vino, ma senza ombra di dubbio… sarà una bellissima attesa!

Eboli: una fermata di gusto

Arrivare ad Eboli, all’uscita dell’Autostrada A2 e che fare? Vi sarete chiesti in tanti, complice alcuni passi clou della narrativa italiana, perché menzionare proprio Eboli quale crocevia del Sud Italia. Una sorta di ombelico del mondo mediterraneo, posto equidistante tra le bellezze paesaggistiche della costiera e le porte d’ingresso sul Cilento e sul Vallo di Diano. Luogo intriso di storia e cultura, come testimoniano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nei secoli.

Un passaggio tra le vie cittadine, in direzione Ermice, a contatto con tradizioni e natura. La visita al ManEs – Museo Archeologico Nazionale di Eboli e della Media Valle del Sele – realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei Campania – testimonia quanto detto. Dal terrazzo ai piani superiori si può ammirare la magnificenza dei tetti colorati, dei campanili e delle chiese, che si spingono fino alla Piana del Sele e di lì, nella quiete agreste, al mar Tirreno.

La stele romana ritrovata di recente riporta la scritta Eburum, antica denominazione di Eboli, chiamata in dialetto locale “Jevule” derivato, con ogni probabilità, da Eu bòlos (ευ βώλος, “buona zolla“), o dal mitico fondatore Ebalo, figlio della ninfa Sebeti e di Telone, re di Capri, menzionato da Virgilio alla fine del settimo libro dell’Eneide.

Tanta storia e altrettanta modernità, grazie al fiorente sviluppo del settore enogastronomico. Terra di mozzarella di Bufala, forse il territorio che più di altri ne produce per quantità nel rispetto dei protocolli tesi a un formaggio a pasta filata unico nel suo genere, dal sapore inconfondibile. Il Caseificio Fattorie Di Guida, tramite le parole del fondatore Enzo Di Guida, espressione vulcanica di cosa significhi fare imprenditoria di qualità, ci racconta delle difficoltà iniziali, nonché dello stile produttivo e della mozzatura, la fase conclusiva di un processo nato nelle stalle dal latte genuino di razze selezionate e curate con amore.

La differenza, spiega Di Guida, la fa l’artigiano della mozzarella, colui che riesce a curare ogni minimo particolare, valutando i mangimi naturali di propria creazione per le bufale, le attrezzature per la mungitura e l’occhio dell’uomo, unica unità di misura di incredibile precisione nella scelta della pezzatura, tra bocconcini, mozzarelle e la “Mammellona di Eboli”, marchio registrato e garantito.

Non sarà l’unica parentesi gastronomica del nostro racconto, che prosegue con l’incanto e la pace spirituale del Convento dei Cappuccini di S. Pietro alli Armi, ritornando sulle alture ove si intravede lo skyline di Eboli. Ad accoglierci padre Modesto Fragetti, già parroco del Convento dell’Immacolata di Salerno, Padre provinciale, maestro di novizi, missionario in Congo. Una vita per la Chiesa (oltre 50 anni di sacerdozio) al servizio dei più poveri e bisognosi. Ci accoglie come un amico fraterno, condividendo la casa dei monaci dotata di un chiostro del ‘600 di tale bellezza da togliere il fiato.

Il primo nucleo fu eretto nel 1080 dai frati Benedettini, autentici protettori della cultura e delle tradizioni romane e medievali, amanti della vite e delle piante officinali, abili copisti e traduttori. Furono chiamati a salvaguardare e bonificare il territorio, nel principio ecumenico del Ora et Labora, prega e lavora. La Chiesa fu trasformata in stile barocco nel XVIII secolo e riportata ai fasti di una volta nel 1928 dopo il crollo parziale del tetto. Una tappa obbligatoria per chi cerca nella calma serafica, nella riflessione e nella preghiera, un antidoto vitale ai ritmi forsennati che ci si impone nella vita odierna.

