Cambia-Menti di Ciccio Vitiello

Cambia-Menti di Ciccio Vitiello
È attuale! Cross-generazionale, ma non trasversale.

Un concept studiato per essere riconoscibile, in un momento di socialità prettamente digitale.
Aumentare il racconto, fare rete, magari crearla.
Il mood è quello informale della pizzeria, rumori di fondo, grande operatività.

Ma da lì in poi, cambia la luce.
Arte e artigianalità, capacità e talento, sintetizzano il progetto.
Quando la cultura trova terreno fertile attecchisce, germoglia e si evolve: da forma e vita all’anima.

Un quadro, un’opera.
Li tutti i giorni, su quella parete.
Incrociata con lo sguardo, ripetutamente, una routine inconsapevole.
Poi la rivelazione! “I colori della tela sono diventati materia, li ho tirati fuori dal quadro” (C.V), portati in una dimensione, che coinvolge anche gli altri sensi, per amplificare la sensazione del piacere.
Olfatto e gusto, narratore ed attore : il cerchio, quello del gesto manuale, si chiude.
Il racconto, quasi evocativo, della trasformazione di ogni singolo prodotto, tecnica o temperatura, è lo switch off, quello che spegne ogni distrazione e ti catapulta in un mondo, il suo, quello di Ciccio Vitiello.
Il buono va oltre le etichette, le denominazioni.

La pizza tonda classica c’è. la margherita è buonissima.
Ma c’è anche qualcosa in più, un’esperienza, quella che lui chiama “il salto nel vuoto”.

E’ li che trovi Ciccio, la sua Anima.
Quel fuoco che spinge dentro, che vorrebbe espolodere, ma che deve essere distribuito con parsimonia, affinche non si disperda il valore.
I creativi non possono essere ingabbiati, neanche in una definizione. La loro visione è nella direzione.
È lì, che il seme genera Cambiamenti.

Salto nel vuoto, così ha definito il menu degustazione. Non ci sono posate. Mangiare una pizza è un gesto che inizia le mani , il calore, la consistenza sono sensazioni tattili.
Tovagliolo e tovagliette umidificate, cambiate igienicamente di continuo, confermano l’attenzione al servizio: sempre presente ma con decisa discrezione.

Al massimo per 10 persone ogni sera. Un viaggio tra tecniche di cottura, elettrica, vapore, forno; sperimentazione ma anche recupero. Spunti creativi.

Piatto di recupero ottenuto dal cornicione della pizza in teglia, che tagliato perpendicolarmente e farcito con un filetto di alici salata, dà l’idea del cannolicchio

Frittatina cacio e pepe, con soffritto di maiale e nocciole tostate

Parmigiana di melanzane- prima farcita e poi cotta in forno, coperta con una cialda di parmigiano 24 mesi e pesto di basilico, senza sale aggiunto.

Pizza in teglia con chutney di zucca, julienne di carota, pecorino all’aglio orsino tocchetti di Alaccia

Marinara a tre pomodori, ovvero il sorbetto. Pulizia del palato per cambiare consistenze e andare su abbinamenti più spinti.

Prosciutto di pecora con Blue Sthilton, Bufala, ambrosia al Pallagrello e nocciole tostate

Padellino al burro aromatizzato al rosmarino- cotta prima al vapore per poi andare in forno statico.

Un percorso “tapas” piacevole ed articolato che trova il culmine con che la proposta, considerata “miglior pizza 2022” da 50top: recensione negativa. Provocatoria al limite dell’irriverente per i social/heater di professione, ma universalmente apprezzata.

Crub: sotto i portici del Borgo, una finestra sul mare

Se usi una materia prima eccellente, meno la tocchi meglio fai.” Questo mi dice Gioacchino Attianese, chef del Crub dal 2019.

Quando è cominciato il sodalizio professionale con Francesco Palumbo, è stato chiaro ad entrambi un concetto: il cliente al centro dell’offerta.
Creare una connessione di fiducia con gli ospiti: mostrare e dimostrare.

Borgo scacciaventi è la via del commercio di Cava de’Tirreni, la ristorazione ha avuto sempre dei riferimenti importanti, ma quasi sempre legati alla carne.
Ma siamo a poche curve dalla Costiera, proprio lì, dove chi vuole sentire l’odore del mare a tavola deve rifugiarsi.
Si intuisce quindi, perché un professionista della medicina del lavoro, decida di aprire un ristorante, in una città, che pur avendolo benevolmente adottato, non è la sua.

Locale bello, distinto, elegante, nel quale trascorrere piacevolmente il proprio tempo. La luce è giusta, l’arredamento è curato, la ceramica d’autore riempie ogni spazio libero. Il pescato in bella mostra e la cucina a vista, completano la lista delle cosa da fare, quando si ha un’idea chiara, un progetto definito, identitario.

Una proposta non banale, mai.
La qualità della materia: prioritaria.
Il mare.
Quello più mondano delle ostriche, dei crostacei, del crudo in generale è eccellente.
L’aspetto più interessante, però è quello in cui lo chef e la sua brigata trasformano, enfatizzando il prodotto.

Con la Ceviche di spigola, si apre il gas, per accendere il palato. Freschezza con il gazpacho, aromaticità tendente al dolce con l’aglio nero per un finale lungo ma non ridondante di liquirizia : figo

Minestra di mare gustosa e succulenta, peccato per la polpetta fritta immersa: less is more

Polpo scottato, patate, carciofi e spuma alla menta.
Tenace la consistenza, l’amarostico si sposa bene con la tendenza dolce delle patate con una bella chiusura fresca della spuma: un classico ben eseguito

Tataki di tonno, broccoli scoppiettati, cipolla rossa agrodolce, katsuobushi
Qui la scena è tutta per Alba, con il suo servizio al tavolo: perfetta in ogni suo gesto.

Cozze alla brace agli odori mediterranei

la presentazione nella Tajine è suggestiva ma non solo, perchè consente di conservare e preservare a lungo l’affumicatura che poi si sprigiona una volta scoperchiata: piatto della serata

Pescato Pezzogna freschissima, cucinata in maniera esemplare: mare, estate, felicità.

Oeil de Pedrix – Jean Vessel
Ingresso migliore non avrei potuto chiedere, il mio preferito in assoluto per partire.
Nè Blanc, né rosè: nulla di convenzionale. Una peculiarità di Jean Vessel, che a Bouzy (montagne di reims) unico o tra pochissimi, che tiene in vita questa tradizione. Solo pinot nero (vista la zona). Breve macerazione diretta. Il colore ambrato è la firma di garanzia.

