Officina 83 a Sala Consilina: un viaggio in moto custom nello stile american fast food e braceria selezionata

Marco Marrocco è una forza della natura, con i suoi 40 anni vissuti intensamente e le mille idee ancora da realizzare. Officina 83 è solo l’ultimo dei suoi nati, un locale in stile drive in anni ’60, con tanto di camioncino delivery all’esterno e Harley-Davidson da collezione all’interno.

Perché Marco ha la passione smodata per i cavalli a motore, il vento del mare e la buona cucina, magari con una valida proposta vini in abbinamento. Ho sempre ammirato la concretezza di chi svolge da anni l’attività di ristoratore. Agli inizi (nel 2011) non esisteva che un unico bancone dove i clienti potevano selezionare gli ingredienti di qualità per la composizione del piatto, potendo usufruire di uno spazio limitato per sedersi comodi.

Da allora le cose sono ben diverse, mentre il luogo, Sala Consilina, è rimasto quello di una volta, ancora bisognoso di aprire le menti verso le novità e le sirene provenienti dalle grandi metropoli. Marrocco cerca quotidianamente di essere avanti anni luce con i tempi: tra i primi a portare l’esterofilia del concept e del gusto nei propri locali, inclusa una ricca selezione di carni servite tra tartare, bun con hamburger, tagliate e costate di “varie metrature”.

E poi la ripartenza nei mesi della pandemia con un servizio impeccabile di consegne porta a porta. Tutto facile? Non sembra a giudicare dall’impegno continuo che lo vede coinvolto nell’ampliare la gamma delle pietanze e la carta dei vini giunta ad oltre 50 referenze italiane ed internazionali.

Marco Marrocco

In cucina il giovanissimo chef Giovanni Rocco, appena ventenne, sa coniugare energia e talento anche nell’impiattamento. Proveniente dall’Istituto Alberghiero ha davanti a sé un brillante futuro che ne smusserà alcuni angoli ancora acerbi; d’altro canto quando la mela è buona vale la pena coglierla direttamente dall’albero piuttosto che sceglierla dal cesto.

Il piatto firma di Officina 83, la tartare di manzo ai frutti di bosco è semplicemente perfetta. Realizzata alla moda francese, con quei richiami di senape anche nelle salse in accompagnamento ai bordi, resta ancorata nei ricordi dei miei migliori assaggi.

La picanha di Swamy, lavorata e frollata dallo staff a partire dalla mezzena, cosa rara solo in carta alle migliori steak house, ha subito un’affumicatura ai trucioli di Jack Daniel’s Tennessee Whiskey. Un carpaccio sottile e saporito con 3 diverse varietà di pepe in grani, burrata e scaglie di tartufo nero.

In ultimo, la classica tagliata di Angus U.S.A. con cardoncelli e parmigiano e la guancia di maialino cotta a bassa temperatura, servita con misticanza e broccoli saltati. Tenera al taglio, non eccessiva nelle componenti gelatinose e grasse che possono talora stancare il palato. Un viaggio tra sapori semplici, essenziali, senza trucco e senza inganno, nel cuore del Vallo di Diano.

Umbria: la visita da Fattoria ColSanto della famiglia Livon nello storico borgo di Bevagna

Da Fattoria ColSanto si arriva percorrendo un lungo e suggestivo viale di cipressi, disposti in duplice filare, che anticipa lo charme della Tenuta. Siamo nel centro dell’Umbria nello storico borgo di Bevagna, a pochi passi da Montefalco. 

La Storia

Nel 2001 l’azienda è stata acquisita dalla famiglia Livon, che ha subito iniziato a restaurare i ruderi del vecchio casale risalente al 1700, impiantando nuovi vigneti ad alta intensità. L’etimologia del nome deriva proprio da Colle, posta sulla sommità della collina di fronte ad Assisi, terra di Santi.
La proprietà ha un’estensione vitata di oltre 20 ettari, attorno alla nuova cantina, ove affondano le radici di varietà, quali, Sagrantino, Sangiovese, Montepulciano e Merlot e un appezzamento di tre ettari di Trebbiano Spoletino non lontano dalla fattoria. La “patria enologica” del Montefalco Sagrantino, il cui vino può a buon diritto essere considerato una perla enologica italiana sia nella versione secca sia passito. La struttura mette a disposizione ai propri clienti 12 eleganti camere ricavate nella vecchia villa padronale.

Fattoria ColSanto è immersa in uno scenario incantevole, dove la nutrita presenza di vigneti e uliveti ne fanno un territorio di straordinaria bellezza che cede il passo ai rilievi del Monte Subasio con cime innevate in questo periodo. La visita è iniziata dalla panoramica terrazza che offre una vista di ineguagliabile bellezza, dalla quale si vedono in lontananza Assisi, Spello, Trevi e Montefalco. Poi dritti in cantina, tra barriques, botti di varie dimensioni e anfore, a seguire degustazione dei vini anche dell’azienda friulana accompagnati da prelibatezze locali.

I Vini degustati

Fenis Livon – Ribolla Gialla Metodo Martinotti – Paglierino con riflessi verdolini, dal perlage fine e persistente. Note di fiori di camomilla, pera e pasticceria da forno, dal gusto fresco, sapido e lungo.

Collio Doc Chardonnay 2021 – Livon – Paglierino brillante, naso di mela, ananas, banana, pesca, nocciola e crosta di pane. Avvolge e persiste al palato con freschezza che stimola il sorso.

Collio Doc Friulano Manditocai 2021 – Livon – Riflessi dorati, sprigionante note floreali di pesco, frutta tropicale e noce moscata. Sorso ricco, avvolgente e vibrante.

Cantaluce Umbria Igt 2019 – ColSanto – Trebbiano Spoletino – Riflessi dorati,  con sentori di mela, pera, melone, frutta tropicale e erbe aromatiche. Fresco, rotondo e leggiadro.

Montefalco Sagrantino Docg ColSanto 2016 – Rubino profondo, emana note di marasca, melagrana,  mora, prugna, tabacco e spezie orientali. Grip tannico poderoso, ma setoso, avvolgente e duraturo.

