Vigne Di Malies: alla scoperta di un’incantevole cantina del Sannio fortemente legata alle tradizioni

Nelle storie che raccontiamo, elementi comuni suscitano sempre forti emozioni e riemergono in maniera del tutto naturale alla penna: territorio, coraggio, passione.

La nostra attenzione, questa volta, si sposta nell’areale del Sannio in provincia di Benevento, ove le vette più alte del massiccio Taburno-Camposauro disegnano il profilo di una signora distesa, la Dormiente del Sannio, dal profondo valore simbolico. La figura della donna si ricollega al mito ancestrale della madre-terra e il suo essere distesa e immersa in un sonno profondo rappresenta la tranquillità, la pace e l’armonia dei luoghi. Questa zona è da sempre tra le più vocate alla viticoltura campana. Qui nella valle Telesina, due agronomi, Giuseppina Caporale e Flaviano Foschini, uniti nella vita e sul lavoro, nel 2001 hanno dato luce, colore e sapore al progetto Vigne Di Malies.

La loro è un’azienda vitivinicola a carattere familiare, ereditata dal padre di Flaviano; anche i due figli della coppia, Lina e Giuseppe poco più che adolescenti, sono a pieno titolo cooptati in azienda. I sei ettari di terreni vitati della cantina, nei comuni di Guardia Sanframondi e Castelvenere, dopo un reimpianto iniziato nel 2002, ospitano vitigni autoctoni del luogo: falanghina per almeno un 50%, fiano, coda di volpe, greco, aglianico, sangiovese e cabernet, oltre un ettaro di camaiola che per la prima volta sarà vinificata nel 2023. Vigne Di Malies produce poco più di 40000 bottiglie, vini tutti in purezza, fatta eccezione per la Coda di Volpe, verticalizzata da Falanghina senza snaturare il vitigno di base.

Il nome della cantina ricorda le origini di Benevento, rievocando la scritta Malies sulla moneta pre-sannitica, il cui significato indicava il territorio di vigne situato tra i due fiumi Sabato e Calore. Il logo invece richiama il simbolo della provincia di Benevento, un cinghiale imbrigliato, ormai pronto al sacrificio. Tradizione, cultura e dedizione sono i sostantivi che maggiormente rappresentano questa realtà enologica.

La cantina “Le Vigne di Malies” appartiene al Sannio Consorzio Tutela Vini, associata anche alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). L’attenzione alla produzione è molto scrupolosa, tutto è seguito direttamente dalla coppia di agronomi, dalla cura in campo, alle potature, trattamenti, raccolta manuale delle uve, l’estrazione differenziata di antociani e polifenoli e altro.

Pina Caporale

La degustazione avviene in una cantina fresca, nel centro storico di Guardia Sanframondi dove Flaviano e Pina hanno ricavato uno spazio degustativo molto suggestivo.

Auspicio – Spumante da Falanghina metodo classico – 12,5% – Brut Nature

Vendemmia del 2019, aggiunta della “liqueur de tirage” a fine gennaio 2020, sboccatura a settembre del 2022 dopo più di 30 mesi sui lieviti.  Noi lo assaggiamo dopo circa 10 mesi dall’aggiunta della “liqueur d’expedition”.

Un color giallo dorato incanta subito gli occhi per la sua vivacità e densità. Il perlage fine e abbastanza persistente, risulta carezzevole in bocca. Profumo da note di fiori di campo e ginestre seguite da sentori di mela e albicocca con sfumature di minerali. Beva fresca, sapida e piacevole con finale di buona persistenza. Ottimo da accompagnare con dei crudi di pesce.

Callìda – Coda di Volpe – 14% – DOC Sannio 2022 – Vigna Cuponi

Nome che richiama la furbizia della volpe. Camomilla, gelsomino, salvia, frutta bianca non troppo matura, pesca cilentana, mandorla sono i descrittori immediatamente riconoscibili, che si mescolano consistentemente tra loro. Un equilibrio perfetto lo rende molto elegante al palato; lungo nel finale con bella freschezza e mineralità.

Fojano – Fiano – 13,5% – DOC Sannio 2022 – Vigna fontana dell’Olmo

Vino fine e delicato, strutturato, dal colore giallo tenue con intensi e persistenti profumi fruttati e floreali, indicato su cucina di mare più delicata. Presenta sfumature croccanti e grasse molto intriganti da melone, pesca gialla e mais bianco, miele e minerale gessoso sul finale.

Creanzia – Falanghina – 13,5 % – DOC Sannio 2016

Dal nome latino Creantia (crescere, creare) deriva lo spagnolo Criar (allevare, educare) e la parola iberica Crianza, diffusa anche nel dialetto campano “bona crianza” che si addice a qualcosa fatto con cura ed elegantemente. Pina e Flaviano la definiscono “la nostra migliore creatività enologica”. Affina almeno 18 mesi tra barrique (6 mesi), acciaio e bottiglia, durante i quali acquisisce un bel colore dorato, molto lucente. L’olfatto è intenso, minerale, floreale, predomina la ginestra, e la frutta esotica come mango e ananas. Nel finale si sprigionano vaniglia e nocciola.

La degustazione termina con l’assaggio dell’annata 2019 dello stesso vino.

Creanzia – Falanghina – DOC Sannio 2019

Anche l’annata 2019 conferma l’eleganza olfattiva e la piacevolezza nella beva. Il colore dorato più saturo. Il sentore di vaniglia predomina rispetto alla 2016, probabilmente per l’utilizzo di barriques nuove. Fa presagire una buona longevità e interessanti evoluzioni gusto-olfattive.

Qualcuno asseriva che… “Ci vuole un sacco di coraggio per mostrare i tuoi sogni a qualcun altro”.  Si può aggiungere anche: lasciarsi dietro il rumore di opinioni altrui che offuscano il proprio sogno interiore, per seguire con coraggio il cuore e la propria intuizione non è da tutti e solo un guerriero armato di sana pazzia riesce a farlo!

da sinistra Pina Caporale, Flavio Foschini, i due figli Lina e Giuseppe

A Vigne Di Malies questa filosofia è fortemente tangibile e alimenta anche le nuove generazioni. La “Bona Creanzia” qui è di casa ed è una magnifica, innata, dote familiare.

“Pompeii, dell’Antichità della Vitae e del Vino” con l’Associazione Italiana Sommelier Campania

Parco Archeologico, Quadriportico dei Teatri, Pompei (Na)

2 e 3 settembre 2023  – Porta Esedra, Piazza Porta Marina Inferiore

Esperienze di Vitae Premiazione quattro Viti, Cupido e Valore Prezzo Guida Vitae 2023

Concorso Miglior Sommelier della Campania

“Il vino nei millenni, dalla Georgia alla Campania 8000 mila anni di storia della vite e del vino, tra cultura arte e scienza. Pompei la prima grande città che ha globalizzato il mercato del vino dal Medio Oriente al mediterraneo ed in Europa”.

