Anteprima Vitigno Italia 2024

Tutto pronto per Anteprima VitignoItalia 2024: appuntamento con oltre 500 etichette da tutta la Penisola

Maurizio Teti, Direttore della manifestazione: “Record di accrediti da parte degli operatori di settore a testimonianza del ruolo che VitignoItalia ha nell’ambito della manifestazioni di settore a livello nazionale”.

Anteprima VitignoItalia 2024 è alle porte. Una giornata di degustazioni e incontri con i produttori dedicata alla stampa, appassionati e operatori di settore per conoscere le migliori espressioni enologiche da nord a sud della Penisola. 500 tra le migliori etichette delle più prestigiose cantine e consorzi vitivinicoli italiani saranno protagoniste a Napoli, negli eleganti saloni dell’Hotel Excelsior, dalle ore 15.00 fino a serata inoltrata. Una straordinaria opportunità per vivere l’esperienza di un percorso alla scoperta dell’Italia del Vino, che accompagnerà il pubblico partenopeo e non solo, naturale preludio alla 18esima edizione VitignoItalia prevista a giugno 2024 (da domenica 2 a martedì 4 giugno).

Si prospetta un’edizione dai grandi numeri – commenta Maurizio Teti, Direttore di VitignoItalia – infatti il dato che più ci soddisfa è il forte interesse riscontrato dalle enoteche, sommelier, ristoratori e dagli operatori di settore provenienti da tutta la regione, a cui è dedicata la fascia dalle ore 15.00 alle ore 17.00. Un’affluenza che conferma la nostra manifestazione come punto di riferimento tra gli eventi enologici del BelPaese, soprattutto in virtù di un notevolissimo parterre di grandi produttori. Tanti nomi e vini da conoscere, che ogni anno coinvolgono un numero crescente di appassionati e professionisti che trovano in Anteprima VitignoItalia, il perfetto binomio tra degustazioni di grandi vini e approfondimenti su produttori, territori e vitigni”.

Confermata quindi la grande attenzione di cui Anteprima VitignoItalia gode tra addetti ai lavori e appassionati, cui va aggiunta la presenza di numerose firme della stampa nazionale e estera, provenienti dall’Austria, UK, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Israele. I media, oltre alla giornata di lunedì, potranno soddisfare la propria curiosità sulle cantine del territorio con un press tour che vedrà protagonista il Sannio, terroir in costante ascesa nel panorama nazionale e non solo.

“Una delle caratteristiche delle manifestazioni targate VitignoItalia – conclude Teti è quella di creare diversi momenti di approfondimento e di confronto, valutare le tendenze, confermare la crescita di nuove realtà senza mai dimenticare i territori tradizionalmente vocati. Il tutto con uno sguardo proiettato al futuro non solo per quello che concerne l’aspetto squisitamente qualitativo dei vini ma anche con approfondimenti su tematiche come il marketing, la comunicazione e le mille sfaccettature che fanno del nostro mondo un microcosmo affascinante e complesso”.

ANTEPRIMA VITIGNOITALIA 2024

Hotel Excelsior, Napoli – Via Partenope, 48

Lunedì 27 novembre 2023

Orario evento: dalle ore 15:00 alle ore 21:30

www.vitignoitalia.it

Tel 08/14104533; segreteria@vitignoitalia.eu

Ufficio Stampa MG Logos – Tel 06/97270151 – comunicazione@mglogos.it

Team Costa del Cilento: Gaetano Iannone fa della semplicità in cucina il suo timbro unico

Trovarsi tra le cucine di un grande villaggio turistico come il Mia Resort a Paestum potrebbe incutere timore anche al più esperto degli chef. Qui le presenze numeriche e i volumi estivi sono impressionanti; le esigenze diventano pressanti e accontentare gusti e sensazioni del pubblico eterogeneo non è semplice.

Gaetano Iannone, invece, ha sposato fin dagli inizi il progetto, con una filosofia di vita basata sui valori della semplicità e dell’eleganza, accompagnati dal rispetto per le materie prime e l’essenzialità dei sapori. Ai nostri microfoni si è lasciato andare guidato dall’emozione sana e pura, come quel bambino che da grande sognava di fare questo mestiere (e non il medico o l’astronauta).

L’antipasto di salmone con crema alla melannurca, pomodoro secco e mandorle rappresenta un obiettivo ambizioso: creare cultura gastronomica nella semplicità di pochi ingredienti ben amalgamati.

Pratica ed indispensabile la ricetta proposta in video: troccoli con zucchine, fiori di zucca e lupini di mare. Pratica per l’esecuzione replicabile anche nelle nostre case. Indispensabile perché valorizzare il lupino, delicato e ricco di sfumature di salsedine, con il fiore di zucca è un colpo di inventiva di grande impronta.

Il resto lo scoprirete direttamente sul posto. Il ristorante, infatti, prevederà l’apertura anche agli ospiti esterni con un rapporto qualità prezzo accessibile a tutte le tasche.

Merano: Alpi, passeggiate nella natura, enogastronomia e buon vivere

Un luogo magico come pochi la nostra tappa a Merano, complice l’evento Merano Wine Festival di caratura internazionale. Alpi, passeggiate nella natura, enogastronomia e, naturalmente, buon vivere.