Montarone Passito Umbria Igt 2016 – ColSanto – Sagrantino – Anch’esso rubino profondo, sentori di lavanda, confettura di more, ciliegie sotto spirito e prugne secche. Vino delicato ed appagante.

Morellino del Cuore: 10 calici per un viaggio nel terroir della Maremma

Dieci impeccabili ambasciatori di un territorio ricco di fascino e di grandi potenzialità; dieci calici vibranti, ghiotti e appaganti, da bere tutti i giorni e perfetti per le occasioni speciali. Senza eccezione alcuna, si sono abbinati alla perfezione con gli squisiti piatti che l’Osteria Poerio ha preparato per l’occasione.

La Città Eterna accoglie con entusiasmo il “Morellino del Cuore” on tour, e lo fa in grande stile ospitando stampa e produttori nella deliziosa cornice dell’Osteria Poerio a Monteverde Vecchio, uno dei quartieri più signorili di Roma. Il progetto, nato dalla collaborazione tra il Consorzio di Tutela Morellino di Scansano DOCG e i giornalisti Antonio Stelli e Roberta Perna, offre un’opportunità unica per esplorare l’evoluzione di un vino che affonda le sue profonde radici nella luce e nella tradizione della rigogliosa terra di Maremma.

Morellino del Cuore: la Maremma tra passato, presente e futuro

La prima edizione, nel maggio dello scorso anno, ha coinvolto sei esperti giurati, capitanati dalla giornalista Stefania Vinciguerra, Caporedattore di DoctorWine, in una degustazione alla cieca di 64 etichette per 36 produttori. È così che sono stati selezionati i 10 vini ambasciatori della DOCG, in grado di riportare nel calice tutta l’essenza e la emozionante suggestione del territorio.

La costa maremmana è originariamente una terra di tradizioni rurali in cui il Sangiovese, vitigno continentale, non deteneva inizialmente un ruolo predominante. In passato, la produzione di vino in questa zona era orientata principalmente al consumo immediato, senza una chiara identità di stile, né tantomeno la necessità di produrre vini destinati all’invecchiamento.

Tuttavia, la straordinaria versatilità e la capacità di adattamento del Sangiovese al microclima marino della Maremma hanno portato a una trasformazione significativa della base ampelografica del territorio. Il Sangiovese ha saputo conquistare spazio tra gli altri vitigni, plasmando il carattere distintivo del Morellino di Scansano.

Identità, sinergia e qualità costituiscono oggi i pilastri fondamentali su cui basare l’ascesa verso l’eccellenza della Denominazione. La DOCG, relativamente piccola e frammentata in tanti produttori, sta lavorando in sinergia per consolidare la sua riconoscibilità distintiva attorno al Sangiovese del mare, impegnandosi altresì ad elevare costantemente l’asticella della qualità con l’obiettivo di distinguersi come Denominazione di prestigio della Toscana.

Nuove chiavi di lettura per una comunicazione sempre più efficace

L’originale classificazione di “Morellino del Cuore”, che suddivide le etichette in tre categorie – Annata, Intermedia e Riserva – non coincide perfettamente con quella del Consorzio che attualmente distingue solo tra vini d’Annata e Riserva. Eccole svelate dunque le 10 etichette del cuore, rigorosamente in ordine di apparizione.

Per il Morellino Annata conquistano il cuore della critica specializzata:

  • Santa Lucia – Morellino di Scansano Docg A’ Luciano 2022
  • Tenuta Agostinetto – Morellino di Scansano Docg La Madonnina 2022
  • Mantellassi – Morellino di Scansano Docg Mago di O3 2022
  • Le Rogaie – Morellino di Scansano Docg Forteto 2021

Per la categoria Intermedia sul podio del cuore troviamo:

  • Boschetto di Montiano – Morellino di Scansano Docg Io&Te 2021
  • Cantina Vignaioli di Scansano – Morellino di Scansano Docg Vigna Benefizio 2021
  • Podere 414 – Morellino di Scansano Docg 2020

Le Riserva da batticuore sono invece:

  • Roccapesta – Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020
  • Morisfarms – Morellino di Scansano Docg Riserva 2019
  • Terenzi – Morellino di Scansano Docg Riserva Madrechiesa 2019

Il nostro cuore batte forte per tutti, ma se fossimo obbligati a sceglierne solo uno per categoria sul nostro podio personale trovereste loro.

Le Rogaie –  Morellino di Scansano Docg  Forteto 2021

Una realtà giovane ma con le idee già molto chiare, la famiglia Poggi esordisce nel 2019, e due anni dopo tira fuori un vero gioiello. Un Sangiovese in purezza da vigne vecchie che convince col suo sorso scorrevole e dinamico, tannini decisi ma garbati, e una corroborante carica balsamica in cui il profumo della brezza marina si fonde e confonde con sentori di macchia mediterranea. Lunghissima persistenza sapida.

Cantina Vignaioli di Scansano – Morellino di Scansano Docg Vigna Benefizio 2021

Con 170 soci e circa 700 ettari vitati che si estendono dal mare fino alle pendici del Monte Amiata, la Cantina, fondata nel 1972, ha di fatto scritto un copioso e importante capitolo nella storia del Morellino di Scansano. Sangiovese in purezza, sapido e carnoso, scorrevole ed equilibrato, e con un bouquet profondo e sfaccettato, il Vigna Benefizio forse incarna più di altri l’emblema di quel vino di mare attorno al quale consolidare l’identità e la riconoscibilità della Denominazione.

Roccapesta – Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020

Con 35 cloni su 30 ettari vitati, da Alberto Tanzi non troverete altro che Sangiovese. Espressivo ed elegante come si addice ai purosangue di alto lignaggio, ammalia con un bouquet complesso e raffinato, e avvolge in un caldo abbraccio con tannini levigati e una scia sapida interminabile. Ha tutte le carte in regola per un lungo invecchiamento.

La tecnologia innovativa Purovino® per un vino senza solfini aggiunti

Menzione speciale per il Mago di O3 2022, il primo Morellino di Scansano senza solfiti aggiunti, prodotto dalla cantina Mantellassi con la tecnologia innovativa Purovino®. La saturazione della camera di stoccaggio con Ozono sterilizza le uve, che sono poi lavorate con attrezzature trattate con lo stesso gas. Il mosto così non ha bisogno di SO2, né tanto meno sarà necessario aggiungere solfiti al vino per preservarne nel tempo le proprietà organolettiche e la salubrità.

