marilena bambinuto

Cantina Bambinuto, la “Regina” del Greco di Tufo

Nasce prima l’uovo o la gallina? Nel caso di Marilena Bambinuto bisognerebbe chiedersi se il titolo di Regina del greco di Tufo sia attribuibile a lei o alla cantina fondata da papà Raffaele: per par condicio diremo entrambe. La storia è una di quelle già sentite nel mondo vitivinicolo; Raffaele decide di lavorare i terreni ricevuti in eredità e, con grandi sforzi economici, inizia subito ad imbottigliare evitando la canonica trafila del conferimento uve ad altri produttori o della vendita diretta di vino sfuso. La scelta si rivela piuttosto saggia e non certo frutto di casualità. Santa Paolina è una zona irpina particolarmente vocata per questa antica varietà, le sue colline salgono a mo’ di ventaglio su versanti contrapposti nei quali terreni e pendenze subiscono una forte differenziazione. La vigna destinata alla versione d’annata cresce su terreni in prevalenza argillosi ad altitudini di 450 metri slm, quella per il Cru Picoli, dal nome della omonima contrada, giace a oltre 600 metri con una vena calcarea che dona ai vini eleganza minerale.

Completano il quadro gli appezzamenti di Monteaperto per l’Aglianico, passione di famiglia, vinificato in acciaio come il resto dei prodotti. Marilena vuole la massima integrità aromatica senza interferenza di contenitori differenti dall’inox e senza uso di fermentazioni malolattiche. I suoi vini rappresentano l’emblema della rivincita delle annate senza modelli copia e incolla identici tra vendemmie diverse. Ecosostenibilità e stazioni meteorologiche per limitare al minimo l’utilizzo dei trattamenti, nel rispetto dell’ambiente circostante e della salute di chi ci vive, sono questioni che hanno toccato nel vivo la sensibilità dei Bambinuto.

Prima di passare alla straordinaria degustazione per 20Italie, lasciamo la parola alla vigneron Marilena, inseritasi in azienda nel lontano 2009. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, nel 2013 arriva l’anno delle scelte difficili e della giusta quadra, rendendo protagonista quasi esclusivamente il Greco di Tufo (con 5 dei suoi 7 ettari complessivi) ed eliminando altre varietà coltivate tranne per la Falanghina ed Aglianico. Infine, la scelta altrettanto coraggiosa di affidarsi a Vincenzo Mercurio enologo illuminato dalla visione moderna e rivoluzionaria, che sa domare alcune irrequietezze di queste terre seguendo la via dell’eleganza sopra ogni cosa. Fare vino è semplice, se lo si sa fare bene. La produzione prevede anche un passito, un originale distillato di mela cotogna e vino Greco di Tufo, un Brandy sempre di Greco di Tufo ed un delizioso Aglianico chinato, oltre a cioccolata, sapone e gelatine, frutto dell’inventiva vulcanica della produttrice.

Iniziamo gli assaggi con due rapidi accenni alla promettente 2021 ancora in vasca di acciaio, ponendo l’attenzione sulla Falanghina, agrumatissima e salina, fuori dagli schemi tradizionali. Contrastanti invece le due espressioni del Greco di Tufo: quello base panciuto e piacione su note di frutta a polpa bianca; il Picoli deciso e teso con richiami salmastri. Che la verticale abbia dunque inizio:

  • Greco di Tufo Docg 2019: assaggio in anteprima, evidenzia polpa, struttura e succo con una lieve mordenza sul finale di bocca. Sbuffi balsamici a ravvivarne il gusto persistente
  • Greco di Tufo Docg 2018: straordinariamente tipico e territoriale. Ricordi sulfurei e terragni, con richiami di camomilla e scia minerale poderosa. Da manuale.
  • Greco di Tufo Docg 2016: il migliore di giornata. Idrocarburo teutonico allo stato puro. Sta facendo una gara a parte.
  • Greco di Tufo Docg 2015: naso ancora contratto, si rivela al sorso in fase discendente su frutta secca e scorze di cedro. Soffre gli stress delle piante subiti nella faticosa 2014.
  • Greco di Tufo Docg 2014: ci ha colpiti. Ancora dotato di freschezza, con tocchi di spezie bianche ed un ricordo di pietra marina. Non ha la lunghezza di altre vintage, ma potevamo chiederla ad una annata fredda e umida come questa, nella quale si decise persino di non produrre il Picoli?