Quando lo spirito è rilassato, non resta che gratificare il corpo, procedendo spediti verso il Ristorante Il Papavero, dove ad accoglierci è lo Chef Executive – una stella Michelin – Fabio Pesticcio e la pastry chef Benedetta Somma, figlia di Maurizio Somma, il founder dalla mente lucida e visionaria. Portare il riconoscimento prestigioso della Guida Michelin a Eboli è stato merito di un progetto iniziato ben prima del lontano 2011, anno della stella, e che prosegue con qualità e ricerca continua con uno staff giovane e preparato.

Straordinario il piatto firma di chef Pesticcio: pasta mista con ragù di polpo, spuma di patate e coulis di pomodoro affumicato con olive. Un trompe-l’oeil di chiara efficacia, che gioca all’esaltazione delle materie prime, perfettamente riconoscibili nella loro mescolanza.

Non può mancare l’arte dell’abbinamento cibo-vino con la proposta di una talentuosa produttrice autoctona doc: Rossella Cicalese. Sua l’idea di recuperare, poco più che ventenne, gli antichi poderi dell’infanzia, preservando e presidiando l’ambiente circostante. Tre gli ettari coltivati a Eboli e quasi 2 a Perdifumo per un totale di bottiglie oscillante fra le 12 e le 15 mila annue.

Il Rosato 2022 Ephýra, ad esempio, Aglianico in purezza, è un vino di carattere molto versatile con le proposte culinarie della Campania, su pietanze di terra e di mare.

Arte, storia, cultura enogastronomica e spiritualità: Eboli è davvero una fermata di gusto per l’anima.

Chianti Classico: un giorno a Borgo San Felice

Il 25 ottobre con amici e colleghi, nonché soci dell’Amira (Associazione Maitres Italiani Ristoranti Alberghi) – sezione di Chianciano Terme – Siena ci siamo recati a Borgo San Felice, un borgo che comprende sia cantina vini che Relais.

Ci ha ricevuto Francesco Baroni, Responsabile vendite Italia. Il nostro tour è iniziato dal vigneto adiacente, per poi proseguire in zona vinificazione ed affinamento vini. È seguita una cena con degustazione delle etichette presso il Ristorante Stella Michelin Poggio Rosso, all’interno del Relais 5 stelle, affiliato alla prestigiosa catena Relais & Chateaux; ad attenderci c’era Gabriella Cosenza, la Restaurant Manager.

Borgo San Felice è immerso tra secolari boschi, vigneti e uliveti, circondato da un paesaggio di rara bellezza, digradante verso il Monte Amiata a sud e verso Siena a nord. Siamo nel comune di Castelnuovo Berardenga, l’areale più vicino alla città di Siena di tutto il Chianti Classico. Posto a circa 400 metri s.l.m. vanta 650 ettari di proprietà, di cui 150 sono occupati da vigneti.

Un bellissimo Borgo di origini antiche, che passo dopo passo è stato costruito intorno alla Pieve di San Felice in Pincis, risalente al 714 d.C. che ha abbandonato la sua originaria destinazione per assumere quella di Cantina e Relais. Interamente e finemente restaurato,  dagli inizi degli anni settanta è di proprietà di Allianz.

Di fronte al complesso si trova un progetto sperimentale “Vitiarum” che consiste nel mantenimento di 270 antichi vitigni raccolti in 1,6 ettari di vigneto per evitare che cadano nell’oblio, preservando così il patrimonio ampelografico tipico del territorio.  Le cantine sono custodite all’interno di edifici dell’Ottocento, ove attrezzature tecnologie evolute coabitano con botti e barriques.  