Vi lasciamo con una riflessione: sarà solo una coincidenza, ma i più convincenti sono stati i vini da Sangiovese in purezza, forse anche questo un dettaglio da capitalizzare nella definizione di una identità forte.

Chianti Docg: “La Rivoluzione a Montespertoli”

Quando si pensa che della Toscana si sa ormai tutto si rischia di incorrere in un errore, perché sono ancora molte le realtà dormienti che godono di una antica tradizione vitivinicola e che sono in fase di risveglio e riscossa. Una di queste è quella del Chianti Docg realizzato a pochi chilometri da Firenze, nella sottozona ricadente nel comune di Montespertoli. Un distretto storico che sembrava ormai rilegato ad essere dimenticato, rivive oggi un progetto rivoluzionario in cui i vini mirano a risalire la faticosa via del successo dei grandi vini toscani.

La “Rivoluzione”

Alla sua seconda edizione di “La Rivoluzione a Montespertoli”, presentato dall’Associazione Viticoltori di Montespertoli, l’evento unisce 17 aziende eco-sostenibili con una visione comune di valorizzare uno dei terroir vinicoli più sottovalutati della Toscana. A guidare la pacifica rivoluzione è Giulio Tinacci, di soli 30 anni, da due anni Presidente dell’Associazione che lui stesso ha ideato, che sottolinea il ruolo di garanzia dell’autenticità del prodotto attraverso un patto tra viticoltori. Giovane ingegnere, cresciuto tra i vigneti di famiglia della cantina Montalbino, ha sviluppato in breve la consapevolezza di chi vuole rompere gli schemi per uscire dall’anonimato e far conoscere una realtà che ha tanto da raccontare.

Tra le splendide colline del territorio di Montespertoli, Giulio alleva vitigni autoctoni della tradizione vitivinicola toscana: Sangiovese, Fogliatonda, Canaiolo, Colorino, Trebbiano Toscano e Malvasia Bianca del Chianti. Le sue idee sono state sposate con entusiasmo dagli altri sedici produttori, ottenendo il patrocinio del Comune di Montespertoli fin dalla prima edizione. Il sindaco Alessio Mugnaini ha ribadito l’orgoglio della città nel sostenere aziende motivate che promuovono il territorio non solo durante questo evento, ma durante tutto l’anno.

Le Masterclass

Domenica 12 novembre 2023, il Museo della Vite e del Vino ha aperto le porte agli appassionati di vino, stampa e operatori per assaporare i vini dell’associazione con banchi d’assaggio. L’esplorazione approfondita delle sfumature del vino di Montespertoli, guidata dall’esperto di vini Bernardo Conticelli, in una masterclass molto professionale, è stata uno dei momenti salienti. La giornata si è conclusa con la cena organizzata al Podere dell’Anselmo, dove sono stati presentati piatti tipici del territorio con materie prime a chilometro zero, in abbinamento ai vini dei produttori del Consorzio.

Lunedì, sempre presso il Museo del Vino in Montespertoli, l’Associazione ha organizzato una degustazione guidata da Giampaolo Gravina, uno dei critici più apprezzati a livello nazionale. Gravina riconosce la rottura con la tradizione nel nuovo percorso di Montespertoli, affermando: “Mai come oggi il vino di questo territorio è delineato da un carattere contemporaneo. Rivendicando la centralità del viticoltore dal vigneto alla bottiglia, sta conferendo a tutta l’area una collocazione non più subalterna ma con una prospettiva da protagonista.”

Le cantine presenti

Podere all’Anselmo, Tenuta Barbadoro, Fattoria di Bonsalto, Tenuta Coeli Aula, Fattoria La Gigliola, Le Fonti a San Giorgio, Podere Ghisone, Podere Guiducci, Fattoria La Leccia, La Lupinella, Montalbino, Tenuta Moriano, Fattorie Parri, La Querce Seconda, Tenuta Ripalta, Castello di Sonnino e Valleprima.

Visita all’Acquedotto Campano Sorgente del Torano

Visita consentita grazie allo Staff Tecnico Amministrativo Impianti e Reti del ciclo integrato delle acque di rilevanza regionale

L’acqua è vita. Lo sanno benissimo le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo, quando scarseggia nel soddisfare il fabbisogno quotidiano per alimentarsi. Sì, perché l’acqua è essa stessa un alimento indispensabile alla sopravvivenza; il movimento survivalista affermava che possiamo stare 3 minuti senza aria, 3 giorni senza acqua e ben 3 settimane senza cibo.

Si comprende il senso dell’importanza strategica di avere una rete strutturale pubblica in cui le perdite vengano ridotte al minimo. A ciò bisogna aggiungere il rispetto che ognuno di noi deve avere per un bene di primaria importanza, facilmente deperibile e contaminabile.

Le risorse del pianeta Terra non sono infinite e l’Acquedotto Campano Sorgente del Torano è un fulgido esempio di come si possano evitare gli sprechi sfruttando le antiche costruzioni borboniche, migliorando la qualità complessiva degli invasi e delle tubazioni di affluenza e sanificando le stesse con piccole percentuali di sostanze clorate per rendere il liquido potabile fino ai rubinetti delle nostre case.

Due le sorgenti – Torano e Maretto – che attraversavano Piedimonte Matese, con un impatto ambientale mitigato proprio dall’Acquedotto, presidio anche contro le sicure esondazioni che un clima ormai impazzito amplifica per frequenza e onda distruttiva.

La Sorgente del Torano ha, a seconda della stagione, una portata variabile tra i 1.000 ed i 2.800 l/s
Mentre la Sorgente del Maretto ha, a seconda della stagione, una portata variabile tra i 600 ed i 1.200
l/s. Dalla Sorgente Torano (circa 200 m slm) parte il percorso dell’Acquedotto Campano. Presso la Centrale Torano vi confluiscono le acque della Sorgente Maretto e presso la vasca di riunione in località Madonna del Bagno (circa 190 m slm) a Gioia Sannitica le acque provenienti da Bojano (Sorgenti Santa Maria dei Rivoli, Pietrecadute e Rio Freddo), ovvero dal versante molisano del Matese.

