“TERRA DI LAVORO WINES”: si accendono i motori per la terza edizione alla Reggia di Caserta con il Consorzio Vitica

Comunicato Stampa

Sabato 26 e Domenica 27 ottobre torna per la terza edizione “Terra di Lavoro Wines”. Quest’anno l’evento si arricchisce della collaborazione della Reggia di Caserta.

Le cinque denominazioni tutelate dal Consorzio Tutela Vini VitiCaserta – VITICA – Aversa Asprinio DOC, Falerno del Massico DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT e Terre del Volturno IGT – saranno protagoniste nell’ultimo fine settimana di ottobre dell’appuntamento che si terrà nel I cortile del Palazzo reale.

Addetti ai lavori, giornalisti nazionali e esteri, ma anche enoappassionati saranno accolti con un articolato programma: momenti di approfondimento con un convegno previsto nella mattinata di sabato, incentrato su enoturismo e ricaduta economica sui territori, a seguire masterclass e degustazioni dei vini delle denominazioni ma anche incursioni teatrali.

Sarà un’occasione unica per promuovere la ricchezza ampelografica e la qualità dei vini che rappresentano la storia, la cultura e le tradizioni di Terra di Lavoro, in un contesto d’eccezione quale la Reggia di Caserta, emblema dell’intero territorio a livello nazionale e internazionale.

La Reggia di Caserta promuove per la prima volta quest’anno l’iniziativa del Consorzio Tutela Vini VitiCasertaVITICA al fine di sostenere logiche di rete per la valorizzazione e promozione delle eccellenze provinciali.

Il Museo del Ministero della Cultura, in linea con la sua mission nel contribuire allo sviluppo economico, culturale e civile del territorio, ha recentemente sottoscritto con la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Caserta un protocollo di intesa che costituisce la base di un’azione coordinata, operativa e istituzionalizzata per favorire in modo sinergico e unitario le specificità territoriali, con particolare attenzione alle produzioni che possano rappresentare e valorizzare l’identità locale.

Per informazioni: vitica.it

Ufficio Stampa – Pr -Comunicazione

Floriana Schiano Moriello

Mail. florianaschianomoriello@gmail.com|

Cell. 3392635562

Il Cilento che non ti aspetti

Vivere nel Cilento. Bella impresa si direbbe, persi tra stradine, borghi antichi e usanze tipiche marinare. Eppure in quest’angolo di paradiso alberga un ritmo di vita forse unico al mondo, pari solo ai villaggi dei pescatori scandinavi e poco altro.

Festina lente pronunciavano i Romani: appropinquarsi con la giusta lentezza, il vero segreto di una lunga e serena esistenza. Quando lo stress del quotidiano pesa sulle nostre spalle, arriva un momento in cui l’assenza di responsabilità, di tensioni nervose e di voglia di sgomitare sul prossimo devono lasciare il posto alla quiete, al silenzio assordante di luoghi senza tempo e sapori senza confini, impregnati di storia e tradizione.

“Le vie del Cilento sono infinite”, parafrasando un celebre motto. Vengono persino utilizzate per sentieri religiosi come il Cammino di San Nilo, che conduce dalla Calabria alle sponde laziali di Grottaferrata ripercorrendo le tappe dei monaci eremiti bizantini. I viandanti e pellegrini dell’epoca ben conoscevano ante litteram i pregi delle terre d’origine della Dieta Mediterranea, celebrata secoli dopo dal biologo scrittore Ancel Keys.

Un entroterra quasi esoterico, ricco però di pietanze a base di sughi e carne, formaggi e salumi e tanti prodotti dell’orto. La Costa, invece, regno del pescato, in particolare dell’alice di menaica e sostenuta dai profumi mediterranei delle classiche erbe officinali, per dare un tocco di aroma e sostanza alle ricette.

Il riassunto ideale, tra mari e monti, lo si trova tra i sobborghi di Ceraso, all’Osteria del Notaro della famiglia Notaroberto con Augusto, la moglie e il figlio Stefano ai fornelli. Dalla mozzarella nella mortella, alla parmigiana bianca per finire con fiori di zucca fritti (senza ripieno come vuole la tradizione) e le alici proposte in frittella o “rinchiuppate”, ossia riempite di formaggio e pane raffermo, variabile a seconda del luogo in cui le si assaggia.

E poi la fetta di carne tipica locale, la melanzana al pomodoro, per chiudere poi in dolcezza con le pasterelle cilentane fritte con crema di castagne. Il cibo e il vino viaggiano di pari passo e l’offerta enologica è notevolmente ampia in Cilento, soprattutto quando a parlare sono due varietà cardine per la Campania: il Fiano per i bianchi, l’Aglianico per i rossi.

Suoli marnoso calcarei, con punte di argille lamellari che donano potenza e armonia ai vini, come quelli di Fattoria Albamarina di Mario Notaroberto, raffinato gourmand proprietario di ristoranti in Lussemburgo, con vasta esperienza nel commercio estero delle nostre eccellenze alimentari. Partendo dalle bollicine giocose de “L’Eremita”, passando per la suadente Falanghina “Etèl”, il Greco del “Nylos”, verso i due cavalli di razza del Fiano: “Valmezzana” (vinificato solo in acciaio) e l’ammiccante borgognone “Palimiento”, strutturato e denso come la varietà sa offrire.

Completano il quadro l’Aglianico del “Futos” e quello di “Agriddi”, una sorta di riserva che guarda alle scie tanniche taurasine, non dimenticando l’avvolgenza del Vulture. Vigne a strapiombo, cullate dal tramonto di un sole che tutto colora con luci soffuse, in mezzo a colline dalle verdi sfumature. Un emozionato Mario Notaroberto ci narra proprio delle origini del paese di Futani e della menzione grafica speciale tra le etichette dei suoi vini.