Cos’altro serve per scegliere una meta ideale sia d’estate, quando la calura delle città rende le notti inquiete, sia d’inverno con la magia delle cime innevate e quel clima tipico da cioccolata calda, strudel di mele, caldarroste e vino. Magari, perché no, scegliendo una cantina altoatesina come Stroblhof, che racconteremo in un prossimo articolo.

O camminando lungo la promenade del fiume Passirio, osservando rapide e mulinelli che si formano dall’impeto delle acque superficiali. In tardo autunno i colori si tingono delle sfumature del foliage, che dal verde acceso delle fronde degli alberi percorre l’ampio spettro delle tinte rosse e marroni.

I portici, le chiese e gli splendidi palazzi storici di tradizione austro-ungarica, emblema della cittadina, con le sue locande e i negozi di abbigliamento e prodotti agroalimentari. Il freddo qui diventa secco e piacevole, una sensazione frizzante che mantiene sempre attivi, con la voglia di stare in movimento, approfittando di una giornata di sole e di una buona compagnia.

Ville e Castelli circondano il panorama lungo la strada che conduce ai Giardini di Castel Trauttmansdorff, ben 12 ettari, con specie vegetali provenienti da ogni angolo del globo su un dislivello di 100 metri. Cactus, aloe, agavi e piante tropicali, grazie al clima non estremo della vallata, protetta dalle catene montuose porfiriche in entrambi i lati. Papere e stambecchi trovano pace e serenità in tale spettacolo di natura.

L’Alto Adige è un modello di organizzazione semplicemente perfetta, ove nulla è lasciato al caso. Lo si osserva nella gestione della res publica o dei campi coltivati tra meleti e vigne. Lo si osserva ancor di più nell’allestimento di eventi divenuti capisaldo della cultura enogastronomica italiana, come il Merano Wine Festival che con l’edizione 32, ideata da Helmuth Köcher nel 1992 e andata in scena dal 3 al 7 novembre, fa un salto nel futuro dell’enogastronomia e della viticoltura, lanciando con una metafora un messaggio chiaro alle nuove generazioni.

«Quando si parla della Terra che ci ospita, compito dell’ospite è quello di rispettare l’oste capace di mettergli a disposizione così tanta ricchezza e così tanta varietà» spiega Helmuth Köcher che ha concesso una breve intervista ai nostri microfoni.

Assieme a lui, tra le oltre 6.500 presenze durante le cinque giornate della manifestazione che celebra le eccellenze enogastronomiche selezionate da The WineHunter, ospiti di lusso come il prof. Luigi Moio, e una nutrita rappresentanza della Campania, con i Presidenti dei vari Consorzi giunti al completo e uniti in un comune denominatore: portare a Merano non solo pizza, sole e mandolino, ma tanta, tantissima qualità tra vino e cibo, presentati al pubblico in Masterclass e banchi d’assaggio, con la collaborazione dell’Associazione Italiana Sommelier.

Scopriremo insieme tutto questo nelle puntate successive e nel relativo podcast su youtube con la playlist integrale ed i commenti a margine. Il tempo stringe, Merano con le sue bellezze paesaggistiche, architettoniche, culinarie e fieristiche vi aspetta. Seguiteci.

Un’estate fa… il ricordo di una cena incantevole al Ristorante La Serra dell’Hotel Le Agavi di Positano

Faccio il mestiere più bello del mondo e lo capisco proprio in occasioni simili, quando ti trovi a cena in uno scampolo di fine estate al Ristorante La Serra dell’Hotel Le Agavi di Positano. E non si tratta solo del panorama incantevole che si gode nelle tepide serate.

Si resta colpiti da quanto la cucina gourmet (qualsiasi significato gli si voglia attribuire), possa diventare arte al servizio del cliente. Vista, olfatto e gusto, ma a ben cercare tutti i 5 sensi vengono coinvolti da un’esperienza che poco ha a che fare con le chiacchiere da palcoscenico.

Concretezza, da parte dello chef da una Stella Michelin Luigi Tramontano; eleganza da Nicoletta Gargiulo, una vita nell’Associazione Italiana Sommelier con incarichi apicali, moglie di Luigi e splendida direttrice di sala che sa accoglierti come un lontano amico di casa.

In mezzo i piatti, preparazioni oniriche di Tramontano e della sua brigata di cucina. Creazioni in chiave fusion, con contaminazioni tra il dolce e il salato, le ricette europee e quelle del mondo orientale. Perché, in fondo, mescolare usanze e tradizioni è il segreto di un concept quanto mai moderno di fare ristorazione.

La Costiera Amalfitana è una soglia principesca, ciononostante qui si è scelto di poterla varcare senza dover richiedere la stipula di un mutuo. Sono scelte, ognuno fa i conti e le politiche commerciali che meglio crede. Personalmente trovo molto sensato poter consentire la presenza con prezzi accessibili ad un pubblico più folto, altrimenti si rischia che l’enogastronomia resti un discorso per pochi (in qualche caso persino un triste monologo).