L’Acquedotto arriva così a portate di punta di circa 6.000 l/s. Da qui, per circa 30 km, una serie di opere gallerie, canali sotterranei, ponti canali, sifoni, due attraversamenti del fiume Volturno – conducono
le acque, sfruttando il solo dislivello e senza impianti di sollevamento, al Nodo di San Clemente (presso Caserta, circa 170 m slm), da cui si diramano oltre 20 Km di condotte che attraversano la pianura campana fino ai serbatoi che alimentano Napoli, le aree flegrea e vesuviana e – tramite una condotta sottomarina – le isole di Procida ed Ischia.

Lo Staff addetto alla gestione dell’acquedotto ha aperto le porte a 20Italie di questo prodigio d’ingegneria idraulica ben custodito dall’Amministrazione Pubblica della Regione Campania.

Un esempio finalmente virtuoso di come sappiamo fare le cose per bene al pari, se non meglio di tante altre realtà. Numeri alla mano si intende. Un ringraziamento particolare anche alle associazioni Viatoribus e Love Matese per averci insegnato che territorio e cura dello stesso sono fattori inscindibili per il futuro.

Il ritorno a Fontodi: eccellenza del Chianti Classico e rispetto del territorio nel segno del Gallo Nero

Flaccianus Pagus era l’antico nome del borgo rurale di Panzano, frazione di Greve in Chianti. Da qui prende il nome il Flaccianello della Pieve, forse l’etichetta più nota e riconoscibile dell’Azienda Agricola Fontodi, per l’immagine di una croce in stile longobardo-cristiano, cippo originale in pietra arenaria rinvenuto nelle vigne dell’azienda e conservato nella Pieve romanica di San Leolino.

Panzano e la “Conca d’Oro”

Un’azienda che rivisitiamo con estremo piacere, per raccontare l’etichetta che rimarca il legame fortissimo tra territorio e confini del Chianti Classico, attiva a Panzano dal 1968 ad opera della Famiglia Manetti, oggi guidata da Giovanni Manetti attuale Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico (rimando all’articolo del collega Adriano Guerri: Fontodi: la magia del Sangiovese in purezza nel cuore del Chianti Classico). Ben 110 ettari di vigne, di cui il 95% a sangiovese, contenute prevalentemente in quell’anfiteatro naturale denominato Conca d’Oro, che a sud del borgo di Panzano  si estende fino a raggiungere il fiume Pesa ed è delimitato a est da San Leolino.

Qui un tempo, a godere del clima ideale e dell’irraggiamento solare erano le coltivazioni di grano (da cui il nome), ora che invece la vite ha trovato il suo luogo d’elezione naturale, il significato di Conca d’Oro assume una valenza prevalentemente legata ai caratteri di qualità microclimatica. È Silvano Marcucci, storico collaboratore della Famiglia Manetti, a raccontarci Fontodi, partendo proprio dalle vigne, visibili con un unico colpo d’occhio dal cortile dell’Azienda e racchiuse in questa culla naturale che, complice la luce nitida di un nuvoloso fine ottobre e il principio di foliage delle vigne, nel pomeriggio della nostra visita irradia suggestivi bagliori dorati.

L’azienda a misura d’uomo

“Siamo artigiani”, Silvano ci tiene a ribadirlo sin da subito. E anche se questo termine potrebbe confliggere con la notorietà internazionale e il plauso ormai unanime della critica, Silvano ricorda come prima di tutto si debba mirare a produrre il “vino giusto”, che sia non solo piena espressione del terroir, ma soprattutto sostenibile per il territorio: la porzione di vigna immediatamente davanti a noi è stata rifatta con pietre di recupero seguendo la tecnica del terrazzamento, più rispettosa dell’ambiente. Ma d’altronde Panzano è biodistretto vitivinicolo, il primo costituitosi in Europa nel 1995, inizialmente con soli undici produttori, oggi diventati ventitre su un’estensione di oltre settecento ettari. Fontodi dunque opera in regime biologico, attribuendo a questo termine una profondità di significato che va oltre i dettami di legge, legato al rispetto dell’intero ecosistema del territorio e la classifica come un’azienda a ciclo chiuso.

“L’uva nasce nella terra e ritorna nella terra” è uno dei principi di Giovanni Manetti: ecco perché il cumulo di vinacce che ci accoglie al nostro ingresso nei locali di vinificazione non verrà conferito a nessuna distilleria. La famiglia Manetti infatti è anche proprietaria di un allevamento di Chianina, settanta capi di una razza autoctona del Centro Italia, che negli anni Settanta rischiava l’estinzione. Il letame ottenuto dall’allevamento, insieme agli sfalci e alle vinacce viene utilizzato in vigna come compost nel periodo tra novembre e marzo, in alternanza a interfile con favino, orzo ed erba spontanea.

Attualmente Fontodi produce una media di 350 mila bottiglie all’anno, suddivise su otto etichette: Flaccianello della Pieve (Sangiovese 100%), Vigna del Sorbo Chianti Classico Gran Selezione; Terrazze San Leolino Chianti Classico Gran Selezione, Fontodi Chianti Classico (Sangiovese 100%), Filetta di Lamole Chianti Classico (Sangiovese 100%), Case Via Pinot Nero Colli della Toscana Centrale IGT (Pinot Nero 100%); Case Via Syrah Colli della Toscana Centrale IGT (Syrah 100%), Meriggio Colli della Toscana Centrale IGT (Sauvignon 90%; Trebbiano 10%).

La Cantina

La cantina è nata in due tempi a partire dal 1997. I locali si dislocano su tre livelli (vinificazione, maturazione, imbottigliamento) per avvalersi della sola forza di gravità, al fine di evitare ogni tipo di stress all’uva, la cui raccolta, in periodo di vendemmia, è esclusivamente manuale. Prima di avviare la fermentazione, l’uva viene selezionata a mano e diraspata. I silos in acciaio e i tini tronco-conici, per una capacità totale di 5000 ettolitri, sono utilizzati per vinificare separatamente le varie vigne: la fermentazione con macerazione è avviata da lieviti indigeni e dura dalle 4 alle 5 settimane, con controllo della temperatura.