Una perfetta combinazione tra suolo e microclima, caratterizzato da notevoli escursioni termiche garantiscono una corretta maturazione con vini di elevata qualità. Sin dai suoi albori l’ azienda ha puntato alla valorizzazione del vitigno principe: Sangiovese. Tuttavia, tra i filari si trovano anche altre varietà sia autoctone sia alloctone, quali Colorino, Merlot, Cabernet Sauvignon, Pugnitello, Petit Verdot, Trebbiano e Chardonnay. Negli anni ’90 è stata effettuata la zonazione, per individuare le specifiche macroaree in cui ogni uva riesce a esprimersi al meglio, compatibilmente con le caratteristiche geopedologiche di ogni zona. A San Felice non viene prodotto solo vino  ma anche olio . Tra le etichette celebri, espressione del territorio toscano, una nota di merito va al Vigorello, introdotto nel lontano 1968, il primo esempio di Supertuscan

I vini degustati

Avane  Chardonnay Toscana Igt 2021 – paglierino dai riflessi dorati. Naso su fiori bianchi, caramella d’orzo, zafferano e frutta esotica. Sorso fresco, sapido, avvolgente e accattivante.

Chianti Classico Riserva Il Grigio 2020 –  Sangiovese 100% – Rubino intenso,  sprigionante note di frutti di bosco e viola mammola, pepe nero e sottobosco. Il tannino è nobile e sorretto da una buona spalla fresca. Armonico e lungo.

Chianti Classico Riserva Poggio Rosso 2019 – Rubino vivace, al naso rivela note di viola, lampone, prugna e tabacco. Dal gusto morbido, fresco ed appagante.

Pugnitello Igt Toscana 2020 –  Pugnitello 100 % –  Rosso rubino profondo, rimanda note confettura di frutti di bosco, chiodi di garofano, cannella, pepe nero e tabacco. Al palato è deciso, pieno e coerente.

Vigorello Toscana Igt 2019 – Pugnitello 35%, Merlot 30% Cabernet Sauvignon 30% e Petit Verdot 5% – Rubino impenetrabile,  emana note di confettura di ribes, bacche di ginepro, spezie dolci, prugna e sottobosco. Il sorso è caldo e apprezzabile, suadente e persistente.

Brunello di  Montalcino 2018  Campogiovanni –  Rosso granato, naso di rabarbaro, ribes, spezie dolci e note balsamiche, setoso, austero, generoso ed  armonioso.

Abbinate a piatti sapientemente preparati e ben calibrati: Champagne Frank Bonville Millesime 2015 Grand Cru, Pugnitello 2010, Brunello di Montalcino  Riserva Il Quercione 2008 Campogiovanni , Brunello di Montalcino Le Viti del 1976 del 2007 Campogiovanni e Il Grigio in Pincis Vin Santo del Chianti Classico 2012.

Nove Lune e Costa Jels – Il vino della miniera

In quel di Gorno, piccolo comune della Val del Riso in provincia di Bergamo, si trova il complesso minerario Costa Jels. E’ qui che Alessandro Sala, patron della cantina Nove Lune, ha intrapreso la sfida di produrre il suo metodo classico “Costa Jels”, utilizzando vitigni resistenti (conosciuti anche come PIWI) di Bronner, Johanniter e Souvignier Gris.

La scorsa primavera ho avuto l’occasione di trascorrere una piacevolissima giornata in compagnia di Alessandro e delle guide che ci hanno accompagnato in un percorso emozionante nelle viscere della montagna.

All’ingresso le guide ci raccontano come le miniere di piombo e zinco di Gorno fossero conosciute e sfruttate già in epoca romana, quando il minerale rossastro ora noto come calamina, qui venivano mandati i condannati a “cavar metallo” (damnatio ad metalla)

La storia prosegue probabilmente nel periodo medievale anche se non si hanno notizie documentate sulla continuazione dell’attività estrattiva. Si sa con certezza che riprende nel 1500, quando un ingegnere illustre, Leonardo da Vinci, vi si reca in visita. Nel 1800 si registra un forte sviluppo delle miniere che continua fino a quasi i giorni nostri. Nel 1982 viene definitivamente chiusa.

Entriamo in gruppo all’imbocco “Serpenti” ed è proprio all’ingresso che affina, per almeno 60 mesi, il Metodo Classico «Costa Jels». Qui viene conservato alle perfette condizioni, in un ambiente in totale assenza di luce e vibrazioni, con livelli stabili di umidità e temperatura costante di 10°C durante tutto l’anno.

