Modigliana. Storie di gente, appennino, vini

È il turno anche di Modigliana di aprire e mostrare il suo piumaggio al resto della Romagna, come un pavone dai colori sgargianti. Lo fa come di consuetudine, con l’immancabile appuntamento dell’ormai rinomata associazione “Stella dell’Appennino”, arrivato al suo 7° anno consecutivo.

Un “weekend lungo”, svoltosi al mercato coperto di Modigliana e iniziato sabato 9 settembre con la presentazione del libro illustrato “Modigliana. Storie di gente, appennino, vini” a cura di Giorgio Melandri e firmato dai migliori giornalisti italiani del vino e dal fotografo Maurizio Gjivovich. E poi banchi d’assaggio: nella giornata di domenica 10 settembre, aperto al pubblico con le deliziose piadine di Fabrizio e Andrea Donatini ad accompagnare le degustazioni; e lunedì 11 settembre, aperto agli “addetti al settore”, con un servizio ristoro curato da l’Osteria La Campanara di Pianetto e l’Osteria La Zabariona di Ravenna.

L’appuntamento con i produttori appenninici è sempre molto atteso, ma quest’anno addirittura emozionante dopo che l’intera regione è stata martoriata da alluvione e frane. Ancora una volta, vediamo come un evento possa trasmettere l’eloquente messaggio di resilienza, dimostrando che i romagnoli non solo non si fermano davanti a nulla, ma addirittura continuano a progredire.

L’evento infatti, rappresenta anche l’occasione per presentare la grande novità della vendemmia 2022. I vini di Modigliana, che fino ad ora era conosciuta principalmente per il suo Sangiovese, potranno ora fregiarsi della menzione Bianco Modigliana, un’innovazione frutto del risultato di un lungo processo di modifica delle regole della denominazione Romagna DOC. Menzione che prevede un minimo di 60% di trebbiano in abbinamento ad altri vitigni tipici a bacca bianca (fra cui il Sauvignon Blanc, vitigno internazionale che ha radici profonde in questa zona).

20Italie era presente, e per voi lettori ha selezionato alcune delle bevute più interessanti.

Fondo San Giuseppe “Modigliana” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Stefano Bariani non è solo Brisighella e ce lo dimostra con un vino che porta proprio il nome di Modigliana. Un sangiovese color rosso carminio intenso che cattura immediatamente l’attenzione. Al primo sorso, si apre con un carattere profondo e austero, rivelando note di frutti maturi e uno strato di spezie. La sua struttura è succosa e avvolgente, mentre la freschezza rimane costantemente presente, conferendo al vino un tocco vibrante che lo rende irresistibilmente equilibrato.

Il Pratello “Fornaci del Re” – 2022

Ci spostiamo a casa di Emilio Placci, precisamente in località Fornaci (che da anche il nome al vino). La nostra attenzione si posa su questo blend di albana e trebbiano, in parti rispettivamente al 75% e 25%. Oltre al paglierino luminescente, il calice attira per questi intensi aromi di mela cotogna e da un sottofondo di albicocca matura. Giunge anche una leggera nota di nocciola tostata che conferisce al bouquet un tocco di complessità e profondità. Il primo sorso rivela un vino sapido e fresco, con una piacevole acidità che rinfresca il palato combinata a un’invitante e dolce croccantezza.

Il Teatro “Atto II” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

Luca e Stefania de Il Teatro sono allievi dello stesso Placci e difatti la firma stilistica di questo Sangiovese ne è la prova. Rosso rubino intenso con delicati riflessi ancora purpurei. Predominanza al sorso di sentori di ciliegia matura e a tratti arancia sanguinella, per vertere poi su una spiccata balsamicità boschiva., rinfrescante e tagliente.

La Casetta dei Frati “Fragèlso” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2021

Entriamo nel mondo dei trebbiani in purezza degustando quello di Renzo Morresi, che stupisce per il contrasto dinamico che offre. Inizialmente percepiamo un’audace nota agrumata, che rende il vino spigoloso e “maschio”, vivace, vitale e vigoroso, proprio come il territorio d’altura da cui proviene, con la sua aria fresca e pungente. Ma qui sta la magia: mentre il vino si evolve sul palato, si apre a una seconda dimensione di ricchezza, struttura e corpo.

Lu.Va. ”Angiuli” – Romagna DOC Bianco Modigliana 2022

Lu.Va. Come le iniziali di Luciano e Valerio. Oggi è Luciano ad accoglierci con un sorriso al suo banco, dove fra le varie proposte ci colpisce proprio il suo bianco modigliana, un blend di trebbiano (65%), chardonnay (35%) e sauvignon blanc (5%). Proprio quest’ultimo dona l’iniziale nota erbacea che poi cede il passo agli aromi agrumati e floreali tipici del trebbiano d’altura. Il palato fresco e minerale si equilibra alla perfezione con la dolcezza non stucchevole dello chardonnay. Finale lungo con sentori rocciosi, che ci parla del terroir.

Menta e Rosmarino “Area 18 Bianco” – 2021

Solitamente i rifermentati in bottiglia sono vini gioiosi e divertenti, ma è raro che offrano quel “qualcosa in più”. Questo invece ci ha letteralmente sbalorditi. Principalmente composto da trebbiano, è in realtà quel 10% di albana da vecchie vigne a catturare l’attenzione. Francesco e Luciano hanno indubbiamente compiuto un lavoro minuzioso, permettendo all’albana (che solitamente in blend tende a nascondersi) di emergere con i suoi aromi distintivi di albicocca e salvia. Ricchezza, carattere e una bevuta fresca e vivace, accompagnata da un velo di astringenza (tipico dell’albana), creano un vino complesso e identitario.

Mutiliana “Ibbola” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2021

“Il Melandri”. Con il suo “Ibbola” vince quest’anno il premio “Stella d’oro”, dedicato appunto al vino che ha saputo più distinguersi nell’appennino. Come dice appunto il nome, le vigne sorgono nella valle Ibola, arenarie pure e quote elevate, laddove l’uva matura lentamente fino a fine ottobre, emerge un vino rosso dal registro austero e straordinariamente elegante. In bocca, una sorprendente e tagliente salinità si intreccia con tannini sottili, creando un’esperienza raffinata e distinta.

Pian di Stantino “Pian” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2022

L’artigiano del vino. Il collezionatore di vecchie vigne. Ci piace definire così Andrea Peradotto, soprattutto dopo l’assaggio della nuova annata di “Pian”. Aspetto lucente che rivela giovinezza e vitalità. Approccio olfattivo che svela un bouquet di fiori di montagna, a ricordare una passeggiata primaverile fra i pendii delle colline Romagnole. L’invitante delicatezza si sposa con l’eleganza dei tannini che troviamo al sorso. Emerge anche un che di roccia, che porta con sé mineralità. Sul finale addirittura note di caffè tostato.

Torre San Martino “Vigna 1922” – Romagna DOC Sangiovese Modigliana 2018

1922, come l’anno di nascita dei vigneti, rigorosamente allevati ad alberello e dal particolarissimo grappolo di piccole dimensioni. 18 mesi di barrique e 6 di bottiglia regalano tonalità profonde e aromi che richiamano le ciliegie scure, sfumature legnose e un tocco sottile di tabacco. Il tutto sottolineato da una parte mentolata. L’evoluzione graduale e stratificata e la persistenza lunghissima affascinano il palato.

Villa Papiano “Strada Corniolo” – Romagna DOC Trebbiano 2021

Ultimo solo per ordine alfabetico, sicuramente non per importanza. Dobbiamo in realtà alla famiglia Bordini di essere stata una pietra miliare del mondo del vino, Modigliana in primis ma non solo. Strada Corniolo ci stupisce sempre, in particolare in questa annata. La limpidezza del calice anticipa l’esperienza di degustazione.

Fiori di campo e petali di rosa evocano sensazioni di leggerezza e la mineralità ci ricorda la roccia bagnata dai ruscelli. Il frutto lo definiamo una “dolce asprezza”, come un’insalata di agrumi appena preparata. Combinazione di sapori che crea un’armonia unica.

Liguria: Golfo del Tigullio mangiare e bere bene tra sapori, tradizioni e creatività in cucina

La Liguria è stata una meta gettonatissima dell’estate 2023 e il clima mite consente di poter godere di splendide giornate anche in autunno e di visitare il borgo di Portofino, Rapallo e il suo Castello, la basilica dei Fieschi nell’entroterra di Lavagna e di passeggiare sotto i portici medievali di Chiavari, non ultima la splendida Sestri Levante e la Baia del Silenzio.