L’eclissi lunare di Kandinsky ed il Gioco del sette e mezzo aprono e chiudono i sipari su una cena che resterà impressa per sempre nella mente del sottoscritto. E chi mi conosce bene sa che raramente dispenso lodi e complimenti simili.

Il pesce, materia prima su cui Luigi Tramontano dimostra competenze e rispetto unici, viene trattato alla perfezione, sia nelle crudités che nelle versioni in cottura. Tre i menù degustazione che possono variare per numero di portate e gusti. Raccontare nel complesso le sensazioni provate all’assaggio è poca cosa, come un maldestro tentativo di spoiler che nulla aggiunge al giudizio eccellente finale.

Segnalo, però, di giocare sulla curiosità personale come successo con il Tataki di Bufala o con il risotto carnaroli al bergamotto, ricciola, capperi e liquirizia amarelli. E buon divertimento, quando il sole dell’estate tornerà finalmente a splendere.

Gambero Rosso: prosegue il progetto “Radici Virtuose” con la tappa di Napoli

Un progetto che prevede dieci cene in ristoranti importanti e con giovani chef emergenti, con
abbinamenti di vini pugliesi.

L’incontro del 21 settembre 2023 è stato il terzo del programma, dopo i due primi appuntamenti di
Milano e Roma del 2022. Quest’incontro dal tema “Il Salice Salentino DOP & Brindisi DOP on tour”, si è svolto a Napoli. Una cena con in abbinamento i vini dei Consorzi di Tutela Vini delle due DOP pugliesi, nella splendida sala del “Lounge & Terrace” del Ristorante Stellato “Le Muse”, situata al sesto piano del “Grand Hotel Parker’s”.

Il giovane chef che ha studiato il menù della serata è la Stella Michelin Vincenzo Fioravanti.
Ospiti della serata sono stati:
Giuseppe Buonocore, responsabile commerciale sud Italia e Triveneto del Gambero Rosso; Marco Sabellico, giornalista storico e curatore della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso; Claudio Quarta, titolare della Cantina Brindisina “Moros” dal 2012, e autorevole rappresentante del Consorzio di Tutela Vini del Salice Salentino DOP; Ornella Spada Errera, titolare della Cantina Brindisina “Tenute Lu Spada”, in rappresentanza del Consorzio Tutela Vini della Brindisi DOP; Giorgia Brandi, responsabile commerciale della Cantina “Tenuta Lu Spada”.

Appena arrivato alla sala “Lounge & Terrace”, sono stato accolto dal personale, che con professionalità e gentilezza, mi ha invitato a dirigermi alla balconata che si affaccia sullo splendido golfo di Napoli vista Chiaia, per potermi sedere con un gradito cocktail di benvenuto. Un New York Sour (whiskey, sciroppo di zucchero, succo di limone, bianco d’uovo e vino rosso), preparato da Antonio Boccia, bartender dello storico Bidder Bar. Una piacevole scoperta per equilibrio e sensazioni aromatiche, con leggera astringenza del Flot di Brindisi Rosso “Camarda” della Cantina “Due Palme”.

Perfetto poi l’abbinamento con i bocconcini di baccala fritto, un po’ meno, una sfumatura, con il gambero rosso in tempura. La vista sul golfo certamente però aiutava.

IL MENÙ

Preciso che gli abbinamenti, salvo per il dolce, sono stati studiati molto bene, qualcuno addirittura sorprendente e inaspettato. Iniziamo con cheesecake salata fatta con formaggio caprino, crumble di nocciole salate e crema di pomodorino giallo, per rendere la percezione gustativa un po’ dolce e un po’ salata. Equilibrato e buono sia per la consistenza che per la pulizia di bocca finale, l’unica pecca la ridottissima dimensione a mo’ di finger food.

Il primo vino spumante in abbinamento, come riportato dalla brochure, si abbinava meno bene
rispetto al Rosé fermo. Per entrambi la sapidità delle nocciole ritornava, ma per il primo la bollicina un po’ aggressiva accentuava il contrasto.

1° vino (Negroamaro) – Brillante, dal vivido colore rosa tenue. Al naso esplodono i profumi di frutti
di bosco e di petali di rosa. Buono l’equilibrio tra freschezza e morbidezza; piacevole la finale lieve sensazione di astringenza.
2° vino (Negroamaro) – Cristallino e un rosa antico esaltato dai riflessi di luce. Profumi di fragoline
di bosco e un fiore di geranio, piacevole sopraggiunge un profumo di macchia mediterranea.
Fresco e sapido. Brioso e godibilissimo.

Antipasto

La tartare, la definirei “tartare non tartare” per la consistenza, lavorata finemente a coltello, amalgamata a mano, uniforme e delicata. I bottoni di crema di mango e avocado donano freschezza e ulteriore aromaticità. Di fianco una salsa di mozzarella di bufala con anacardi tostati. Piatto piacevole, da vero campano.

1° vino (da uve Negroamaro) – Cristallino e dall’intensa luminosità, dal colore di fiori di pesco. Subito
esplodono i frutti di bosco, erbaceo di macchia mediterranea e anice, sottile l’agrume. Un
sorso fresco e sapido, equilibrato e persistente di ritorni agrumati e balsamici.
2° vino (80% Negroamaro – 20% Malvasia Nera) – limpido e rubino vivido. Al naso un fruttato di ciliegie e prugne ancora croccanti, anche se già nella fase di maturazione, una rosa canina e poi ancora fruttato di melograno. Il sorso è leggermente morbido e moderatamente persistente.