Attualmente troviamo tre annate, la prima sarà pronta nel 2025, limitatissima la produzione, solo 1200 bottiglie. Scorgiamo in fondo ad un corridoio le pupitres che illuminate dalle lampade regalano abbacinanti riflessi. Le bottiglie accatastate riposano in posizione orizzontale mentre si compie la magia dei lieviti.

Periodicamente Alessandro verifica l’evoluzione del vino con degustazioni per monitorarne l’affinamento.

Il nostro percorso si snoda tra i cunicoli della miniera che svelano il lavoro faticoso dei “minadur” (minatori) e dei “galecc” (ragazzi addetti al trasporto a spalla di minerale) e quello paziente delle “taissine” (cernitici di minerale). Racconti di sofferenze, di dolore ma anche di tanta umanità che hanno visto protagonista la gente del luogo.

Dopo circa un’ora e mezza usciamo alla “Lacca Bassa” e torniamo al punto di partenza attraverso un sentiero panoramico nel bosco. Ci incamminiamo verso il ristorante per il pranzo degustazione, ad accompagnare i piatti della tradizione locale i vini di Nove Lune.

Alessandro ci racconta la storia della sua cantina e della filosofia cui si ispira. L’azienda pone molta attenzione alla sostenibilità ambientale e predilige tutte quelle tecnologie che consentono di risparmiare energia e preservare il territorio.

Inizia nel 2009 ad applicare il protocollo biologico nelle sue vigne in provincia di Bergamo, la sua attenzione all’ambiente e alla sostenibilità lo spinge, negli anni successivi, ad andare oltre appassionandosi ai vitigni resistenti e così nel 2013 decide di piantare nel suo terreno 3 varietà di questi vitigni.

Il risultato è sorprendente, le viti cresco sane, senza alcun trattamento e senza l’ombra di malattie, le uve hanno la buccia spessa. Inizia a testare il potenziale enologico e i risultati sono ottimi: nuovi profumi, vini con corredi aromatici propri.

Nel 2015 vede la luce Nove Lune, azienda vitivinicola nel comune di Cenate Sopra (BG) che ha come obiettivo quello di coltivare e vinificare solo uve che non necessitino di alcun trattamento chimico o, nelle annate peggiori, solo in minima parte.

Viticoltura sostenibile per chi lavora in campagna e per il consumatore finale. Chimica limitata al minimo, i vini presentano una acidità spiccata che dà la possibilità di mantenere la solforosa bassa.

Alessandro ingrana la marcia con gli studi sui vitigni resistenti e nel 2017 viene eletto Presidente del PIWI Lombardia, associazione neonata che riunisce i viticoltori che utilizzano vitigni resistenti nella regione.

Ecco un breve racconto dei vini che abbiamo degustato

Vino Bianco “310”(origine del nome: 3 uve; 1 vino; 0 chimica) Solaris 40% – Bronner 30% – Johanniter 30% Fermentazione e affinamento in barrique. Dai profumi fruttati e floreali con note di frutta tropicale. Una buona sapidità e un’ottima acidità danno al vino un gusto pieno e una lunga persistenza.

Vino Bianco macerato Rukh, un orange ottenuto con uve Bronner e Johanniter, un bellissimo colore arancione con riflessi dorati dovuto alla lunga macerazione sulle bucce e l’affinamento in anfora. Un vino un di grande struttura con note agrumate, sapido e leggermente tannico.

Theia vino passito Helios 40% Solaris 40% Bronner 20% Le uve raccolte vengono messe ad appassire per tre mesi. Fermentazione in acciaio e affinamento di diversi mesi in piccolissime botti di rovere. Un profilo olfattivo complesso che richiama note di albicocca, dattero, erbe aromatiche, miele, fichi secchi e che accompagna una beva di grande equilibrio e freschezza e un finale molto lungo e balsamico

Vino ancestrale HeH Solaris 100%con la fermentazione in bottiglia il vino rimane torbido sul fondo e può essere bevuto limpido oppure torbido se agitato. Regala profumi fruttati e floreali, sentori evidenti di pesca, pera e mela. Al sorso una buona acidità e freschezza. Un ancestrale che non ti aspetti.