Un discorso a parte meritano le anfore d’argilla presenti in cantina, tutte fatte a mano da un artigiano locale. La manodopera di ciascun pezzo richiede tre mesi di lavoro, tra modellazione dell’argilla, essiccazione, cottura e lisciatura finale- interna ed esterna- con pelli di daino, per ridurne al minimo la porosità. Vengono utilizzate per una selezione di acini di Sangiovese che vi rimangono in fermentazione, macerazione e maturazione per nove mesi consecutivi. Successivamente alla pressatura, il vino è nuovamente posto in anfora per sette mesi. Il prodotto che se ne ottiene viene miscelato, nella misura di circa il 2%, al vino maturato in barrique atto a divenire Flaccianello. Una sorta di liqueur d’expedition, lo definisce Silvano. A tutti gli effetti una firma che denota lo stile della cantina e serve ad esaltare il frutto del Sangiovese in finezza ed eleganza.

Al livello sottostante i locali di vinificazione, c’è il locale di botti e barrique. Tutti i vini Fontodi fanno passaggio in legno: a seconda dell’etichetta prima botte e poi barrique o viceversa, per un totale che va dai diciotto ai ventiquattro mesi. Le barrique, esclusivamente di rovere francese di media o leggera tostatura, sono utilizzate nuove e fino a un massimo di tre passaggi. Una volta dismesse, vengono riutilizzate per la creazione di mobili e oggetti d’arredo. Il locale dei legni viene tenuto a umidità e temperatura controllata tra dicembre e aprile per permettere l’avvio della malolattica. Durante la sosta in legno il vino subisce solo travasi, due volte all’anno. Terminiamo la nostra visita nei locali d’imbottigliamento, operazione che avviene per caduta. A seconda delle etichette, i vini affinano in vetro dai tre ai dodici mesi, prima di uscire sul mercato.

Il locale si articola attorno a un piccolo cavedio circolare, completamente rivestito di vetro, al cui centro si erge un leccio, l’albero più rappresentativo del patrimonio arboricolo e boschivo del Chianti, a ribadire ancora una volta lo stretto legame col territorio e il suo ambiente.

I Vini

Filetta di Lamole Chianti Classico 2021

Iniziamo la nostra degustazione con un Chianti proveniente da uve di Lamole, non di Panzano. Lo scopo è quello di ragionare sulla differenza di prodotti provenienti da zone diverse, anche alla luce della recente approvazione delle undici UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) che caratterizzano il Chianti Classico Gran Selezione. Lamole è l’UGA più piccola della regione, collocata a sud-est di Panzano, con un’altitudine media di 600 mt SLM e una prevalenza di roccia arenaria non calcarea con elevate percentuali di sabbia. Dopo la vinificazione in acciaio, matura sei mesi in botti grandi e successivamente dodici mesi in barrique.

Il risultato lo verifichiamo nel bicchiere: irruento alla prima olfazione, Filetta di Lamole si distende quasi subito, esprimendo piccoli frutti scuri e gelso rosso,  fini ed eleganti. Al palato risulta muscoloso, di freschezza piacevole ma non sferzante.

Fontodi Chianti Classico 2020

Torniamo a Panzano, con vigne giovani e la seconda selezione delle vigne vecchie di sangiovese. Siamo in un territorio completamente diverso, ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 380 mt SLM, caratterizzato da un terreno prevalentemente calcareo. Dopo la vinificazione in acciaio, matura sei mesi in botti grandi e successivamente dodici mesi in barrique.

Il Chianti signature di Fontodi entra immediatamente con sbuffi appena accennati di pietra focaia seguiti a ruota dal frutto – ora una ciliegia croccante – e da un sottobosco bagnato e terroso. In bocca risulta agile e scattante (e qui la differenza principale con Lamole che, indipendentemente dall’annata, è dettata da un passo completamente diverso nell’acidità), di tannino fine e ritorno lungo sul frutto.

Vigna del Sorbo Chianti Classico Gran Selezione 2020

Prima annata in cui compare in etichetta la UGA Panzano.

Vigna del Sorbo ha un’estensione di 8 ettari e ceppi di oltre 50 anni di un unico clone di Sangiovese. Dopo la vinificazione in acciaio, matura diciotto mesi in barrique e successivamente sei mesi in botte grande. Affina in bottiglia non meno di nove mesi.

Al naso esprime immediatamente il frutto – piccoline fragoline di bosco – e continua su sentori balsamici di aghi di pino e sottobosco. In bocca entra verticale ed è già pienamente appagante, godibile, di tannino sottile, con ritorni di eucalipto.

Flaccianello della Pieve 2020

L’etichetta simbolo di Fontodi è una selezione accurata di sangiovese che predilige grappoli spargoli e acini piccoli, sinonimo di concentrazione. Le vigne, diffuse su un’estensione di 45 ettari, hanno un’età media di 30/40 anni. Dopo la fermentazione matura diciotto mesi in barrique (80% nuove, 20% di secondo o terzo passaggio) e sei mesi in botte grande.

Entra timido e rimane a lungo sulle sue. Inizialmente si rivela nelle note fumé e tostate, che scivolano in piccoli frutti viola e sentori di vaniglia. La trama tannica è ancora giovane, giovanissima e necessita di tempo per distendersi e affinarsi. Mostra però già potenza di carattere, che evolverà in non meno di tre-cinque anni.

Case Via Syrah Colli della Toscana Centrale IGT 2019

Syrah in purezza da una vigna di tre ettari impiantata nel 1985. La 2019 ha vinificato in tini tronco-conici e successivamente ha maturato in barrique usate per quindici mesi.

Pungente al naso e compatto nella prima olfazione, si apre lentamente su marasca e cenni balsamici. Al palato è subito disteso per poi invadere la bocca con la balsamicità  tipica della radice di liquirizia e tornare con note mentolate sul finale.

AZIENDA AGRICOLA FONTODI

Via San Leolino 89

50022 Panzano in Chianti Firenze – Italia

Tra un Benvenuto, un’alice di Acquapazza e un calice, ci è scappato un Prosit. A Cetara, Golosità che scaldano il cuore con Ambientarti e Grapee.