L’evento sarà organizzato nelle ore serali del 2 e 3 settembre dalle 18.00 alle 23.30 e prevede, oltre alla presenza di circa 40 aziende di vino, 6 Consorzi di Tutela del Vino della Campania: Vitica CasertaSannioDopVesuvio DopVini d’IrpiniaSalernum Vitae Campi Flegrei e Ischia, un’area Culinaria e un’area dedicata alle masterclass.

Un viaggio degustando vini della Georgia, Cipro, Libano, Grecia, Italia, condiviso con le Ambasciate di Georgia, Grecia e Cipro, con il contributo dell’Ambasciata italiana a Tbilisi, per arrivare in Campania con una significativa selezione di aziende della Campania Felix.

Nel corso della serata del 2 settembre ci sarà Esperienze di Vitae con la consegna delle quattro Viti Campania della Guida VITAE 2023 e un banco collettivo con la degustazione dei vini premiati a cura dei sommelier dell’AIS Campania  e si terranno le prove finali del Concorso Miglior Sommelier della Campania.

Un momento significativo sarà la riproduzione dell’antica focaccia di Pompei a cura del cuoco storico della cucina napoletana Antonio Tubelli in collaborazione con l’Istituto Alberghiero di Vairano Scalo “G. Marconi”.

Per celebrare l’unicità dell’evento abbiamo coinvolto nel “Convivium”, sempre all’interno del Quadriportico dei Teatri, personalità e studiosi per ripercorre le antiche rotte del vino e comprendere l’evoluzione della coltivazione della vite.

Evento ideato e curato da Dante Stefano Del Vecchio, con il sostegno del Parco Archeologico di Pompei e Tommaso Luongo di AIS Campania  

Programma 2 settembre 2023 ( Clicca QUI per l’acquisto del Ticket On Line) https://www.eventbrite.it/e/biglietti-pompeii-dellantichita-della-vitae-e-del-vino-2923-690240456787biglietti-pompeii-dellantichita-della-vitae-e-del-vino-2923-690240456787

Per le Master Class (ticket supplementare comprensivo di ingresso)

h 18.00 – 23.30 Quadriportico dei Teatri

h 18.00  Presentazione e apertura banchi d’assaggio

h 18.15   Partner dell’evento Ais Campania con Tommaso Luongo la premiazione delle quattro Viti e dei premi cupido e valore prezzo della Campania per Guida Vitae 2023 – Esperienze di Vitae

h 19.00  Convegno “Le antiche rotte del vino dalle origini della Georgia a Pompei”,

Interviene Attilio Scienza, Ordinario della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, che illustrerà le similitudini antiche tra la prime vinificazioni in Georgia con quella casertana e campana.

Con Eugenio Sartori, Direttore di Vivai Cooperativi Rauscedo, per il progetto di ricerca sulla vite in Georgiae con l’archeologo e antropologo, direttore del Georgian National Museum David Lordkipanidze, autore dello studio scientifico che ci riporta nella terra culla del vino e il responsabile della National Agency Wine di Georgia, del Ministero dell’Agricoltura dr. David Maghradze, per approfondire le nuove frontiere dei vitigni in Georgia.

h 20.45Concorso Miglior Sommelier della Campania”.

h.21.00 Master class “Grecia e il Mediterraneo”

amalia brut vintage 2018 metodo classico moschofilero 100% tselepos I xinisteri 2022  vino bianco secco xinisteri 100% tsiakkas  I vasilissa 2021 vino bianco secco vasilissa 100% vasilikon I santorini 2020 vino bianco secco asyrtiko 100% canava chrissou I aspros lagos 2019 vino bianco secco vidiano’ 100% douloufakis I la lacrima del pino vino resinato assyrtiko 100% kechris I nemea riserva 2017 vino rosso secco agiorgitiko 100% tselepos I fine mavroudi 2018 vino rosso secco mavroudi della tracia 100% anatolikos ampelonas  I commandaria teodora gold 2016 vino passito xinisteri 70% e mavro 30% karseras

Docente: Guido Invernizzi euro 35€ + 50€ special price 80€ (comprensivo di ingresso manifestazione)

Programma 3 settembre 2023 e link per l’acquisto del Ticket on line

https://www.eventbrite.it/e/biglietti-pompeii-dellantichita-della-vitae-e-del-vino-3923-691564105857#tickets

Per le Master Class (ticket supplementare comprensivo di ingresso)

h 18.00 – 23.30 Quadriportico dei Teatri

h 18.00 Apertura

h 18.30 I saluti del direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zucktriegel. Una azienda agricola a Pompei e le nuove vigne.

h 19.30 “Per una evoluzione antropologica dell’alimentazione: saperi, sapori, scienze e tecnologia”. Con lo chef Alfonso Iaccarino, il Docente di Marketing e Trasformazione Digitale all’Università Federico II di Napoli Alex Giordano con Franco Pepe, miglior pizzaiolo al Mondo di The Best Chef Awards 2021. Un dialogo a partire dal libro FOODSYSTEM 5.0 Agritech | Dieta Mediterranea | Comunità di Alex Giordano per Edizioni Ambiente e Dante Stefano Del Vecchio curatore dell’evento.

h 21.00  “Lectio Magistralis” dal titolo “Un viaggio nel passato per capire il vino”, tenuta dal presidente dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino) Ordinario di Enologia Università Federico II di Napoli, prof. Luigi Moio. Segue dibattito h 22.30

h 23.00  Narrazione dedicata a “Dioniso all’ombra del Vesuvio”, a cura dell’archeologo Mario Cesarano, Soprintendenza Archeologica di Napoli.

“Il Colle del Corsicano” a San Marco di Castellabate (SA): il sogno di una vita di Alferio Romito

Il vino si fa con passione, partendo da un sogno, da un progetto, da un impianto…

“La nostra fanciullezza, la molla di ogni nostro stupore, è non ciò che fummo, ma ciò che siamo da sempre”. Questa frase di Cesare Pavese delinea perfettamente il ritratto del protagonista del racconto di oggi: un giovane viticoltore, Alferio Romito, che da sempre aveva il sogno di potere dirigere la sua azienda vitivinicola, curandone ogni aspetto. Fin da bambino, sui trattori in vigna, aiutava a mandare avanti l’attività di famiglia che da ben quattro generazioni produceva vino sfuso destinato al consumo casalingo o alla vendita.