Cinque annate, cinque caratteri diversi, un unico comune denominatore: il Greco di Tufo della regina Marilena Bambinuto.

anteprime toscane 2022

Anteprime Toscane 2022: focus su Chianti Classico Collection

Alla faccia delle crisi economiche, pandemiche, militari. Alla faccia di chi afferma, per varie motivazioni (discutibili), che grandi eventi come questo sono fatti soltanto di pura confusione, come stare nella sala biliardo di un fumoso bar dello sport. Alla faccia di tutto, insomma, il Gallo Nero è invece più vispo che mai! Ventinovesima edizione della Chianti Classico Collection con ben 180 produttori presenti ed oltre 2000 persone del settore, stampa inclusa. Sì, proprio la stampa che oggi come non mai è chiamata al compito della massima integrità di giudizio, perché il treno veloce dei concorrenti rischia di avvantaggiarsi irrimediabilmente sul nostro made in Italy. Il Gallo Nero sta al Chianti Classico sin dalla nascita del Consorzio nel 1924. Sulle carte. Nella storia secolare di questa antichissima denominazione, il principio si radica già nel 1716 con il bando del Granduca Cosimo III° dei Medici, attraverso il quale se ne determina la zona di produzione pressoché identica a quella sancita dagli accordi di pace del XV° secolo sottoscritti tra Siena e Firenze. Il bilancio produttivo odierno è stato migliore di qualunque aspettativa, con un + 21% rispetto al 2020 e +11% rispetto al 2019. Un trend di crescita che continua anche nel 2022 che, a fine febbraio, fa registrare già un +7% rispetto al primo bimestre del 2021.

A proposito di annate non possiamo non proporre una attenta disamina dei 444 campioni in assaggio durante le giornate del 21 e 22 marzo nella bellissima location della Stazione Leopolda a Firenze. La 2020 si rivela semplicemente meravigliosa nelle sue delicate fragranze floreali. Il Sangiovese la fa da padrona con un tannino cesellato manco ci fosse stata la mano di Michelangelo. Siamo impazienti di testare in futuro i vini della Riserva e della Gran Selezione per capire se possiamo consacrare la vintage tra quelle memorabili. Discorso differente per la leopardesca 2019: la qualità dei campioni procede a macchia lungo le diverse zone produttive. L’equilibrio della 2020 non si riesce a rinvenire egualmente nella possenza calorica della siccitosa 2019. Il varietale predomina, con toni che variano dall’erbaceo spinto alla cupezza speziata senza soluzione di continuità. Bene le versioni base decisamente larghe ed avviluppanti, meno facili le Riserve piuttosto decise al palato, che richiedono necessario riposo come a dare una tirata di briglie agli indomiti cavalli di razza. Annata che vai, diversità che trovi. La 2018 ritorna fresca ed agrumata. Qui la Gran Selezione vince a mani basse, con il corretto apporto di grappoli scelti ed uno stile sempre più elegante. Alcune di esse rasentano persino la perfezione stilistica, fugando ogni dubbio recondito sulla nascita di questa tipologia per nulla scontata e “commerciale”. Considerazioni finali per la 2017 simile per certi versi alla 2019, ma meglio addomesticata soprattutto nelle Gran Selezione e la 2016 che presenta ancora qualche incognita sull’evoluzione delle trame antocianiche decisamente vivaci e mordaci. Lo scopriremo soltanto vivendo dicevano.

Qualche piccola nota dolente la dobbiamo pur trovare e riguarda il progetto UGA del Chianti Classico, oggetto anche del seminario condotto dal giornalista Aldo Fiordelli, collaboratore di testate quali Decanter, Espresso e Corriere Fiorentino. Il nobile impegno del Presidente del Consorzio Giovanni Manetti, nel realizzare ciò che non si è riuscito a fare in secoli di storia, è davvero encomiabile. «Ancora molto può e deve essere fatto – dichiara Manetti – per valorizzare ulteriormente la denominazione continuando a consolidarne il valore e l’immagine nella sfera delle eccellenze enologiche mondiali». Noi aggiungiamo che la strada è piuttosto irta e piena di insidie, pur avendo confinato l’iniziativa, al momento, soltanto alla Gran Selezione. Sanare antiche “ruggini” presenti tra piccole/medie realtà e grandi imbottigliatori non sarà facile. Inoltre, in alcuni micro areali i produttori si contano sulle dita di due mani e le etichette proposte sono di numero troppo esiguo per ragionare in termini di sottozona. Il carattere sanguigno dei produttori di questa meravigliosa regione completa e complica il quadro della situazione. Ai posteri, dunque, l’ardua sentenza.

Il racconto dei vini del Sannio di Libero Rillo (Fontanavecchia)

Parlare di Sannio, tra le morbide colline di Torrecuso, con il Presidente del Consorzio di Tutela Vini del Sannio Libero Rillo è un’esperienza unica. “Nomen omen” dicevano gli antichi romani e Libero non è da meno quando esprime con franchezza e senza veli il pensiero sul territorio, sull’importanza dell’ospitalità enogastronomica e sulle scelte impegnative da attuare per il futuro dell’intero comparto. Dobbiamo partire, anzitutto, da una breve esposizione di quanto la famiglia Rillo (papà Orazio ed ora i figli Giuseppe e Libero) abbia fatto per accrescere la fama dei vini beneventani grazie all’azienda Fontanavecchia.