Torre di Cetara colma di avventori, venerdì 1 settembre, nel pieno dell’affluenza turistica dell’alta stagione. Scusate mi correggo, la data esatta è venerdì 1 dicembre. Ebbene sì, a Cetara si possono trascorre momenti fantastici anche in autunno inoltrato, quasi inverno.

A coccolarci ci sono le agenzie Ambientarti e Grapee che organizzano una rassegna culturale dal sapore leggero, per dare lustro a tutto ciò che il terroir sa offrire, (come direbbero gli esperti del vino).

Il titolo è un voluto rimando all’unione di intenti e di realtà diverse, ognuna col suo stile, ognuna costituente un piccolo tassello nel mosaico enogastronomico della Campania. Dei fratelli Vicinanza, ad esempio, abbiamo già accennato nell’articolo Salerno: Hippocratica Civitas tra santi, tradizioni, luci d’artista ed attrazioni enogastronomiche.

Ma a noi non bastava e quindi torniamo sul loro vino bianco, blend alla pari tra Fiano e Bombino ed il rosso, invece, 70% Aglianico e 30% Merlot dalle immediate colline di Salerno. Tenuta San Benvenuto ha curato quindi la “parte liquida” dell’evento, che ha accompagnato l’entrée a cura realizzato a cura di Prosit e Golosità e la successiva degustazione a cura del ristorante Acquapazza a Cetara.

I ragazzi di Grapee hanno raccontato, a modo loro, le eccellenze del golfo: i vini salernitani e i prodotti cetaresi che ogni giorno si guardano e si fanno l’occhiolino portando lustro alla regione nel mondo intero.

Un ottimo lavoro di comunicazione e cultura del Made in Italy, nell’attesa di rivederci anche il 19 gennaio per l’ultimo degli appuntamenti programmati. 

A voi un piccolo estratto della serata nella Torre Vicereale di Cetara.

Genova: da “Etra” il connubio tra arte e ristorazione nella città della Lanterna

Siamo in piazza De Ferrari a Genova, circondati dalla bellezza degli edifici Ottocenteschi, del teatro Carlo Felice, di Palazzo Ducale, al piano terra di Palazzo Doria De Fornari: Etra, “ la Galleria Gastronomica” ha aperto i battenti a inizio novembre 2023.

Nata da un’idea di Iacopo Briano e Alessandro Ferrada, titolari della BF Gallery, il nuovo ristorante vuole coniugare il concetto di arte nelle sue diverse espressioni e affida allo chef genovese Davide Cannavino il compito di stupire con le sue creazioni in cui le materie prima, di primissima scelta, vengono composte in forme e gusti straordinari. “ Se si pensa bene, si cucina bene” come afferma Ferran Adrià.

Il locale avvolge nell’atmosfera creata dal colore nero delle pareti, dalle luci disposte come in una galleria d’arte a mettere in evidenza le opere dell’artista Lorenzo Puglisi: la cucina è a vista, il laboratorio di Idee dove Chef Cannavino e il sous-chef Luca Satta si muovono, con gesti precisi e misurati, quasi una danza, per comporre i piatti che vengono presentati in due menù, rispettivamente da 5 -Synthesis – e 7 portate – Tabula Rasa.

Tra i piatti spiccano sicuramente la lepre à la royale, il fois gras di mare, radici e tuberi liguri, limone nero, il risotto fondo bruno e tartufo bianco, i pani e la focaccia e i dolci. Il tempo che scorre tra una portata e l’altra è misurato, per approfondire le sensazioni regalate dal cibo e per conversare amabilmente: una decina di tavoli e una sala al piano inferiore, dedicata a eventi speciali.

In sala il servizio è impeccabile, attento e garbato, coordinato dal maitre Luca Ghiani, con Giulia Colombini , chef de rang: per quanto riguarda la carta dei vini, sono state selezionate etichette molto interessanti. Vini che provengono dal mondo, dal Sud Africa al Giappone, rappresentanza importante di vini francesi, soprattutto Champagne e Borgogna e scelte mirate per quello che riguarda i vini liguri e italiani. Affidarsi alla sommelier Chiara Campora per gli abbinamenti è la regola, per completare l’esperienza al tavolo che coinvolge tutti i cinque sensi: un viaggio che può iniziare con una bollicina di Larmadier, a seguire il Rosè d’Amour della azienda della Cinque Terre Possa, un Kartli Georgian Qveri Crazy Amber 2020 e perché no, un sake.

Come si legge nella presentazione “ Etra non può essere classificato né come un tradizione ristorante fine dining, né come una classica galleria d’arte”: è un inno alla ricerca della bellezza, dell’armonia attraverso l’esperienza immersiva nell’incanto delle opere esposte e nei suoni e nella musica della cucina che viene proposta dallo chef Cannavino e da tutta la sua brigata.

Il panorama della ristorazione genovese si amplia, arricchendosi di un locale assolutamente fuori dallo schema, dove l’estro e il rigore di Davide Cannavino promettono una luminosa ascesa per Etra verso… le Stelle gourmet.

Matese: un giorno in Alta Campania alla ricerca del nostro “Vecchio West”

“Panta rei” tutto scorre: l’acqua, il tempo, la vita stessa. Una ricerca infinita che dura un breve istante se paragonata all’immensità in cui vengono poste le cose. La bellezza di natura, espressa nelle sue linee più morbide e selvagge come nel Matese in Alta Campania, richiama l’idea di Vecchio West dei film americani.

La nostra visita ad un territorio vasto e dotato di un potenziale ancora inespresso, inizia con il supporto di Viatoribus e dell’Associazione di Promozione Sociale Love Matese con Claudia e Angelo nel ruolo di moderni Cicerone attrezzati di pulmino e cane segugio al seguito.

Prima tappa a Piedimonte Matese, presso l’Acquedotto Campano Sorgente del Torano con i suoi 2 metri cubi d’acqua corrente distribuita ogni secondo fino alle soglie di Napoli e, tramite tubazioni sottomarine, dell’Isola di Ischia. Per questa opera ingegneristica pubblica di importanza strategica, realizzeremo uno speciale ad hoc, ringraziando lo Staff Tecnico Amministrativo – Impianti e reti del ciclo integrato delle acque di rilevanza regionale.