Alferio Romito

Stiamo parlando della cantina Il Colle del Corsicano e ci troviamo nel cilento e precisamente a San Marco di Castellabate (SA). Qui le verdi colline si tuffano nel blu del mare, baciate dal sole e protette da un microclima favorevole alla viticoltura. Le vigne crescono sul flysch, materiale argillitico friabile con suoli più sabbiosi in prossimità del mare.

Il progetto di Alferio prevedeva la riorganizzazione della vigna di famiglia, impiantando unicamente Aglianico e Fiano; ed è quanto ha realizzato dopo gli studi di viticoltura ed enologia. L’unica eccezione, sono state alcune piante di Primitivo, fortemente volute dal padre, le cui uve vengono adoperate per rendere più smussato e avvolgente l’Aglianico.

Studente del professor Luigi Moio (oggi presidente OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), Romito ricorda con emozione il periodo della discussione della tesi, uno dei momenti significativi della sua vita, mentre si chiudeva il ciclo universitario e si impiantava contemporaneamente il Fiano nella nuova vigna a Punta Licosa (tre ettari).

Le sue viti, coltivate in biologico, si sviluppano a pochi metri dal mare, e continuano nella collina denominata, appunto, Colle del Corsicano. Lo sguardo si incanta a seguire le colline vitate con i suoi curatissimi e ordinati filari di Fiano, che sfumano tra blu del cielo e il turchese del mare. La macchia mediterranea con i suoi colori e profumi fa da cornice al quadro magnifico dipinto apposta per incantare gli occhi del visitatore.

I segreti del successo di questa realtà e del suo giovane viticoltore “sono da ricercare unicamente nella cura della vigna”, come egli stesso afferma. Egli cura ogni fase del progetto con fierezza, apertura e professionalità, diventando uno dei punti di riferimento tra i viticoltori cilentani. Nulla è lasciato al caso: l’esposizione dei filari, l’uso della spalliera a Guyot, la potatura verde e la cimatura dei germogli in modo tale da convogliare le sostanze nutritive nel frutto. E ancora: la conservazione della foglia sulla vite per proteggere il grappolo dall’eccessiva esposizione al sole ed evitare l’aumento della produzione dei pigmenti e dei conseguenti fenomeni ossidativi preservando la longevità dei vini, la protezione delle piante dallo oidio e dalla peronospera con trattamenti costanti ed in linea con la coltivazione biologica.

La vendemmia è a mano in piccole cassette, trasportate e lavorate poi con cura in cantina. La sostenibilità è una priorità e si concretizza in vari processi, dalla scelta dei materiali alla produzione tout court.

Nel Licosa, nel Furano e nel Patrinus, le tre referenze aziendali, è chiara l’identità e lo stile che il giovane Alferio sta imprimendo ai suoi vini e la meticolosità nella cura della vigna diventa una garanzia.

Licosa – Cilento Fiano DOC -2022

In purezza. Le uve dopo la raccolta sono immediatamente sottoposte a deraspatura e pressatura soffice; il succo viene poi illimpidito staticamente a temperature di 14-15°C. Si aggiungono lieviti selezionati. La stessa etichetta è una stilizzazione di una foto catturata direttamente da Alfiero. Il vino degustato, di 13,5 % di alcool, ha stazionato 3 mesi in bottiglia.

Il colore è paglierino dai tenui riflessi verdi. Al naso predominano sentori di fiori bianchi, magnolia, acacia ed erbe aromatiche come il timo. Prevale una leggera morbidezza, che lascia spazio a freschezze importanti, presupposto di longevità. Chiude poi una bella sapidità. Riportando il vino al naso, si avvertono, un po’ in ritardo, i sentori di frutta bianca, fresca, a testimonianza della complessità del bouquet.

Licosa- Cilento Fiano DOC – 2018

Seconda vendemmia. Il colore tende al dorato e riempie il bicchiere. Un’intrigante complessità si manifesta subito, con sentori di idrocarburi cui seguono note di frutta a polpa gialla ed erbe aromatiche; una bella mineralità salmastra e persistente, che rende omaggio al territorio. In bocca, il vino, pur mostrando ancora tensione, risulta molto equilibrato e lungo. Presume un buon abbinamento con coniglio imbottito accompagnato da carciofi.

Furano – Cilento – IGP Paestum Aglianico Rosato – 2022

Le uve sono tutte coltivate a Punta Licosa e durante la maturazione giovano della brezza marina proveniente dal mare, denominata “furano” nel linguaggio cilentano. Tali uve vengono vinificate in bianco ottenendo un vino che ricorda la freschezza di un bianco ma con la struttura di un Aglianico. Il colore è un bellissimo e lucente rosa chiaretto. Si percepiscono immediatamente al naso i petali di rosa e la ciliegia. Al gusto, fresco ed avvolgente, risulta al palato morbido e persistente nelle sue note agrumate. Il vino oggi riesce a esprimere una longevità anche di 4-5 anni.

Patrinus – Cilento – IGP Paestum Aglianico – 2021

Composto da 95% di Aglianico ed un saldo di Primitivo. Il vino subisce una vinificazione classica con le bucce che rimangono a contatto con la polpa per 15-18 giorni ad una temperatura di 25 °C. La pressatura è molto soffice per evitare l’estrazione di tannini amari e sgradevoli. Le attenzioni, dalla coltivazione in vigna alla pressatura, consentono di ottenere un Aglianico cilentano con una buona dose di morbidezza. Dall’annata 2023 uscirà con la denominazione DOC Cilento.  

Il nome latino Patrinus richiama il padrino di Alferio, uomo motivatore che lo ha spronato molto nella realizzazione dei suoi progetti. Il colore è un intenso rosso rubino, limpido. Al palato entra molto morbido, con bella ampiezza per poi chiudere ampio. Riempie il naso di piccoli frutti rossi, mora, lampone e ciliegia e sentori di liquirizia. Chiude la confettura di ciliegia. Abbinabile perfettamente con carne tenera di bufalo arrostito oppure con un tonno rosso appena scottato.

Non deve mancare l’assaggio dell’Olio Extravergine di Oliva Corsicano che l’azienda produce, in coltivazione biologica. Proviene dalle cultivar Ogliarola, Rotondella, Frantoio e Leccino raccolte a mano ancora verdi. La lavorazione delle olive in oleificio avviene subito dopo la raccolta, direttamente in giornata, mediante sistema integrale con estrazione a freddo. Presenta un fruttato che ricorda la mandorla, la foglia di carciofo e l’erba appena sfalciata. L’amaro e il piccante sono equilibrati, rendendo il prodotto versatile negli abbinamenti.

I sogni inseguiti con purezza d’animo, competenza e sacrificio portano i risultati e noi auguriamo ad “Il Colle del Corsicano” e ad Alferio Romito di raggiungere vette straordinarie con i suoi prodotti d’esempio per tutti i giovani viticoltori cilentani.