Ecco i locali da non perdere assolutamente

Se amate la cucina gourmet troverete in trenta chilometri ben 2 ristoranti da Stella Michelin: il primo è Orto by Jorg Giubbani presso l’Hotel Villa Edera e la Torretta a Moneglia. Servizio impeccabile, cucina che utilizza materie prime a km zero prodotte nell’orto oltre a selezionati presidi slow food. Stupenda la carta dei vini. A Cavi di Lavagna lo chef Ivan Maniago accoglie gli ospiti per uniche esperienze culinarie a Impronta d’Acqua. Vale un viaggio sia per la cucina.

A Sestri Levante rimarrete affascinati dall’ambiente raffinato e dalla cortesia di Nadia ed Enrico di Cantine Cattaneo, dove il sommelier Vito Santolla vi consiglierà abbinamenti perfetti; inoltre la cucina di Rezzano, in via Asilo Maria Teresa è sicuramente un altro luogo dove i palati sopraffini rimarranno più che soddisfatti. La Trattoria Angiolina sul lungomare è una vera istituzione; frittura di pesce fatta ad arte e non solo, grande e bella selezione di  vini in mescita al bicchiere.

A Santa Margherita Ligure il pesce fresco e la competenza in sala nella mescita dei vini sicuramente da Beppe Achilli, una trattoria vicino al mercato del pesce, di fronte al porticciolo. Cucina francese e italiana, crostacei, frutti di mare  e ostriche che provengono dai migliori allevamenti mondiali da DuCoq in via Cairoli.

Boccon Divino a Chiavari è il luogo giusto per sperimentare la creatività di  Israel Feller, resident chef  che confeziona  autentiche meraviglie. Sotto i portici, in via Bighetti, Antonio Olivari vi accoglierà da Vino e Cucina: splendida selezione di vini naturali. Per un aperitivo indimenticabile, i cocktails, i piatti la cortesia di Casa Gotuzzo: affacciata su piazza dei Pescatori è un punto privilegiato per assistere a tramonti mozzafiato.

La cucina tradizionale ligure potrete scoprirla alla trattoria La Brinca di Né, nell’entroterra di Lavagna, dove il miglior sommelier d’Italia Matteo Circella saprà davvero stupirvi con i suoi suggerimenti. A Rapallo, in via San Massimo U Giancu è sicuramente una istituzione, famosa anche per la passione del titolare per i fumetti: cucina ligure e ottimi vini da scegliere insieme al sommelier Martino Oneto.

Alla ricerca di un agriturismo? Le donne del Castagneto a Castiglione Chiavarese, in via Provinciale 523, sapranno coccolarvi con i piatti preparati con molto amore e passione; altro locale da non perdere, ricavato da un antico frantoio è La Cuccagna a Rapallo, dove la famiglia Armanino propone un menù tipicamente genovese, con pasta ripiena fatta in casa e altre leccornie. A Villa Oneto, vicino a Leivi L’agriturismo U Cantin offre piatti della tradizione in abbinamento ai vini della annessa cantina, curati da Domenico Cuneo , che ha recuperato un antico vitigno ligure, lo cimixa.

La Riviera di Levante è rappresentata dalla Doc Golfo del Tigullio- Portofino con la sottozona Riviera dei Fieschi, istituita nel 1997. I vitigni a bacca bianca maggiormente coltivati sono il vermentino, la bianchetta genovese, lo cimixà, il moscato mentre tra quelli a bacca rossa sicuramente  il ciliegiolo e dolcetto,  a seguire sangiovese e granaccia.

Alcune delle cantine presenti sul territorio offrono delle wine experieces per gli enoturisti e i winelovers: Bisson , in contrada Pestella a Sestri Levante, La Ricolla e U Cantin. Non bisogna mancare di assaggiare i vini prodotti da Cantina Levante, Cantina Mortola, Pino Gino, Casa del Diavolo, Cantine Bregante, Cantina San Nicola per apprezzare al meglio la cucina del territorio.

Buon viaggio e… buone degustazioni in Liguria!

Valle d’Aosta: “La Toupie Gourmanda”

Immaginate una passeggiata bucolica tra i filari di Morgex alla scoperta del vitigno locale Prié Blanc e dei prodotti gastronomici tipici della zona, immaginate di essere accompagnati da guide locali che vi raccontano la storia e le tradizioni di questi luoghi… ebbene smettete di immaginare e venite a “La Toupie Gourmanda”.

La “Pergola Golosa”, in dialetto patois La Toupie Gourmanda, è una passeggiata enogastronomica, è un brindisi all’estate, una stagione che ai piedi del Monte Bianco scorre velocemente, ma risulta essere di grande intensità proprio come un vino di montagna.

La camminata parte dai prati lungo la Strada Vi Plana di Morgex e si sviluppa in tappe nelle caratteristiche “casette delle vigne” del Prié Blanc, segue un percorso ad anello dove si viene allietati da intrattenimenti musicali e culturali.

Un format innovativo voluto fortemente dai produttori locali, nato nel 2015, che ha lo scopo di promuovere il territorio nella sua interezza, un modo originale per raccontare Morgex e i suoi dintorni, rivisitando sapori e abbinamenti in chiave contemporanea.

Un’esperienza della durata di circa 3 ore, ma prenotando l’ultimo turno vi assicuro che le ore sono molte di più (anche 5), intervallate da momenti di animazione che permettono di scoprire le tradizioni e la vita rurale tipica dell’agricoltura di montagna.

Arriviamo al punto di ritrovo alle 14 dove ci vengono distribuiti i calici per le degustazioni, si parte lungo la strada Vi Plana che si fa spazio nel verde, tra vigneti circondati da vette altissime, saliamo sul trattore che ci condurrà nelle vigne.

Le tappe enogastronomiche sono deliziose, dall’antipasto al dolce, ospitate nelle “casette delle vigne”, piccole strutture in pietra che per generazioni i vignerons hanno utilizzato per organizzare il loro lavoro, come magazzino o alloggio temporaneo (in alcune troviamo stufe e camini) e per conservare l’acqua piovana utilizzata per i trattamenti della vigna o per l’irrigazione.

In ogni casetta troviamo i produttori di vino del territorio, ogni vino è stato abbinato al menù dello chef Agostino Buillas, realizzato servendosi esclusivamente dei prodotti di Morgex et La Salle.

Ecco gli assaggi:

  • Corn dog di escargot: lumache su stecco fritte in pastella
  • Fantasia del vigneron: una insalatina con fiori eduli e gelatina di vino bianco
  • Gnocchetti di patate con fonduta di caprino e polvere di mocetta (la mocetta è un tipico salume valdostano, preparato con la coscia di mucca invecchiata secondo l’antico metodo di salagione e conservazione)
  • Asado gourmet
  • Cassata valdostana
  • Rivisitazione del tipico caffè alla valdostana (il caffè valdostano è quello nella grolla, una coppa dell’amicizia dalla quale si beve a turno)

Ad accompagnare i piatti i vini dei 5 produttori locali:

Brunet Piero

Cave Mont Blanc

Café Quinson Winery

Ermes Pavese

Vevey Marziano

Qui il Prie Blanc la fa da padrona, a Morgex troviamo i vigneti più alti d’Europa, fino a 1250 metri. Una varietà coltivata a piede franco su terrazzamenti eroici che regala vini decisamente minerali, con una marcata acidità e un’elegante struttura. Molto versatile, si presta alla spumantizzazione in metodo classico e alla produzione di icewine con uve vendemmiate a fine dicembre quando la temperatura scende al di sotto dello zero.

Una breve descrizione dei vini

  • Cave Mont Blanc Metodo Classico “Glacier”, un vino che va bene a tutto pasto che regala al naso note di fiori bianchi, agrumi e pera. Fresco e minerale in bocca. Cave Mont Blanc è un’istituzione nella zona, ai piedi del Monte Bianco, valorizzazione e rispetto del territorio la filosofia che portano avanti.
  • Piero Brunet, una piccola realtà a conduzione famigliare che opera dal 1985 e che coltiva in maniera eroica il vitigno Prie Blanc. Una grande attenzione all’ambiente nella produzione con la riduzione al minimo dei trattamenti antiparassitari. Un vino di grande piacevolezza che richiama erbe di montagna e fiori di campo, un gusto secco ma molto delicato.
  • Vevey Marziano – la Crotta de la Meurdzie, azienda agricola che nasce nel 1981. Marziano è un vigneron d’altri tempi con un grande attaccamento alla tradizione e uno sguardo sempre attento all’innovazione. Il suo vino è veramente interessante, di grande equilibrio e avvolgente al palato dove le note erbacee, agrumate e di frutta come mela e pera creano una bella armonia. L’etichetta è un’opera d’arte.
  • Blanc de Morgex e de La SalleNathan”- Ermes Pavese La cantina si estende su 3 ettari vitati coltivati a “pergola bassa” per evitare i danni dalle rigide temperature notturne e salvaguardare l’integrità delle piante di Prié Blanc. Il vino è dotato di una bella freschezza e vivacità. La fermentazione avviene per la maggior parte in barrique di rovere francese di primo o di terzo passaggio, dove vengono effettuati frequenti batonage. Dopo 1 anno il vino ottenuto viene assemblato con il 30% fermentato in acciaio.
  • Finiamo in bellezza con Cave Mont Blanc “Chaudelune” Vin de Glace, un vino ottenuto dalla vendemmia notturna dopo le prime gelate, così da conferire una particolare concentrazione degli zuccheri. Fermentazione e affinamento in piccole botti di rovere. Un vino che sprigiona sentori di erbe aromatiche, miele e albicocca.