Amaro Misma viene prodotto con una base id vino rosso da uve PIWI dove vengono messe in infusione 17 erbe aromatiche della zona. Il vino viene affinato in barrique di rovere francese, il prodotto che ne scaturisce è un amaro di ottimo equilibrio e morbidezza che lo rendono ideale da meditazione.

Ne manca uno, il Metodo Classico Costa Jels, ma per questo dobbiamo pazientare, le viscere della montagna lo custodiscono.

Stay Tuned! Prosit!

“Borgo diVino in Tour”: Alla scoperta dei tesori enogastronomici dei borghi più belli d’Italia

Prosegue anche nel corso del 2023 l’appuntamento con “Borgo diVino in Tour“, un evento itinerante che porta con sé il fascino dei borghi più belli d’Italia e la prelibatezza dei migliori vini nazionali. Ben 15 borghi, 45 giorni di evento, oltre 500 aziende, e oltre 1000 vini sono i protagonisti di questo percorso che porta alla scoperta di luoghi unici e sapori indimenticabili. Un’opportunità imperdibile per combinare il piacere del palato con l’incanto dei borghi e un’occasione per esplorare questi territori passeggiando tra vicoli pittoreschi, antiche rocche e panorami mozzafiato, rigorosamente calice alla mano.

Una lunga corsa iniziata il 21 aprile a Valvasone Arzene, gioello nascosto del Friuli, e terminata il 15 ottobre a Spello, fra le colline Umbre.

20 Italie è stata presente per voi nella penultima tappa, quella di Brisighella (RA), precisamente nel weekend del 6, 7 e 8 ottobre.

Brisighella è un borgo medievale situato tra le pendici dell’Appennino Tosco-Romagnolo, incastonato fra Faenza e Firenze. Questo incantevole borgo, uno dei “Borghi più Belli d’Italia” e insignito della “Bandiera Arancione” dal Touring Club, è rinomato per la sua ospitalità e il turismo sostenibile.

Ed è proprio nel cuore di Brisighella, in piazza Marconi, tra stretti vicoli e scale scolpite nel gesso, che si svolge il percorso di degustazione di Borgo diVino. Non è stata solo un’opportunità per ritrovare alcune aziende di produttori locali, ma anche per scoprire altre eccellenze vinicole provenienti da tutto il paese.

In questo primo articolo vorremo parlarvi di alcune realtà che ci hanno colpito, con i relativi assaggi.

La Canosa (AP)

Lo stemma sulle bottiglie ci ricorda la Illva Saronno e difatti La Canosa è di proprietà proprio di Riccardo Reina, innamoratosene nel 2004 essendo un assiduo frequentatore delle Marche alla caccia di buon vino.

Offida DOCG Pecorino “Pekò” 2022

Il vino offre al naso un invitante bouquet con sfumature tropicali, dolci sentori mielati e fieno. In bocca è sia fresco che ampio: la mineralità va a bilanciare perfettamente il calore, che comunque ti avvolge su un finale piacevolmente persistente. Una coccola.

Rosso Piceno Superiore DOC “Nummaria” 2019

Interessante blend di Montepulciano e Sangiovese, che dopo la vinificazione in acciaio vanno a sostare il primo in tonneau e il secondo in botte grande, per poi farsi assieme 1 anno di bottiglia. Cioccolattino alla ciliegia, foglia di tabacco e aromi tipici della torrefazione sembrano il presagio di un vino morbido e strutturato, che in bocca lascia invece sbalorditi per la sua acidità prorompente e un tannino davvero elegante. Persistenza record.

Tenute Martarosa (CB)

Molisn’t? No, no. Esiste eccome. Lunga storia quella dietro Tenute Martarosa, che porta il nome della famiglia Travaglini. Solo di recente però è avvenuto il salto di qualità, grazie al nipote Michele.