Il primo

Una scoperta. Il piatto perfetto della serata. La tendenza dolce della patata è stata gestita
magistralmente nella realizzazione di questa crema che accompagna la nota sapida. Quello che
mi ha sorpreso, è stata la scelta del formato della pasta, un tubettone che, per la larghezza del
foro tra una calamarata e una mezza manica, ha permesso alla crema di non insinuarsi e
permettere il giusto equilibrio di ogni boccone. Le cozze, cotte perfettamente, come piacciono a
me, donano quel quid sapido marino differente dal sapido del pecorino, anch’esso dosato
magistralmente. Udite udite, l’abbinamento è perfetto con il primo vino, il Moros Riserva 2018 di Claudio Quarta, sarà per il suo equilibrio e delicatezza raggiunta quando si sa gestire la maturazione in legno?

Il secondo

Ben eseguito. Come detto in presentazione dallo chef : <<vuole essere un ricordo del passato, quando a casa il pesce spesso si cucinava con pomodorini, olive nere e capperi>>.
Da precisare che il cappero in questione era il fiore di cappero (bocciolo) e non il frutto
(cucuncio). D’accordo con Giuseppe Buonocore al mio fianco, il trancio di dentice sembrava un po’ avanti nella cottura, ma nell’insieme piatto equilibrato nei sapori. Il coriandolo lo rende attraente
anche al naso. La crema di peperoni rossi sostituisce, almeno nel colore, i pomodorini, e la sua
tendenza dolce modera le olive nere e i fiori di capperi. L’abbinamento riesce più con il secondo
vino, anche merito alla nota agrumata che richiama il coriandolo del piatto. Il primo vino molto
condizionato dalla maturazione in legno.
1° vino (85% Negroamaro – 15% Malvasia nera) – Carminio. Sentori di spezie dolci invadenti, bisogna
aspettare e scavare per ritrovare sentori fruttati di sotto spirito. Il sorso è maggiormente spostato
sulle morbidezze, caldo e morbido. Moderatamente fresco con tannini ben integrati, ritornano le
spezie nel retro olfattivo.
2° vino (Negroamaro in purezza) – Rubino ancora vivido. Qui il legno di barrique da rovere americano è ben gestito con un passaggio del solo 15% dell’intera massa. Frutta matura rossa, spezie e tostature
di caffè. Il negroamaro si esprime in tutta la sua versatilità. Equilibrato e persistente.

Il Dessert

La sua forma di cono tronco, voleva richiamare un vulcano, il Vesuvio. Un semifreddo
cremoso alla vaniglia poggiato su uialda morbida di cioccolato fondente, mentre sopra, una
ganascia liquida di cioccolato fondente e della confettura di pomodoro rosso, simulano
rispettivamente la lava e fuoco. Il cioccolato fondente domina e non sempre è possibile individuare un passito adatto. Forse il mondo dei distillati avrebbe aiutato nella scelta più giusta.

Sarno di Vino 2023: numeri, storie, emozioni di un’edizione all’insegna del buon gusto

Sarno di Vino 2023 si è conclusa in un crescendo di emozioni.

Giunta ormai alla quarta edizione, grazie all’impegno proficuo tra l’Associazione di promozione The Globe, presieduta da Giovanna Fiore, con il supporto infallibile del vice presidente Aniello Liguori.

ReCalice e Agenzia Zurich di Sarno gli sponsor tecnici della manifestazione, che ha visto la presenza di oltre 500 ospiti, tra semplici appassionati di enogastronomia e operatori del settore. Le masterclass ed i banchi d’assaggio hanno visto la collaborazione dei sommelier di A.I.S. Campania – Delegazione di Salerno – guidati dal Delegato Nevio Toti. Brillante il racconto di tre aziende e tre territori, dal nord al sud della penisola, diversi per tipologie e varietà d’uva.

Inizio spumeggiante con la Franciacorta di Cantine Muratori, che ha presentato i suoi Metodo Classico eleganti e versatili negli abbinamenti. La seconda degustazione ha visto, invece, una selezione di Fiano di Avellino dell’azienda Villa Raiano, illustre rappresentante di quell’Irpinia conosciuta a livello mondiale per i suoi bianchi longevi.

Conclusione in rosso per Paternoster che da Barile, in pieno territorio Vulture, ha proposto una straordinaria verticale del Don Anselmo, il suo Aglianico di punta, descritto con minuzia di particolari dal sottoscritto e dall’enologo Fabio Mecca.

I saloni di Villa del Balzo hanno accolto altre rappresentanze di spicco dell’enologia, con 50 produttori vitivinicoli per arricchire di gusto e cultura la scelta finale. Il giardino storico ha visto la presenza della sezione gastronomia di alta qualità, per arrivare al dopo pasto meditativo, con i sigari di Ambasciator Italico.

Un evento di tali proporzioni non potrebbe raggiungere il successo senza il supporto essenziale delle Amministrazioni locali, in particolare il Comune di Sarno, grazie all’assessore Francesco Squillante, e la comunicazione di 20Italie, Radio Base e Sarno Notizie.