Tra un assaggio e un altro gli intrattenimenti sono stati numerosi

  • ospite speciale, in questa edizione, Silvana Bruno che con il suo ukulele ci intrattiene e coinvolge nel canto.
  • le guide locali ci guidano in un itinerario tra i luoghi più caratteristici del centro del paese, raccontandoci tradizioni, aneddoti e curiosità.

Spero di avervi incuriositi un po’, la mia esperienza è stata veramente unica, sembrava di esser catapultati indietro nel tempo, quando alla fine mi sono ritrovata seduta sotto un filare con il calice in mano ho pensato a quello che dovevano essere le libagioni nel mondo classico, i riti dionisiaci degli antichi Greci.

Santé!

Il Consorzio Tutela Vini Friuli Colli Orientali e Ramandolo festeggia le 50 candeline: momento giusto per un bilancio in vista delle scelte future

A volte per giungere a delle conclusioni positive bisogna guardarsi intorno, sviscerando il passato e il presente a testa alta e senza remore. Lo fa Matteo Bellotto, consulente del Consorzio Tutela Vini Friuli Colli Orientali e Ramandolo, fornendo alla stampa una sequenza di numeri e ricerche davvero impressionanti, di cui ogni attore in gioco dovrà imparare a tenerne conto.

Lo fanno i singoli produttori, consapevoli di ciò che non va, schiacciati a volte da logiche di mercato alle quali non è sempre facile reagire. Ovviamente non tutto è negativo, anzi. Il livello medio dei vini assaggiati durante il tour organizzato dal 12 al 15 luglio è risultato davvero interessante, non solo per le classiche versioni in bianco.

Una maggior autocoscienza di come la qualità debba essere creata partendo, in prima battuta, dalla scelta dei terreni vocati: non si può coltivare varietà così profondamente diverse, per espressioni e carattere, in un medesimo angolo di territorio. Serve, inoltre, maggior prontezza nell’applicare tecniche moderne di cantina, per garantire al meglio la conservazione di aromi e sostanze eleganti, marcatori fondamentali dell’intero areale.

Per il 50° anniversario, festeggiato con 3 anni di ritardo causa pandemia, il Consorzio ha anche elaborato un nuovo logo, il marchio che diventerà l’emblema rappresentativo per i prossimi anni. La spada è il simbolo di Cividale del Friuli – lo spadone del Patriarca Marquardo. La lama entra nel calice e affonda nella storia, come ogni vino sa essere storia, finezza, eleganza del gesto.

I numeri, sempre quelli, parlano della gestione complessiva di 3 DOCG e 5 sottozone, oltre una sesta (Savorgnano) in arrivo a breve. Vitati 28.800 ettari suddivisi per ben 26 varietà tra autoctoni e internazionali. Sono state mappate oltre 5400 vigne, considerando suoli, pendenze, esposizioni, escursioni termiche clima e precipitazioni meteorologiche. Dorsali moreniche, presenza di flysch, roccia sedimentaria clastica tipica di queste valli, argilliti, feldspati e quarziti. Una complessità non indifferente che fa del lembo orientale del Friuli uno dei terreni geologicamente più antichi d’Europa.

E poi l’incontro, finalmente, con i produttori dopo i saluti iniziali del Presidente Paolo Valle, visibilmente emozionato dalla folta presenza di giornalisti e operatori del settore provenienti da molte regioni italiane. Parlare con un viticoltore ha sempre un fascino intrinseco. Ascoltare la storia di ognuno, certamente talora ripetitiva per alcuni aspetti, ma ricca di emozioni e suggestioni che formano il pane quotidiano di chi abbia a cuore la professione del giornalismo enogastronomico.

È il caso del giovane Federico De Luca di Ronc dai Luchis e del suo racconto sul Refosco di Faedis: varietà dalle connotazioni diverse dal Peduncolo Rosso, dal Refosk e dal Terrano. Materiale genetico recuperato da vecchi impianti, anche per quanto concerne il Refoscone (o Berzamino), anch’esso appartenente alla nutrita famiglia dei refoschi e quasi scomparso. Tante le similitudini di questi vitigni con altri come la Croatina e la Bonarda, in particolare per quanto concerne il carattere speziato, sottile fil rouge alla base di ogni assaggio.

O come Germano Zorzettig, cognome popolare da queste parti, della cantina La Sclusa, con l’etichetta Friulano 12 viti frutto della ricerca e sperimentazione su ben 12 cloni di Friulano, le cui uve vengono vinificate separatamente per realizzare poi il giusto blend in funzione dell’annata.

O Bruna Passetti, titolare, assieme al marito, dell’azienda Flaibani che ha presentato la sua idea di Pinot Grigio Ramato semplicemente da urlo.

E perché no, l’edizione limitata 2014 di Friulano “L’Evoluto”, nomen omen, scelto da Paolo Rodaro e dalla vulcanica moglie Lara titolari della cantina Rodaro, dopo un lunghissimo (e altamente sensato) riposo tra legno e bottiglia per il vitigno principe del Friuli Venezia Giulia.

Le sorprese non finiscono qui, grazie al Merlot 2018 appetitoso e lunghissimo di Marina Danieli, già pienamente convincente nella proposta del Pinot Grigio targato 2020, elegante e dalla classe cristallina.

E del Sauvignon Blanc 2022 di Bastianich, dobbiamo ammetterlo, in grande spolvero, dimentico stavolta di soddisfare solo il gusto di quanto chiede mercato, al quale va comunque prestata massima attenzione per evitare di avere vini ottimi ma invenduti… Il compromesso si può e si deve fare.

Che dire, invece, della piccola realtà Valchiarò, nata nel ’91 per diletto come attività del dopolavoro da 5 amici torreanesi – Armando, Lauro, Emilio, Galliano e Giampaolo – e divenuta adesso una solida realtà. Ottimo il Friulano da 5 particelle, ma sorprendente e accattivante nel prezzo il Cabernet Sauvignon 2021 in purezza, da vigna singola.

Chiudiamo con un altro autoctono di lusso, davvero difficile da produrre per via di componenti tanniche irsute e mai dome, con acidità pronunciate: il Pignolo. Tralci di Vita lo propone nella spettacolare versione 2018, appagante e dal succo di mirtillo maturo.

La nostra visita termina a Cividale del Friuli, per un momento goliardico e rilassante affacciati sul Ponte del Diavolo. Fondata da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii, da cui viene il nome Friuli, nel 568 d.C. Cividale divenne sede del primo ducato longobardo in Italia e in seguito, per alcuni secoli, residenza dei Patriarchi di Aquileia. Questo patrimonio storico e artistico è stato riconosciuto dall’UNESCO.

ll Ponte del Diavolo è uno dei simboli, sospeso sul fiume Natisone e avvolto nella leggenda. Le due sponde erano unite, almeno dal Duecento, da un passaggio in legno, sostituito dopo diversi tentativi inconcludenti dal manufatto in pietra progettato da lacopo Dugaro da Bissone, che ne iniziò la costruzione l’anno 1442. I lavori, lenti e contrastati da avversità di varia natura, proseguirono cinque anni dopo sotto la guida di Erardo (o Everardo) da Villaco, già collaboratore del Dugaro, che forse era morto di peste o, secondo altre versioni, si era defilato senza onorare interamente i suoi obblighi contrattuali.

Deceduto il capomastro Erardo, era Bartolomeo delle Cisterne a ultimare l’agognato ponte, che in base ad un atto notarile sappiamo essere stato lastricato nel 1501 ed ancora nel 1558. Le sue estremità erano difese da torri, abbattute verso la seconda metà del secolo scorso. Lavori di restauro si sono succeduti nel tempo per mantenere in piena efficienza l’indispensabile passaggio, che doveva sopportare le piene impetuose del fiume.