Guido Marsella 2020, forse un infanticidio. Il riposo che fa sui lieviti gli consente una lunga vita, ma non significa che berlo giovane sia sconsigliato. Una delle massime espressione della docg. Frutta, erbe aromatiche, agrumi ed una piacevolissima e persistente nota affumicata.

Ferrari perle nero riserva 2010
Blanc de noirs – 72 mesi sui lieviti. Un bel giallo dorato. Al naso, frutti tropicali e agrumi, crosta di pane, spezie e leggero finale fumè. Ancora piacevolmente fresco. Armonico.

Terra di Lavoro Wines 2023 – le nostre considerazioni finali

Redazione

Parlare di eventi come Terra di Lavoro Wines 2023 rappresenta uno dei presupposti pensati sin dagli inizi dalla Redazione di 20Italie.

Venti, come le nostre magnifiche Regioni ricche di storia, cultura e coscienza enogastronomica. Tra di esse la prima da cui siamo partiti è stata la Campania, non sempre attenzionata persino dai suoi abitanti.

Nulla di nuovo all’orizzonte, in perfetta coerenza con il motto latino “nemo propheta in patria”. Eppure ci sarebbe parecchio da dire, in particolare della voglia di coesione ricercata dai produttori vitivinicoli del Consorzio Tutela Vini Caserta “VITICA”.

Il Presidente Cesare Avenia è un vero vulcano di iniziative, proprio come il territorio di appartenenza caratterizzato dai ricordi lavici delle eruzioni, sotto forma di sabbie, ceneri e pomici.

L’aggregazione è composta da ben 3 Doc e 2 Igt, ciascuna caratterizzata da differenze pur all’interno di un unico schema, unito dal classico filo rosso di Arianna. Il Mar Tirreno a poca distanza con i suoi zefiri miti che garantiscono buone escursioni nelle calure estreme delle ultime stagioni ed il vulcano spento di Roccamonfina, con il lontananza l’ancor vivo Vesuvio, sono la testimonianza delle complessità naturale di queste terre.

Per far sì che possano essere conosciute vieppiù al grande pubblico di appassionati ed operatori del settore, verrà istituito, a fine aprile, il “sabato casertano” con cantine aperte e possibilità di visita delle stesse previa prenotazione sul sito del Consorzio Vitica.

Ma veniamo alle fasi cruciali di Terra di Lavoro Wines II Edizione, svoltasi nella magnifica cornice del Real Sito Belvedere di San Leucio (CE) nei giorni 18 e 19 marzo 2023.

Dopo i saluti di rito delle Autorità presenti Carlo Marino sindaco di Caserta, Tommaso De Simone Presidente CCIAA di Caserta e Salvatore Schiavone Direttore Ufficio Italia Meridionale ICQRF – il giornalista enogastronomico Luciano Pignataro ha aperto i lavori con le relazioni del professore Attilio Scienza e di Elisa Frasnetti, assegnista di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

Tema delicatissimo: la sostenibilità e le nuove sfide per il futuro. A seguire, in collegamento video, la docente universitaria Roberta Garibaldi ha terminato la prima fase del simposio parlando di turismo enogastronomico.

Gradita presenza, a conclusione lavori e prima di cominciare le degustazioni tra i banchi d’assaggio, dell’Assessore all’Agricoltura per la Regione Campania Nicola Caputo.

Ottimo il supporto della squadra di sommelier di A.I.S. Campania nel gestire al meglio le richieste dei presenti anche durante le Masterclass, con interventi del Presidente dell’Associazione Italiana Sommelier Campania Tommaso Luongo e del Delegato di Caserta Pietro Iadicicco.

Le degustazioni guidate, con vini assaggiati rigorosamente alla cieca, sono servite ad evidenziare pregi e limiti delle varie Denominazioni, creando quell’identità fondamentale per porsi dinanzi al giudizio dei critici e dei mercati di riferimento.

La nostra reporter Maurizia Albano ha potuto constatare con mano la qualità dei prodotti con pochissimi rilievi in negativo, indice di un percorso di crescita per tutto il comparto. Stuzzicanti le acidità delle versioni Asprinio di Aversa e gustose quelle delle altre Denominazioni compresa la piccolissima Doc Galluccio.

Le varietà d’uva principali sono: Falanghina, Asprinio Bianco, Aglianico, Piedirosso, Pallagrello e Primitivo, tutte considerate autoctone, accompagnate da tante altre di minor produzione. La bellezza autentica della nostra Campania!

Il giorno 19, invece, è stato il momento per la commozione, dapprima nel vedere la rinascita della Vigna Borbonica di San Silvestro della Reggia di Caserta, che Tenuta Fontana ha ricevuto in affidamento in concessione. Scopo del progetto “Vigna di San Silvestro” è la valorizzazione enologica della produzione di una varietà tradizionale come il Pallagrello Bianco e Nero.

A seguire l’attribuzione al Consorzio Vitica del Marchio di Autenticità Culturale (M.A.C.) ed il Premio dedicato alla memoria di Maria Felicia Brini (Masseria Felicia), imprenditrice eclettica e grande innovatrice, troppo prematuramente scomparsa.

A ricevere il premio è stato il ristorante Il Frantoio Ducale per la migliore carta dei vini del territorio.

L’ottimismo è il profumo della vita: su questa basi non possiamo che attendere, fiduciosi, la prossima edizione di Terra di Lavoro Wines.

Placito Risano – la cucina istriana ha trovato il suo “centro di gravità”

di Carolina Leonetti

“Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione”. Da questa frase tratta da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline ha inizio, metaforicamente, il mio viaggio gastronomico al ristorante Placito Risano.

Ho avuto il piacere di cenare qui in occasione del Amber Wine Press Tour, evento dedicato ai particolari Orange Wine che tanto attirano l’attenzione degli appassionati, con un focus specifico su prodotti e cantine del Carso.

Sono rimasta incantata da un locale posto quasi fuori dal tempo, dove arte, storia e cucina creano un connubio perfetto, e non vedevo l’ora di raccontare le emozioni vissute.

Gli arredi e gli affreschi si ispirano all’Alto Medioevo, il periodo diviso tra momenti di luce e buio intellettuale, per ricordare proprio un evento che, si presume, abbia ivi avuto luogo: Il Placito del Risano, primo accordo arbitrale nella storia di queste terre, che segnò il passaggio dall’ordinamento bizantino a quello feudale.

Il giovane chef Jure Dretnik e la sua brigata riescono a creare vere e proprie opere d’arte con ricchezza e varietà dei sapori che accompagnano l’avventore in un viaggio enogastronomico, immersi nelle atmosfere dal periodo storico, fino ai tempi moderni.