Ben 20 gli ettari in continua crescita dagli anni ’90 del secolo scorso; la ricerca della qualità possibile grazie anche ad una accurata parcellizzazione degli appezzamenti vitati, seguendo la filosofia dei CRU avanzata, da secoli, dai contadini francesi. Grave Mora, Vigna Cataratte, Orazio, Libero e Facetus rappresentano ormai dei cavalli di battaglia che riescono ad esprimere al meglio tutte le potenzialità delle varietà autoctone campane come Falanghina, Aglianico, Coda di volpe, Greco, Fiano e Piedirosso. La storia secolare si mescola, però, con le migliori tecnologie innovative: il vino resta pur sempre vino, ma la precisione e le cure maniacali odierne possono renderlo un’eterna opera d’arte liquida.

Non soltanto produzione, ma passione, coesione e spirito di gruppo, perché da soli non si va da nessuna parte. Da qui l’impegno di Libero nell’attività di Presidente del Consorzio di Tutela Vini del Sannio: compito non semplice quello di gestire le diverse “anime” presenti ognuna con richieste ed esigenze diverse. Rillo ne darà ampia spiegazione nella video intervista rilasciata in esclusiva per 20Italie. Vi lasciamo alla visione dell’intervento in attesa di poterci salutare con la descrizione analitica di uno dei gioielli enologici di Fontanavecchia.

Chi dice che i vini bianchi non possano sfidare lo scorrere inesorabile del tempo dovrà necessariamente ricredersi scendendo a miti consigli, dopo aver assaggiato la Falanghina vendemmia tardiva proposta da Fontanavecchia. Un leggero passaggio in barrique (soltanto per il 10% della massa) non fa altro che accrescere il ventaglio aromatico del prodotto, interamente declinato tra note succose di pesca ed albicocca e fragranze floreali di camomilla e ginestra. La spezia bianca sottile guida il sorso verso una profonda vena sapida, nulla che faccia presagire all’evoluzione, ma tutto estremamente giovanile e gioviale. Attendere un altro lustro prima di aprire la bottiglia sarebbe stato persino doveroso se non avessimo avuto la smania di raccontarvi cosa significhi lavorare bene in Campania.

Villa Calcinaia si mostra attraverso un’affascinante verticale di otto annate di Vigna Bastignano

È il 1613 quando Nicola Capponi pubblica un libretto (oggi custodito nella Biblioteca Marucelliana di Firenze) dal titolo «Modo di fare il vino alla franzese secondo l’uso  dei paesi di Francia» dove descrive la ricetta per fare un buon vino, che prevedeva sangiovese, mammolo e malvasia.

Sebastiano Capponi racconta con grande enfasi la storia della sua famiglia, dalle origini ai giorni nostri, di fronte ad una platea attenta e affascinata dalle sue parole, dense di senso di appartenenza alla sua terra.

La gestione dell’azienda passa nelle sue mani nel 1992, appena ventenne e ancora studente di scienze politiche.

Nel 1996 inizia un percorso con l’Università di Firenze e il Dr. Bandinelli per la costituzione del patrimonio genetico. L’anno successivo si attiva per richiedere la conversione al biologico e nel 2000 la ottiene. La conduzione in vigna era già in regime di agricoltura integrata fin dal 1992.

Vigna Bastignano nasce nel 2004 dal materiale proveniente dai vigneti della costituzione del suddetto patrimonio genetico, all’interno dei 31 ettari totali di proprietà di Calcinaia. Posta nel borgo di Montefioralle, Vigna Bastignano è l’epitome di Montefioralle stessa, una delle 11 UGA (unità geografica aggiuntiva) di recente costituzione (o, per meglio dire, ufficializzazione) come menzione aggiuntiva in etichetta per il Chianti Classico Gran Selezione.

Cresciuta su suoli di alberese, la vigna (0.8 ha) ha pochissima terra in quanto posta piuttosto in alto, dove la pietra non ha completato la sua diogenesi e si trova in stato di scisto (in Toscana detto galestro). Molto limo (circa 42%) e poca argilla (25%) mentre la sabbia (intorno al 42%) è piuttosto costante a Calcinaia, aumentando in quantità vicino al fiume Greve e diminuendo via via che si sale.

L’altitudine si aggira sui 280-300 m s.l.m. con esposizione est-sud/est, completamente piantata ad alberello su terrazzamenti, a sangiovese, per circa 6000 piante/ettaro.

Le annete scelte per la verticale sono state: 2008-2010-2011-2012-2014-2013-2015-2016, tutte in versione magnum.

Attraverso questo viaggio di alcune delle migliori annate di Vigna Bastignano e del suo sangiovese in purezza, si intuisce come questo si manifesti nel tempo, anno dopo anno, come un ottimo lettore del territorio, con continuità. Ed anche delle singole annate, nelle diverse sfaccettature. Da notare la mano di Federico Staderini che collabora con l’azienda fin dal 1996.