Tintilia del Molise DOP “Tintilia” 2020

Solo acciaio per questa varietà che sembra non amare particolarmente le versioni affinate in legno, tendendo a nascondersi un po’ troppo dietro agli aromi del contenitore. Ed effettivamente non ha bisogno di edulcorazioni. Naso accattivante con sentori tipici della marmellata di more e del ramo spezzato, come in un sottobosco di fine estate. Rosa rossa e una delicatezza che ci ricorda la cipria. In bocca è ricco ma tanto tanto agile; fa infatti della sua facilità di beva il suo punto di forza. Vibrante.

Villa Simone (RM)

Siamo a casa di Lorenzo Costantini, nipote di Piero, lo storico proprietario di Villa Simone. Lorenzo non è solo un rinomato enologo, ma è conosciuto anche per essere consulente enologico di molteplici aziende vitivinicole dei Castelli Romani.

Frascati DOC 2022

Una delle prime DOC Italiane, nata nel 1966, nonché primo vino dell’azienda. Spiccate note floreali che ricordano il gelsomino, per passare poi ad addentare una percoca. In bocca entra chirurgico ma non dobbiamo aspettare poi così tanto per sentirlo sgomitare con una marcata vena pseudocalorica, a controbilanciare egregiamente le durezze. Un finale non lunghissimo ma che soddisfa.

Lazio IGP Merlot 2022

Colore spiccatamente purpureo coerente con i sentori di ciliegia appena colta e nepitella. In bocca è succoso, agile e pungente. Una semplice eleganza. Siete curiosi di leggere quali altre aziende ci hanno incuriosito particolarmente?

Ce ne parlerà la collega Olga Sofia Schiaffino nel prossimo articolo.

Calabria – Giraldi & Giraldi: gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa

Per gli appassionati di calcio, Vialli e Mancini erano i gemelli del gol ai tempi della Sampdoria dello scudetto e di una Nazionale italiana (forse) mai così bella e affiatata. Al cinema, invece, De Vito e Schwarzenegger sembravano teneri e, altresì, improbabili nel ruolo di fratelli separati alla nascita. Anche il mondo del vino non poteva restare lontano da simili storie, fatte di quel legame affettivo e in parte chimico che lega due omozigoti fin dai loro primi passi.

È il caso di Pierfrancesco e Alessandro GiraldiGiraldi & Giraldi giovani e appassionati vitivinicoltori di Rende (CS), in quella terra meravigliosa che è la Calabria. Entrambi iscritti alla Facoltà di Ingegneria, protetti nelle scelte dalla saggezza dei genitori Giuliana e Francesco. Poi, complice i ricordi degli studi superiori e di un professore di agraria particolarmente illuminato, la vita cambia con un click e si trasforma nelle vesti di Madre Natura, pronta a chiamare i ragazzi all’impegno e sacrificio nella terra nuda. I poderi, per fortuna, erano già lì, grazie alla mentalità di queste parti, dove ciascuna famiglia mantiene il piccolo terreno adibito o orto e coltivazioni casalinghe, vite inclusa.

Nel 2003 avviene l’impianto del primo mezzo ettaro di Magliocco ed ora, a distanza di quattro lustri, siamo arrivati ad una consistenza complessiva di ben 18 ettari per circa 100 mila bottiglie suddivise in 4 referenze. Una proporzione assolutamente perfetta, tenendo conto di quanto possa raccontare l’areale in termini di diversificazione e qualità, senza confondere troppo le idee. Lavorazioni semplici, minimaliste per il bianco e il rosato, con lunghe macerazioni per i rossi, vinificati ad acino intero e con utilizzo di lieviti selezionati. Solo 5 varietà coltivate nell’ambito aziendale: Chardonnay e Greco Bianco per la bacca bianca; Magliocco, Greco Nero (un autoctono locale differente dal Magliocco Gentile) e Cabernet Sauvignon per il rosso.