La cucina è ricercata, sempre legata al territorio e alla stagionalità; un vero e proprio viaggio in Istria, con la particolarità del menu che non menziona i nomi dei piatti, ma solo gli ingredienti usati per la loro realizzazione.

I dettagli della sala curati nei minimi particolari e la grande professionalità del personale lo rendono un luogo ideale dove ritemprarsi per trascorrere una serata romantica o per organizzare meeting aziendali e momenti sereni in compagnia di amici.

Ottima, infine, la proposta degustativa e la selezione vini in abbinamento.

Placito Risano

Bezovica 30

6275 Črni Kal

Slovenia

SI: +386 41 332 696

IT: +39 351 533 8703

info@placitorisano.eu

https://placitorisano.eu/it/

L’abbinamento vino cioccolato è possibile? Ne parliamo con Giovanni Battista Mantelli di Venchi 1878

di Serena Leo

Il pairing tra vino e cioccolato esiste ed è unconventional. A dirlo su 20Italie è Giovanni Battista Mantelli di Venchi artisti del cioccolato dal 1878.

L’Italia del buon vivere ha sempre il suo fascino e, così come il vino, anche il cioccolato sa farsi notare. Nei corsi di perfezionamento per operatori del settore e sulle nostre tavole, però, ci siamo sempre chiesti se vino e cioccolato possano essere compagni di merende.

Per rispondere a questo e molti altri interrogativi, abbiamo chiesto a “quelli bravi” di guidarci. Con Giovanni Battista (per tutti “GB”) Mantelli, mente creativa della storica azienda piemontese Venchi, esploreremo i meandri dell’abbinamento non convenzionale, fuori dagli schemi, scoprendo le potenzialità del cioccolatino del futuro. Sarà davvero perfetto con un calice di vino?

Giovanni Battista Mantelli

Via i pregiudizi anzitutto!

Per analizzare uno spaccato della realtà enogastronomica italiana come quella del cioccolato è necessario sapersi scrollare di dosso ogni pregiudizio, dotandosi di flessibilità, attenzione al gusto quasi maniacale, senza tradire il piacere personale. Insomma, il cioccolato deve farci stare bene proprio come il vino. E per chi è un wine addicted ad ogni costo, dall’antipasto fino al dolce, che si fa? Ci risponde chi sta dalla parte del cioccolato, GB Mantelli.

Prima di tutto occhio alla tecnica: il cioccolato è un alimento ricco di tannini quasi quanto il vino, quindi su questa base si costruisce un incontro di sapori che genera l’abbinamento perfetto. Partendo dal presupposto che l’amante del vino è una mente in purezza è bene munirsi, prima di iniziare, di una grande apertura mentale rivolta alla sperimentazione. La mia tecnica personale sposa sempre la prudenza nell’assaggio, quindi inizio col vino analizzandone il profilo aromatico, successivamente il gusto e poi ci aggiungo il cioccolato, compiendo le stesse operazioni. Il risultato è un bivio che va giudicato solo in base al nostro gusto. Se le sensazioni positive coincidono berrò altro vino e mangerò cioccolato, in cerca della soddisfazione completa in fatto di abbinamento. Non voglio banalizzare il tutto, ma con questa procedura si mette chiunque nelle condizioni di appassionarsi alla degustazione vino e cioccolato”.

Possiamo divertirci aldilà della “tradizione”?

Il cioccolato nel corso del tempo è diventato sempre più pop, versatile, adatto ad appassionare anche le menti meno avvezze al cambiamento. Per chi intende il pairing canonico come intoccabile e quasi estremo – cioccolato con vino rosso – è il momento di aprirsi a nuove prospettive. Combinazioni ancora più fantasiose, che possono riscrivere il concetto di abbinamento, esistono e sono solo da mordere. A questo punto abbiamo chiesto a Mantelli se il cioccolato, nello specifico il cioccolato del futuro firmato Venchi, possa accompagnare un vino bianco o rosati dalle note fruttate più intense come quelle della frutta di bosco? Si può arrivare ad osare così tanto?

La parte più eccitante è proprio questa, scoprire nuove frontiere e toccare universi inesplorati anche con il cioccolato. Con gli abbinamenti per concordanza e contrasto, ormai si può fare di tutto. Ad esempio una ricetta con un profilo aromatico che esalti l’intensità di frutti rossi o di bosco, stimola i nervi del piacere. La combinazione cioccolato bianco salato con semi di cacao tostato, che include patata viola e lamponi croccanti azotati, è perfetta con un vino rosato, specialmente se si parla dei rosati di Puglia”.

E con un vino bianco dalla spiccata acidità e mineralità?

Qui cercherò la dolcezza e sapidità del cioccolato bianco salato, caratteristiche minerali per un effetto quasi da umami. Il cioccolato bianco di questa caratura, ad esempio può reggere anche un formaggio a pasta molle, di conseguenza anche un vino bianco”.

Un ricordo va anche alla sua terra di origine ed al Barolo che si sposa perfettamente con il cioccolato gianduia.

Ad esempio il Barolo, vino difficilmente abbinabile per eccellenza, con un cioccolatino Gianduia ci sta perché rispetta la tradizione, il territorio e quindi piace. Se poi si vuole stravolgere tutto va bene anche azzerare le lunghe distanze, puntando sulla nocciola delle Langhe e i passiti di Puglia”.

L’identikit del cioccolatino del futuro

Viene da pensare che Venchi stia lavorando a un concetto di cioccolato che possa smarcarsi dai canoni della tradizione, combinando fave di cacao provenienti da zone vocate con ingredienti di “casa nostra”. Il risultato è un prodotto in grado di integrare culture e territorio. Allora, GB Mantelli, è proprio questo il futuro che ci aspetta?

Il cioccolato del futuro è intelligente e ci renderà intelligenti, perché sa stimolare tutti i sensi, esaltare l’esperienza gustativa in ogni minima particella. Per mutuare un termine giapponese l’effetto deve essere quello del kokumi, cioè conferire agli alimenti maggiore gradevolezza al palato con elementi mirati e ben studiati. L’obiettivo è aumentare il gusto percepito, pienezza e complessità del sapore. Il cioccolato del futuro sarà così, cercherà di equiparare l’effetto di addentare un piatto unico con diversi gradi di intensità strutturale, ovviamente su tutti non può mancare la croccantezza. Con il brand esaltiamo ricette che esaltano le sensazioni vegetali, proprio come la selezione di nibs che ricorda quasi l’oliva nera, ottima sapidità e l’abbraccio del cacao”.