Fil rouge di tutte le vendemmie è l’utilizzo del tonneau aperto per la vinificazione. La sola differenza percettibile, al netto di scelte agronomiche delle singole annate, è data dalla presenza di raspo, variabile dal 30% al 50% a seconda dell’annata. Può essere, inoltre, diversa la fase dell’assemblaggio finale, che talvolta svolge l’affinamento in cemento.

Puntiamo la lente su ogni singola vendemmia.

2008 – Grande qualità in generale nella produzione di sangiovese. 800 bottiglie prodotte. La 2008 si mostra in un grande stato di benessere lo si vede subito dal bellissimo rubino, lieve, con sfumature granate che introducono a soffi di frutti scuri maturi, china e tabacco. Il sorso fine e fresco ricorda note balsamiche in una trama tannica vellutata.

2010 – Racconta sicuramente più potenza ma anche avvolgenza. Il momento decisivo di maturazione delle uve poco prima della vendemmia fu ideale, facendo sì che la 2010, in generale, venga considerata una grande annata. Il colore è luminoso, come la giornata di sole che ha accompagnato la verticale. La tensione percepita al sorso racconta di carattere e fierezza, ma con estremo equilibrio tra acidit, tannini e morbidezze gustative. Accenno balsamico in chiusura.

2011 – La balsamicità come comune denominatore ritorna piacevolmente anche in questa annata. Il corredo olfattivo, fine ed intenso, appare forse più orientato ad accenni di distillato, dopo i primi sentori di frutti rossi e neri  in confettura (lamponi, more). Il sorso, diretto e verticale, si indirizza verso un tannino vivace, maggiormente in primo piano rispetto alle annate precedenti. Chiude sapido, su pennellate di scorza d’arancia.

2012 – Qui il colore si fa più intenso, rubino pieno. La stagione non fu equilibrata, tra gelate primaverili e piogge, seguite da grande siccità estiva. Racconta di macchia mediterranea fitta e frutti essiccati, con un lieve accenno di surmaturazione. In bocca esprime note speziate, quasi piccanti, in un sorso abbastanza equilibrato.

2013 – Maturazione perfetta delle uve e gradazione alcolica ottimale (13.5%) in un color rosso rubino limpidissimo e vivace. Si apre si note di bosco, muschio, accenni mentolati che tornano puntuali sul palato. Ottima l’acidità a sostegno della beva. Frutto protagonista su finale sapido di tabacco e spezie orientali.

2014  – Gradazione alcolica più elevata (14%) e vendemmia più precoce. Data la fama dell’annata difficile e piovosa, non ci si aspetterebbe un titolo alcolometrico (nominale) del genere. La scorrevolezza del vino sul palato è sorprendente e accattivante. Il frutto è slanciato in un’acidità scolpita con maestria, allargandosi in un sorso pieno e teso. Piacevolissimo da sorseggiare anche senza abbinarlo ad alcunché. Chapeau!

2015 –  Il rubino splendente nel calice si rivela con intense note floreali di pout-pourri, frutti rossi di bosco e agrumi freschi. In bocca scorre guidato da grande freschezza, vibra la trama tannica. Accenni fumé e note di olive in salamoia, chiude sapido e lungo.

2016 – Il colore con sfumature porpora parla di gioventù, freschezza e dinamicità. Ricco bouquet olfattivo di liquerizia, frutti di bosco maturi, note balsamiche (marchio di fabbrica) che regalano profondità. La sapiente sapidità di Montefioralle e il corredo tannico tridimensionale, veicolano la beva in un lungo slancio finale. Grande prospettiva.

Un ringraziamento particolare a Sebastiano Capponi di Villa Calcinaia per l’ospitalità e Davide Bonucci di Enoclub Siena per l’invito a questo bellissimo evento, organizzato all’interno della panoramica sala di Palazzo Capponi alle Rovinate, affacciata su Piazza della Signoria e posta due piani al di sopra del ristorante stellato Gucci Osteria.

Al termine della degustazione, uno splendido viaggio nel menù “Capitolo Rinascimento” di Chef Taka Kondo. Ad accompagnare i piatti stellari, gli spumanti metodo classico da sangiovese Mauvais Chapon di Villa Calcinaia, vintage 2014 e 2015, sul racconto del Conte Capponi inerente la storia dello scontro tra l’antenato di Sebastiano, Pier Capponi, e il Re di Francia Carlo VIII.