Pancrazio Locanda Cilentana: Pietro Parisi il Cuoco Contadino lavora con cura e passione le materie prime del Cilento

“Chi ha coraggio fa anche a meno della reputazione”.

Questa frase rappresenta un piccolo mantra per il sottoscritto, da tenere a mente in ogni singolo istante della giornata. Pietro Parisi, Cuoco Contadino come ama giustamente definirsi, potrebbe vantare un curriculum di massimo rispetto da Chef alla corte delle migliori cucine internazionali.

Per fortuna a lui non è mancato certo il coraggio nel decidere di evitare le luci della ribalta, quelle dei salotti frivoli e inconcludenti o delle tavole faraoniche piene di fumo (e poco arrosto). Pietro ha deciso di scegliere un progetto coraggioso, realizzato da una donna visionaria come Chiara Fontana, che nel mondo della ristorazione e del turismo si è avventurata dopo i brillanti risultati raggiunti in campo universitario.

Da sinistra: Chiara Fontana, Pietro Parisi e Giovanni Riccardi

La famiglia ha avuto un ruolo fondamentale e Chiara, oltre a coinvolgere il vulcanico Parisi quasi come un suo membro aggiunto, ha coinvolto in prima battuta l’amore di una vita, condiviso in maniera equa per Giovanni Riccardi, avvocato, e per i figli. Una compagine allargata e affiatata, con a ciascuno un ruolo preciso da seguire per raggiungere il risultato finale: raccontare il Cilento sotto una nuova veste, fatta di unione tra le eccellenze enogastronomiche che ci invidiano in tutto il mondo. Ecco, dunque, il Boutique Hotel Palazzo Gentilcore e Pancrazio Locanda Cilentana a Castellabate (SA).

Nel mezzo servono inventiva, tanti fatti, poche chiacchiere e le abili mani di Pietro Parisi, per creare opere di sapore e profondità da ciò che la Natura (tramite l’immenso conoscitore del territorio Giovanni) sa procurargli. Semplicità anzitutto, nata dalla voglia di esprimere una realtà concreta, senza fronzoli od orpelli che possano contaminarla. Il menu è già di per sé bello, pratico, facile da interpretare e adatto alle tasche di chiunque.

Le 3 consistenze del caciocavallo con uovo, asparagi selvatici e tartufo estivo sono uno dei piatti firma di Pancrazio Locanda Cilentana, che può leggermente differire nella composizione degli ingredienti a seconda della stagionalità.

O lo spaghettone con ragù San Marzano e foglie di fico, autentica novità nel panorama locale, utilizzando un elemento celebrato di quest’angolo di Paradiso. La foglia di fico ha proprietà organolettiche straordinarie per un corretto mantenimento dell’omeostasi e dei normali livelli pressori. Senza peraltro ricorrere alla carne, gradita attenzione per le scelte vegetariane sempre più richieste dai clienti.

Per chi invece non volesse rinunciare alla tradizione resta la versione classica con ragù pippiato di bufala cilentana. Un piacere per gli occhi e la bocca è il rigatone con infuso di manteca, foglie di pomodoro e scaglie di tartufo nero. Il modo di recuperare a 360 gradi quanto di meglio e salutare esista.

In perfetta linea coerente la proposta dei secondi piatti, resa possibile tra variazioni di carne e pesce e perché no, la parmigiana di melanzane cotta in vasetto con sugo di pomodoro, delicata e gustosa. Siamo praticamente a “metro zero”, per ingredienti elencati nella Dieta Mediterranea di Ancel Keys, rievocata anche nell’iniziativa culturale del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea nell’ambito del progetto Opere e vite.

Un piccolo tocco di dolcezza, tra cannoli alla cilentana e babà rivisitato, per concludere la serata in spensieratezza concentrati unicamente sul territorio e le sue primizie. Magari abbinando le pietanze in uscita ad una completa carta dei vini che parla anch’essa la lingua del luogo.

Come vogliamo esaltare le nostre splendide potenzialità se tutti gli attori chiamati in causa, stampa compresa, non danno il massimo? Ecco perché le numerose iniziative di Boutique Hotel Palazzo Gentilcore e di Pancrazio Locanda Cilentana a tutela delle materie prime e dei prodotti di nicchia, alcuni rarissimi, che offre questo luogo magico. Ecco perché non mancheranno certo le sorprese a breve…

Per una volta anche noi possiamo figurativamente dire di aver “rimesso la Chiesa al centro del villaggio”, facendo la nostra parte.

Un villaggio chiamato Cilento.

Campania: Cantine Tempere il pregio dell’essere unici

Unicità, un termine usato spesso a sproposito per esprimere un concetto positivo di elemento distintivo nell’arco di un gruppo o di un territorio. Nel mentre tutto sembra essere diventata l’eccezione, con la famiglia Pica titolari delle Cantine Tempere possiamo avere la famosa “conferma della regola”.

Essere unici si esprime nel fatto che in queste zone fare vino non è semplice. Precisiamo: fare vino di qualità e non quantità, come invece richiedevano le usanze dei tempi passati, quando la bevanda idroalcolica fungeva da alimento piuttosto che da salotto, tavolo gourmet od enoteca di livello. Siamo diventati un popolo di sofisticati degustatori, pronti a vivere nuove esperienze sensoriali a qualsiasi prezzo, basta vantarsene con amici e parenti ignari delle sgrammaticature che inevitabilmente seguono in tali dibattiti.

Raccontare un terroir è già elemento dirimente tra le semplici, banali considerazioni e l’affrontare un tema fondamentale nell’analisi giornalistica. Non tutto si può coltivare ovunque: alcune varietà d’uva autoctone si esaltano a dovere meglio di altre, tracciando la strada sicura da seguire anche per il viticoltore profano.

I fratelli Arsenio e Giuseppe Pica sono partiti dal punto zero, pur con antiche reminiscenze apprese dai genitori che producevano e commerciavano uve e vino in Località Tempe a San Pietro al Tanagro (SA), nel bel mezzo dei declivi vicini a Sant’Arsenio nel Vallo di Diano. Riportare in vita le antiche tradizioni è stato il loro scopo aiutati, nei primi passi enologici, dall’enologo Carmine Valentino, pietra miliare dell’eccellenza campana.

Una storia d’amore che si rispetti non poteva dimenticare il successivo ingresso in azienda di Filippo, figlio di Giuseppe, che da avviato imprenditore a Roma coltiva la stessa passione dei germani nel proseguire (ed ampliare) le attività, inclusa la gestione di 5 punti vendita nella Capitale. Dall’Aglianico marchio identitario dei rossi che contano, la sperimentazione è passata nelle mani dell’attuale consulente enologo Alessandro Leoni, che ha puntato sulla vena bianchista dell’immancabile Fiano (dalle alture di Bellosguardo) e sulle bollicine Metodo Classico dal profilo aromatico “internazionale”.