Insomma, tutti elementi che un calice di vino proprio non sembrano escluderlo. Ma nella nuova collezione primavera-estate c’è un cioccolatino già pronto per accostarsi, in maniera vincente, al vino italiano?

Si, abbiamo l’evoluzione dei nostri best-seller e nuove creazioni, tutto ciò che si può adattare perfettamente anche al vino italiano, se vogliamo”.

Sulla presenza del vino nel cioccolatino che verrà non abbiamo ancora una prova certa; possiamo dire che non esistono confini fino a quando si continuerà a fare ricerca, che sarà da aiuto per esplorare nuovi universi gustativi. E allora perché non pensare a una pralina con un vino sulla scia dei già esistenti cioccolatini liquorosi?

Il vino è talmente ricco d’acqua che non è facile trovare una concentrazione di sapori da intrappolare all’interno di un cioccolatino fondente senza un adeguato supporto. Lascia un’apertura verso scenari ancora inesplorati. Ad ogni modo è possibile sorprendersi sempre se con la materia prima si ragiona solo in termini di alta qualità”.

Puglia: San Severo – un “tesoro” da bere

di Serena Leo

San Severo è davvero un “tesoro” da bere. Su 20Italie le info must have per approcciarsi alla città delle bollicine.

Una Puglia diversa dal solito è possibile, basta virare verso destinazioni meno blasonate per scoprire storie da bere veramente interessanti, proprio come quella di San Severo. Per iniziare questo viaggio fuori dall’ordinario andremo in Capitanata, dove il grano cresce guardando il Gargano, alla scoperta di bollicine insolite.

Per i Wine Lovers sempre a caccia di novità ecco dei must have, informazioni essenziali per arrivare preparati alla scoperta, tappa dopo tappa, del distretto spumantistico a pochi passi da Foggia. Iniziamo, allora questo ideale viaggio, lo promettiamo, spumeggiante.

Sapersi ben definire:

San Severo ha una storia commerciale di lungo corso. Secoli e secoli passati ad essere crocevia per merci di ogni tipo e buone idee, si è sempre distinta come terra vocata per lo scambio di uva e mosto da taglio. Da qui partivano, e partono ancora oggi, cisterne dirette verso terre viticole blasonate. Una vera e propria fortuna, ma anche una piaga diremmo, che per anni ha sacrificato le potenzialità territoriali.

Alcune cantine e cooperative, verso la fine degli anni Sessanta nel clou del commercio “da taglio”, pensarono di iniziare a destinare una parte della produzione all’imbottigliamento e alla definizione di questa terra come realtà vitivinicola. Ecco come nel 1968, per la prima volta in Puglia, arriva la DOC di San Severo per il Bianco e per il Rosso. Un primo passo per attestarsi la qualifica di comunità che sul vino affonda davvero le sue radici.

Le uve destinate a rientrare nella denominazione sono per il bianco il Bombino Bianco e il Trebbiano, mentre per il rosso Montepulciano e Sangiovese. Ovviamente in piccole percentuali sono ammessi gli autoctoni a bacca bianca e rossa, come l’Uva di Troia, gioiello ancora da scoprire come merita. Comincia un nuovo corso storico.

Cosa succede in vigna?

Ma perché San Severo e dintorni genera tanta curiosità? Certamente per il suo terroir. Posizionata a circa 100 metri sul livello del mare, ventilazione importante attenuata dal Gargano, suoli sabbiosi in superficie e calcarei in profondità, mportante scheletro per garantire il prosperare di vitigni dalle grandi potenzialità, spesso sottovalutati. Stiamo parlando del Bombino Bianco che diventa quasi un tratto distintivo insieme al Trebbiano.

Quando si parla di grandi numeri in fatto di vini e, soprattutto, se si parla della Puglia di altri tempi, pensare alla tipica coltivazione a tendone delle vigne sembra inevitabile e certamente a San Severo non si fa eccezione. Gli impianti più antichi, quelli degli ani Sessanta per intenderci, preservano una curiosa struttura tipica della DOC San Severo, quindi troveremo piante di Bombino Bianco alternate al Trebbiano. Un blend che parte dalla terra, il segreto per velocizzare il lavoro massiccio in vigna e in cantina.

Parola d’ordine: sperimentare!

Il Bombino Bianco è generoso per vocazione e questo è un fatto assai noto. Studiato attentamente dai produttori storici di San Severo, che con gli spumanti e champagne ha sempre avuto un certo feeling – perché anche da qui partivano cuvée destinate alle bollicine di Francia – si è cercato un modo per caratterizzare questa terra con un’identità enologica ancora in via di progresso.

La parola d’ordine, che è sperimentazione, ha portato alla ribalta il Bombino Bianco con un’intuizione di Antonio D’Alfonso Del Sordo. Fu lui a sperimentare con il Metodo Charmat la spumantizzazione del Pagadebit (altro termine utilizzato per il Bombino Bianco) per eccellenza. Il risultato? Vincente. Da qui si è aperto un varco pronto per invertire la tendenza estremizzata all’export verso nuove frontiere. Ad oggi la trovata dell’azienda vitivinicola D’Alfonso Del Sordo ha rivoluzionato la concezione del Bombino Bianco sanseverese.

E poi venne il Metodo Classico

Il bello della Puglia è che una buona idea, se realizzata con il giusto entusiasmo e quel pizzico di lungimiranza necessaria, diventa un modo per reinventarsi. Se il Bombino Bianco ha saputo dire la sua come spumante Metodo Charmat (o Martinotti), perché non provare a realizzare un Metodo Classico autoctono? A portare avanti questa mission sono stati tre amici sanseveresi dai destini diversi, il cui nome aziendale nasce da un acronimo: D’Araprì. Con loro è iniziata una vera e propria “rivoluzione dell’autoctono” portando il Bombino Bianco a un mercato inedito, quello del Metodo Classico.

A seguire la tendenza, negli anni, sono stati molti altri produttori che hanno puntato certamente sulle uve di casa, giocando con soste sui lieviti sempre più estreme. Ad aggiungersi al successo del Bombino è la Falanghina, potente, che in Capitanata ha trovato casa. Insomma, oggi San Severo è un vero e proprio hub in cui si sperimenta e produce il vero Metodo Classico di Puglia.

Full immersion nelle cantine ipogee:

A San Severo il vino si è sempre fatto nelle cantine ipogee, dei locali sotterranei che si snodano per tutto il centro storico. L’odore di questi spazi è inconfondibile e ricordano la tradizione, tempi andati, fatiche lontane. Oggi qui non si ospitano più le procedure per la vinificazione, ma resta la testimonianza di ciò che è stato, trasformando ogni angolo quasi in un museo, alternando antiche pupitres che ospitano gli spumanti del futuro. Nel centro storico ci sono diverse cantine ipogee visitabili, ove si possono degustare gioielli d’annata.