Cividale del Friuli, città di frontiera, una volta estremo confine della Nato che separava l’Italia ed il blocco Occidentale da quello Orientale del Patto di Varsavia. La presenza dei militari cristallizzava ogni tentativo di libera impresa, soggetta all’inevitabile burocrazia attivata, a più livelli, a difesa dei confini nazionali. Anche di questo bisogna tener conto, nel bilancio complessivo di ciò che hanno vissuto i produttori locali, in vista di un futuro luminoso ambito e in qualche modo meritato.

Una vera pacificazione, forse, ancora manca.

Garda Doc: i numeri vincenti del vino dal Lago più grande d’Italia

Il Lago di Garda, già destinazione turistica nota in tutto il mondo, vuole spiccare il volo come Garda Doc.

Tirando le prime somme, ciò che colpisce sono i grandi numeri da spendere sul mercato e un suolo unico da raccontare, anche attraverso la neonata carta dei suoli. Insomma, il calice di Garda Doc si proietta verso una scelta d’appeal per il consumatore non più solo vacanziera.

Una strada in salita

Partita come Denominazione orientata all’immediato consumo, con gli anni ha saputo rendere sempre meglio l’idea di un territorio così particolare, dai connotati mediterranei. I confini si circoscrivono alle sponde lombarde e venete – le più produttive dal punto di vista commerciale e gustativo – e si fa forza sul distretto turistico del Lago di Garda.

Dagli anni Novanta qualcosa in avanti si è mosso, precisamente nel 1996 quando il percorso verso il Consorzio volontario ha avuto il suo inizio. Promuovere al meglio i varietali della Riviera Bresciana, Alto Mantovano e Veronese, è stato infine l’obiettivo concretizzato nel 2016. In quest’anno di svolta sono state fatte importanti scelte di mercato in grado di raccogliere il favore dei consumatori esteri, ma soprattutto quello degli italiani. Per farlo le bollicine sono venute in soccorso: Una scelta premiante quella di inserire in disciplinare la tipologia Spumante Bianco.

Sull’onda di questo successo sono stati molti i produttori che hanno scelto la via dell’unione, arrivando, vendemmia dopo vendemmia, a toccare la cifra annua di circa 20 milioni di bottiglie, quasi la massima produttiva.

Un po’ di numeri

Garda Doc esprime numeri importanti che fanno la differenza: oltre 153.000 hl di vino imbottigliati nel 2022, di cui un terzo da Chardonnay. A seguire il Pinot Grigio e la Garganega con 30.000 ettolitri. Una denominazione a trazione bianchista, ove non mancano i rossi da Cabernet Sauvignon e Merlot. La sfumatura giusta da dare al territorio, senza dimenticare l’autoctono principe che si esprime con il Marzemino. Una varietà da cavalcare in fase di riscoperta delle proprie radici enologiche.

Tra i complici di questi enormi numeri c’è certamente il turismo lacustre che assorbe le maggiori quantità di vino prodotto, soprattutto quando si parla di vini da consumare per un aperitivo o una cena. Ma come comunicarlo al meglio? Partendo dal terroir e andando ancora più a fondo, arrivando fino ai suoli.

Chiamatela “pedodiversità”

Dai grandi nomi ai più piccoli che si fanno forza sul brand Garda Doc, il bisogno di far conoscere il vino gardesano si è fatto maggiormente pressante, non soltanto per le esigenze di vendita. Per questo tra le attività di ricerca che il Consorzio Garda Doc mette in campo, c’è quello di spiegare, una volta per tutte, le potenzialità vitivinicole del lago partendo da milioni di anni or sono. La carta dei suoli è arrivata al culmine di un lavoro di rebranding. A occuparsene è stato Giuseppe Benciolini, con il suo brand Terroir2wine. La presentazione è avvenuta l’8 giugno presso l’Auditorium del Vittoriale a Gardone Riviera (BS).

Durante l’occasione, è stato coniato il termine “Pedodiversità” che offire l’essenza stessa del territorio “Ho coniato un nuovo termine per esprimere al meglio ciò che costituisce l’aspetto più caratterizzante della denominazione Garda DOC e la sua sorprendente varietà di suoli – afferma Benciolini – La pedodiversità appunto. Questo territorio, infatti, racchiude al suo interno diversi tipi di suolo che sono a loro volta derivati dalla grande varietà di processi geologici e di modellamento geomorfologico che hanno interessato il continente negli ultimi 200 milioni di anni.

Il Presidente del Consorzio Garda Doc Paolo Fiorini saluta con favore il documento frutto di studi e ricerche che il Consorzio promuove, affinché si generi maggiore attenzione sull’areale. “Questo lavoro, frutto di diversi studi promossi dal Consorzio, non solo testimonia il continuo impegno e attenzione del Consorzio Garda DOC nel campo scientifico, ma incarna anche i valori e lo spirito di innovazione da noi utilizzati per realizzare un documentario dal taglio prettamente divulgativo”.

Un’opera scientifica resa fruibile con un video nell’ottica dell’enoturismo maggiormente consapevole, al passo con il consumatore diretto verso l’enogastronomia di qualità e che, a ragion veduta, muove quasi il 60% dei viaggiatori italiani a caccia del Made in Italy e di un proprio stile di vita. Una tendenza da cavalcare in maniera consapevole.

Garda Doc consente di arrivare in mercati che i singoli produttori aderenti non avrebbero mai potuto conoscere. Una visione comune, commerciale e strutturata, in grado di rendere giustizia a un territorio che conta 31.000 ettari vitati.

I progetti della denominazione

Parallelamente alla tutela e promozione dei vini, il Consorzio si impegna perché possa di fatto rappresentare un supporto verso gli utilizzatori della Denominazione in ottica di controllo e costante ricerca, volto a un miglioramento complessivo. Un viaggio alla riscoperta di sé stessi, delle proprie origini, che hanno reso il vino competitivo e ben apprezzato all’estero, con volumi di vendite pari al 70%. Germania in prima battuta, poi Regno Unito e Svizzera. Una cifra scindibile in due categorie, vini da Grande Distribuzione e da canali Ho.Re.Ca. I primi comprendono essenzialmente bianchi d’annata, mentre i rossi con Cabernet Sauvignon e Merlot, raccolgono apprezzamenti nel settore ristorazione e hotellerie, perché competitivi con quelli dei “cugini stranieri” per qualità organolettiche e fascia prezzo.

Continueremo a lavorare, è far capire il ventaglio di opportunità che questa DOC può offrire, muovendoci parallelamente e mai in contrasto con le denominazioni storiche del territorio – A dirlo è Carlo Alberto Panont – Direttore del Consorzio Garda Doc – La denominazione mira a mettere tutti gli utilizzatori in condizioni di sfruttare al massimo quello che questo areale può dare”.

Il Cinema prende forma a Sala Consilina (SA) con la decima edizione del Toko Film Fest

Ciak si gira! Parliamo di territorio e lo facciamo, questa volta, con una lodevole iniziativa giunta ormai alla sua decima edizione: il Toko Film Fest – Festival Internazionale di Cinema e Cultura.

Ideato da un’associazione di giovani appassionati della settima arte, definita tale dal critico Ricciotto Canudo nel manifesto del 1921, la kermesse ha cambiato più volte forma, come la pelle di un camaleonte mentre cerca di adattarsi ai colori dell’ambiente circostante.

Partito nel 2014 dalla Piazzetta Gracchi – “la chiazzeredda” per i cittadini salesi – l’evento ha assunto ormai le forme di un appuntamento fisso, che richiama pubblico dai numerosi comuni del Vallo di Diano (e non solo). Ospiti fissi selezionati tra registi, attori e musicisti di caratura nazionale, oltre laboratori di recitazione, cortometraggi, live podcast e talk culturali.

Quest’anno la vera novità è stata quella di passare da un Festival interattivo e itinerante dei tempi della pandemia ad una sorta di “Festival diffuso” lungo 7 giorni e con numerose iniziative in programma dal 24 al 30 luglio. Il culmine sarà il live show finale con il concerto di Valerio Lundini, conduttore televisivo, musicista, comico e scrittore, accompagnato dal gruppo I Vazzanikki già presenti su Raidue nel programma satirico “Una pezza di Lundini”.

Il dibattito invece, spiega il direttore artistico Gianmarco Ungaro, vedrà la presenza del regista Valerio Vestoso e degli artisti Demetra Bellina, Cristina Cappelli, Sabrina Martina, Andrea Vailati, Mauro Zingarelli e il team di sviluppatori indie Morbidware: Diego Sacchetti, Giuseppe Longo e Matteo Corradini (membro dei The Pills e scriptwriter di “The Textorcist”).

Nei giorni precedenti si è svolta la proiezione al Cinema Adriano del film Mixed by Erry del regista Sidney Sibilia e un incontro al Gran Caffè Trezza a Teggiano (SA) per la visione dei cortometraggi ammessi in concorso al Toko Film Fest.