la fortezza

La Fortezza, accoglienza e vini di qualità dal cuore del Sannio

Entrare nel cuore del Sannio dalla porta principale: Torrecuso. Questo era lo scopo del ritorno sui passi percorsi nel recente evento di Campania Stories, intervistando di persona Antonella Porto volto aziendale de La Fortezza, una delle aziende vitivinicole modello in forte ascesa nel panorama enologico beneventano. La forza e l’energia di Antonella predispongono l’animo al giusto mood per un viaggio in un territorio a tratti sottovalutato dalla critica di settore, nonostante rappresenti il 40% della superficie vitata campana. Quel “Sannioshire” (come amo definirlo) così simile a tante vedute chiantigiane grazie ai morbidi altipiani. Enzo Rillo, noto imprenditore nel campo della sicurezza stradale, ha cominciato da zero, costruendo mattone dopo mattone l’intera tenuta. Solo i vigneti appartenevano alla famiglia e proprio il ricordo dei genitori che coltivavano la terra lo ha indotto a realizzare un sogno di gioventù. La cantina, interamente rivestita in pietra e ben integrata nel paesaggio circostante, si compone di due corpi: nella parte superiore una villa dove vive la famiglia Rillo con ampi spazi aperti destinati prevalentemente a prato. Il corpo sottostante ospita, invece, l’attività produttiva: una perfetta miscela di tradizione e moderna tecnologia. Attendiamo l’arrivo di una importante novità per la spumantistica in cui La Fortezza è già leader nel mercato: una grotta sotterranea scavata nel tufo da utilizzare per l’affinamento del futuro Metodo Classico. Ma di tutto questo ci parlerà la bravissima Antonella Porto, direttore commerciale, nella video intervista rilasciata per voi lettori di 20Italie.

Riprendiamo il nostro racconto dall’assaggio delle etichette più interessanti, cominciando da:

Maleventum Vino Spumante Brut

Passare dalle chiacchiere ai fatti non è sempre semplice. Soprattutto quando si pensa a tanti omologhi rifermentati con metodo Charmat lungo di spessore decisamente inferiore. La Falanghina deve il suo nome proprio all’antichità romana, essendo coltivata già in quei tempi. Vuoi perché si pensa al palo di sostegno (falanga) o perché si rimanda al vino falernino (di Falerno), poi storpiato in “falanghino”, poco importa. Questa è la storia del Sannio; la piacevolezza di beva del vino deve vincere su tutto. Il classico prodotto per un incontro conviviale tra amici e cruditè di pesce (sushi incluso). Tipici sentori di fiori di campo e frutta a polpa bianca. Diverte parecchio.

Taburno Falanghina del Sannio DOC 2020

Sempre Falanghina, questa volta in versione ferma. Aromi tropicali di mango e maracuja, ben conditi da erbe mediterranee e spezie bianche. Annata eccellente, nonostante l’inizio della pandemia che ha spiazzato produttori e rivenditori. Un grande sacrificio resistere alla tempesta..e questi risultati ripagano di tante amarezze. Ama l’abbinamento gastronomico anche di fantasia, privilegiando il rapporto qualità-prezzo invidiabile.

Sannio Greco DOC 2020

In agro beneventano sorprende doppiamente una varietà tipicamente irpina. Fragranze floreali da ginestra e biancospino unite ad una mineralità imperante che sfiora la salsedine. Dei tre bianchi rimane l’assaggio più convincente, con una lunghezza da vero mezzofondista.

Piedirosso DOC 2019

Un vitigno molto apprezzato nei versanti vesuviani con una precisa identità e dignità. Un po’ meno in altre zone, complice la difficoltà nell’esprimersi al meglio a determinate altitudini ed esposizioni. Non bastasse questo, il Piedirosso soffre annate particolarmente calde e siccitose chiudendosi a riccio verso note acerbe ed erbacee che sviliscono il delicato frutto. Per fortuna il Sannio gode di una ventilazione che regola perfettamente lo scambio termico grazie a frequenti escursioni. La solare 2019 lavora ottimamente i tannini, per nulla invadenti. La Fortezza è una delle poche realtà a volerlo in purezza: scommessa più che vincente.

Aglianico Doc Taburno Riserva 2012

Il Re dei rossi campani a Torrecuso riesce a raggiungere traguardi straordinari. L’impasto argilloso-limoso dei terreni, con venature calcaree in profondità, dà materia al colore ed agli aromi tutti declinati tra more, amarene e mirtilli. Un tocco di petali viola macerati e tanta spezia scura, dal pepe in grani alla liquirizia fino a concludere con sigaro sbriciolato e cacao. Messo in commercio ben oltre quanto raccomandato dal disciplinare di produzione. Come per ogni prodotto de La Fortezza, un occhio di riguardo viene posto sempre al prezzo davvero interessante. Ben fatto Enzo Rillo!

Terredora, un’autentica tradizione che anima il presente

Quando incontro Paolo Mastroberardino di Terredora è come un ritorno in famiglia. Il figliol prodigo in questione sarebbe il sottoscritto, assetato di ascoltare dalle parole del Maestro i segreti del suol natio: l’Irpinia.

Non è la prima volta che mi reco a Montefusco, ma oggi il viaggio è doppiamente soddisfacente in compagnia dei colleghi Francesco Costantino e Roberto Imparato per 20Italie, tutti desiderosi di dar voce a territori e produttori della nostra amata Campania.