I numeri della produzione odierna di bollicine:

Attualmente le bottiglie di spumante prodotte a San Severo e dintorni sono circa 200000 bottiglie annue. Grazie anche a nuovi produttori che desiderano mettersi alla prova, un po’ per curiosità, un po’ per lavoro, cresceranno ancora. Gli spumanti di San Severo sanno farsi apprezzare anche al di fuori del confine regionale, ma con la fatica di strategie non sempre condivise.

A mancare sembrano essere ancora delle direzioni comuni, azioni in grado di tracciare una direzione futura univoca. A tal riguardo i produttori, dai più piccoli ai più grandi, caratterizzano al meglio i loro prodotti per raccontare uno spaccato sociale diverso dal solito, che ha saputo farsi notare dalla cronaca non sempre attenta.

Orcia Doc: una Denominazione nata il giorno di San Valentino

di Adriano Guerri

Una Doc costituita il giorno di San Valentino: la Denominazione Orcia DOC.

Relativamente giovane, è stata costituita il giorno della festa degli innamorati, più precisamente il 14 febbraio del 2000.

Voluta da alcuni produttori fondatori del Consorzio del Vino Orcia, con il preciso intento di salvaguardare e dare impulso all’immagine del vino e del suo incantevole territorio.

Il vitigno principalmente coltivato e utilizzato per la produzione dei vini è sua “maestà”, il Sangiovese. Fiore all’occhiello dell’enologia italiana, ha trovato un habitat ideale in tutto il centro Italia, dando origine a prodotti espressivi e di elevata qualità.

Vengono coltivate nell’intero areale anche altre varietà sia a bacca bianca che a bacca nera, autoctone e alloctone; su tutti Foglia Tonda, Colorino, Cabernet Sauvignon, Merlot e Trebbiano.

Varie le tipologie proposte: Orcia Bianco, Orcia Rosato, Orcia Rosso, Orcia Rosso Riserva, Orcia Sangiovese, Orcia Sangiovese Riserva e, per concludere, anche Orcia Vinsanto.

Storicamente la zona è sempre stata considerata un enclave vocato per la coltivazione della vite. Alcuni toponimi, come “Vignoni” e “Bagno Vignoni” ne sono una testimonianza.

Sia in epoca rinascimentale sia in tempi più contemporanei, tutti i poderi mezzadrili vantavano cantine ove il vino talvolta veniva lasciato a maturare a lungo, al fine di averne peculiarità qualitative migliori.

Seguite con cura tutte le fasi, dalla vigna, passando alla cantina ed alla commercializzazione. La costituzione della Doc è anche concisa con il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento delle temperature, scongiurante la possibilità di gelate primaverili.

La zona di produzione dell’Orcia Doc è incastonata tra due grande denominazioni, ossia, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano, territori altamente vocati per famandi grandi vini rossi apprezzati e conosciuti in tutto il mondo.

I comuni ove viene prodotto questo meraviglioso nettare sono dodici nella denominazione, posti nella parte sud della provincia di Siena: Buonconvento, Castiglione d’Orcia, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia e Trequanda. Parte, inoltre, dei comuni di Abbadia San Salvatore, Chianciano Terme, Montalcino, San Casciano dei Bagni, Sarteano e Torrita di Siena.

Una vasta area che presenta aspetti pedo-climatici molto variabili. Le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono notevoli. Il suolo è di origine marina, prevalentemente ricco di fossili, di argilla, di limo e di sabbia.

L’ammirevole paesaggio della Val d’Orcia, posto tra le dolci colline toscane, è iscritto dal 2 luglio del 2004 nella lista dell’Unesco quale Patrimonio dell’Umanità. Secondo l’Unesco questa valle è uno straordinario modello di come il paesaggio naturale sia stato rimodellato nel Rinascimento e rappresenta gli ideali del “buon governo”.

Attraversata dal fiume Orcia al centro e caratterizzata da stupendi scorci, da dolci colline e da un buon numero di Borghi di origine medievale ha nel cipresso una delle sue piante più tipiche, accanto a oliveti, vigneti e campi di grano. 

Oltre al vino, gli altri prodotti gastronomici sono i pici, i salumi di cinta senese, la carne chianina, lo zafferano, il tartufo bianco di San Giovanni d’Asso, il miele, le castagne e i funghi nella parte più vicina all’ antico vulcano, il pecorino di Pienza e l’olio extravergine d’oliva.

La valle è anche un importante parco naturale, artistico e culturale. Un’ambita meta turistica, attraversata dalla Via Francigena, che in passato veniva percorsa da pellegrini. Una strada che ti proietta dritto nel passato, ove il tempo sembra essersi fermato.

Ogni anno, nel suggestivo Borgo di San Quirico d’Orcia, in concomitanza con il ponte del 25 aprile, ha luogo l’Orcia Wine Festival, l’occasione ideale scoprire i vini di questa Denominazione.

I vitivinicoltori sono oltre 60, tuttavia, non tutti iscritti al Consorzio del Vino Orcia e tra i più attivi menzioniamo: Capitoni, Campotondo, Poggio Grande, Mascelloni Wine Estate Poggio al Vento, Valdorcia Terre Senesi, Bagnaia, Sassodisole, Vegliena, Tenuta Sanoner, Fattoria del Colle, Sante Marie di Vignoni, La Canonica, La Nascosta, Atrivm, Podere Forte, Podernuovo, Podere Albiano e Olivi Le Buche.

L’attuale Presidente del Consorzio è Giulitta Zamperini di Poggio Grande,  succeduta a Donatella Cinelli Colombini artefice della rinascita dell’intero areale.

Lo slogan “Orcia il vino più bello del mondo” è tutto questo… e molto di più!

L’irresistibile richiamo di Montalcino

di Augusta Boes

Un giorno per caso, in giro per la Toscana, l’irresistibile richiamo di Montalcino, una cantina nuova di zecca e l’abbraccio di un’amica speciale. Saltate in macchina con me, si parte per una fantastica gita!

Ogni volta che torno in Toscana, tra i miei amati vigneti e le dolci colline, immersa in questo paesaggio che mi lascia senza fiato come fosse la prima volta, ogni volta faccio una fatica enorme ad andare via. Col tempo ho elaborato diverse strategie per procrastinare la dipartita. Una delle mie preferite è quella di ignorare il navigatore, evitando di girare alla svolta suggerita, e obbligandolo a trovare una strada alternativa. In questo modo scopro nuovi percorsi, nuovi paesaggi, nuovi piccoli borghi, e il naufragar m’è dolce in questa terra meravigliosa.