Non manca l’attenzione verso i produttori del territorio; l’occasione ideale per fare la conoscenza di Alessandro Paventa, uno dei titolari, assieme ai cugini, del Caseificio S. Antonio di Sala Consilina (SA), terza generazione di imprenditori abili nel realizzare fiordilatte e caciocavallo di alta qualità. Una gradevole sosta trascorsa assaggiando proprio il loro caciocavallo, stagionato dieci giorni e cotto alla piastra su pane bruschetta.

Nel retro del Palazingaro, sede delle ultime due serate della manifestazione, è possibile anche osservare una piccola mostra d’arte contemporanea, ispirata alle problematiche sociali e ambientali del nostro tempo. Dichiarano gli organizzatori: <<prima ancora che una rassegna cinematografica, è amore per il territorio e per le proprie radici. Uno dei punti fermi è il recupero del centro storico di Sala Consilina, utilizzando il Festival anche per rafforzare la comunità esistente e rilanciare la zona come attrattore turistico e di investimenti nell’intero Vallo di Diano. Una parte fondamentale della nostra macchina organizzativa è sempre stata accompagnare i nostri ospiti – o nuovi membri dello staff provenienti da fuori Regione – a visitare i punti di forza del Vallo di Diano: Certosa di Padula, Grotte di Pertosa, Battistero di San Giovanni in Fonte ed altri, di concerto con le istituzioni e coinvolgendo altre associazioni ove necessario>>.

Per ulteriori info: https://www.tokofilmfestival.it/

L’ingresso è totalmente gratuito.

I volti del Verdicchio dei Castelli di Jesi come non li avete mai visti: piccolo compendio per visitare le splendide Marche

Volevamo stupirvi con effetti speciali dicevano in uno spot anni ’80. Perché invece non parlare concretamente della qualità media elevata del Verdicchio dei Castelli di Jesi riscontrata durante il press tour “I Magnifici 16” organizzato dall’Istituto Marchigiano Tutela Vini (in sigla IMT). Il Presidente Michele Bernetti ed il Direttore Alberto Mazzoni hanno cercato di spiegare a parole il lavoro svolto negli anni di ripresa delle Denominazioni regionali da alcuni momenti bui.

Ma per quanto concerne il Verdicchio dei Castelli di Jesi i veri effetti speciali li abbiamo vissuti nel conoscere di persona i volti e i prodotti delle persone che si sporcano le mani quotidianamente in vigna, recuperando quell’antico sapere che è l’arte di far vino e farlo buono. Dal 2024 anche la tipologia “Superiore” rientrerà nella DOCG assieme alla già presente Riserva, con facoltà di utilizzare o meno il nome Verdicchio in etichetta.

Scelte commerciali che probabilmente non influenzeranno lo stile attuale, se non nell’ottica di una maggiore considerazione delle sottozone produttive. Bisogna avere pazienza in ogni progresso teso a nobilitare un territorio e i suoi vitivinicoltori. E adesso fiato alle trombe! Lo spettacolo sta per cominciare.

Quattro i fiumi che delimitano l’areale lungo i punti cardinali: Musone, Cesano, Misa ed Esino, con suoli variabili per altimetrie e componenti. Dai ciottoli fluviali si passa a sabbie marine, calcare e argille nei versanti collinari, sferzati dai venti freddi dell’Adriatico che influiscono sul carattere aromatico e sul nerbo minerale dei vini.

Direttamente da Cingoli (MC) ecco la Tenuta di Tavignano con a capo Ondine de la Feld Aymerich, entrata nel 2014 in azienda affiancando i fondatori Stefano Aymerich di Laconi e Beatrice Lucangeli. Il Verdicchio Classico Superiore 2021 “Misco” è austero, ricco di agrumi e spezie pepate su finale iodato. Da vigne di oltre 30 anni nella valle del Musone. Solo acciaio per 18 mesi. Cura oggi la parte enologica Pierluigi Lorenzetti.

Tenute Priori e Galdelli presenta un Metodo Classico Millesimo 2017 sboccatura febbraio 2023 da urlo, grazie all’estrema duttilità del varietale e alla spiccata acidità che consentono bellissime espressioni anche nel campo delle bollicine. Rosora (AN) siede su un antico deposito pliocenico di sabbie e conchiglie fossili. Verticale, dal corredo infinito di fiori bianchi, lascia la bocca in assetto verso un nuovo assaggio o verso la gastronomia tipica tra salumi e pesce. Enologo Sergio Paolucci.

Finocchi Viticoltori, giunti alla quarta generazione con Marco Finocchi, viene assistita da un enologo che ha cambiato per sempre l’identità del Verdicchio proiettandolo tra i migliori bianchi al mondo: Giancarlo Soverchia. Siamo a Staffolo (AN) a 500 metri d’altitudine con il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico Fiore 2015: la volontà di spingere il vitigno su vette inesplorate, facendo fermentare il uve in barrique più una maturazione di ben 18 mesi. Ammicca ai vin jaune francesi con un buon mix tra freschezze e sensazioni di frutta secca e tostature.

Azienda Mancini di Emanuela Mancini, con vigne a Maiolati Spontini (AN), realizza il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2019 da piante di oltre 40 anni. Ci mette un po’ a reagire nel calice, ma alla fine sprigiona energia pura in stile marchigiano tra mielosità, nuance succose di susine appena colte e zagare. Elegante dall’inizio alla fine. Anche qui Sergio Paolucci conduce il lavoro di cantina.

Fattoria Nannì si trova invece nella zona più a Sud della denominazione, precisamente ad Apiro (MC). Clima molto simile alla confinante Matelica, con il Monte San Vicino a mitigare le influenze calde estive. Piante di età compresa tra i 50 e i 60 anni di vita e una cantina nata nel 2015 dal proprietario enologo Roberto Cantori. Interessante il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2021 “Origini”, nella ostentazione di sfumature da vendemmia tardiva, come mandorla amara e macchia mediterranea.

Che dire di Fattoria Coroncino, premiatissima dalle guide di settore, qui rapresentata da Valerio Canistrari dopo la prematura scomparsa del padre Lucio avvenuta nel 2021. Gli appezzamenti sono ubicati a Staffolo e Cupramontana su terreni calcarei e marnosi. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2021 è semplicemente commovente, tra note di cipria, caramello, affumicature e agrumi canditi. Assemblaggio di varie parcelle dopo 9 mesi dalla raccolta e vinificazione. Selezione massale con cloni registrati, un’autentica rarità.

Cantina Luca Cimarelli: a parlarcene è il nipote Tommaso Aquilanti, descrivendo l’accorpamento di 2 appezzamenti tra Contrada San Francesco e Contrada Corte a Staffolo (AN). Colpisce il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2019 “Selezione Cimarelli”, da uve scelte su viti di 50 anni. Tanta sostanza e delicatezza, con riverberi di pesca matura, arancia gialla e glicine. Solo cemento e vetro.

Colognola – Tenuta Musone ha certificato i suoi 33 ettari vitati con il marchio BIO dal 2014. Gabriele Villani funge sia da enologo che Direttore, curando i terreni esposti a Nord sul versante più alto di Cingoli (MC). Rese bassissime per il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2020 “Ghiffa”, ben 18 mesi di sosta sulle fecce fini e batonnage per un vino austero, che gioca a nascondino prima di esprimersi con carattere in tutto il meglio del varietale. Il nome deriva da un single vineyard a San Michele della Ghiffa.

Andrea Felici parte da zero, nel 2005, con la sua attività a conduzione familiare, grazie anche all’aiuto del figlio Leopardo (per tutti Leo) di rientro da esperienze internazionali avute grazie ai migliori chef e manager del globo. Il loro Cru Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2017 “Cantico della Figura” conserva dinamismo ed eleganza, al netto di una verve muscolare che rimanda all’annata di provenienza e che lo rende panciuto al centro bocca. Evolve su note idrocarburiche stimolanti e appetitose.

Cantina Spallacci è posta al limitare di Corinaldo (AN) a 200 metri sul livello del mare con terreni di medio impasto. Giordano Spallacci è il titolare, coadiuvato nelle scelte enologiche da Aroldo Bellelli. Nuova cantina dal 2011. Buono il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2021 “Il Villano”: vibrante e caloroso, mantiene il passo su sensazioni di frutta secca e miele d’acacia.

La Staffa ha compiuto 30 anni da poco e la cura dell’enologo Umberto Trombelli è sinonimo di qualità. Siamo di nuovo a Staffolo (AN), su crinali a elevate altitudini e ottime esposizioni. Il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2020 “Rincrocca” ammalia per delicatezza, dimostrando al contempo una vena acida piuttosto irsuta che lo pone in lunga prospettiva. Fermenta e matura in cemento per 12 mesi, oltre 2 anni di sosta in bottiglia. Sbuffi di mela verde, miele di corbezzolo ed erbe officinali con una persistenza salmastro in splendida forma.