Dalle altezze di Ceraso sino alle propaggini di Pisciotta, seguiamo l’arte di chi, come Alessandro Amendola, vive il mare da protagonista con il frutto del proprio lavoro ricavato dalle reti artigianali dette “menaiche”, che pescano solo le alici più grandi preservando l’ecosistema per le generazioni future. Un procedimento di salagione e stagionatura simile ad altri magnifici territori campani; una moneta di scambio in passato, da barattare con le primizie contadine di chi viveva lontano dalle spiagge.

La giornata si chiude in barca sulla rotta di Palinuro e della celebre Grotta Azzurra, tra miti e leggende che si perdono nella notte dei tempi. Un inatteso sapore di vita sana.

Irpinia: la storia dei vini di Antica Hirpinia

La storia del vino in Irpinia non può non passare attraverso Antica Hirpinia, cantina legata al capoluogo di una delle regioni vinicole più importanti della Campania. Taurasi, il borgo medievale di origine longobarda, che con la sua rocca presidia la valle del fiume Calore.

Taurasi conquista importanza strategica nel mondo del vino a partire dal 1928, grazie alla ferrovia del vino; da qui infatti partivano i vagoni di Aglianico per rimpinguare la produzione di centinaia di aziende italiane e francesi, allora pesantemente colpite dai danni della fillossera.

La storia di Antica Hirpinia inizia qualche decennio più tardi, nel 1959, prima come Cooperativa Vitivinicola Sociale, poi come Enopolio regionale di Taurasi, quando, nel 1972, si rese necessario sostenere i piccoli contadini viticoltori garantendo la giusta remunerazione delle uve per evitare l’espianto di molti vigneti.

Nel 1992 la cantina prende il nome attuale e l’anno successivo esce la fascetta numero 00000001 della neonata DOCG Taurasi. Al 2016 risale l’attuale forma societaria, grazie a tre amici che rilevano la cantina e danno il via a una graduale ristrutturazione dell’azienda: Alfonso Romano, Benedetto Roberto e Ciriaco Bianco.

Oggi Antica Hirpinia si colloca sul mercato con due linee rappresentative del territorio quali Antica Hirpinia e Anno Domini 1590, senza perdere di vista le richieste del consumatore moderno alla continua ricerca di vini sempre meno muscolari, più fruttati e freschi. Un fattore che rende necessario un cambio di passo, soprattutto in vigna, atto ad assecondare variazioni climatiche sempre più evidenti anche nelle variazioni fenologiche della vite.

Così spiega la filosofia produttiva di Maurilio Chioccia, il consulente esterno che coadiuva Lorenzo Iannotti, enologo interno. Tale lavoro si basa su un patrimonio vinicolo di proprietà di venti ettari, costituito da vigne disperse e piccole, alternate ad un ambiente pedoclimatico variegato, che dà alla produzione un carattere di esclusività. Lo abbiamo toccato con mano in un tour di vigneti che, lo scorso 31 agosto, ci ha portato dalla contrada Arianiello di Lapio – dove sorge il più giovane impianto aziendale di Fiano – fino alle vigne di Aglianico di Fontanarosa, passando per i poderi storici in Località Ferrume (sempre a Lapio).

Sono ancora presenti e produttivi piedi di vite di oltre 100 anni, da cui si ricavano le marze dei nuovi vigneti, e un impianto a raggiera di fiano su piede franco di oltre cinquant’anni. L’attuale produzione della cantina si aggira intorno alle 200.000 bottiglie distribuite sulle due linee. Anno Domini 1590 è la linea che si posiziona sul mercato col prezzo più competitivo, avendo tra i canali di distribuzione anche la GDO.

Prodotta esclusivamente da uve conferite, rappresenta il 60-70% di produzione dell’azienda a seconda delle annate. Con il nome di questa linea, la cantina ha voluto sottolineare il legame storico con la città di Taurasi: al 1590 infatti risale il delitto d’onore compiuto da Carlo Gesualdo, signore di Taurasi e nipote di San Carlo Borromeo, che nello stesso anno stabilì definitivamente la sua residenza in Irpinia.

La linea Antica Hirpinia racchiude i vini top di gamma destinati a enoteche e canale Ho.Re.Ca; è prodotta dai venti ettari di proprietà dei tre soci oltre a quelli di qualche conferitore selezionato. Si aggira attorno a una produzione media di circa 10.000 bottiglie per etichetta, che vanno dalle 4000 unità del Fiano Riserva alle 15.000 del Taurasi. I vini di questa seconda linea sono stati oggetto di una degustazione, guidata dai due enologi della cantina, al rientro dal tour delle vigne organizzato dall’esperta in comunicazione Maddalena Mazzeschi.

I vini bianchi, un ventaglio dei principali vitigni irpini, convincono nell’esprimere il carattere di territorialità: iniziamo con la Coda di Volpe Irpinia Doc 2023, verticale e sapida; a seguire la Falanghina Irpinia Doc 2023, con marcati caratteri di freschezza citrina, il Fiano di Avellino Docg 2023, compatto ed elegante nei sentori di fiori di campo e miele ed il Greco di Tufo Docg 2023 che risalta il carattere salino e sentori di bergamotto.