Spinti da una corrente positiva proseguiamo nel successivo spostamento a San Michele (Alife) per visitare un antico vigneto di Pallagrello, varietà autoctona menzionata già ai tempi di Plinio il Vecchio duemila anni orsono e la tradizionale forma di allevamento a pergola della Società Agricola Terre dell’Angelo. La titolare Angela Amato ci racconta dei primi passi mossi a partire dal 2015 nei 10 ettari di proprietà terriera, di cui 4 vitati.

Il nome dell’azienda lo si deve al culto dell’Arcangelo Michele, presente in zona sin dai tempi dei Longobardi. I suoi vini riecheggiano stili e sapori della tradizione, così come i biscotti al vino Pallagrello Bianco e Rosso, stuzzicanti per un momento conviviale con amici e parenti. I terreni sono qui composti da argille e calcare, con depositi fluviali e lacustri del Lago Matese e Fiume Volturno. Poca l’influenza delle polveri piroclastiche, distanti verso il vulcano di Roccamonfina e della zona del Falerno del Massico.

Immancabile la prova del nove: sarà meglio la mozzarella di bufala casertana o quella cilentana? Non siamo giudici inflessibili muniti di paletta, ma non possiamo che applaudire gli sforzi prodotti dal Caseificio il Casolare ad Alvignano, con Mimmo, Benito, Pasquale e Concetta a portare avanti il lavoro di casari tra mozzarelle e formaggi dal gusto unico e inconfondibile. E perché non celebrare il rituale delle merende delle feste con un salume e le uova sode, quelle de La Querciolaia – uova biologiche galline felici – un metodo di allevamento all’aperto di galline, vigorose e contente di adempiere al compito di produttrici di uova naturali. Aspetto e sapore totalmente diversi da quelle provenienti dagli allevamenti intensivi commerciali.

Il nostro tour giunge al giro di boa da La Sbecciatrice di Mimmo Barbiero, laureato in sociologia, e dalla compagna Jurate. Studi approfonditi per il pomodoro riccio, coltivato in aridocoltura e analizzato dall’Università La Sapienza per essere un simbolo di agricoltura sostenibile. Viene commercializzato come passata e come filetti (cosiddette “pacchetelle”) al naturale, dopo essiccazione sulla paglia. Interessanti anche le proposte del fagiolo bianco “lenzariello” e di quello “curniciello” oltre al cece delle Colline Caiatine dalla buccia sottile e più rapido alla cottura.

Le luci del tramonto ci indicano che il nostro viaggio ai piedi del Matese sta per giungere al termine. Non resta che organizzare una veloce visita con degustazione da Davide Campagnano, giovane imprenditore trentenne, laureato in Scienze Agrarie, che ha impiantato la propria attività di viticoltore assieme alla moglie e al padre. Valorizza la Barbera del Sannio, chiamata altresì localmente Camaiola e scopre, per puro caso, una varietà d’uva autoctona presente da sempre in queste terre, denominata Pizzutello che promette risultati interessanti in futuro.

Un finale gastronomico degno di un re da Pepe In Grani, premiatissima pizzeria di Franco Pepe a Caiazzo, con le versioni gourmet del piatto più celebre della Campania. La “margherita sbagliata” è un capolavoro di inventiva, frutto della concezione che la mozzarella possa essere nobilitata distinguendola dalla squisita salsa di pomodoro posta in superficie.

Franco Pepe è anche l’ideatore di Pizza Hub, una sorta di cartolina del territorio nata per fare squadra comune e proporsi al pubblico tramite l’immagine vincente di qualità nel rispetto della natura. Termina il primo di una serie di articoli che vede protagonista un angolo ancora inesplorato della regione; un luogo ben presente nella mente di coloro che vorranno scoprirlo, come una passeggiata romantica nel “Vecchio West” della Campania.

Irpinia: Sostenibilità, Arte, Passione e Qualità sono di casa alle Cantine Antonio Caggiano

Nel cuore dell’Irpinia, lì dove si compongono intrecci di valli ed alture tra le quali si inerpicano numerosi fiumi e torrenti, la produzione di vino è un’arte che si tramanda da secoli anche alle Cantine Antonio Caggiano

L’accumulo di differenti strati di cenere e lapilli ha dato vita a depositi tufacei, arricchimenti in minerali e presenza di strati del suolo più sciolti, determinando una peculiarità unica per una viticoltura di qualità. Difatti l’Irpinia, oggi, è la provincia campana con la più alta concentrazione di vigneti e può vantare la presenza di ben 3 DOCG: Taurasi, Greco di Tufo e Fiano di Avellino. 

Il territorio di Taurasi, antico borgo Irpino, costituisce il cuore della zona di produzione del Taurasi DOCG. Proprio qui, in questi luoghi pulsanti di colori, odori e profumi, in località Contrada Sala, sorgono le Cantine Antonio Caggiano. Per chi visita l’Irpinia, per chi ama il vino, la storia, l’arte ed il buon cibo, questa tappa è obbligatoria. Questa è terra di un popolo forte e fiero, di tradizioni contadine. E Antonio Caggiano con suo figlio Pino (Giuseppe all’anagrafe) sono uomini degni di questo territorio.

Antonio, geometra di professione, appassionato fotografo e giramondo, fonda la sua azienda dal nulla, con tanta fatica e determinazione facendo sue le parole del padre, saggio contadino: “Se non hai niente, con niente lo devi fare”! Lui ha sempre creduto nella qualità del vino irpino. E quando la maggior parte dei viticoltori della zona erano dediti alla produzione in quantità del vino, lui progettava la realizzazione di vini di qualità. Così dalla vecchia vigna di famiglia – Salae Domini – nel 1990  iniziano i lavori di realizzazione delle sue cantine. Antonio decide di fondare la sua azienda spinto da un incontenibile desiderio di dare voce alla storia e alle tradizioni della sua amatissima Taurasi. L’idea progettuale voleva la realizzazione di una cantina museo, il cui percorso concedesse ai visitatori il racconto del processo enologico in ogni sua fase, con elementi storici e moderni.