La degustazione

Partiamo da Arintha 2022, Greco Bianco con un piccolo saldo di Chardonnay. Indomito, dalla buona salinità e freschezza di lime condito da erbe mediterranee. Versatile e meno impegnativo negli abbinamenti rispetto ad altre tipologie.

Donna Giuliana 2022, dedicato alla madre di Alessandro e Pierfrancesco. Donna straordinaria, che cura amorevolmente l’accoglienza nella casa di famiglia, adibita anche a cantina e sala degustazione. Riveste, nel dietro le quinte, il classico ruolo della madre saggia che guida i propri cuccioli senza interferire nelle loro esperienze. Il rosato proposto ha carattere e gradevolezza, blend di Magliocco e Greco Nero quasi in parti uguali. Fragoline selvatiche, agrumi rossi, fiori di pesco e chiosa salmastra lo rendono un vino equilibrato fuori dai canoni classici dei rosè.

Monaci 2022 da Magliocco in purezza. Nato su terreni argillosi dai richiami marini, vinifica e matura solamente in acciaio e bottiglia, svolgendo anche la fermentazione malolattica per addomesticare i tannini robusti del varietale. L’annata è risultata particolarmente generosa, dimostrando potenza e irruenza tali da rendere il vino interessante sui piatti a lunga cottura della tradizione italiana. Meglio la 2021, declinata interamente tra frutto e goduria di bocca, apprezzabile anche come sorso di meditazione e compagnia.

Gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa! Al prossimo racconto.

Villa Saletta Tour al nastro di partenza con il tema “pizze d’autore”

La prima tappa del Villa Saletta tour con il tema “Pizze d’autore” si è svolta presso la pizzeria Il Vecchio e il Mare di Firenze. La prima di 5 tappe, organizzata e condotta,  rispettivamente dai giornalisti Roberta Perna e Leonardo Romanelli con la presenza del direttore tecnico dell’azienda David Landini.

Villa Saletta si trova in località Montanelli a Palaia in provincia di Pisa, un antico borgo che affonda le sue origini nell’anno 980. Appartenuto ad importanti famiglie, oggi grazie agli inglesi Hands, imprenditori nel mondo dell’hotellerie di lusso e dopo una attenta restaurazione ha ritrovato nuova vita. La tenuta è immersa nei 1400 ettari di proprietà tra oliveti, vigneti, boschi e coltivazioni varie. I vitigni coltivati sono Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. In futuro verranno messe a dimora anche barbatelle di Chardonnay.

Moderna e funzionale la cantina costruita per dare origine a vini espressivi e di elevata qualità con timbro bordolese, ma animo marcatamente toscano. La gestione della Tenuta è stata affidata all’esperto enologo David Landini. A breve gli ettari vitati supereranno gli 80. Villa Saletta mette a disposizione anche casolari immersi nel verde della campagna e tre ville per l’ospitalità.

Il Vecchio e Il Mare si trova a Firenze in via Gioberti, all’interno di una corte, un angolo tranquillo con ampi spazi sia all’aperto sia al coperto. La cucina di mare è curata dallo chef Daniele Di Sacco e la pizza da Mario Cipriano con versioni napoletane sia classiche che rivisitate. Pizze con farine selezionate e impasti calibrati. Tre spicchi conferiti dal Gambero Rosso per ben quattro volte. Il titolare è il dinamico Pasquale Naccari.

Il menù con abbinamenti

Montanarina con trippa di ricciola come benvenuto

Padellino crema di fiordilatte affumicato, porchetta di mare, patate del Casentino sfogliate – abbinato
Villa Saletta Rosé 2021 – Sangiovese, Merlot,  Cabernet Sauvignon e Franc – dai riverberi rosa cerasuolo e nuances olfattive di ribes rosso, lampone, melagrana e fragolina di bosco, sorso fresco e sapido, suadente e persistente.

Impasto classico con Fiordilatte campano, crema di zucca fresca Toscana, salsiccia di cinta senese presidio Slow Food e funghi porcini spadellati – abbinato a Chiave di Saletta 2018 – Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc- rubino luminoso con note balsamiche e speziate, polvere di cacao, rosa appassita e tabacco. Sorso avvolgente con tannini nobili, pieno e coerente.