I bianchi terminano con Desmòs, Fiano di Avellino Docg Riserva 2022, l’unico a prevedere un passaggio in barrique, opulento all’olfatto, ma strutturato e piacevole al palato. La 2023 è la prima prova per l’Aglianico Rosato Irpinia Doc che tra sentori di melagrana e mora di rovo esprime una nota acida non ancora ben bilanciata. Tra i rossi, l’Aglianico Irpinia Doc 2019, evidenzia i caratteri tipici del vitigno, ma con un tannino giovane, a tratti ancora scalpitante, nel complesso moderatamente equilibrato grazie al passaggio in legno grande da 80 ettolitri.

Il Taurasi Docg 2018, maturato esclusivamente in barrique, regala un tannino maggiormente levigato, ma non ancora perfettamente integrato. Il Taurasi Riserva Docg 2014, figlio di un’annata particolarmente piovosa, ha sentori di prugna in confettura, spezie dolci, foglia di tabacco e cenere; coerente al naso ed al palato si abbina con sorprendente piacevolezza al cremoso di cioccolato fondente con confettura di Aglianico e crema di caciocavallo che chiude il pranzo seguito al termine della degustazione.

ANTICA HIRPINIA

Contrada Lenze snc

83030 Taurasi (AV)

Un giorno in Costiera Amalfitana: divina poesia

“Ma come fanno i marinai” cantava il duo De Gregori – Dalla. Come fanno davvero a non restare allibiti dalla bellezza di un posto senza tempo, perso tra curve e fiordi, limoneti e vigne a strapiombo sulle acque blu?

La Costiera Amalfitana, per tutti la Divina, nasconde storie e tradizioni tramandate di generazione in generazione, quando anche in questo luogo si soffriva la fame di lavoro e l’unica alternativa possibile era l’emigrazione. Ancor più dolce il ritorno di chi aveva fatto fortuna, o semplicemente sentiva nostalgia, la saudade dei popoli di mare che mal sopportano freddo e polvere.

Tra i suoi borghi, il vento placido ti porta ad assaporare gusti che accomunano territori diversi delle coste campane. Il pescato è il principe della tavola, qui proposto sempre in versioni delicate e ben unite ai vini tipici a base di Falanghina, Biancolella e molte varietà semisconosciute ai registri ampelografici. Ripolo (o Ripoli), Ginestra, Biancazita, Pepella, sono solo alcuni dei nomi curiosi di varietà d’uva coltivate dalla notte dei tempi. Un patrimonio inestimabile conservato con cura da aziende storiche come le Cantine Marisa Cuomo di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo, sposati per amore di intenti e passione infinita verso il territorio.

Un calice di Furore Bianco, dalla profonda vena aromatica e minerale, quasi salmastra all’assaggio, o dell’emblema Fiorduva capolavoro concepito dalla mente brillante dell’enologo Luigi Moio, sono l’incipit ideale per un pranzo sulla terrazza panoramica dell’Hostaria Baccofurore dal 1930. Donna Erminia gestisce sia l’albergo che il ristorante assieme al figlio Domenico. Il nonno veniva chiamato “Bacco” perché latifondista che produceva vino e nel 1930 nasce la locanda per offrire ristoro alle maestranze locali durante i lavori per la strada collegamento Amalfi-Agerola.

I primi avventori 2 esterni furono il medico condotto Francesco Sirica e la moglie, entrambi di Sarno. Artisti di strada hanno affrescato le mura d’ingresso in onore all’ospitalità dei proprietari. Qui c’era solo terra e vigna e si mangiava pollo alla diavola, cannelloni, pasta al forno e minestre maritate. Adesso i gusti sono cambiati e la ricerca dell’eleganza di piatti e sapori è nelle mani dello chef Raffaele Afeltra.

Ad esempio: pane al pomodoro con burro aromatizzato e alici di cetara, il polpo scottato su insalata di fagiolini e patate e il risotto con crudo di gamberi uova di lompo e spuma al prezzemolo. Ricette efficaci, che partono da materie prime a km zero invidiate in tutto il mondo. Ma la vera emozione va ricercata nelle parole di Donna Erminia Cuomo, sorella di Marisa, che da un paesino della Bosnia Erzegovina si è spostata seguendo il cuore. E con il cuore si sbaglia difficilmente.

Si va a ritroso verso Salerno, arrivando nel piccolo borgo di Cetara. Negli occhi i colori ed i profumi dei limoni amalfitani, lo “Sfusato” ricco di essenze e adatto per la sua scorza coriacea ad infusi e liquori tra cui il celebre Limoncello.

La nostra attenzione viene catturata da un prodotto ittico che ha fatto la storia di queste terre: la colatura d’alici. Ce ne parla Giulio Giordano della ditta Nettuno, che parte dalle origini dei tempi romani, quando si produceva il “garum” una sorta di salsa condimento per gli alimenti dell’epoca.

Naturalmente le tecniche sono diverse rispetto ad allora, mantenendo comunque due componenti fondamentali nei secoli: la qualità delle alici, rigorosamente cetaresi e la manualità di chi esegue i vari procedimenti. Dalla “scapezzatura”, quando vengono tolte le teste e le viscere ai pesci prima di essere adagiati con il sale in un caratello di castagno, si perde circa il 70% dei liquidi non commestibili. Segue la “nzuscatura” con la pulizia delle alici e il reinserimento nelle piccole botti di legno con il metodo pancia-schiena a strati sovrapposti, per evitare spazi liberi e consentire al sale di estrarre il prezioso liquido che arriverà ad essere estratto, tramite percolazione, dopo ben 36 mesi.

Un colore ambrato, denso di personalità aromatica, che solo con poche gocce riesce a cambiare il volto delle pietanze donandone sapidità e persistenza. La Divina Costiera non finisce mai di stupire.