Già 5 gli ettari vitati; si lavora solo ciò che si ricava dalla terra, senza acquistare nulla altrove, per un totale annuo di circa 18000 bottiglie.

Filippo Pica

La degustazione

Brut Rosè Millesimo 2019: progetto iniziato con la vendemmia dell’anno precedente. Sosta sui lieviti 24 mesi, sboccatura gennaio 2023, utilizzando vin de reserve nel dosaggio finale. Cremosità intrigante del perlage e bocca avvolgente tra piccoli frutti rossi e petali di rosa macerati, con crosta di pane in chiusura. Gastronomico.

Fiano Monteroro 2022: prima annata nel 2020, complice l’epoca difficile della Pandemia. Come sempre, e come altri areali in cui attecchisce, il Fiano necessita di tempo in bottiglia per essere giudicato al meglio. Per il momento si chiude a riccio su note fermentative e di fiori bianchi, dimostrando comunque ottima polpa.

Tempere Rosso Aglianico 2018: il puro piacere di bere. Fenomenale nella maturità, gustoso e miscellaneo tra mirtilli scuri, pepe in polvere e china. Tannino croccante e speziato. Inaspettato e vibrante.

Tempere “Primo” Aglianico 2017: i vini di Tempere rispecchiano l’annata, senza omologazione di sorta. La 2017 si esprime nel suo calore complessivo, inclusa una trama tannica impegnativa ancora su toni scalpitanti. Eppure, come per altri casi visti in giro per l’Italia, il gusto resta pulito, certamente potente, ma ricco di sapore e di sfumature da macchia mediterranea.

L’assaggio di una vecchia vintage – la Selezione Aglianico 2011 – fa capire il potenziale d’invecchiamento dell’Aglianico, con puro succo di mora selvatica e liquirizia di eleganza disarmante.

Fino a fine settembre le iniziative di Cantine Tempere prevedono l’aperitivo tra le vigne storiche di famiglia, con degustazioni a tema ed assaggi dei prodotti tipici locali.

Un modo ulteriore per avvicinarsi al concetto di “unicità”.

A che punto siamo con il Fiano di Avellino Docg?

Lapio (AV), 4 agosto 2023Il “Tasting Impossible: la mia prima volta”

Lo scopo dell’evento è stato la degustazione delle prime annate disponibili di Fiano di Avellino Docg dei produttori di Lapio. Le testimonianze dirette dei vitivinicoltori presenti, dai tempi iniziali dell’incredulità circa il potenziale d’invecchiamento, fino alle moderne tecniche di vinificazione per riuscire ad interpretare al meglio questo vitigno, sono stati i momenti più salienti della serata.

Il Fiano di Avellino infatti, con lo specifico areale di Lapio e delle sue contrade, è uno dei vini che meglio si adatta al concetto di zonazione e di territorio. Non vogliamo perdere tempo in chiacchiere sulle eterne (ahinoi) diatribe sul perché tale riconoscimento internazionale tardi ancora ad arrivare. Una vivace polemica tutta interna, che preferiamo non evidenziare per non contribuire a creare pessimismo.

Restiamo, invece, volutamente ottimisti e raccontiamo, in ordine discendente dalla più recente alla più datata, le etichette degustate direttamente dalla narrazione dei produttori.

Laura De Vito presenta Elle Fiano di Avellino DOCG 2018, la prima annata vinificata a venticinque anni dall’impianto delle vigne. Una cantina di recente fondazione che pone il territorio al centro del proprio progetto produttivo. Dichiara la De Vito: “la vinificazione è basata sul principio di zonazione, con tre etichette su quattro che portano il nome delle contrade di provenienza delle uve, oltre una quarta che raccoglie le varie parcelle vinificate in unico blend variabile di anno per percentuali ogni anno. La fermentazione avviene esclusivamente in acciaio, con permanenza di nove mesi sulle fecce fini, affinamento in bottiglia ed uscita in commercio non prima di 24 mesi dalla vendemmia”.

Angelo Silano presenta la sua Vigna Arianiello Fiano di Avellino DOCG 2016.

Angelo racconta che la sua “prima volta” per questa etichetta è stata l’annata 2013. Dato l’intento di voler esaltare al massimo le caratteristiche del territorio, anche Angelo ha lavorato sul concetto di zonazione specificando che “rispetto ad altri vigneti, in quello di Arianiello c’è tanta materia vulcanica.”

La 2014 e la 2015 non sono state prodotte perché le annate eccessivamente calde avrebbero inficiato proprio questa caratteristica. “La 2016 invece, figlia di una stagione equilibrata, ha permesso di mettere in risalto le caratteristiche sia del vitigno che della zona.”

Il campione successivo in degustazione è il Vino della Stella Fiano di Avellino DOCG 2012. A raccontare il progetto enologico è Raffaele Pagano, patron dell’azienda Joaquin, da sempre presente a Lapio e impegnata in progetti di micro-zonazione: “la 2012 non è la prima volta” di questa etichetta, preceduta da una 2009, mentre la 2010 e la 2011 non sono state prodotte”. La 2012 è stata una vendemmia atipica, particolarmente calda, che si è ripresa sul finale permettendo di spingere la raccolta a metà ottobre. Siamo puristi, non usiamo molta tecnologia, non facciamo controllo delle temperature, ci piace lavorare col batonage spinto. In questo caso, inoltre, il vino non fa legno”.

Adolfo Scuotto di Tenuta Scuotto ci ha parlato del Fiano di Avellino 2011, non la prima annata dell’etichetta, che ha un precedente già nel 2010.

“La 2011 è stata un’annata di difficile interpretazione, inizialmente fresca, seguita da un periodo caldo con escursioni termiche importanti, che hanno sviluppato un corredo aromatico molto interessante. La maturazione lenta, la fase vegetativa prolungata e la raccolta delle uve a partire dalla seconda/terza decade di ottobre, hanno fatto il resto nella definizione di questa annata. Il vino fermenta in acciaio ed affina esclusivamente in acciaio e bottiglia”.

Ercole Zarrella imbottiglia per la prima volta la sua personale etichetta di Fiano di Avellino nel lontano 2004. La cantina è Rocca del Principe e l’etichetta degustata è Fiano di Avellino 2010.