Sono qui, con la mia Yaris Ibrida, fedele compagna di viaggio, che mi accingo a impostare il navigatore sulla strada di casa. Andremo piano io e lei perché non solo ci piace rispettare i limiti di velocità, ma ancor di più ci piace scivolare lungo questo meraviglioso dipinto senza far rumore alcuno, e senza inquinare. Siamo di ritorno dal Chianti Classico, nella notte è nevicato e queste pennellate di bianco rendono il paesaggio ancora più struggente. Non voglio andar via! Non ancora, non sono psicologicamente pronta.

Ed è così che si insinua un pensiero, un desiderio, una speranza: e se passassi ad abbracciare un’amica che non vedo da tanto, troppo tempo? Tra l’altro mi è di strada, più o meno, e il caso vuole si trovi proprio di fronte a una Cantina che custodisce botti pregiatissime che non assaggio da tanto, troppo tempo. Senza alcuna speranza mando un messaggio a un destinatario che probabilmente non mi leggerà almeno per le prossime tre ore. E invece eccola, la risposta arriva subito e finanche affermativa! Oggi è la mia giornata fortunata! C’è nebbia per strada ma io so dove andare; lei mi chiama, lei mi guida, lei mi parla…

Ed eccomi di nuovo qui a Montalcino, da Luciano Ciolfi a Sanlorenzo. Sì, è inevitabile tornare in questo angolo di paradiso dove il vino, oltretutto, è sempre più buono. Incurante delle pozzanghere, abbraccio finalmente la mia amata Quercia che vigila sui vigneti dal punto più alto del podere. È lei la mia bellissima amica lontana. Luciano mi guarda tra il perplesso e il divertito, più perplesso che altro oserei dire, anche perché mi sono un po’ inzaccherata gli stivali. Ma non fa nulla quando si tratta della sacra terra di Montalcino.

Sono qui con un attimo di calma finalmente, e tutto il tempo necessario per godermi qualche sorso di vino in tranquillità. È da oltre un anno che non assaggio le “mie” botti; ebbene sì ne ho alcune in “adozione”, pratiche sbrigate quando erano ancora in fermentazione. Qualcuno mi ha detto che il mosto non fa troppo bene, ma io ne sono davvero ghiotta, e non sono mai stata meglio in vita mia!

E poi con Luciano è una scommessa vinta in partenza. Gli assaggi 2022 a fine fermentazione e poco prima della svinatura, avevano dell’incredibile! Tre tini già chiaramente definiti: Rosso di Montalcino, agile e floreale, Brunello di Montalcino più polposo e croccante, e Bramante con tutta la sua disarmante profondità ed eleganza. È vero, siamo decisamente in una fase embrionale, ma con il sangue blu ci si nasce e qui ormai la dinastia di questo Sangiovese, ascesa al trono e consacrata anni or sono, regna gloriosa su questo feudo rigoglioso e fiorente.

C’è chi “declassa” il Brunello quando all’esordio sui mercati risulta già molto godibile argomentando la sua presunta mancanza di longevità. Personalmente mi trovo davvero agli antipodi e non riesco ad aspettare nemmeno i cinque o sei anni di affinamento previsti dal disciplinare di produzione. Io il vino buono lo voglio subito! E qui è buono immediatamente. Ecco, dunque, perché c’è sempre un buon motivo per tornare a Montalcino, da Sanlorenzo come da tanti altri amici che in questo modo mi regalano bottiglie mai imbottigliate, che poi alla fine sono le più rare.

Gli assaggi da botte per me sono imprescindibili. Voglio conoscerli intimamente i miei Campioni! Il ritrovarsi a tu per tu con una bottiglia di vino che vi conquista è un po’ come innamorarsi a prima vista di una persona. In quel preciso momento è esattamente tutto ciò che desiderate, ma ognuno di noi custodisce dentro una storia personale che ci ha portati ad essere ciò che siamo di unico e di bello oggi. Il vino non fa eccezione in tal senso.

“Quante cose che non sai di me, quante cose che non puoi sapere” cantavano insieme Elisa e Ligabue. Ecco, io desidero vivere tutta la storia dall’inizio, conoscere la vita e l’evoluzione del vino in cantina, perché si scoprono cose e sensazioni meravigliose e irripetibili in questi sorsi. Non riesco davvero a farne a meno! Ma non indugiamo oltre e cominciamo a riempire i calici.

Il Brunello 2021 se ne sta sulle sue, il sorso è contratto ma ci sta, oggi fa freddo e diamine vuole essere lasciato in pace! Chiediamo scusa per il disturbo e passiamo oltre. La Riserva? Vedremo, per ora resterà un segreto.

Il Brunello 2020 è gioioso, disteso, e di esuberante eleganza. Non credo sia da attribuire esclusivamente alla differenza di un anno, piuttosto a questo suo carattere solare e raffinato. Eppure, c’è stato un momento in cui anche lui era chiuso in una introspettiva riservatezza.

Il Brunello 2019 è in dirittura d’arrivo verso l’imbottigliamento. Qui vi devo dire che non c’è stato un solo momento nell’assaggio, durante il suo lungo percorso, che non abbia espresso vitalità, tensione e grazia innata. È da batticuore, polposo, profondo e vibrante; due botti distinte che si fonderanno presto per l’eternità in una sola anima. Evviva gli sposi!

Poi c’è Bramante, la Riserva 2019. È lui, è sempre lui, è il mio grande, grandissimo amore! Riuscirà a spodestare dal mio cuore la Riserva 2016? In fondo non credo sia necessario. Ho un cuore molto grande e ci sarà posto per entrambi.

Concludo con la più bella novità qui a Sanlorenzo: la nuova cantina realizzata davvero in tempi record. Bravo Luciano! Non deve essere stato facile completare i lavori in tempo utile per la vendemmia. È veramente bellissima, ampia e in un impeccabile stile minimal, così elegante nella sua linea essenziale e sobria. Un grande lavoro di recupero di un capannone che adesso ospita i tini di fermentazione, il magazzino delle vecchie annate (da perderci la testa!) e il leggendario Rosato in definizione. Abbiamo assaggiato anche quello, certo che sì! Ma questa è un’altra storia, prima o poi ve la racconterò.