Tutti in treno con Irpinia Express

Non c’erano fazzoletti sventolanti al binario 2 di Avellino centrale, quando venerdì 30 agosto è partito il treno storico Irpinia Express, ma l’emozione, il fascino, le suggestioni e le attese generate da quel vecchio convoglio a trazione diesel erano evidenti tra le molte persone a bordo. E’ cominciato così, il lento viaggio lungo la via ferrata che dal capoluogo irpino raggiungeva, un tempo, il capolinea pugliese di Rocchetta Sant’Antonio.

In compagnia di Alessandro Graziano di Visit Irpinia e chef Mirko Balzano direttore artistico di Irpinia Mood, la comitiva di ospiti, giornalisti, blogger, ristoratori, fotoreporter, operatori della comunicazione hanno percorso la prima parte della tratta che da Avellino descrive il cosiddetto Cammino di San Guglielmo.

Da sinistra chef Mirko Balzano e il sindaco di Montella Rizieri Rino Buonopane

Un verde mosaico di vigneti, oliveti, boschi cedui e castagneti tra loro incastonati tra i quali fanno capolino i borghi di Salza Irpina, Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Taurasi, Luogosano, Paternopoli, Castelvetere sul Calore, Castelfranci, Montemarano, Cassano Irpino fino alla tappa finale di Montella.

Lo storytelling degli albori della vecchia ferrovia, con l’intrigante correlata aneddotica, è stato tenuto dai volontari dell’Associazione InLocoMotivi che opera in supporto di Fondazione Ferrovie dello Stato mentre, insieme al caffè di benvenuto, venivano dispensate amorevoli coccole a base di pasticcini e croissant di Dolciarte, la rinomata pasticceria avellinese di Carmen Vecchione.

Il lento incedere del convoglio dagli allegri salottini cinabrici ha proiettato i partecipanti in una dimensione “sine tempore”, continuamente attratti da rapidi cambi di scenario, lunghe gallerie e numerosissimi ponti di intersezione dei binari con l’asta fluviale del Calore. Fino ai 35 metri di altezza del famoso ponte Principe, ardita costruzione in acciaio lunga oltre 280 metri, di realizzazione fine-ottocentesca su progetto ingegneristico della società Strade Ferrate del Mediterraneo.

L’arrivo a Montella, dopo oltre 90 minuti di viaggio per i pochissimi chilometri percorsi, ha evocato il fascino concettuale del “féstina lente”, apparente ossimoro latino: quell’affréttati lentamente del quale non siamo più capaci nel turbinio della nostra spasmodica quotidianità. Solo il tempo del trasbordo e dei ringraziamenti agli appassionati volontari di InLocoMotivi ed eccoci giunti, al cospetto di Gilberto Soriano (col suo fedelissimo e mansueto… attendente Dadà, l’asinello di casa) patron del bioparco di fattoria Rosabella che sorge a valle del Monte Accellica sviluppando lungo i rivoli sorgenti del fiume Calore.

Lungo la camminata per raggiungere la cascata della Madonnella Gilberto ha copiosamente dispensato preziose informazioni e curiosità su castagne e castagneti, biodiversità presente nel Parco, microclima e fauna dell’areale, servizi e funzioni del bioparco; al termine della piacevole escursione un ghiotto spuntino  a base di salumi e formaggi della casa accompagnati a un fresco bicchiere di Fiano o di corposo Aglianico irpini sono stati offerti come… amuse-bouche al pranzo che attendeva il gruppo di li a poco.

Solo il tempo di riprendere le navette con destinazione Casale del Monte ed ecco aprirsi un nuovo spettacolare panorama dal sagrato di Santa Maria della neve, un complesso monastico con annesso chiostro e romitorio realizzato, per successive stratificazioni storiche, a partire dalla seconda metà del XVI secolo. Gli onori di casa, questa volta, sono toccati al Sindaco di Montella nonché Presidente della Provincia di Avellino, Rizieri Rino Buonopane che, unitosi al gruppo, ha accompagnato i suoi ospiti fino al rientro in stazione FS del paese.

La bellezza mistica ed austera dei luoghi non ha affatto precluso al gusto di un ricchissimo buffet a base di ricette e preparazioni della tradizione popolare, magistralmente curato dal montellese Ristorante Zia Carmela. Indimenticabili, tra gli altri manicaretti, la zuppa di ceci e funghi porcini all’olio extravergine di ravece e il cannolo alla ricotta farcito all’istante.

La susseguente visita al romitorio è davvero imperdibile. Un sapiente lavoro di restauro e recupero funzionale ha avuto il pregio di valorizzare i luoghi esterni ed interni e le loro originarie funzioni, come nel caso delle ampie cucine, del chiostro, delle ancestrali toilette ad uso dei monaci e del locale con tetto a camino ove venivano essiccate, tramite affumicatura, le famose castagne del prete montellesi.

Proprio la castagna – massima espressione del genius loci montellese – è stata protagonista dell’ultima tappa del viaggio presso la antica e rinomata azienda castanicola di proprietà della famiglia Malerba. Il piccolo museo contadino aziendale e l’illustrazione del processo produttivo della castagna, prima in campo, poi nelle lunghe fasi di stoccaggio, lavorazione, conservazione, trasformazione ed uso gastronomico ha fatto da preludio all’assaggio del dolce frutto nelle sue numerose (dolci e salate) “interpretazioni”, non ultime l’originale liquore e la sorprendente produzione brassicola della birra alla castagna.

La tirannia del tempo che scorre, troppo veloce al cospetto di così tante ipnotiche suggestioni, ha obbligato la compagnia a salutare i propri straordinari ospiti per far rientro a Borgo ferrovia in Avellino. Non senza foto di gruppo di prammatica.