“Non ci sono bottiglie precedenti conservate perché non si pensava che il Fiano avesse questa longevità!” La novità dell’annata 2010 sta proprio nel fatto che ne è stata ritardata l’uscita in commercio di circa sei mesi per permettere un miglior affinamento del vino. Un sacrificio non indifferente dato che Ercole, nel perseguimento di un progetto che permettesse la massima espressione del vitigno, ha rimandato di diversi mesi la vendita delle bottiglie, rimanendo di fatto “senza vino”. Anche nel caso di Rocca del Principe è ben chiaro il principio di zonazione e mentre il Fiano degustato è un blend (70% Vigna Tognano 30% Vigna Arianiello), etichette specifiche sono invece dedicate ai cru Tognano e Neviere di Sopra.

Quando arriviamo alla cantina Colli di Lapio, entriamo a pieno titolo nella storia del Fiano a Lapio, contrada Arianiello. Carmela Romano, figlia di Clelia, la Signora del Fiano, ci racconta ancora una volta la storia di un vino, imbottigliato per la prima volta nel 1994,  di cui non si immaginavano i potenziali d’invecchiamento. Per questo motivo non esistono bottiglie che vadano così indietro nel tempo e dunque degustiamo il Fiano di Avellino 2007. Carmela ha scelto questa annata perché è stata una delle più calde e siccitose, più regolare nelle precipitazioni rispetto alla 2003, con ottime escursioni termiche e una vendemmia anticipata ai primi di settembre. Fermentazione in acciaio, affinamenti successivi in acciaio e bottiglia.

Se Colli di Lapio è la storia del Fiano a Lapio, Romano Nicola ne è probabilmente la legenda. Azienda presente sul territorio dal 1988, fortuitamente ritrova alcune bottiglie dell’annata 1989, la prima imbottigliata a Lapio, precedenti dunque all’istituzione della DOCG. Amerino Romano confessa di affrontare il tasting senza garanzie, vista l’età avanzata del vino, ma con grande spirito didattico e di studio condivide con l’intera platea una vera e propria emozione.

Infine Daniela Mastroberardino, Presidente nazionale dell’Associazione Donne del Vino, rappresenta la cantina Terredora situata a Montefusco, ma che a Lapio detiene la vigna dedicata al Fiano di Avellino Riserva Campore, assaggiato nell’annata 2008.

La prima annata di questo vino risale invece al 1998.

“In un momento in cui si lavorava prevalentemente con i vini d’annata, nasce Campore con una diversa impostazione. Dal 1998 e fino al 2002 Campore fermentava per il  50% in acciaio e per il 50% in barrique. A partire dall’annata 2003 la fermentazione avviene esclusivamente in barrique, con una sosta sulle fecce fini di sei mesi. Esce a cinque anni dalla vendemmia”.

Daniela si sofferma a lungo sulle virtù di un vitigno autoctono, il fiano, coltivato in molte parti del mondo ma che trova il suo clima d’elezione ideale nella fredda Irpinia, “isola del Nord appuntata al centro del Sud Italia”. Commoventi, infine, le parole dedicate al fratello Lucio, enologo di grande talento, prematuramente mancato nel 2013.

Carminuccio Week: tu chiamala se vuoi… una pizza

Quando mi hanno proposto di prendere parte alla serata di apertura della Carminuccio Week, confesso che ero stata abbastanza scettica.

Da non salernitana, (napoletana solo per parte di madre), mi chiedevo cosa avrei potuto cogliere di una serata che, a tutti gli effetti, si preannunciava come un memorial a un anno esatto dalla dipartita, di Carmine Donadio, in arte “Carminuccio”, per tutti i salernitani doc che in qualche modo lo avevano conosciuto.

Mai come in questo caso il famoso assunto scrivi di ciò che conosci mi sembrava riferito ad una conoscenza reale e concreta, senza la quale temevo di perdere l’essenza stessa della persona per ritrovarmi a stendere il mero resoconto di una serata tra amici, dove io stessa sarei diventata un elemento estraneo. Più raccoglievo informazioni preliminari, leggendo le motivazioni dell’evento promosso dal giornalista enogastronomico Luciano Pignataro, autoctono illustre, più questa sensazione prendeva consistenza.

E invece mi sono dovuta ricredere.

17 luglio 2023 – ore 18.30: una delle sere più calde di questa torrida estate. La location scelta per l’evento è il Crub Seafront Bay a Vietri sul mare. All’arrivo molti bagnanti si attardano ancora sulla spiaggia su cui si affaccia il locale, mentre fervono i preparativi per la serata. Salta subito all’occhio la schiera di pizzaioli in divisa, già presenti sul posto. Gran parte della festa è dedicata a loro, che hanno inserito in carta la pizza Carminuccio (creata ormai cinquant’anni fa da Carmine Donadio) che per un’intera settimana la offriranno ai loro clienti ad un prezzo speciale.

Poi noto loro: Vincenza, moglie e compagna di Carmine per una vita intera, Maria Rosaria e Diamante, le figlie, Enzo, il genero che ne ha raccolto l’eredità e nello sguardo serio e fiero racconta tutto l’orgoglio, che preferisce non esprimere a parole.

Mi rendo conto che il clou dell’evento è tutto in queste due immagini, capaci di trasmettere in modo potente ed evocativo l’idea di una persona e di quello che ha fatto in vita, fino a farla diventare una leggenda.

Luciano Pignataro, reduce della kermesse 50 TOP Pizza Italia 2023, così mi racconta la pizza Carminuccio:

<<La Carminuccio fu inventata da Carmine Donadio, pizzaiolo di lungo corso nel quartiere periferico di Mariconda, che all’inizio dell’attività era un cosiddetto quartiere difficile. Lui inventò questa pizza molto semplice con pomodoro, pancetta, formaggio e un po’ di forte, servita con la carta oleata, in una città, Salerno, che non aveva una grande tradizione di pizza. Intere generazioni di salernitani sono cresciute con questa pizza che ha attraversato le mode ed è diventata identitaria. Identitaria e incredibilmente moderna, nonostante i cinquant’anni d’età, (la Carminuccio è una pizza senza mozzarella, oggi talvolta usata in sovrabbondanza per coprire altre mancanze), che gioca sulla purezza degli ingredienti: la qualità della pancetta, la qualità del pomodoro, la qualità del formaggio.>>

La serata è dunque un tributo, ma anche l’occasione per riunire le pizzerie, trentuno quelle note, che includono la Carminuccio nei loro menù. L’evento è realizzato con la collaborazione di sponsor esclusivamente commerciali: Acqua Pazza di Cetara, Caputo, Caseificio La Tramontina, Famiglia Pagano, Nobile Pomodori, Mulino Urbano, Crub Sea Front e Sa Car ed è stato presentato dalla giornalista Maria Teresa Sica, che tiene con orgoglio a rivendicare le proprie origini campane.