Simonetti: i sorridenti Massimo e Mirco ereditano dal nonno l’azienda nata a metà del secolo scorso. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2021 nasce da un cru che regala forti componenti minerali, grazie anche a una resa davvero irrisoria di appena 50 quintali d’uva per ettaro. Teso come un vento di tramontana che sferza portando con sé ricordi di salsedine.

Cantina Suasa di Giorgio Secondini è una piccola realtà di 4 ettari a Castelleone di Suasa, che guarda dritto alle acque del Mar Adriatico a pochi chilometri. Dominano argille e sabbie per vini di corpo, dall’allungo fruttato. Il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2021 “Princeps” emerge con lentezza, la stessa che gli antichi romani chiamavano festina lente, ovvero un’alternanza tra passo piano e subito che conduce comunque al traguardo, fatto di mandorla secca, bouquet di fiori bianchi e crema pasticcera.

Il mio personalissimo premio al merito lo ottiene lui, Giovanni Donninelli con la cantina Terre di Confine. Quasi 3 gli ettari in produzione su suoli argillosi a Castelpliano (AN). Rapporto qualità prezzo infinitamente bello, ciò che rende questo mondo sorprendente e amaro in parti uguali, quando noti dei divari non giustificati dal reale valore del vino. Giovanni produce un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico 2021 per circa 1200 bottiglie vendute in azienda a 5 euro. Vigne vecchie che regalano quel corredo zuccherino, associato ad effluvi officinali e una mineralità appagante. Averne! Speriamo nel prosieguo futuro da parte del suo erede di questa perla tutta marchigiana.

Vignamato di Francesco e Maurizio Ceci trae le proprie origini da nonno amato, uno dei 13 fratelli della numerosissima famiglia. Gli ettari vitati arrivano fino a Monte Follonica, uno dei luoghi maggiormente vocati (e belli) della denominazione d’origine. Il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico 2018 “Ambrosia” è superbo. Nasce da un cru piantato nel 1975. Le sensazioni divagano su fiori appassiti, scorze di cedro e iodio marino. Sollo cemento.

Chiudiamo i sipari con la giovane e promettente Marasca Rossi e con Luca Marasca che, assieme al fratello Matteo, ha realizzato il sogno di non veder vanificata la passione di nonno Mino scomparso nel 2010. Un aiuto concreto da Roberto Potentini che insegna ai novelli vigneron a prendersi cura di campi e vinificazione, praticamente da garagisti. Unica realtà a Monte Roberto con presenza di argille e limo. Nella mini verticale proposta della sola etichetta di Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore – annate 2019, 2020 e 2021 – vince, a mani basse, quest’ultima per maggior pulizia e consapevolezza degli attori protagonisti. Gradevole espressione ancora timida agli inizi, ma dal sorso equilibrato e succoso.

Un compendio che si spera possa servire ad un viaggio di approfondimento alla scoperta delle meravigliose Marche.

In tour con Le Donne del Vino delegazione Lazio: alla scoperta del Cesanese – parte seconda

di Olga Sofia Schiaffino

La seconda giornata del press tour de Le Donne del Vino delegazione Lazio è iniziata con una ricca colazione all’agriturismo VerdeLuna, dalla terrazza affacciata sulla vigna che guarda le montagne e i borghi collinari. Da lì abbiamo raggiunto una vigna di Cesanese dell’azienda Terenzi incontrando il fondatore dell’azienda: Giovanni Terenzi accompagnato da sua figlia Pina.

Persona carismatica, che ha creduto nelle potenzialità del territorio e della viticoltura nei tempi in cui il miraggio economico era rappresentato dalle industrie e dal lavoro in fabbrica. Giovanni conosce le viti quasi fossero figli e ci spiega i danni del mal dell’esca, come effettuare la spollonatura e soprattutto come riconoscere una pianta di Cesanese.

Una realtà vitivinicola a conduzione familiare, nata negli anni ’50: che conta adesso su 12 ettari gestiti in modo naturale e sostenibile, lavorati con cura, e con il figlio Armando che si occupa della cantina di vinificazione e affinamento vini.

Nella sala di degustazione con vista mozzafiato sulla vallata e su Palliano, i piatti del territorio sono stati serviti insieme ai vini dell’azienda. Il primo a essere assaggiato è stato il bianco Zerli 2021, Passerina del Frusinate fortemente voluta da Pina. Un risultato molto interessante: il vino mantiene freschezza e delicatezza dei profumi di pera, sambuco, acacia, a cui si integrano garbate note speziate.

Colle Forma 2020 Cesanese Superiore da un vigneto coltivato nella parte più bassa e argilllosa del terreno visitato la mattina. Dopo la fermentazione in acciaio vede l’utilizzo della botte grande per 20 mesi e affinamento di 12 mesi in bottiglia. Corredo olfattivo che regala nuance di spezie, frutta e balsamicità. Tannino levigato e bella persistenza.

Vajoscuro 2020 Cesanese Superiore Riserva ottenuto dalle uve raccolte nella parte superiore della vigna, ricca di ciottoli, matura 12 mesi in tonneau da 350 hl e 24 mesi in bottiglia. Colore luminoso, granato, alla prima olfazione si apprezzano sentori di mina di matita, ciliegia in gelatina, peonia, pepe bianco e nero, thè. Tannino vivo, perfettamente disciplinato e integrato. Finale lungo e persistente.

Pina e Armando ci hanno deliziato con una mini verticale di Vajoscuro, annate 2015 e 2013. Pur essendo molto diversi, entrambi i vini hanno colpito per la loro personalità: il primo, dal carattere solare, con profumi intensi di frutta in confettura e sottospirito, ciliegia, cardamomo, pepe corbezzolo, lentisco e il secondo più riservato, centrato su un bouquet ricco di terziari quali humus, sottobosco, fungo, tabacco, elicriso, ginepro e pepe.

Velobra è ottenuto da una vigna di Cesanese piantata nel 1962 nel comune di Serrone Velobra; dopo la vendemmia manuale, la fermentazione e la macerazione sulle bucce per circa 10 giorni, resta in acciaio per 12 mesi. Grande giovialità e immediatezza di bocca.

La giornata è proseguita con il trasferimento ad Anagni per la visita alla cattedrale e alla cripta e la degustazione presso Bottega dei Papi, sulla bellissima piazza medievale perfettamente conservata.

Cantina Colacicchi è stata fondata dal maestro Luigi nel 1950, con il progetto di produrre un grande vino utilizzando Cesanese, Merlot e Cabernet Sauvignon: la conoscenza e l’amicizia con il famoso vinaio romano Marco Trimani fece sì che le bottiglie venissero distribuite e vendute. Il Torre Ercolana conquistò Luigi Veronelli che lo recensì nel Catalogo Bolaffi dei Vini del mondo, indicando quali annate di pregio il 1958, il 1964 e il 1966. Alla morte del maestro, liquidati gli eredi, la famiglia Trimani scelse di proseguire il progetto vitivinicolo, in un nuovo impianto di cabernet e merlot nel 2002, investendo poi nella conversione biologica ottenuta nel 2020 e sull’utilizzo di lieviti indigeni per le fermentazioni dal 2022.

L’azienda si trova ad Anagni, capitale sacra degli Ernici e una delle cinque città ciclopiche create dal Dio Saturno secondo la mitologia, adagiata su una collina tufacea che domina la Valle del Sacco.

Carla Trimani ha portato il suo accorato ricordo e il racconto di quello che sono i vini e l’azienda adesso: la degustazione è iniziata con due vini molto puliti e di ottima beva, Stradabianca 2022 (blend di Passerina, Bellone e Passerina del frusinate vinificate in acciaio) e Schiaffo 2020 Anagni Rosso Doc ottenuto da vigne giovani di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cesanese sapientemente vinificate dall’enologo Danilo Proietti, collaboratore di diverse realtà visitate durante il tour.

Tufano Cesanese Lazio 2014 è figlio di un millesimo difficile ma colpisce per il naso che richiama il cacao, humus, la vaniglia, ciliegia e prugna in confettura. L’acidità e il tannino bilanciano l’alcool e il vino chiude su elementi balsamici.

Romagnano Lazio Rosso 2015 è composto per il 50% da Cesanese di Affile e dalla restante parte da Merlot e Cabernet Sauvignon in proporzioni uguali. Corredo olfattivo frutta, floreale, erbaceo e speziato. Tannino serico.