“Autoctono” il festival del vino di Moio della Civitella

Buona la prima. Nel piccolo e delizioso borgo di Pellare, frazione di Moio della Civitella (SA), incastonato nel cuore del Cilento, si è appena conclusa la prima edizione di “Autoctono” – Il Festival del Vino di Moio della Civitella.

L’evento, inaugurato il 17 agosto, si è svolto in una tre giorni organizzata dalla Pro Loco e dal Comune di Moio della Civitella, con l’intenzione di celebrare e valorizzare le tradizioni vinicole locali e di mettere in luce le varietà autoctone di vino e la cultura enologica della regione.

Il nome “Autoctono”, richiama immediatamente l’idea di un ritorno alle origini, un legame profondo con la terra e i vitigni locali. Storicamente il Comune di Moio della Civitella vanta una tradizione vitivinicola antica regalando in passato al Cilento vini degni di nota. Le colline che circondano il Comune, con un’altitudine tra i 450 e i 600 metri sul livello del mare, esposte verso la costa del Cilento sono sempre stati terrazzamenti con vigneti e uva da tante varietà.

La kermesse si è concentrata sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni: tra i protagonisti indiscussi troviamo il Fiano e l’Aglianico, noti per la loro complessità aromatica e la capacità di esprimere in ogni calice il carattere del territorio. Ma non sono mancate le attenzioni al vitigno Santa Sofia e ad altri vitigni storicamente piantumati nel territorio come Aglianicone e Aleatico, Malvasia e Coda di Volpe.

Undici cantine cilentane hanno appoggiato il progetto e l’iniziativa, mettendo a disposizione degli organizzatori e dei partecipanti la loro esperienza, i loro prodotti e la loro professionalità. Aziende che con fatica e passione, in un territorio a naturale vocazione biologica, ogni giorno si impegnano per garantire nei loro prodotti qualità, gusto ed esperienze sensoriali altamente emozionanti.

Ci piace ricordarle tutte: San Salvatore 1988, Albamarina, Barone, Ferrazzano, Pippo Greco, Tenute Cobellis, Botti, Tredaniele, Alfonso Rotolo, Donna Clara, Tenuta Conte di Anghirri. Undici indiscusse protagoniste, ai banchi d’assaggio per le strade del paese, hanno fatto degustare ai visitatori i loro vini raccontandone le caratteristiche, le tecniche di vinificazione e l’unicità.

Inoltre, il festival si è arricchito di momenti culturali: conferenze con produttori, convegni sul ruolo del vino nella valorizzazione del territorio e sulla salvaguardia dei vitigni autoctoni, visite alle zone archeologiche e al museo della tradizione contadina, laboratori, mostre, etc…

“Autoctono” non è stata solo una festa del vino, ma un’esperienza sensoriale a tutto tondo. Le piazze e i vicoli del borgo si sono trasformati in un itinerario enogastronomico, tra stand dove i visitatori hanno potuto scoprire e apprezzare non solo i vini, ma anche le specialità gastronomiche locali, quali formaggi, salumi, fusilli al ragù di castrato, pasta e fagioli, arrosticini, salsiccia e pancetta, caciocavallo impiccato e dolci di varia natura. A tema internazionale sono stati i piatti contenenti le “Arepas”, per nulla fuori tema, ma anzi fortemente voluti per comunicare ai visitatori la forte presenza di emigranti del luogo in Venezuela. E poi mostre, artigiani, artisti e spettacoli unendo musica e tradizione, il tutto in un’atmosfera conviviale e accogliente, che riflette l’anima autentica del Cilento.

Nonostante si trattasse della prima edizione, “Autoctono” ha registrato un ottimo riscontro di pubblico, attirando non solo abitanti del luogo, ma anche turisti e professionisti del settore enogastronomico. La partecipazione entusiasta ha dimostrato come ci sia un crescente interesse verso i prodotti locali autentici e verso un modo di fare vino che rispetta l’ambiente e valorizza le peculiarità del territorio.

Il successo di questa prima edizione fa ben sperare per il futuro, che potrebbe diventare un appuntamento fisso nel panorama degli eventi enologici italiani. Gli organizzatori stanno pensando ad ampliare l’offerta per la prossima edizione, con l’obiettivo di coinvolgere un numero ancora maggiore di produttori e di ampliare l’eco dell’iniziativa.

White Summer 2024

Per il dodicesimo anno, Città del Gusto Napoli ha rinnovato l’appuntamento con “White Summer”. Una festa glamour dedicata al solstizio d’estate organizzata da Gambero Rosso presso “l’Hotel Resort Le Axidie” di Marina d’Aequa di Vico Equense.

Un luogo incantevole incastonato in uno splendido scorcio della Penisola Sorrentina, da dove è possibile ammirare il Vesuvio che domina il bellissimo, ed unico al mondo, golfo di Napoli. L’area delle Axidie ha fatto da cornice all’evento all’insegna del benessere; una terrazza che tra le sue varie piscine ha permesso un piacevole percorso enogastronomico.

Il protagonista assoluto, come abbiamo già rimarcato, è stato il bianco, sia da bere (come vino) sia da indossare: eravamo tutti rigorosamente vestiti di bianco.

Quest’anno, oltre a varie etichette di vini bianchi Campani messi a disposizione del pubblico, ce ne sono state alcune di altre zone d’Italia e soprattutto quelle fornite dal Consorzio Tutela Lugana DOC. Uno splendido territorio che ricade ai confini di Lombardia e Veneto, rispettivamente tra le provincie di Brescia (Sirmione, e parte di Pozzolengo, Desenzano e Lonato) e Verona (parte di Peschiera), affacciandosi sul Lago di Garda. Un’areale che conosciamo e apprezziamo da sempre, ma che dalle nostre parti non sempre troviamo nelle carte vini.