Scopro che oltre ai numerosi pizzaioli di Salerno e provincia, c’è Antonio Amato, proprietario della pizzeria Affamato a Serravalle Sesia (NO), venuto appositamente per l’occasione; in collegamento da Manhattan c’è Ciro Casella, proprietario di San Matteo NYC, e da Milano Francesco Capece di Confine, Pizza e Cantina, proprio di recente classificatosi undicesimo nella 50 Top Pizza Italia 2023.

Ascolto storie ed esperienze recenti come pure di quarant’anni fa, tutte unite dal comune denominatore di una pizza avvolta in un foglio di carta oleata, addentata con tale vorace golosità da ustionarsi la bocca e consumata in piedi (tanto che la patacca sui vestiti a fine serata era istituzionalizzata) o, nella migliore delle ipotesi, sul sellino di un motorino o sul cofano di una utilitaria.

Tutti ricevono in omaggio il piatto e la vetrofania con l’originale logo di una pizza stilizzata, creato per l’occasione da Viviana Saponiero, e una magnum di Taurasi Famiglia Pagano. Al termine della premiazione un piccolo buffet per gli ospiti presenti; i vini di accompagnamento sono offerti dalla Famiglia Pagano: I Ponti Falanghina Campania IGP, I Tufi Greco di Tufo DOCG, Le Pietre Fiano di Avellino DOCG, Taurasi DOCG.

Ma soprattutto viene sfornata pizza Carminuccio a go go: al forno lavorano Enzo, suo figlio Raffaele, che a dodici anni già mostra la stoffa del nonno e del papà, e Salvatore. Ed eccola finalmente, la mia Carminuccio: sottile al centro, cornicione gonfio e soffice, cottura perfetta senza bruciature, pomodoro, pancetta, formaggio, basilico e un ingrediente segreto, che Enzo non ha ovviamente voluto rivelare.

La mangio con golosità, ustionandomi la bocca al primo boccone, come da tradizione, evitando con abilità la patacca istituzionale e chiedendo il bis perché è talmente leggera (caratteristica voluta da Carmine come mi ha svelato la moglie Vincenza) che quasi non ti accorgi di averla mangiata.

Il Cinema prende forma a Sala Consilina (SA) con la decima edizione del Toko Film Fest

Ciak si gira! Parliamo di territorio e lo facciamo, questa volta, con una lodevole iniziativa giunta ormai alla sua decima edizione: il Toko Film Fest – Festival Internazionale di Cinema e Cultura.

Ideato da un’associazione di giovani appassionati della settima arte, definita tale dal critico Ricciotto Canudo nel manifesto del 1921, la kermesse ha cambiato più volte forma, come la pelle di un camaleonte mentre cerca di adattarsi ai colori dell’ambiente circostante.

Partito nel 2014 dalla Piazzetta Gracchi – “la chiazzeredda” per i cittadini salesi – l’evento ha assunto ormai le forme di un appuntamento fisso, che richiama pubblico dai numerosi comuni del Vallo di Diano (e non solo). Ospiti fissi selezionati tra registi, attori e musicisti di caratura nazionale, oltre laboratori di recitazione, cortometraggi, live podcast e talk culturali.

Quest’anno la vera novità è stata quella di passare da un Festival interattivo e itinerante dei tempi della pandemia ad una sorta di “Festival diffuso” lungo 7 giorni e con numerose iniziative in programma dal 24 al 30 luglio. Il culmine sarà il live show finale con il concerto di Valerio Lundini, conduttore televisivo, musicista, comico e scrittore, accompagnato dal gruppo I Vazzanikki già presenti su Raidue nel programma satirico “Una pezza di Lundini”.

Il dibattito invece, spiega il direttore artistico Gianmarco Ungaro, vedrà la presenza del regista Valerio Vestoso e degli artisti Demetra Bellina, Cristina Cappelli, Sabrina Martina, Andrea Vailati, Mauro Zingarelli e il team di sviluppatori indie Morbidware: Diego Sacchetti, Giuseppe Longo e Matteo Corradini (membro dei The Pills e scriptwriter di “The Textorcist”).

Nei giorni precedenti si è svolta la proiezione al Cinema Adriano del film Mixed by Erry del regista Sidney Sibilia e un incontro al Gran Caffè Trezza a Teggiano (SA) per la visione dei cortometraggi ammessi in concorso al Toko Film Fest.

Non manca l’attenzione verso i produttori del territorio; l’occasione ideale per fare la conoscenza di Alessandro Paventa, uno dei titolari, assieme ai cugini, del Caseificio S. Antonio di Sala Consilina (SA), terza generazione di imprenditori abili nel realizzare fiordilatte e caciocavallo di alta qualità. Una gradevole sosta trascorsa assaggiando proprio il loro caciocavallo, stagionato dieci giorni e cotto alla piastra su pane bruschetta.

Nel retro del Palazingaro, sede delle ultime due serate della manifestazione, è possibile anche osservare una piccola mostra d’arte contemporanea, ispirata alle problematiche sociali e ambientali del nostro tempo. Dichiarano gli organizzatori: <<prima ancora che una rassegna cinematografica, è amore per il territorio e per le proprie radici. Uno dei punti fermi è il recupero del centro storico di Sala Consilina, utilizzando il Festival anche per rafforzare la comunità esistente e rilanciare la zona come attrattore turistico e di investimenti nell’intero Vallo di Diano. Una parte fondamentale della nostra macchina organizzativa è sempre stata accompagnare i nostri ospiti – o nuovi membri dello staff provenienti da fuori Regione – a visitare i punti di forza del Vallo di Diano: Certosa di Padula, Grotte di Pertosa, Battistero di San Giovanni in Fonte ed altri, di concerto con le istituzioni e coinvolgendo altre associazioni ove necessario>>.

Per ulteriori info: https://www.tokofilmfestival.it/

L’ingresso è totalmente gratuito.

Torna a Salerno la Festa della Pizza

Oltre ottantamila presenze e centoquarantamila tranci di pizza sfornati. Questi i numeri con cui è tornata, per spegnere le sue venticinque candeline, la Festa della Pizza a Salerno, dopo una pausa lunga quattordici anni.

Una kermesse organizzata da Associazione Alimenta con Maurizio Falcone e Alfonso Aufiero, in collaborazione con Ivano Santoro di Santoro Creative Hub per il piano marketing e comunicazione, che si è nuovamente proposta come la giusta combinazione di gastronomia e spettacolo.

Piazza Salerno Capitale, sul lungomare del capoluogo campano, si è trasformata in un vero e proprio villaggio del gusto, dove dodici pizzerie storiche hanno lavorato per cinque sere consecutive, dal 12 al 16 luglio, per far conoscere le proprie specialità, mentre sul palcoscenico si sono alternati otto cantanti, sei band e otto scuole di danza, per animare ogni singola serata.