Torre Ercolana Lazio rosso 2015 è il vino prodotto con le uve Cabernet, Merlot e Cesanese in percentuali uguali, provenienti dal vigneto storico. Naso complesso, magnetico, con sentori di prugna mirabelle, tabacco, cacao, chinino, marasca e una nota ematica. Tannino preciso, lungo e persistente nel finale, con buona potenzialità di invecchiamento.

La giornata è terminata a Olevano Romano al ristorante Casale Coni dove, ai gustosi piatti della cucina, abbiamo trovato in abbinamento i vini dell’azienda Consoli.

La storia della Cantina Consoli inizia nel 1920 con Sante; giunta alla quarta generazione è una realtà che ha un forte legame con il territorio di Olevano Romano: il suo impegno è quello di selezionare uve e mosti per dare vita a vini da imbottigliare, da proporre sul mercato.

Roma Doc Rosato è  ottenuto da uve Cesanese 35%, Montepulciano 50% e la restante parte Syrah: il colore richiama quelli francesi, i profumi delicati e freschi.

Oddone è un Cesanese dedicato a Oddone Colonna, signore di Olevano Romano intorno al 1232; le uve provengono da vigneti caratterizzati da suoli argilloso tufacei e sono vendemmiate verso la metà di ottobre. Dopo la fermentazione, matura in acciaio e affina in bottiglia.

Luna Mater 2014 è un Cesanese di Olevano che sosta 8 mesi in barrique. Il naso offre una gamma di sentori di spezie dolci e rimandi fruttati; il tannino è gentile ed equilibrato.

Ultima cantina visitata giovedì 8 giugno è stata Petrucca e Vela: Tiziana e Fabrizio hanno organizzato un tour con le biciclette elettriche per godere appieno della bellezza delle vigne e delle colline ciociare.

La gita è stata proposta da Pachamama Adventure e la guida biker Danilo Camusi è stata veramente brava a coinvolgere positivamente i presenti in una esperienza davvero emozionante. Dopo la fatica, ad accoglierci in cantina l’enologo dell’azienda, che ha guidato il gruppo in cantina spiegando alcune delle scelte fatte per la vinificazione, e un gustosissimo pranzo, accompagnato dai canti e dall’esibizione del coro di Bellegra.

Abbiamo iniziato con Rosesi, un rosato ottenuto da una vinificazione in bianco del Cesanese, affascinante davvero per il colore color melograno e la succosa croccantezza del frutto. Persistente e sapido in chiusura.

La Passerina del frusinate Vela è nata dalla scommessa di voler puntare su questo vitigno per produrre vini bianchi apprezzati dai consumatori; risultato sicuramente raggiunto!

Tellures 2015 Cesanese del Piglio Superiore Riserva dal colore intenso e dal corredo olfattivo articolato su eleganti note balsamiche e di frutta rossa, con una leggera speziatura sul finale. Una buona struttura supportata dalla acidità e da una buona sapidità.

Non è facile riuscire a organizzare un appuntamento così ben articolato, con le giuste pause, il tempo per le relazioni e le scoperte, per l’arte e la cultura: Le Donne del Vino del Lazio hanno raggiunto perfettamente l’obiettivo ma prima di tutto hanno testimoniato la loro passione e grande amore per un territorio meraviglioso, che merita di essere approfondito e comunicato.

Sono stati due giorni pieni di rivelazioni, che hanno messo in luce la filosofia, l’ardore, la determinazione delle produttrici incontrate , impegnate a rafforzare una identità di gruppo, basata anche sulla viticoltura e sulla bellezza del Cesanese.

Un grazie a tutte, dal profondo del mio cuore.

Romagna: a Brisighella nasce l’associazione “Anima dei Tre Colli”

di Matteo Paganelli

Anima dei Tre Colli. È questo il nome scelto per la neonata associazione di viticoltori Brisighellesi.

Ai blocchi di partenza sono in cinque: Azienda Agricola Gallegati, Fondo San Giuseppe di Stefano Bariani, Podere Baccagnano di Marco Ghezzi, Vigne dei Boschi di Paolo Babini e Vigne di San Lorenzo di Filippo Manetti.

La prossima ad entrare sarà La Collina di Mirja Scarpellini, anche se i confini dell’associazione sono i medesimi che insistono sulla sottozona Brisighella del Romagna Sangiovese (includendo quindi una parte di Faenza e una parte di Casola Valsenio), portando a circa 18/19 le aziende che potrebbero farne parte. Il fermento che si è creato negli ultimi giorni, infatti, denota un grande interesse all’ampliamento dell’associazione.

Per l’occasione, 20Italie si è recata in quel di Faenza per intervistare Cesare Gallegati, presidente dell’associazione. Da buon padrone di casa, con l’ospitalità che lo contraddistingue, Cesare mi fa accomodare all’ombra nel suo dehor mentre va a prendere due bottiglie che aveva precedentemente raffreddato, per potermele servire durante la chiacchierata. E così, fra i frinii delle cicale e i paupuli dei pavoni, incomincio a porre qualche domanda a Cesare, perché la curiosità a riguardo è tanta.

20Italie (Matteo Paganelli): Cesare, come è nata l’idea di questo progetto e quali sono state le esigenze riscontrate che lo hanno reso necessario?

Cesare: Nonostante il benestare ufficiale sia arrivato il 18 di aprile, è più di un anno che ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto delle riunioni preliminari cercando di coinvolgere più persone possibili e alla fine l’idea è nata da queste cinque aziende che hanno sentito l’esigenza di unirsi per provare a promuovere la nostra sottozona in una maniera più idonea, più incisiva. Finora Brisighella è ben conosciuta per l’olio e per la bellezza del borgo storico. Nonostante nel corso degli anni tanti produttori di vino siano stati premiati dalle guide nazionali, la sensazione è che ancora la Brisighella del vino non sia stata valorizzata come dovrebbe. Oggi, la vediamo inoltre come strumento di risposta all’alluvione che ha messo in luce severe criticità.

20Italie (Matteo Paganelli): Anima dei tre colli. Cosa si cela esattamente dietro a questo nome?

Cesare: Anima inteso come comunità, come capitale umano che oggi insiste su Brisighella, un gruppo di persone che ha capito che da soli non si va da nessuna parte. Un gruppo di anime coese ma allo stesso tempo diverse; abbiamo infatti anime di vignaioli anarchici, anime di vignaioli estremi e anime di vignaioli nobili. Nonostante questa diversità, c’era la volontà di dire: “mettiamoci assieme e proponiamo un vino con un protocollo condiviso che tutti, seppur nella loro interpretazione, dovranno seguire”. Tre colli come i tre areali di Brisighella: le zone alte (marnose-arenacee), i gessi e i terreni calcarei. Zone molto diverse nel contenuto geologico ma che fanno del terroir la loro cifra stilistica che li unisce, alla ricerca dell’identità.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è lo scopo del vino che uscirà con l’etichetta e il marchio di questa nuova associazione?

Cesare: La volontà di aver un vino con una valenza nazionale e internazionale, una credibilità anche fuori dal nostro areale. Per questo motivo il disciplinare prevederà affinamento in legno, perché non esiste al mondo un vino di grande spessore che non abbia avuto un passaggio, seppur minimo, in legno. Del resto, il disciplinare prevederà poche altre cose che però caratterizzano la cifra stilistica del vino: no macerazioni estreme, no anfora, no ossidazioni. Non ci sarà qualcuno che giudica, dovrà essere un lavoro che viene fuori dalla condivisione, dagli assaggi continui che faremo, per accordare il gruppo. Questa è la cosa bella. Un po’ come succede in Borgogna, dove c’è un’idea condivisa di vino e se qualcuno fa un vino straordinariamente buono ma non è accordato con l’idea comune non viene apprezzato.

20Italie (Matteo Paganelli): Perché è stata scelta proprio l’Albana come unico vitigno di questo nuovo protocollo?

Cesare: È stata una scelta ponderata da un presupposto. È vero che noi facciamo dei grandi Sangiovese e che il Sangiovese è un vitigno importantissimo che caratterizza la Romagna e i Romagnoli. Ma quello che ti può far svoltare veramente a livello nazionale e internazionale dove ‘ci sei tu e nessun altro’, è l’Albana. È su questa che dobbiamo puntare se vogliamo farci riconoscere. Possiamo fare un Sangiovese buonissimo ma oggi il Sangiovese nel mondo è Toscana. L’Albana invece ce l’abbiamo solo noi. Quando l’Albana diventò la prima DOCG bianca d’Italia, il sistema era tarato su una risposta completamente diversa. In una Romagna del 1987 dove “si vendeva solo ciò che pesava”, dove si era abituati a rese di 300 quintali per ettaro, entrare con un disciplinare che te ne imponeva 110 ha reso l’Albana non più interessante, causandone il crollo degli ettari vitati dai 10.000 dell’epoca ai poco più di 800 odierni. Oggi giorno, pensando a un’Albana di collina dove le produzioni sono per forza di cose limitate, possiamo dare la risposta che finalmente coincide con gli interessi comuni.