Un terroir per lo più pianeggiante formatosi dallo scioglimento dei ghiacciai della Valle dell’Adige i cui terreni di matrice argillosa, nella fascia collinare, si mescolano a percentuali di sabbia. Il microclima è influenzato dalle brezze mitigatrici del lago che rendono il clima di tipo mediterraneo. I vini prodotti con un minimo del 90% di Trebbiano di Soave, localmente detto Turbiana o Trebbiano di Lugana, esprimono profumi vigorosi, netti, tra la mandorla e l’agrume, con un’ossatura strutturale fresco sapida.

Tra le circa 20 aziende del Consorzio presenti, ho assaggiato varie tipologie: dallo spumante da metodo charmat come quello di Corte Sermana agli ottimi metodi classici di Olivini e Ca’ Maiol; vari fermi, anche nella versione superiore di Ca’ Maiol e riserva di Le Morette 2023.

Da altre parti d’Italia c’era la possibilità di assaggiare il Bellone di Casale del Giglio o il Verdicchio dei Castelli di Jesi di Umani Ronchi. I vini campani delle varie provincie erano rappresentati in parte: la Penisola Sorrentina DOP Sorrento di De Angelis; la Costa d’Amalfi con il Furore Bianco di Marisa Cuomo o il Bianco di Raffaele Palma; le Falanghine dei Campi Flegrei di Portolano, Cantine Astroni e Federiciane, del Beneventano di Cantina dei Monaci, o quella Irpina di Macchie santa Maria; non potevano certamente mancare i Fiano di Avellino e Greco di Tufo, rappresentati dai vari Borgodangelo, Montesole e Nardone. Se proprio devo fare un appunto, mi rammarico della mancanza di almeno un’azienda del Casertano con un asprinio d’Aversa, un pallagrello bianco o un Falerno del Massico. Sarà per la prossima volta.

Un plauso particolare ad Ais Campania che con i propri sommelier ha gestito in modo perfetto il servizio.

I banchi d’assaggio gastronomici di vari produttori ed artigiani del territorio, si alternavano armonicamente a quelli dei vini, in modo da sostenere le varie bevute e, perché no, stimolare il gioco degli abbinamenti. Sono partito da un maestro della panificazione come “Malafronte”, assaggiando il pane da lievito madre e i grissini stirati a mano, che mi hanno permesso di accompagnare anche le mozzarelle pugliesi della Murgia del caseificio “Gioiella” di Gioia del Colle. Da buon napoletano, sono stato poi piacevolmente attratto dal biscotto sbagliato di San Tarallo, e cioè i taralli gourmet della pasticceria “Celestina”, che li ha proposti anche al sacro ragù e alla benedetta genovese, come resistergli. Non poteva mancare qualche spicchio di pizza, quella di “Impasto Vivo”.

Mi sono poi avvicinato al tavolo dello Chef Executive De Luca delle Axidie, che con uno show cooking dal vivo, ci ha deliziato con dei primi piatti di pasta e riso.

Per completare il percorso, non mi sono certo perso le dolcezze di “Laurita Atelier di Pasticceria” e i gelati e sorbetti gourmet della gelateria “Ikigai”.

Una bellissima serata a cui non è mancata una selezione musicale di un bravissimo Dj che ci ha allietato gradevolmente per tutta la durata dell’evento. Una serata di cui il mondo enogastronomico ha sempre bisogno, per comunicare al meglio le proprie eccellenze anche in Campania.

Arrivederci all’anno prossimo!

Metti una sera a cena al ristorante Dei Cappuccini dell’Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel

Ho sempre amato le sfide, specie quelle senza un vincitore. I veri duelli sono altri e presuppongono caratteristiche d’animo che non mi sono mai appartenute. Meglio le nobili tenzoni tra calici, posate ed eleganti tovagliati dove il gusto diventa il vero protagonista, con un tocco di cultura enogastronomica per comparare idee ed esperienze differenti.

Una “cena a quattro mani” rappresenta questo e molto altro. A cominciare dalle sinergie, quelle tra due strutture di un rinomato brand per esempio: Anantara Convento di Amalfi Grand Hotel e Anantara Grand Hotel Krasnapolsky Amsterdam. L’occasione vede coinvolti due chef di eccezionale talento, ciascuno con una distinta storia e tradizione.

Claudio Lanuto, Executive Chef del Ristorante Dei Cappuccini, e Tristan de Boer, Chef de Cuisine del ristorante 1 stella Michelin The White Room di Anantara Grand Hotel Krasnapolsky Amsterdam, hanno collaborato nel creare un menu di otto portate davvero superbo.

Chef Claudio Lanuto

Claudio sa valorizzare le materie prime a chilometro zero, esaltando i profumi ed i sapori della Divina Costiera. Le doti tecniche si fondono alla perfezione con gli ingredienti del suo orto, immancabili nelle pietanze ricche di gusto estetico e pratico.

Sono felice e onorato di questa collaborazione“. Racconta l’Executive Chef Claudio Lanuto.È un affascinante incontro tra Amalfi e Amsterdam, dove due tradizioni così distinte si fondono in un’armonia perfetta. Attraverso l’uso di ingredienti comuni, ma con interpretazioni diverse, rispettiamo e valorizziamo la stagionalità di ogni prodotto. Auspico sinceramente che questa collaborazione sia solo l’inizio di una lunga serie di eventi che celebrano la diversità e la ricchezza delle nostre tradizioni gastronomiche.