Un giorno a Padula: tra storia, arte, cultura e gastronomia

Un giorno a Padula (SA) può cambiare la vita? La risposta andrebbe articolata se aggiungiamo alla domanda iniziale il naturale prosieguo: un giorno a Padula, tra storia, arte, cultura, gastronomia e persino legalità può cambiare la vita? Certamente sì! Parlando, ad esempio, di rispetto della Legge e delle Istituzioni che la applicano a fatica in territori affatto semplici.

Lo racconta ai microfoni di 20Italie l’erede di Joe Petrosino, quel Nino Melito Petrosino unico pronipote del primo vero “detective” della polizia americana. Siamo nella Casa Museo, la sola in Italia dedicata ad un martire delle Forze dell’Ordine; il 19 ottobre 1883 Joe Petrosino riceve il fatidico distintivo, dopo una gavetta impensabile passata persino dal ruolo di netturbino.

Grazie all’esperienza acquisita per le strade, impara presto la tattica del camuffamento e dell’intercettazione, sventando diversi pericoli e attentati. Di lui se ne celebra ancor’oggi il ricordo negli Stati Uniti, con una sorta di festa nazionale per l’immensa gratitudine del popolo americano al sacrificio (pagato a caro prezzo) nel combattere la Black Hand (la Mano Nera) mafiosa.

Palermo gli fu fatale, giunto in visita in incognito per comprendere le dinamiche della associazioni criminali, una soffiata ne fece saltare la copertura consegnandolo ai colpi di pistola dei sicari. “Chi salva una vita salva il mondo intero” è scritto nel Talmud di Babilonia. La vita di Petrosino non è stata salvata, ma con la sua opera incessante, gli arresti eccellenti e i dossier scottanti, sono state salvate migliaia di vite umane da morti efferate e inique vessazioni.

Alleggeriamo il discorso adesso con le parole di Francesco Barra – Fattoria Agriturismo Alvaneta – per spiegare il peperone corno di capra nella sua versione crusco, cotto e croccante. Una ricetta facile da realizzare lo vede unito alle uova strapazzate, o agli gnocchetti con baccalà e olio piccante. Il Sud chiama con i suoi sapori forti.

Ci spostiamo nella Certosa di San Lorenzo, sito Patrimonio Unesco, per incontrare Caterina Di Bianco, Vicesindaco in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale di Padula, Ente che ci ha concesso gentilmente interviste e visite ad imprenditori e aziende locali a chilometro zero.

È il caso di Nicola Cestaro con il socio Francesco Ferrigno che hanno realizzato la startup 1306 con la presentazione al pubblico di Silentium – antico elixir certosino, nato da una miscela di oltre 70 tra spezie ed erbe officinali seguendo le ricette dei monaci. O Vincenzo Fagiolo ed il suo Amaro del Tumusso, un prodotto elegante dall’innovativa tecnica di affinamento per ben 60 giorni in anfore di terracotta.

Concludiamo la parte gastronomica e agroalimentare menzionando Riccardo Di Novella, direttore dell’Eco Museo della Valle delle Orchidee e delle Antiche Coltivazioni, tra innumerevoli varietà di fiori e piante mediche presenti sul territorio. Ed infine l’Associazione L’Aquilone che prepara le polpette della mietitura, fatte con salsiccia sbriciolata e melanzane, avendo sempre cura di esaltare le potenzialità e le tradizioni del territorio.

La visita al Battistero Paleocristiano di San Giovanni in Fonte del IV secolo, le cui fondamenta poggiano su un’autentica fonte battesimale, è un luogo di rara e mistica bellezza senza tempo.

Gli fa degna compagnia il Convento di S. Francesco D’Assisi, con il suo meraviglioso chiostro dove trovare pace e meditazione.

Un ringraziamento particolare va a Monaci Digitali Srl, con Gianluca e Chiara che svolgono un importantissimo ruolo di comunicazione e riscoperta del territorio, grazie a un progetto di smart working che prevede l’ospitalità tra la magnifica Certosa e il Convento di San Francesco di operatori che lavorano in remoto. Quest’ultimi potranno rivivere le atmosfere dei monaci certosini conoscendo altresì le molteplici meraviglie del Vallo di Diano. Tanti i momenti dedicati anche al trekking, alla cultura enogastronomica ed all’interazione con le Amministrazioni Pubbliche.

Possiamo affermare, parafrasando un antico motto, che anche Padula… val bene una messa.

Estro Beef-Bar a San Giorgio a Cremano: nella città che ha dato i natali a Massimo Troisi si punta alla ristorazione di alta qualità

Scusate il ritardo. La frase non è il titolo di uno dei film del compianto Massimo Troisi, nativo di San Giorgio a Cremano (NA). E non ha neppure valenza di gioco con doppio fine, per evidenziare qualcosa di accattivante nella scelta gastronomica. Il ritardo è, per una volta, quello del sottoscritto nell’aver dimenticato di visitare, da troppo tempo, un luogo del cuore che mi lega ai ricordi dell’essere campano e “uomo del Sud”. Quanto è mancato colmare questo vuoto, maledetta nostalgia degli anni che scorrono inesorabili. Poi arriva finalmente il giorno desiderato, con la visita al ristorante Estro Beef-Bar in uno dei continui viaggi alla ricerca di ciò che conta nel mondo della ristorazione.