20Italie (Matteo Paganelli): Qual è il futuro dell’associazione?

Cesare: È presto per dirlo. Sicuramente questo lavoro lo cederemo alle future generazioni perché non so se ce la faremo a vedere concretamente i risultati. Vogliamo dare loro una possibilità di lavorare su qualcosa di diverso, e questo progetto potrà servire da traino pure per il Sangiovese e per il Trebbiano, perché in Romagna si può fare qualcosa di molto bello.

Terra di Lavoro Wines: Masterclass alla cieca dei vini DOP e IGP della provincia di Caserta

di Silvia De Vita

<<N.d.r.: il titolo ricalca fedelmente quanto vissuto dall’autore di 20Italie nella serata di presentazione a Salerno di Terra di Lavoro Wines. A conclusione della Masterclass (condotta in maniera magistrale), non è stato possibile conoscere l’elenco delle etichette proposte in assaggio. Un vero peccato, seppur motivato nella scelta inusuale dai protagonisti. Un imprevisto che ci limita, come stampa, nel racconto complessivo che vogliamo offrire sempre ai lettori. Nell’attesa di un’ulteriore degustazione guidata ove sarà possibile sapere anche le referenze scelte, ecco comunque, per dovere di cronaca, una breve sintesi dell’evento>>.

Ogni territorio presenta un prezioso patrimonio di vitigni autoctoni, il cui pregio è espresso dalla ricchezza e la diversità ampelografica. Caserta produce circa 1.800.000 bottiglie che qualitativamente ricadono all’interno delle DOC e IGT. Il Consorzio Tutela Vini Caserta VITICA, uno dei magnifici 5 della Campania, è stato il primo ad essere riconosciuto in Campania dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali con DM del 18/01/05, e si propone come traguardo la tutela, la valorizzazione e la cura degli interessi di tutta la filiera vitivinicola casertana, contribuendo a preservare la ricchezza varietale della viticoltura locale e la sua storia millenaria. Sono vini che raccontano di un passato importante, ma sempre aperti al futuro.

Il Consorzio Vitica raccoglie ben 5 Denominazioni di Caserta: Aversa Asprinio DOC, Falerno del Massico DOC, Galluccio DOC, Roccamonfina IGT e Terre del Volturno IGT.

Lo scorso giovedì 22 giugno 2023, presso il Saint Joseph Resort a Salerno, si è svolta una Masterclass sui vini di Caserta, organizzata e condotta da Nevio Toti (AIS Salerno) in collaborazione con Pietro Iadiccio  (AIS Caserta) e Cesare Avenia (presidente del Consorzio) per raccontare l’ampia ricchezza ampelografica del territorio casertano e le sue varie espressioni ed evoluzioni. 

Con l’aperitivo di benvenuto abbiamo avuto modo di conoscere la denominazione Aversa DOC, condivisa con la provincia di Napoli, dedicata al vino bianco, soprattutto in versione spumantizzata prodotta con le uve della varietà Asprinio.

La zona di produzione dell’Asprinio comprende 19 comuni della provincia di Caserta e 3 della città metropolitana di Napoli, collocati nella fertile piana aversana. In questa zona, tra coltivazione di ortaggi e frutta, domina, seppur con fatica, la tradizione delle cosiddette alberate etrusche, particolare sistema di allevamento verticale utilizzato nei vecchi impianti di asprinio. La DOP prevede sia la tipologia ferma-secca (minimo 85% di asprinio), sia la versione Spumante (asprinio 100%), ottenuto con metodo Charmat o con Metodo Classico. Appena 73,49 ettari è la superficie vitata idonea a produrre vini rivendicabili attraverso la DOP Aversa (o Asprinio d’Aversa). Sono viti patrimonio di bellezza, franche di piede e che si arrampicano “maritate” al pioppo, verso il cielo fino a raggiungere i 15 metri di altezza, fornendo delle imponenti barriere verdi cariche di grappoli. Uve che per essere raccolte impongono ai viticoltori equilibrio atletico su scale altissime.

Lo spumante proposto in degustazione con l’aperitivo di benvenuto, è un metodo classico da 48 mesi sui lieviti, con affinamento nei fondali marini. La freschezza spinta è la sua più importante caratteristica. Solare e gioioso già nel colore che tende all’oro, è avvolgente e intenso nei profumi agrumati e di pesca bianca: si percepisce qualche nota di  nocciola tostata, e sottile è la nota di anice stellato. Il perlage è fine e ne fa apprezzare ancor di più la cremosità la sapidità e la freschezza. Viene subito voglia di berne un altro bicchiere, e poi un altro ancora.

Al banco d’assaggio è possibile assaggiare anche un Asprinio versione ferma, fresco e con ottime punte di sapidità. Gli agrumi sono predominanti al naso come anche le erbe aromatiche. Risulta caratteristico e schietto, asciutto e vivace al palato, grazie anche alla gradazione alcolica contenuta.

I vini degustati durante la Masterclass sono stati 8: per ogni denominazione sono stati degustati 2 tipologie (un bianco e un rosso). Il delegato di AIS Caserta ha superbamente raccontato le varie DOC e IGT, sia da un punto di vista storico che di terroir. La degustazione è stata guidata in tandem da Nevio Toti.

Cominciamo dalla DOC Galluccio.

L’area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Galluccio si estende nella zona centrale della Campania. Il territorio è molto ampio e ricade proprio sull’antico vulcano spento di Roccamonfina. La denominazione prevede un Bianco, un Rosato ed un Galluccio Rosso. Il vitigno previsto per il vino bianco è la Falanghina che presenta delle note di spiccata mineralità dovuta proprio ai suoli vulcanici.

L’espressione rossa della Galluccio DOC arriva dalla zona est di Roccamonfina. Qui si esprime un Aglianico da clone diverso rispetto ai fratelli più noti. Si pone a metà tra il Taurasi e l’Aglianico del Taburno. Al naso sprigiona gli sbuffi del vulcanico, accompagnati da note balsamiche e speziate. La complessità del vino è arricchita da sentori di tabacco, cuoio e mandorla amara.

Falerno del Massico DOC è riservata ai vini ottenuti dai vitigni di Falanghina per i bianchi e Aglianico, Piedirosso e Primitivo nelle tipologie Rosso, Rosso Riserva, Primitivo e Primitivo Riserva. Nel versante Sud del Massico, il terreno è ricco di tufo grigio; verso Mondragone viene sostituito prima con le pozzolane e poi con le sabbie. Sul versante Nord, il terreno è ricco di argilla e di sostanza organica, ma la presenza vulcanica diminuisce drasticamente. Verso il mare i vini sono più caldi, più corposi. Il vino proposto in assaggio è una Falanghina che immediatamente presenta erbe aromatiche, frutta esotica, biancospino, fiore della magnolia con toni agrumati e sottofondo minerali. In bocca il vino disseta e lascia una buona sapidità.

Il terzo vino bianco degustato appartiene a Roccamonfina IGT. E’ una falanghina macerata in anfora. Il naso è proteso verso la frutta candita, verso note che ricordano la macerazione e la buccia dell’uva. Si riconosce nel bouquet l’affumicatura del Whisky torbato, l’uva sultanina e una scia dolce terminale di pasticceria. La bocca ha una parte morbida, e un attacco tannico importante.

Il rosso della denominazione Roccamorfina IGT è un Primitivo, con richiami olfattivi ai sentori primari e secondari dalla rosa canina, alla fragola e alla ciliegia. Una nota terragna accompagna il naso. Al gusto il tannino è presente ma piacevole. Il sorso riporta alla verticalità della freschezza e dell’alcool. Straordinario.

Segue il Pallagrello Bianco che appartiene alla IGT Terre di Volturno. L’area geografica vocata alla produzione del Vino di questa IGT si estende sull’omonima valle del Volturno, le cui caratteristiche ambientali ne fanno un contesto particolarmente ideale per la coltivazione della vite. Il naso è orientato verso frutti nostrani di pesca e albicocca, con note affumicate e presenza di note vegetali e resina. Più espansivo al gusto, il vino esprime maggiormente la sua anima dolce e acida grazie ai sentori fruttati, con scie agrumate.

Sempre della IGT Terre di Volturno è il Pallagrello Nero. Al naso è immediatamente percepibile il passaggio in legno, elegante, che però non copre i sentori del varietale consentendo di riconoscere l’amarena, i frutti di bosco e le spezie. Una nota balsamica e la Rosa lo accompagnano. In bocca si percepisce il tannino, ma non è aggressivo.