Un giro in cantina, bottaia inclusa, rende l’idea delle dimensioni del progetto Terredora: a dispetto di grandi numeri qui si respira ancora un’aria da artigiani del vino. In questo luogo magico Doriana, figlia di Paolo, che da anni collabora nella consulenza enologica, ci racconta di una sperimentazione appena introdotta in Italia: la tecnologia Cleanwood per rigenerare e disinfettare le barriques di rovere in processi da 4 a 5 minuti.
Il trattamento disinfetta al 100% l’interno della barriques garantendo il controllo della salute e della qualità dei prodotti grazie ad onde ad alta frequenza. Il risultato è un netto risparmio di acqua, energia, additivi, elementi chimici e, soprattutto, l’acquisto di nuove botti, perfetto per il concetto di sostenibilità ambientale e preservazione delle materie prime.

Le innovazioni non finiscono qui, proseguendo negli spazi dedicati alla fermentazione alcolica del mosto con tini cilindrici orizzontali per assottigliare e controllare meglio il cappello di fecce superficiali che si viene a creare in questa delicatissima fase. D’altro canto l’improvvisazione non fa parte dei Mastroberardino, già dal lontano 1994 quando per una separazione familiare mossero i primi passi del loro sogno. Papà Walter con i figli Paolo ed il compianto Lucio, scomparso prematuramente nel 2013, avevano soltanto le vigne di proprietà e si dovettero adoperare per costruire a tempo di record una cantina funzionale senza affidare a terzi la prima annata del nuovo corso.

La video intervista a Paolo Mastroberardino, verrà suddivisa in 3 parti distinte, per arginare il fiume in piena di aneddoti ed informazioni tecniche. Un’autentica masterclass che parte proprio da qui, dalla storia dell’azienda e dal ricordo commosso di Lucio, con l’etichetta commemorativa del Taurasi Riserva vintage 2007.

La seconda parte concerne la narrazione di quel terroir ricco di tradizione e cultura dove risiede la famiglia di Paolo: l’Irpinia. Un luogo caratterizzato da asprezze climatiche che crescono in parallelo alle altitudini dei suoi versanti. Il bosco la fa da padrone assieme alle escursioni termiche, al vento ed alla neve, ancora presente seppur meno copiosa di qualche decennio fa. L’influenza del Vesuvio con le sue eruzioni è il vero segreto della morfologia dei terreni, stratificati da argille di medio impasto per vini di colore, struttura e carattere.

Last but not least, prima di dedicarci anima e core alla degustazione dei campioni in assaggio, non poteva mancare un’ampia carrellata sulle varietà principe della zona. Dal Greco di Tufo dei vigneti di Santa Paolina, frutto di una vera e propria selezione massale su 102 cloni/biotipi alllevati in due campi collezione per individuare le “piante madri”, fino al Re dei vitigni campani: l’Aglianico (biotipo Taurasi). Esso viene declinato in 3 versioni: Fatica Contadina, Pago dei Fusi e CampoRe, oltre alla prima uscita della special edition Riserva “Lucio” vintage 2007, fatta in rarissimi esemplari.

Dopo tanto parlare partiamo finalmente dalla note degustative cominciando dai bianchi:

Irpinia Falanghina Doc 2020 “Corte di Giso”

Falaghina d’altura, cresciuta a circa 600 mt per ben due dei tre siti di provenienza, fra i più elevati di tutta la regione. Forza espressiva ed armonia rievocano i madrigali di Carlo Gesualdo, principe dei musici, vissuto tra il ‘500-‘600 a cui si ispira il suggestivo nome. Figlia di una annata molto difficile, dagli equilibri altalenanti come l’inizio della lotta alla tremenda pandemia. Il frutto è meno marcato rispetto ad altre zone, più fresco ed agrumato. La bocca è salina, dalle movenze floreali di glicine e ginestra. Un pizzico di maggior lunghezza avrebbe reso il quadro davvero perfetto.

Greco di Tufo 2020 Docg “Terre degli Angeli”

Dedicato ad Angelo, lo zio di Paolo morto a fine anni ’70. Il vino giova degli studi clonali e di zonazione effettuati per oltre due lustri. In questi terreni a Santa Paolina sarebbe partita la rinascita della viticultura irpina. Superbo per nulla timido né all’olfatto né tantomeno al palato. A differenza della Falanghina ama un clima maggiormente fresco che esalta al meglio la sua matrice minerale, fino a sfiorare richiami di salsedine. Persistente, elegante, un vestito di seta che ben aderisce a numerose pietanze regionali dal pesce alla carne.

Fiano Docg 2016 “CampoRe”

I Borboni gradivano bere il vino proveniente dalle campagne di Lapio, al punto tale da diventare il Campo del Re. Zona particolarmente vocata per questo vitigno storico che trova la sua dimora sin dall’antichità, quando era conosciuto semplicemente come Apianum. La particolare tecnica utilizzata nel far fermentare il mosto in barrique con successivo affinamento, richiede l’immissione in commercio dopo oltre 5 anni giusto tempo per esprimere al top le proprie potenzialità. Un corredo di frutta secca e tostata, tipico marcatore del Fiano. Il finale chiosa su balsamicità di macchia mediterranea e pera succosa. Un gigante elevato da una vintage memorabile.