Nel traffico dell’ora di pranzo scorgo un grazioso dehor esterno, di pertinenza del locale, grato della fortuna di aver trovato posto con la macchina proprio di fronte ad esso. La giornata sembra iniziare per il verso giusto e prosegue accolto dal direttore di sala Fabio Petricelli, esperienze pluriennali in giro per il mondo, coadiuvato dal maître Alfonso Improta.

La bassa età anagrafica dello staff è il sottile filo rosso, con lo chef Francesco Sorrentino poco più che trentenne dal curriculum già ampio. Suoi i piatti, selezionati tra una lunga lista, che soddisfa appieno le tendenze delle clientela. Si passa dagli assaggi in stile street food, per andare verso antipasti e primi ricchi di tradizione rivisitata in chiave moderna. La ricerca è incessante, a volte anche eccessiva, ma per nulla scontata.

I sapori si riconoscono nella propria essenza, sia per quantità che qualità di ingredienti. E la materia prima fa da sempre la parte del leone. Come a riguardo delle carni, provenienti da allevamenti facenti capo ad Antonino Grillo, il titolare dell’Estro Beef-Bar. La carta dei vini è in profonda trasformazione, giunta alle attuali 300 referenze, un numero comunque ritenuto adeguato per la tipologia. Le frollature vengono effettuate su indicazioni di Antonino, evitando di arrivare alle punte estreme degli oltre 60 giorni, già sufficienti nella filosofia del locale a proporre il miglior taglio possibile alla giusta maturazione. Presente nel menu anche una mini degustazione utile a capire l’importanza del procedimento di preparazione e cottura.

Tanta sostanza, tanta praticità, pochi fuochi d’artificio. Esattamente ciò che a noi di 20Italie piace raccontare. L’antipasto è una tartare di scottona, con arachidi tostate e sotto forma di salsa, burro e perlage di aperol spritz, con granelli di sale. Divino è dir poco.

Segue la rivisitazione del peperone imbottito dalla forma di ciambella, su cremoso di peperone e spuma di parmigiano dove le consistenze perfette si amalgamano senza slegature o distorsioni.

Il risotto cacio e pepe con framboises, lamponi ice e zest di limone è un piatto su cui ci si può lavorare a patto di non avere eccessivi riverberi dolci nel fine bocca.

E poi lei, la regina, la carne presentata cruda in un cofanetto a mo’ di scrigno delle delizie e cotta alla brace, tenera e saporita. Perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Ci scuserete per il ritardo, ma le cose buone valgono la pena d’essere attese.

Estro Beef-Bar

Via Alessandro Manzoni, 102

80046 San Giorgio a Cremano (NA)

Tel 081 18367365

Cilento: l’espressione elegante dell’Aglianicone fa tappa da Silva Plantarium. L’anfora ne è la chiave di volta

“A acen’ a acen’ se face na macena” è un proverbio cilentano che letteralmente significa “acino dopo acino si ottiene la macina”, cioè oliva dopo oliva si raggiunge la quantità giusta per poterla pressare (“A macena”). A poco a poco si ottiene il risultato…

Questo nobile proverbio esprime a pieno la nostra volontà di volere raccontare, a poco a poco, di una terra selvaggia, difficile, spettacolare, variegata e ricca di tradizioni, il cui popolo resiliente e sincero ne mantiene vivi carattere e peculiarità. Caratteristiche in parte presenti anche nel vitigno Aglianicone, uno dei genitori dell’Aglianico, uno dei primi e più antichi vitigni cilentani.

L’Aglianicone in passato era il vino più diffuso dei vigneti nella zona. I fenomeni di acinellatura del grappolo a volte marcate (forse per difetti di morfologia floreale) hanno contribuito in passato al suo abbandono, facendo preferire ai contadini altre varietà più produttive di uva, non rammentando che dal punto di vista enologico tale vitigno si comporta in modo eccellente. Infatti, differisce dal più noto Aglianico, per la presenza di tannini meno aggressivi che ne riducono il tempo di affinamento, mantenendo descrittori aromatici di interessante intensità.

A Torre Orsaia (SA), con più esattezza nella località Cerreto, nel cuore del Cilento, in piena campagna (20 km circa ci separano dallo splendido mare di Scario) un cilentano doc, Mario Donnabella, con la sua famiglia, ha perseguito la mission di preservare le naturali bellezze ed espressioni del territorio. Una terra di cui Mario si dichiara custode con la sua azienda Silva Plantarium, il bosco delle piante. È nato vivaista, ed ha poi inseguito la sua predisposizione emotiva e sentimentale: diventare un viticoltore che si basa sull’agricoltura più naturale. L’approccio a cui lui si riferisce, è quello di non intervenire, di osservare la natura fare il suo corso, accettare ciò che dona senza forzarla, senza addomesticarla a proprio piacimento. Le montagne intorno, il movimento collinare del terreno, la flora e la fauna e l’escursione termica tra il giorno e la notte formano un microclima perfetto per le sue piante e le sue vigne. L’umidità naturale proveniente dai piccoli bacini d’acqua artificiali, la brezza marina, il suolo ricco di humus, arenaria, argilla e calcare completano l’opera.