Chef Tristan de Boer

Tristan de Boer, classe ’93, è invece lo chef di The White Room di Anantara Grand Hotel Krasnapolsky Amsterdam. Cresciuto in una città ricca di culture diverse, ha sviluppato uno stile culinario unico che fonde elementi della cucina indonesiana, giapponese, tailandese e del Suriname con la tradizione locale. Ha iniziato la sua carriera a soli 13 anni e ha lavorato in ristoranti stellati come Ron Blaauw**, Aan de Poel** e Librije’s Zusje** (ora Spectrum**), diventando Souschef a 23 anni.

In seguito, è stato capo chef del 101 Gowrie, dove ha vinto il premio “giovane chef dell’anno” della Michelin, e Chef dell’Hotel Conservatorium. Al The White Room, Tristan esprime la sua creatività con piatti innovativi che utilizzano ingredienti insoliti, come geranio e Madame Jeanette, cercando sempre di superare le aspettative degli ospiti.

Due visioni opposte, unite dalla passione per la cucina d’autore e la sperimentazione. Innegabile che il luogo, il contesto particolare, determini poi lo stile in cucina. Una capitale europea come Amsterdam, crea maggior possibilità per avvicinarsi alle contaminazioni internazionali. Parimenti Amalfi sa accogliere turisti da ogni Nazione, che si adattano subito e anzi cercano le bellissime experience nostrane che noi campani dimentichiamo di avere a portata di mano. Pasta, verdure, erbe officinali ed il pescato del giorno, cucinato nei modi più delicati possibili.

Ed a proposito di piatti, merita una degna menzione l’entrée proposto da Tristan a base di gambero rosso, caffè e zenzero marinato, così come la ricciola con geranio limone, dashi affumicato e bergamotto, di gran lunga il piatto migliore della serata.

Chef Lanuto ha saputo destreggiarsi nel rituale del pane con burro montato alle erbe della Costiera e nel dentice alla griglia con peperoni friggitelli, capperi e olive di una concretezza disarmante.

Nel dolce permane una situazione di pareggio tra la morbida mousse di limone, liquirizia, fragola e dragoncello e una tonica pesca bianca con limoncello, latticello e limone d’Amalfi forse troppo energica per le abitudini gastronomiche italiane.

La nouvelle vague dei dessert richiede ormai sempre maggior contrasto tra sensazioni dolci e acide o astringenti; l’opinione da critico del sottoscritto, che nulla aggiunge alla magnifica serata evento, è che tutto va bene a patto che avvenga cum grano salis.

“Calici di Stelle” a Sorrento con la cantina De Angelis 1930

Comunicato Stampa

Per la prima volta a Sorrento arriva Calici di Stelle, l’evento a cura del Movimento Turismo del Vino. L’edizione 2024 ha avuto come temi Mitologia – “Bacco e il vino” e “Astronomia e costellazioni”

Calice di Stelle nell’orto della Regina, organizzato dalla cantina De Angelis 1930 in collaborazione con il Relais Regina Giovanna, si è svolto il 20 Agosto nel ristorante pergolato “Pane & Olio”, complice la super Luna di agosto e l’affaccio panoramico sulla baia di Puolo e il Golfo di Sorrento, che hanno fatto da cornice alla passeggiata notturna in vigna al termine della serata.

“La Penisola Sorrentina ha un potenziale enorme per sviluppare un’offerta di enoturismo completa, grazie alla sua ricchezza paesaggistica, culturale e gastronomica” ha dichiarato Francesco Di Somma, titolare di De Angelis 1930. “Tuttavia – prosegue Di Somma – per diventare una destinazione di enoturismo a pieno titolo, ci sono alcuni elementi chiave che potrebbero essere sviluppati ulteriormente: primo tra tutti un Progetto condiviso con gli imprenditori della ristorazione e dell’ospitalità, che ancora non hanno ben focalizzato la ricchezza e la potenzialità del prodotto vino Penisola Sorrentina”.

Il focus della serata si è di fatto incentrato sulle tre etichette della cantina che rientrano nella doc Penisola Sorrentina sottozona Sorrento: Sorrento Bianco, Sorrento Rosso e Kalliope.

La Doc, riconosciuta nel 1994, ricomprende anche i vini prodotti nel territorio dei Monti Lattari – in primis i ben noti Gragnano e Lettere; è invece poco conosciuta per i vini della sottozona Sorrento, che per ottenere tale menzione possono essere vinificati solo a partire da uve provenienti dai comuni di Sorrento, Massa Lubrense, Sant’Agnello, Piano di Sorrento, Meta e Vico Equense. La cantina De Angelis 1930 è l’unica cantina a produrli nella città di Sorrento. Si tratta di vini fermi e secchi, la cui base ampelografica è costituita da falanghina, biancolella, greco bianco, per i bianchi, piedirosso, aglianico e sciascinoso per i rossi.

La viticoltura in Penisola Sorrentina è praticata sin dall’antichità, come dimostrano le fonti classiche che diffusamente parlano del vino Surrentium. Mentre il poeta Stazio (I secolo d.C.) in una delle sue composizioni poetiche, parlando della Villa di Pollio Felice, dimora residenziale risalente al I secolo dC posta  fuori Sorrento dove ora sorgono il Relais Regina Giovanna e una delle vigne della cantina De Angelis, scrive:

La villa di Pollio è posta in alto, di fronte al golfo, sui colli dove l’uva non teme confronti con quella del Falerno e i vigneti scendono giù a terrazze fin quasi sugli scogli, sÌ che le ninfe marine vengono di notte a rubarvi i grappoli”.