Irpinia Aglianico Doc 2015 “Il principio”

Etichetta di particolare effetto..ed affetto, che commemora gli inizi di Terredora. Corretto mix tra sosta in legno e bottiglia che nobilita l’Aglianico, con un passo felino fatto di violetta macerata e ciliegia matura. Declina sulla piacevolezza di beva e non chiede altro che farsi apprezzare in una chiacchierata tra amici a camino acceso. 

Taurasi Docg 2014 “Fatica Contadina”

Sono molto legato a questa etichetta. Non soltanto per l’espressione di un Taurasi agevole (se così si può dire) nell’impatto del tannino. L’annata racconta delle lacrime di Paolo, che si occupava della vigna, nel raccogliere l’eredità enologica lasciata da Lucio, per giunta in un’annata climaticamente al limite dell’impossibile. Il lavoro svolto ha trasmesso le emozioni ed il vino non fa altro che riproporcele come il riverbero di un microfono. Delicato, non esile, floreale ed equilibrato dal sorso di arancia sanguinella e ribes rosso. Averne.

Taurasi Docg 2012 “Pago dei Fusi”

Ecco l’evoluzione del Taurasi! Pensate che la 2012 è quella attualmente in commercio, indice di un lungo sonno del vino in bottiglia interrotto dopo ben 10 anni. Ovviamente le note terziarie entrano dalla porta principale e raccontano di tabacco essiccato, confettura di mirtillo, pepe nero, liquirizia. Il finale è da cioccolato fondente, cuoio, sanguigno e salino. Trama tannica potente e perfettamente integrata. Buono subito o tra qualche anno.

Chiudiamo la nostra visita parlando del Concorso Enologico dedicato a Lucio Mastroberardino che si spera possa riprendere in questa stagione. Nasce inizialmente su pressione di alcuni produttori che erano grati all’immenso lavoro svolto dal fratello di Paolo riconosciuto ai massimi vertici delle organizzazioni di settore. Da 30 cantine siamo passati ad oltre 140 con la creazione di un movimento che da lustro all’intero comparto enologico campano. Le ultime parole dell’intervista sono di ringraziamento per l’impegno profuso dalle figlie Doriana e Giulia Mastroberardino nel continuare la tradizione di famiglia iniziata con nonno Walter ancora alacremente al lavoro all’alba delle 89 candeline.

Difesa e Mèrcori 2019 di Francesca Fiasco totalizzano rispettivamente 95 e 96 punti nel rank di James Suckling

Nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, a Felitto, Campania, sorge una tenuta che ha saputo generare gioielli enologici in grado di conquistare il palato degli esperti a livello internazionale. Il Difesa e il Mèrcori entrambi 2019 dell’Azienda Agricola Francesca Fiasco, IGT Paestum Rosso, rappresentano non solo un’ode alla tradizione vitivinicola campana ma anche un brillante esempio di come passione, innovazione e dedizione possano fondersi creando un prodotto di eccezionale qualità. Francesca Fiasco, giovane e promettente, ha ereditato i vigneti di famiglia e, sotto la guida esperta di Emiliano Falsini, ha dato vita a vini che sono una sinfonia di uve meticolosamente selezionate.

Il Difesa si compone in 35% Aglianico, 35% Cabernet Sauvignon, 20% Barbera e 10% di altre varietà rosse autoctone. Questa miscela ispirata nasce da viti di aglianico ultrasettantenni, coltivate su sei ettari di terreno appartenenti a nonno Luigi. Il Mèrcori con il suo complesso blend di in 30% Aglianico, 30% Cabernet Sauvignon, 10% Barbera, 10% Sangiovese e un saldo di altri vitigni a bacca rossa locali, tra cui spicca l’Aglianicone, racconta una storia di terra, tradizione e sperimentazione.

Difesa: un blend ispirato da equilibrio, innovazione e tradizione

Difesa 2019 si distingue per il suo carattere unico, frutto di una vinificazione attenta e di un affinamento in botti di rovere francese che esaltano le peculiari qualità delle uve selezionate. Con note coriacee di prugna e frutti di bosco, tipiche dell’Aglianico, e un corpo che sa di spezie e di vita, il vino matura in tonneau per 18 mesi, seguiti da un anno in bottiglia, prima di raggiungere le tavole degli appassionati. L’impronta del rovere è evidente, ma mai prevaricante, in perfetto equilibrio con la frutta concentrata che caratterizza il finale lungo e persistente del vino.

Ed è proprio questa qualità eccezionale che è stata riconosciuta e premiata con 95 punti da James Suckling, sottolineando non solo l’eccellenza del blend ma anche la sorprendente bevibilità del vino. Grazie a un equilibrio superlativo e a una gradazione alcolica moderata, il Difesa 2019 si rende il candidato ideale per l’invecchiamento, promettendo una maturazione che esalterà ulteriormente le sue già ricche sfumature.