Quattro sono le sue vigne: Tempa d’Elia e Casino impiantate già da tempo, circa 15 anni fa, Facenna e Terra Rossa più giovani. In questi 4 ettari e mezzo coltiva con cura e dedizione Aglianicone, Aglianico, Fiano, Santa Sofia e Mangiaguerra. Nell’antico casolare di famiglia, il Casino del Cardinale, dove Mario è nato e dove ha vissuto, in una piccola cantina posta nei locali sotterranei, lavora sue uve. I suoi vini macerano in anfora, come una volta: micro ossigenazione garantita, preservando le caratteristiche del varietale. Tutto richiama la semplicità e l’amore, la pazienza e la cura, l’attesa e la rassegnazione tipiche del mondo contadino di un tempo lontano, ma con lo sguardo al futuro, alla salvaguardia del risultato finale.

Mario Donnabella

C’è un’associazione a cui Mario appartiene, Terre dell’Aglianicone, il cui presidente è Ciro Macellaro (altro custode impagabile del vitigno cilentano), che unisce un gruppo di aziende che intendono custodire e diffondere questo vitigno perché ne riconoscono il valore. 

L’Azienda Silva Plantarium produce il rosso Buxento da Aglianicone (biotipo di Castel Civita) in purezza. Il nome richiama Buxentum l’antico nome romano di Policastro, posta alla foce dell’omonimo fiume. L’aglianicone, nato da incroci spontanei in vigna, particolarmente adatto alla coltivazione biologica grazie al grappolo spargolo e allo spessore della buccia, con grandi capacità di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche, con resa bassissima, ha trovato forse la sua massima espressione nell’affinamento in anfora.

L’uva è raccolta a mano, tendenzialmente nell’ultima settimana di settembre, selezionando i grappoli, diraspati e poi pigiati. La fermentazione in fermentini d’acciaio è affidata ai lieviti autoctoni. La macerazione delle bucce dura circa dieci giorni, senza aggiunta di solforosa, prestando la massima attenzione al dosaggio dell’ossigeno mediante rimontaggi e delestage. La svinatura è eseguita con una soffice pressatura delle bucce il cui prodotto va poi aggiunto al vino fiore. Dopo circa un mese di riposo, il vino è trasferito in orci di creta sigillati dove attende e matura pazientemente per almeno due anni. Imbottigliato senza l’aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione prosegue il periodo di affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi.

La degustazione viene condotta nell’antico casolare e si articola sulla verticalità delle diverse annate a disposizione (2017-2018-2019).

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2017

Il colore appare subito importante e compatto, un bel rosso rubino carico. Il naso è inizialmente timido, ma, dopo una conveniente attesa, si fa ampio e pronto ad arricchirsi di nuovi sentori regalati dall’ossigenazione. Oltre a frutti rossi (mora e ciliegia sotto spirito su tutti), si percepiscono odori autunnali terrosi, di foglia bagnata, un leggero fungo porcino e poi del cuoio. In bocca risaltano immediatamente equilibrio e ampia freschezza, l’eleganza dei tannini è sorprendente, suadenti e perfettamente armonizzati alla morbidezza della beva.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2019

Il colore è un inchiostro porpora con venature violacee. Il bouquet è complesso e accattivante con profumi di frutta rossa e nera come la prugna e le more e sentori floreali di violetta. Note di spezie orientali accompagnano le sniffate. Sul palato plana un sorso decisamente vinoso e lievemente speziato. Tannini presenti, più acuti rispetto alla 2017, ma pur sempre eleganti. La bocca rimane morbida calda, fluida. Mineralità e buona verticalità persistono nel finale.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2018

Si colloca esattamente a metà delle due precedenti annate degustate. Il naso accoglie il vino di colore rosso rubino, con note fruttate di prugna più matura, amarena e mora; le gradevoli espressioni floreali di viola si mescolano ai sentori fruttati e alle spezie dolci presenti. Alla beva presenta un’incredibile freschezza che lo riporta all’annata più giovane; si affacciano aromi retronasali di frutta croccante. Il palato mantiene una buona morbidezza e i tannini rimangono suadenti e per nulla aggressivi.   

Durante la degustazione a Silva Plantarium, non può mancare l’assaggio del bianco Kamaratòn. Ottenuto da uve Fiano (50%) e Santa Sofia (50%) con utilizzo di lieviti naturali. La macerazione alcolica delle bucce avviene in fermentini d’acciaio. A seguito della svinatura, il vino matura in anfora a contatto con le fecce e viene poi imbottigliato senza aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione. Segue un affinamento in bottiglia per circa 4 mesi. Kamaratòn, richiama il nome greco di Camerota e della superba ninfa del mare, trasformata in roccia da Venere per punizione (il promontorio di Camerota), condannandola a guardare per l’eternità il Promontorio di Palinuro, suo spasimante respinto.