È tempo di andare ormai, e mentre cammino verso la mia auto, mi giro un’ultima volta per salutare la mia adorata Quercia con gli occhi già pieni di malinconia. Ed è così che mi torna in mente una frase dal libro di Richard Bach “Il gabbiano Jonathan Livingston” che conosco praticamente a memoria.

 “Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato.”

I miei occhi oggi vedono una nuova, bellissima cantina, il mio cuore una scia interminabile di grandi successi, passati, presenti e futuri. Podere Sanlorenzo, 280
53024 Montalcino (Siena) Italy
sanlorenzomontalcino.it

“Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

di Titti Casiello

“Un altro libro sul vino, potrebbe pensare qualcuno”. Così si autodenuncia, nella sua introduzione a Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti, il wine-teller e scrittore Salvo Ognibene, aiutato nella stesura dell’opera dal prezioso contributo di Gherardo Fabretti, Filippo Moschitta e Antonello De Oto.

Un libro diverso sul tema potrebbe, invece, pensare un pubblico attento al termine della sua lettura. Si pone a metà strada tra un saggio ed un racconto, intrecciando la storia del vino con quella dei vignaioli e ricordando testualmente dai suoi estratti come terreno, vitigno e condizioni atmosferiche necessitano sempre della mano sapiente dell’uomo, senza la quale nulla sarebbe comunque possibile.

Perché sono loro, i “Maestri di vino” così definiti da Fabretti, gli ambasciatori della Terra che hanno creato le condizioni affinché il loro vino riflettesse, e amplificasse, il prestigio di un intero territorio e con esso, dunque, anche di una comunità. Nello scorrere dei paragrafi, suddivisi in quattro capitoli ognuno a firma di un singolo autore,  si osserva una costante pressoché univoca, che mira a sollecitare il lettore verso un’immagine del vino non come un prodotto a se stante, ma come un bene che ha accompagnato lo sviluppo umano e territoriale diventando esso stesso, dunque, un prodotto della cultura e della storia.

Salvo Ognibene

Una storia, però, che non sempre è andata di pari passo con quella delle sue norme. Nulla di così tanto diverso di quanto non avvenga in ogni Stato politico che si rispetti, anche per ben altre e diverse questioni, tra chi gioca di coalizioni e chi di opposizioni pur di far valere le proprie scelte individuali. Parimenti è stato (e sarà) con i Legislatori del vino, dove in un avvincente resoconto storico, emerge un quadro dei grandi successi vinicoli italiani tra chi è riuscito a parlare di territorio in un raggio d’azione delimitato da una Denominazione, e chi, invece, ha dovuto faticare (i resilienti o facinorosi che dir si voglia) per crearsi uno spazio pur di interpretarlo secondo il proprio credo.

C’è chi “è stato capace [..] di promuovere un territorio [..] con a monte le geniali intuizioni di Giulio Ferrari  e che oggi compone la squadra del Trento DOC” e chi, invece, si muoveva “con fastidio tra  le regole di un Disciplinare” come Marco De Bartoli che ha dovuto scardinare uno dei più intricati regolamenti di Italia, quello della Doc Marsala, dimostrando, con ostinato rifiuto il non cedere di un solo millimetro dinanzi alle avversità: una storia di rinascita grazie al Vecchio Samperi e che, oggi, custodisce amorevolmente l’antica tradizione siciliana del perpetuo. Ma “Storie di vite” è ricco anche di nozioni che vanno oltre le informazioni più attuali, “Oggi lo Stato con più consumo pro capite è Città del Vaticano con circa 60 litri a persona all’anno”, o le domande ormai di tendenza ad esempio per definire ad libitum i vini biologici e biodinamici e si sovrappongono parti storiche, dalla religione, alla letteratura e alla prosa che ci ricordano da dove veniamo e dove stiamo andando.

Informazioni che se aprono nuovamente la mente al lettore: il vino visto come strumento di riscatto sociale. Ciò è accaduto alle porte di Napoli, in una città assediata all’epoca dal “malaffare”.  Chiaiano sembrava destinato ad una triste sorte, ma il sentire profondo di una comunità che voleva risorgere ad ogni costo, risiederà per sempre nei due ettari di vigneto di Falanghina gestiti dalla Cooperativa (R)esistenza. Un bene agricolo confiscato alla camorra e dedicato alla memoria di un purista della legalità come era Amato Lamberti. Tanta la paura alla prima vendemmia, “poi però incontrammo Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni [..] che sposò il progetto”.   Il libro continua così, tra commossi ricordi e realtà, centodieci pagine che si fanno leggere piacevolmente, pensando che di vino c’è sempre qualcosa di bello da scrivere.

“Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

Dario Flaccovio Editore

Prezzo di vendita proposto: 11 euro

Le degustazioni sartoriali a “The Wine Tour” di Vinario4

di Cristina Santini

I ragazzi di Vinario4 non sbagliano un colpo. Domenica 29 gennaio ho partecipato ai banchi di degustazione “The Wine Tour” accolti nella sala di Straforno, rinomato locale di Roma adatto ad ogni tipo di evento, che coniuga l’estro culinario fuori onda alla tradizione della nostra cucina regalando piatti sfiziosi fatti con materie prime di altissima qualità e con una carta vini sensazionale.

Un incontro con 24 realtà soprattutto del tessuto laziale e toscano che hanno presentato le loro migliori etichette, anche di diverse annate, tra autoctoni e non. Ho scritto del progetto Vinario 4, nato nel 2019, in altre occasioni; amo parlarne spesso perché ammiro la loro professionalità, la temperanza e la passione nel raccontare i territori e il lavoro sapiente dei produttori con un’attenzione particolare a quelle aziende che fanno ricerca, innovazione e sostenibilità.

Molti produttori laziali rappresentano per me una grande famiglia, amici con cui condividere dialoghi costruttivi e assaggiare i loro vini dalle vasche ancora in fermentazione fino a poco prima dell’imbottigliamento. Una fiducia reciproca che si costruisce nel tempo con serietà e passione per il meraviglioso mondo del vino. D’altro canto Ernst Engel diceva che il miracolo del vino consiste nel rendere l’uomo ciò che non dovrebbe mai cessare di essere: amico dell’uomo.

Vi presento allora alcune cantine con i loro vini e le mie considerazioni di rito.

Casamecocci Winery “Il Malandrino” annate 2021 – 2020 – 2019

Azienda di appena tre ettari nata nel 2019 da due amici, Marcello Lagrimanti e Giacomo Andreocci, che hanno recuperato vigneti antichi di settant’anni e ostinatamente ripercorso quella che era la tradizione vinicola della Tuscia, nel territorio di Vignanello tra i monti Cimini, storicamente nota e citata nelle opere di famosi poeti italiani e stranieri, dove fare vino rischiava di divenire un’impresa dimenticata.