Il prestigio nel calice del Difesa 2019: caratteristiche distintive

Provando ad elencare le caratteristiche del Difesa 2019 il risultato è un lungo elenco che celebra un vino da non perdere, una testimonianza eloquente di come la Campania continui a essere una terra di vini pregiati, capaci di raccontare storie di passione e di territorio.

  • La complessità aromatica: un viaggio sensoriale tra frutti di bosco maturi, prugne, cuoio e tabacco.
  • L’equilibrio tra maturazione in rovere e frutto: una maestria vinificativa che bilancia sapientemente le componenti.
  • La struttura tannica: decisamente presente ma mai invadente, promessa di un’eccellente evoluzione.
  • La bassa gradazione alcolica: un dettaglio che sorprende e invita alla degustazione.
  • La potenzialità di invecchiamento: un aglianico che si preannuncia splendido negli anni.
  • La visione: Francesca Fiasco, una giovane talento della viticoltura campana.
  • L’eredità e l’innovazione: il rispetto per la tradizione unito alla ricerca di una propria identità enologica.
  • La produzione limitata: una scelta che garantisce qualità e esclusività.

Con questo riconoscimento internazionale il Difesa 2019 si aggiudica un premio che conferma il valore del lavoro svolto. L’invito alla scoperta ci spinge verso orizzonti di curiosità nei confronti di un produttore che sta segnando la storia del vino italiano.

Il fascino unico del Mèrcori 2019: un blend di eccezionale espressione campana

Il Mèrcori 2019, anch’esso frutto dell’eccellenza enologica di Francesca Fiasco, si pone come emblema di un’altra faccia della viticoltura di qualità campana. La vinificazione in legno di rovere francese, seguita da una macerazione sulle bucce per venti giorni e un affinamento in tonneau di primo e secondo passaggio per due anni, culmina in un’esperienza gustativa senza pari. L’imbottigliamento, avvenuto a marzo 2022 dopo otto mesi di elevazione in bottiglia, ha sigillato il destino di un vino destinato a lasciare il segno.

L’aroma di Mèrcori è una sinfonia di precisione e varietà, che spazia dalla frutta matura a note più esotiche di sottobosco e tartufo nero quasi. La struttura tannica, ben integrata, conferisce al vino una morbidezza vellutata, invitando a un sorso dopo l’altro. Il finale, lungo e sapido, è un equilibrio perfetto tra fruttato e gusto umami, che rende il Mèrcori 2019 non solo un vino da degustare ma da vivere in pieno.

  • La complessità aromatica: un caleidoscopio di ciliegia, prugna, arancia rossa e note balsamiche, con accenni di caffè e tabacco, che seduce il naso e prepara il palato.
  • L’equilibrio tra maturazione in legno e frutto: una fusione perfetta che rispetta l’intensità dei frutti senza essere sovrastata dal legno.
  • La struttura tannica: vellutata e ben integrata, promessa di una degustazione avvolgente.
  • Il tenore alcolico: bilanciato, che contribuisce alla “bevibilità” e alla raffinatezza del vino.
  • La potenzialità di invecchiamento: un blend capace di evolversi, mantenendo la promessa di sorprendere anche dopo anni.
  • La visione enologica: Francesca Fiasco conferma il suo talento e la sua capacità di interpretare varietà diverse in un’unica, straordinaria espressione vinicola.
  • L’eredità e l’innovazione: la capacità di coniugare la ricchezza dei vitigni campani con tecniche enologiche avanzate.
  • La produzione limitata: un segno distintivo di esclusività e attenzione al dettaglio.

Raggiungendo un punteggio di 96 punti da James Suckling, il Mèrcori 2019 si posiziona un gradino sopra al Difesa 2019, testimoniando la costante ricerca di eccellenza da parte della cantina Francesca Fiasco. Questo vino è una dichiarazione d’amore per la Campania, un tributo alla sua terra fertile e alla sua storia vinicola, pronta a essere scoperta e apprezzata da chi cerca nel vino non solo gusto, ma anche narrazione e passione.

Alla scoperta di nuovi traguardi: il futuro di Francesca Fiasco

L’avventura enologica di Francesca Fiasco non si ferma al successo ottenuto; il futuro si annuncia ricco di nuove sfide e conferme. Mantenendo saldi i principi di qualità e di rispetto per la tradizione, le cantine Francesca Fiasco si propongono come custodi di un patrimonio vinicolo che sa innovarsi, guardando con fiducia verso l’orizzonte di un mercato sempre più attento e esigente. La strada tracciata da questi vini è un invito a esplorare le radici di un territorio ricco di bellezza e di storie, a scoprire l’anima di un vino che sa parlare al cuore e al palato degli amanti del buon vino. La storia del Difesa 2019 e del Mèrcori è solo l’inizio di un viaggio che promette nuove entusiasmanti tappe, in un mondo dove la qualità è la vera protagonista.