Kamaraton – IGP Paestum – Bianco 2020

Nel bicchiere il Kamaraton presenta un vivace colore oro appena velato. La tela olfattiva è tessuta da delicate sensazioni di fiori gialli, macchia mediterranea, con prevalenza di albicocca secca e nespola matura. In bocca l’impatto conferma le premesse olfattive con un’avvolgente morbidezza, ed una freschezza ben misurata e piacevole. Lunga la persistenza gusto-olfattiva. La mineralità del sorso risulta appagante e richiede immediatamente quello successivo.

Mario Donnabella non importunando l’opera della Madre Terra, come stesso lui afferma, ottiene una produzione ad ettaro piccolissima, ma porta in bottiglia due vini autentici, puliti, “naturali”, non estremi.

La natura non fa il vino, è l’uomo semmai che fa il vino secondo natura. E il vivaista di Silva Plantarium è proprio bravo in questo. E’ bello immaginarlo come il nocchiero cilentano dei vini naturali…

“Al Convento” a Cetara (SA) l’enogastronomia campana e pugliese si mescolano brindando al presente

Costiera Amalfitana e Murge, Cetara e Manduria.

Poco in comune verrebbe da pensare. L’una, patria di pescatori – incastonata tra le rocce che degradano verso il mare del monte Falerio – e l’altra, invece,  contrasto tra la quintessenza del Mediterraneo, ma foriera di terra brulicante e sabbiosa, patria di uve a bacca rossa, dove è il Primitivo a sventolare.

Difficile che le due realtà possano, allora, incontrarsi anche a tavola. Perché pensi Manduria e dici Primitivo. Pensi Cetara e dici alici e le sue variazioni. Eppure (per fortuna) gli stereotipi sono stati costruiti solo per essere abbattuti da chi è curioso.

E così ne viene fuori che in una piovosa serata settembrina, al ristorante Al Convento di Cetara, l’istrionico patron Pasquale Torrente – simbolo di una ristorazione cetarese resistente alle mode e fortino di cultura gastronomica stretta tanto quanto le maglie delle reti da pesca delle sue amate alici – trova il modo per abbatterli.

Lo fa attraverso quelle splendide ceramiche vietresi, trasformati in piatti colorati e finemente decorati, che suggellano l’appartenenza locale di ogni portata. Nulla che non sia di quella terra, nulla che non sia pescato in quel mare. Nulla che non possa non avvicinarsi a 300 km di distanza passando per le Murge e arrivando a stazionarsi nei dintorni di Manduria.

Cantine San Marzano, azienda vitivinicola nata nel 1962 dall’unione di 19 vignaioli in un piccolo comune della provincia tarantina come San Marzano di San Giuseppe. Oggi, a distanza di oltre 60 anni, la Cooperativa è diventata una delle grandi espressioni enologiche pugliesi.

Al suo presidente, Francesco Cavallo, e soprattutto agli attuali 1.200  viticoltori associati, il merito di aver saputo unire tradizione e innovazione in quei 1500 ettari di vigneti pugliesi costituiti principalmente da negroamaro, primitivo, susumaniello, malvasia e verdeca.  

Ed è stato allora in quell’antico chiostro del ’600 – immagine da cartolina per i numerosi turisti in visita a Cetara e oggi sede del ristorante Al Convento – che i piatti creati da Gaetano, figlio di Pasquale Torrente, sono stati capaci di stregare tutti e di dimostrare che, tra le tante qualità dei vini pugliesi, c’è senza dubbio anche quello di sposarsi con la buona tavola.

Il Calce Rosè – metodo classico a base di chardonnay e negroamaro, con sosta sui lieviti per oltre 36 mesi, sembra giocare divinamente con l’iconica bruschetta burro e alici, grazie alla sferzata di freschezza regalata dal sorso.

La pacatezza di “Tramari” Salento Igp Rosè a base di primitivo, sa ben gestire la cheviche di ricciola che, a tratti, sprigiona l’irriverenza di piccantezze sapientemente dosate.

Una frittura sotto forma di frittatina di pasta e di crocchette di patata e bottarga – la cui alta menzione va all’olio utilizzato, studiato appositamente da Gaetano e Pasquale, per garantire il massimo della leggerezza – si lascia accompagnare dal Salento Igp “Edda” (“lei” in dialetto salentino). Chardonnay (con una minoritaria percentuale di bacche bianche autoctone), carico di materia e ricco di influenze marine, con acidità e struttura in grado di non aggiungere nulla di più e di non sottrarre nulla di meno alla complessità del cibo.

Mentre un saporitissimo tubetto con zuppa di pesce trova nel Primitivo Salento Igp “Sessantanni”, il cui numero ricorda il sessantesimo compleanno di Cantine San Marzano, il perfetto complementare in un sorso di assoluto equilibrio gusto-olfattivo e di lunga persistenza. E se di tradizione si parla non poteva mancare un omaggio alla “pippiata” napoletana con il ragù che diventa quasi un’istigazione a finire il piatto in scarpetta, senza nessun senso di colpa.

L’abbinamento è con il re dei vitigni pugliesi, e trova il suo culmine nel Primitivo di Manduria Dop “Sessantanni”. Intenso, dalla leggera tostatura e dalla bocca di grande lunghezza gustativa.