Un’etichetta particolare, “malandrina”, che si fa subito notare. Unione di uve bianche nate su terreni stratificati dall’attività dei vulcani Cimino e Vico. Da Procanico, biotipo del Trebbiano Toscano, e dalla varietà Trebbiano Giallo (localmente chiamato Rossetto) per il 70% ed il resto conteso tra Malvasia di Candia, Malvasia Puntinata, Greco di Vignanello e Grechetto. Decantazione statica a freddo, vinificazione dell’uvaggio e affinamento per sei mesi in vasche d’acciaio, con continui bâtonnage, più un ulteriore riposo di sei mesi in bottiglia.

Vino poliedrico che sorprende con la forza dei suoi profumi, attimo dopo attimo senza annoiare mai. Regala emozioni diverse con l’età e con la longevità: una 2021 può conquistarti per sentori di agrumi ed erbe aromatiche fresche che ricordano le montagne e con quel sorso minerale e sapido che richiama i terreni tufacei.  La 2020 stupisce per forza di freschezza e mineralità, declamando aromi di pietra focaia e leggere note terrose. In chiusura una 2019 dalla quale ti aspetteresti la discesa ed invece ti presenta il conto della maturità.

Tenuta Iacoangeli – Cabernet Franc Igt Lazio 2020 Eredità di famiglia che parte nel lontano 1571 con il trisavolo Giovanni Iacoangeli e viene tramandata di padre in figlio fino agli attuali sei ettari coltivati e curati da papà Mauro e dai figli Matteo e Paolo. Passione, quella di fare vino, da cinque generazioni che ha visto una crescita costante negli anni puntando alla qualità e al rispetto del territorio.

I vigneti sono stati reimpiantati e trasformati da allevamento a tendone a quello a spalliera a cominciare nel 2013, partendo da Malvasia Puntinata, Bellone e Viognier (che formano la Doc Roma di cui la cantina è socia fondatrice), proseguendo nel 2016 con il Cabernet Franc ed il Petit Verdot. Siamo a Genzano di Roma (RM), nel cuore dei celebri “Castelli”, situati sul versante esterno del cratere vulcanico del lago di Nemi appartenente al complesso del Vulcano laziale. Da immaginare solo il lavoro nel trasportare le uve raccolte rigorosamente a mano dai vigneti, non proprio vicinissimi, ai localeidi vinificazione.

Tra le proposte, tutte d’impronta qualitativa, vi racconto proprio il Cabernet Franc. Vino giovane, vigoroso ed intenso che matura 14 mesi in acciaio e 12 mesi in bottiglia, sfoderando note erbacee non troppo marcate e nuance di frutta rossa come lamponi e ribes. Buona la struttura, finemente speziato nonostante la giovane età, dal sorso armonico e consistente che trapela una velata alcolicità mai priva di eleganza. Grintoso, compatto, autentico ha ancora tanto spazio per crescere ed elevarsi.

Emiliano Fini – Cleto Igt 2019 e Lavente Igt 2020 – Altra bellissima realtà familiare acquistata nel 1988 da Anacleto e sua moglie Giorgia insieme ai figli Claudia e Emiliano, ubicata con i suoi dieci ettari ad Aprilia (LT), ai piedi del grande distretto vulcanico dei Colli Albani. Le piante crescono a pochi chilometri dal mare su terreni costituiti da piroclastiti, tufo e lapilli dando quell’impronta di sapidità e mineralità importante ai vini.

La verità è che quando hai un sogno e sei determinato come lo è stato Emiliano prima o poi le cose si avverano. Nel 2017, dopo un attento studio del territorio e della qualità delle varietà prodotte finora, si convince a vinificare in proprio le uve che prima andavano in conferimento. La scelta privilegia la vinificazione in purezza dei vitigni autoctoni (Grechetto e Malvasia Puntinata) caratteristici della zona avendo particolare cura e attenzione verso la terra in cui dimorano da sempre.

Il buongiorno si vede dal mattino! Da un’accurata selezione in vigna dei migliori grappoli fino alla maturazione di sette mesi sulle fecce fini in cemento, ho degustato due esempi dal carattere schietto, pulito ed identitario. Mentre per il Cleto (omaggio a Papà Anacleto) le uve di Grechetto raccolte a mano vengono dolcemente pressate, per il Lavente (da suolo vulcanico) le uve di Malvasia Puntinata sono sottoposte a macerazione pre-fermentativa prima della pressatura soffice.

Cleto 2019 colpisce per profumi di pesca gialla e agrumi e, se lo sai attendere con calma, ti avvolge per soffuse essenze di fiori di campo. Il sorso è energia e sapidità all’unisono, con quella freschezza che si protrae fino all’ultima goccia.

Lavente 2020 non ha la classica aromaticità prorompente della Malvasia Puntinata, ma un delicato sentore al naso di mela gialla ed erbette aromatiche. Piacevolissima la beva così intensa e persistente dove sapidità e mineralità la fanno da padrone. Ogni annata del Lavente è una vera sorpresa.

Gianmarco Iachetti – Colle San Lorenzo Igt 2021 – Che meraviglia i vini di Gianmarco. Giovane produttore classe ’92 dopo essersi laureato in Enologia all’Università della Tuscia ed aver frequentato a Bordeaux l’Institut des Sciences De la Vigne et Vin (in sigla ISVV), ritorna alle origini recuperando l’azienda appartenuta ai nonni dal lontano 1953. Prima vendemmia targata 2016. Sei gli ettari vitati, dislocati nell’Agro Pontino a Doganella di Ninfa (LT), alle pendici dei Monti Lepini, culla di due autoctoni come il Nero Buono e il Bellone. Ampia gamma dei prodotti, la maggior parte realizzata da varietà autoctone. Personalmente sono rimasta colpita dal Colle San Lorenzo, blend di uve rosse 75% Merlot e 25% Cesanese.

Il frutto di prove continue ed esperimenti per arrivare ogni anno ad ottenere risultati diversi e interpretativi. Dall’amore per il territorio è nata anche la collaborazione con l’Associazione Piccoli Vignaioli Pontini per diffondere e valorizzare al meglio i vitigni di questa zona e le loro peculiarità. Colle San Lorenzo 2021 va letteralmente dimenticato per anni in cantina, così intenso e complesso al naso con note croccanti di frutti rossi e un’importante balsamicità ben armonizzata al sottobosco finale. Sorso morbido nonostante la gioventù, si fa bere con estrema facilità portando ad una chiosa di bocca caldamente fruttata.