Impasto classico margherita – in abbinamento a Saletta Giulia 2018 – Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon – rubino intenso sprigiona sentori di corbezzolo, rosa canina, spezie, liquirizia e tostature. Al palato risulta delicato e rotondo al tempo stesso.

Pizza alla pala con provola affumicata campana, gorgonzola mascarponato, speck Sauris e tarallo napoletano sbriciolato – con Chianti Superiore 2018 – Sangiovese in purezza – dalle sfumature di violetta, amarena, prugna, pepe nero e arancia sanguinella. Tannino setosi, sapidi ed equilibrati.

Pizza e vino si conferma sempre di più una garanzia in fatto di abbinamento.

Montalcino: i vini di Casanova di Neri

Poi un giorno di settembre me ne andai…

Citazione musicale importante per la visita ad una delle cantine più iconiche di Montalcino:  Casanova di Neri. Appena parcheggiato, trovi subito di fronte il meraviglioso skyline del borgo famoso in tutto il mondo per la qualità del suo vino Brunello.

Ci ha ricevuto la solare, gentile e professionale Tiziana Palmieri, la quale oltre ad averci raccontato la storia dell’azienda ci ha fatto fare passeggiare nella vigna adiacente, anticipando così l’ingresso in cantina.  Tre i livelli, prima di entrare in sala degustazione ad assaggiare i capolavori ivi prodotti.
Mentre degustavamo, abbiamo avuto il piacere e l’onore di parlare anche con il titolare Giacomo Neri.

L’azienda vitivinicola è una splendida realtà posta a poca distanza dal centro abitato di Montalcino. Fondata da Giovanni Neri nel 1971, colui che aveva già intuito le grandi potenzialità pedoclimatiche di questo territorio con il preciso obiettivo di produrre un grande vino rosso. Dal 1991 le redini dell’azienda sono passate in mano al figlio Giacomo, affiancato dai figli Giovanni e Gianlorenzo. Un’azienda a conduzione familiare che si estende su 500 ettari, di cui 79 sono vitati. I vigneti sono dislocati in vari versanti e corrispondono agli appezzamenti di: Fiesole, Cerretalto, Collalli, Podernuovo, Pietradonice, Giovanni Neri e Cetine. Variano le altimetrie dai 250 ai 450 metri s.l.m., ed il suolo che è costituito prevalentemente da galestro. Le viti affondano le radici sui terreni da molti anni, alcuni delle quali superano il mezzo secolo.

Le etichette di Casanova di Neri sono molto richieste da collezionisti ed appassionati in ogni parte del globo. Nel 2006, il Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2001 è stato premiato e giudicato come miglior vino al mondo da Wine Spectator,  da molti ritenuta una sorta di vademecum per professionisti del settore e semplici appassionati.
Il fil rouge di ogni vino dell’azienda è la qualità. Rispettosi della tradizione e al contempo pionieri dell’innovazione.

I vini degustati

Rosso di Montalcino 2022 – Rubino intenso, sprigiona note di violacciocca, rosa, marasca e ribes, dal gusto fresco e avvolgente, fine e lungo.

Brunello di Montalcino 2018 – Rosso rubino trasparente, naso di ciliegia, charcouterie, prugna, bacche di ginepro e pepe nero, dotato di trama tannica setosa e grande piacevolezza di beva.

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova 2018 – Leggeri i riflessi granati, emana note di prugna, melagrana, cacao, menta e violetta,. Sorso suadente, tannino setoso, preciso e persistente.

Brunello di Montalcino Giovanni Neri 2018 – Rubino vivace, complesso e fine, dalle note olfattive di mirtilli,  prugna, amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Appagante e armonioso.

Pietra d’Onice Toscana Igt 2020 – Cabernet Sauvignon in purezza – Nuance scure e profonde, rivela sentori di mora, mirtillo, cassis e note balsamiche. Chiosa fresco e sapido.