Oltre al Sorrento, durante la serata sono state degustate anche le tre Lacryma Christi del Vesuvio, Gaius, Plinius e Drusilla, rispettivamente bianco, rosso e rosato, che la cantina De Angelis 1930, in deroga al disciplinare, è autorizzata a vinificare fuori dall’areale della dop Vesuvio.

La passeggiata notturna nella vigna, affacciata sul mare e sul Vesuvio, è stata l’occasione per parlare di mitologia, Bacco e vino: dal legame tra la Penisola Sorrentina e le Sirene, che secondo il mito avevano dimora  in queste acque e dal cui nome secondo la tradizione deriverebbe quello di Sorrento, passando per la leggenda della Lacryma Christi del Vesuvio fino ad arrivare alle rovine della villa romana di Pollio Felice che sorgeva proprio qui.

La proposta gastronomica a buffet del Relais Regina Giovanna e del suo Ristorante Pane & Olio si è  basata su prodotti a chilometro zero biologici provenienti dagli orti della proprietà e proposti come antipasti, contorni in abbinamento a pizze rustiche e quiche, condimento per le pizze napoletane sfornate al momento e per il piatto principale, la pasta alla Nerano, preparata davanti agli ospiti.

Il Pomodorino Cannellino Flegreo unisce storia e gastronomia della Campania

Che cosa accomuna le rovine dell’antica Cuma e un pomodorino di forma oblunga e gusto versatile? Semplice: il territorio dei Campi Flegrei ricco di storia e cultura enogastronomica. Se poi parte delle coltivazioni del Pomodorino Cannellino Flegreo sono localizzate nella città bassa del Parco Archeologico di Cuma, la suggestione di trovarsi in un’area densa di cultura diventa una realtà tangibile e concreta.

La giornata del 22 Luglio, inizio della raccolta stagionale del Pomodorino Cannellino Flegreo, è stata anche quest’anno l’occasione per promuovere alla presenza di stampa locale e nazionale l’agricoltura di qualità, in concomitanza della visita agli scavi. Una bella iniziativa di promozione volta a rafforzare  il filo diretto che lega una delle storiche colonie della Magna Grecia (la fondazione di Κύμη risale all’VIII secolo avanti Cristo) con un ecotipo attestato sul territorio almeno dalla fine dell’Ottocento.

La manifestazione è stata organizzata dall’Azienda Cumadoro, in collaborazione con l’Associazione del Pomodoro Cannellino Flegreo e con il Patrocinio del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, l’Ente Regionale dei Campi Flegrei e il Comune di Pozzuoli.

Durante la serata Giovanni Tammaro, amministratore delegato di Cumadoro, ha raccontato un progetto nato nel 2018 con la creazione, insieme ad un pugno di giovani agricoltori-imprenditori locali, dell’Associazione del Pomodoro Cannellino Flegreo, ma che affonda le sue radici in un’epoca molto più lontana dato che questa tipologia di pomodoro è coltivato localmente da oltre un secolo. La famiglia Tammaro, con il suo vivaio, è custode del seme per la riproduzione, conservato anche nella banca semi della Regione Campania. Giovanni ha spiegato come un ricordo d’infanzia, quello del ragù preparato in famiglia proprio con questi pomodoroi, si è trasformato nella volontà di diffondere la conoscenza di questa coltivazione oltre che di creare opportunità di crescita e sviluppo per il territorio.

In questo senso il progetto è rientrato nel Monterusciello Agro City (MAC), finanziato nell’ambito dell’UIA (Urban Innovative Action), un’iniziativa dell’Unione Europea volta al recupero e alla valorizzazione delle aree urbane. Dal 2018 a oggi gli ettari totali coltivati a Pomodorino Cannellino Flegreo sono passati da 3 a 50, di cui 10 all’interno del Parco archeologico, e l’obiettivo rimane quello della crescita costante.

“Si deve cercare di fare sempre più sistema attraverso produzioni DOP e IGP”, ha commentato l’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania Nicola Caputo, intervenuto all’evento, “Gli agricoltori devono convincersi che bisogna stare insieme: vinciamo se vinciamo tutti”.

Il Pomodorino Cannellino Flegreo deve il suo nome alle canne a cui vengono legate le piante per sollevarle da terra e che caratterizzano il panorama dei campi coltivati. Si è adattato in maniera ideale ai terreni sabbioso-vulcanici dell’area flegrea; ha forma oblunga, con una lieve strozzatura al centro, e pesa 15-20 grammi; il gusto a tendenza dolce, unito a una buona sapidità, ne fa un prodotto versatile sia nelle preparazioni salate che dolci, mentre la buccia sottile lo rende particolarmente vocato a trasformazione in salse e conserve.

Dopo la visita agli scavi di Cuma con una guida d’eccezione – Fabio Pagano, direttore del Parco Archeologico – abbiamo avuto l’occasione di degustare il pomodorino, declinato in varie proposte gastronomiche, grazie alla partecipazione di numerosi professionisti locali della ristorazione.

Dallo Scialatiello 2.0 con pomodorino e burrata al cheesecake al Pomodoro Cannellino Flegreo, passando per il bocconcino di tonno in doppia consistenza di Pomodoro Cannellino Flegreo e crumble di fresella, abbiamo potuto constatare la grande versatilità di questo prodotto, sempre più richiesto sul mercato della ristorazione e da poco entrato in Rossopomodoro, catena di ristoranti e pizzerie napoletane diffuse in Italia e all’estero.

Rimane di questa serata un’immagine suggestiva: la città alta di Cuma si affaccia da un lato su quel braccio di mare in cui la nostra storia più antica affonda le sue radici, dall’altro sulla piana che, grazie a un’agricoltura sostenibile e di qualità, promette prospettive di crescita nel futuro del territorio.