<<Avevamo voglia di tornare! – ha dichiarato Alfonso Aufiero – La location è la migliore: nel centro di Salerno, in un luogo dal clima ideale in giorni di caldo infernale, ventilato e vicino al mare. La missione della festa è sempre stata quella di esaltare la tradizione campana della pizza>>.

In ciascuna delle serate è stato possibile assaggiare, con un ticket a pagamento, quattro tranci di pizza e bere una bibita, scegliendo tra uno o più dei tredici forni a legna presenti.

A partire dalle tradizionali margherita e marinara, proposte dall’Antica Pizzeria Brandi attiva a Napoli dal 1780, alla pizza col pomodoro arruscato della Pizzeria Umberto Falcone, specialità cilentana che su una base bianca prevede l’utilizzo di pomodorini cotti in forno a legna; dalla pizza con impasto gragnanese, diverso da quello napoletano perché più alto e più soffice, della pizzeria Ai Tre Monelli, al classico panuozzo, un vero e proprio panino in pasta di pizza con provola e pancetta, di Luigi o’ Furnar. Presente anche il forno Madison dell’AIC, con le proposte per i celiaci.

E nonostante il caldo, sono state lunghe le file ad ogni forno per mangiare la pizza all’aperto, con tanti numeri d’intrattenimento alternati sul palcoscenico. La conduzione delle cinque serate, come in tutte le edizioni precedenti, è stata affidata a Pippo Pelo, noto conduttore di Radio Kiss Kiss.

Alla domanda su cosa significhi tornare dopo anni a condurre questo evento, Pippo non ci ha pensato due volte: <<Per me la Festa della Pizza è intanto famiglia, è una festa, è lavoro, lavoro nella mia città. Mi sento accolto e amato dai salernitani e non solo, perché questo evento è conosciuto in tutta la regione e anche oltre>>.

Ad affiancarlo sul palcoscenico anche Adriana Petro, sua compagna di “battaglia radiofonica” nella trasmissione di radio Kiss Kiss che tra le 7.00 e le 9.00 dà il buongiorno all’Italia: Pippo Pelo Show.

Il palinsesto della manifestazione ha contato su artisti del calibro di Lele Blade, Napoleone, Neri per Caso, Dadà, Davide De Marinis, Ciccio Merolla, LDA, che hanno intrattenuto il pubblico in attesa della propria pizza o intento a gustare una delle specialità appena sfornate.

<<Gastronomia e spettacolo sono un connubio perfetto>> sottolinea infine Alfonso Aufiero. E in questo caso la gastronomia è quella della grande tradizione della pizza partenopea e campana. Una tradizione che ha il difficile compito di mantenersi attraente in un’epoca in cui l’offerta, sempre più multiforme e multietnica, ha sortito lo stesso effetto delle Sirene su Ulisse. Se dobbiamo dare ascolto ai maestri pizzaioli che hanno partecipato alla Festa, la vera originalità della pizza oggi risiede unicamente nell’eccellente rielaborazione della grande tradizione e nelle materie prime.

L’ELENCO DELLE PIZZERIE PRESENTI ALLA MANIFESTAZIONE

Ai Tre Monelli – Angri (SA)

Pizzeria l’Angelo e il Diavolo – Salerno

Antica Pizzeria Brandi – Napoli

Antica Pizzeria Reginé – Salerno e Firenze

Criscemunno – Salerno

I Due Fratelli – Salerno

I Love Pizza – Baronissi (SA)

Luigi ‘o Furnar – Gragnano (NA)

Madison – Cava de’ Tirreni (SA)

Ma Tu Vulive ‘a Pizza – Napoli

La Pizza di Umberto Falcone – Salerno

Tutù Pizza – Bivio Pratole (SA) Vaco ‘e Pressa – Salerno

Kasanna a Sala Consilina (SA): il Vallo di Diano conosce un maestro dell’affinamento formaggi

Nicola Memoli, professione affinatore di formaggi a pasta molle e crosta fiorita con la sua azienda Kasanna a Sala Consilina (SA).

Nicola Memoli che di anni ne ha 48, pur sembrando ancora un giovane virgulto, ha ormai collezionato un’esperienza nel settore che lo vede protagonista sulle tavole d’Italia e di molti Paesi europei. Essere affinatore di formaggi richiede voglia continua di sperimentare, adottando lavorazioni e materie prime che non alterino eccessivamente i sapori d’origine. Il nome dell’azienda a conduzione familiare è dedicato alle sue 3 figlie, utilizzando l’acronimo dei nomi Karol, Sara e Annalisa.

Nicola Memoli – Kasanna

Non basta una grotta a fare un eremita, e neppure basta per ricreare quel mistero nel quale i maestri italiani primeggiano. All’estero è praticamente una rarità l’esercizio di tale professione, ma lungo lo stivale della nostra Penisola siamo autentici fuoriclasse. L’Affinatore fa il possibile per continuare a mantenere il profilo originale del formaggio, facendo attenzione ad abbinare le spezie, gli aromi o le erbe, con lo scopo di esaltare la materia prima quando il processo sarà terminato, sperimentando idee nuove, ma rispettose.

Nicola era partito, 10 anni orsono, dalla stagionatura del caciocavallo, per tentativi, fino a giungere al suo piccolo capolavoro: un caciocavallo al tartufo con riposo in botte di rovere contenente fieno per una durata media dai 4 ai 6 mesi di cantina. Non si sentiva soddisfatto del livello ormai raggiunto e, sconvolgendo ogni suo proposito, decise nel 2015 di selezionare latte di pecora e capra per affinare i formaggi a pasta molle e crosta fiorita.

E adesso? Memoli è arrivato alla cifra di ben 22 prodotti diversi, alcuni premiati dalla critica gastronomica, come l’elisir di fragole al rosmarino, oppure un formaggio a crosta fiorita con colatura di alici e scorzette di limone o, infine, vari tipi di affinamento nel vino, utilizzando l’Aglianico possente e tannico, sulla scorta dell’antica ricetta romana del mulsum.

A proposito di territorio, Kasanna propone, principalmente tra i comuni del Vallo di Diano, (estendendosi a volte lungo l’intero areale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni), una sorta di “aperitivo itinerante”, fruibile da chi ne segue i canali social, entrando a far parte del gruppo di watsapp. Una sorta di flash mob organizzato all’improvviso sulla base di un certo numero di adesioni con indicazione di una data papabile.

Il luogo dell’evento viene scelto all’ultimo momento tra una lista di strutture disponibili. L’idea è quella di far da punto di ritrovo per persone di diversa estrazione e cultura e parlare delle bellezze artistiche ed enogastronomiche del luogo, con la partecipazione di altri caseifici e produttori di vino, companatico ideale per le nostre migliori espressioni casearie.

Kasanna

Salita Guerrazzi, 5

84036 Sala Consilina Italia