Così la cantina viene creata seguendo il profilo del terreno, con una pendenza che consente il travaso dei vini per gravità (la teoria dei vasi comunicanti), con pareti trasudanti garantendo il naturale e corretto grado di umidità e temperatura. Ovunque sono evidenti i materiali recuperati da Antonio grazie al suo precedente lavoro, anche dalle macerie del terremoto dell’80, e riutilizzati tra arte, Interior Design e sostenibilità. Tra le più belle, uniche e originali della Campania, ogni spazio diventa un racconto, ogni angolo, ogni parete, dove è possibile scorgere arnesi e utensili tipici, è testimonianza della pratica di viticoltore: una galleria di opere d’arte di legno, vetro e pietra, alcune realizzate dallo stesso Antonio, altre regalate da amici artisti rende l’atmosfera ancor più suggestiva… tutti materiali di recupero, anticipando di diversi decenni l’attenzione alla sostenibilità e all’applicazione delle 4R.

E’ una interessante passeggiata tra bottiglie a riposo in nicchie ricavate tra le pareti di pietra e barriques dove si affinano i loro grandi vini. Si incontrano elementi sacri come la cappella, un tempio ampio con una grande croce ricavata dai fondi delle bottiglie ed un altare dove ringraziare il Dio Bacco; l’installazione di un presepe accoglie tutto l’anno i visitatori… e poi sedie, tavolini, lampadari, un magnifico orologio, vari elementi di arredo, ricavati dalle assi delle vecchie botti, testimoniano l’arte del recupero di Antonio Caggiano.

Nel ’93 parte la collaborazione con l’enologo il prof. Luigi Moio, rientrato dall’esperienza francese a Digione, con il quale nasce, prima di tutto, una grande amicizia. Tanta voglia di produrre i vini più espressivi del territorio: Il Taurasi, Il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino e la Falanghina. Sono entrambi degli entusiasti: vorrebbero che l’Irpinia venisse conosciuta come le Langhe e che l’Aglianico potesse ricevere le attenzioni del Barolo. Un obiettivo molto ambizioso, ma due grandi professionisti come loro possono sognare in grande!

Oggi conduce l’azienda Pino, figlio di Antonio, che attraverso dedizione e rigoroso lavoro in vigna e grazie ad un’appassionata e attenta interpretazione enologica, sotto la guida del padre sempre presente in cantina, ha contribuito all’affermazione di uno stile qualitativo di grande personalità, marchiando l’azienda Antonio Caggiano come grande protagonista dei vini irpini. Padre e figlio, sono le due facce di una stessa medaglia, diversi ma simili, necessari uno all’altro affinché questo luogo mantenga tutto il fascino che lo contraddistingue, due protagonisti sulla stessa tela, importanti allo stesso modo affinché il dipinto esprima il meglio di sé.

L’azienda oggi possiede 34 ettari di terreno vitato e produce circa 180000 bottiglie con equa percentuale tra bianchi e rossi. Il logo delle Cantine raffigura un arco formato da pietre impilate in equilibrio una sopra l’altra a reggere l’intera struttura sovrastante in perfetta armonia; è la celebrazione dell’equilibrio dei vari elementi che caratterizzano e animano un vino.  Le etichette con i nomi dei vini richiamano momenti, curiosità e conoscenze produttive di chi la vita l’ha vissuta a pieno.

Così il Fiano con il suo colore dorato, il finale da mandorla dolce e con le sue belle morbidezze diventa “Bechàr” dall’etichetta gialla richiamando le sabbie calde e dorate del deserto del Sahara; “Devon” con l’etichetta blu è il greco di tufo il cui colore brillante e le cui spiccate acidità e mineralità ricordano i colori e le durezze del Polo Nord…tutti luoghi che l’appassionato fotografo Antonio ha immortalato nei suoi viaggi. Poi  il “Vigna Isca Riserva”, dedicato all’eccellenza enologica di un vigneto nel comune di Lapio, dà il nome ad un fiano la cui complessità dovuta ai sentori floreali, fruttati e di erbe aromatiche è arricchita in note speziate dolci dai passaggi in legno sia in fase fermentativa che di maturazione.

Briolé” invece è il nome attribuito allo spumante metodo classico riconducendo alla briosità delle bollicine e al taglio briole dei diamanti che ne garantisce la brillantezza: è un pas dosé, sia  bianco (da Fiano) che rosé (da Aglianico) con 2 anni di maturazione sui lieviti. Il “Salae Domini” è l’aglianico ricavato dalla vigna da cui tutto è partito: i toni rossi dell’etichetta vogliono omaggiare il suo colore rosso rubino intenso e la percezione nasale dei sentori di frutti rossi, prugne e marasche, accompagnati da note speziate e di liquirizia. Lo stesso aglianico viene prodotto in versione rosata con il “Rosa Salae”, il cui nome riporta immediatamente al colore rosa tenue cristallino, ai profumi di rosa canina e ciliegia, e alla delicata sapidità che con la vivace freschezza conferiscono al vino una grande piacevolezza.

E non possiamo non nominare il “Fiagre”, vino nato dalle nozze tra Fiano e Greco di Tufo, dal color giallo paglierino, che inebria il naso con frutta a polpa bianca e un accento su fiori di pesco, acacia e ginestra ed il cui sorso è equilibrato, pieno con buona freschezza e persistenza media. Il “Taurì”, un vino rosso rubino, con un aroma che ricorda piccoli frutti rossi e neri, pepe nero e peperone verde, un sapore forte con un’accentuata presenza di tannini e un finale aromatico. E per finire il Taurasi “Vigna Macchia dei Goti”, l’oscar di casa, che Luigi Veronelli battezzò il “vino del cuore” di color rubino, profondo e compatto, ricco e complesso al naso per un insieme di profumi fruttati (prugna e ciliegie), a cui si aggiungono sfumature di liquirizia e boisé, sentori minerali e tostati, impreziositi sul finale da un tocco balsamico. Al palato è caloroso, di ottimo corpo, dove i tannini sono robusti ma ben gestiti garantendogli longevità.

Ci sarebbe tanto ancora da raccontare, ma non vogliamo spoilerare altro per non togliere troppa sorpresa a chi vorrà regalarsi una meravigliosa visita e una degustazione accompagnata da buon cibo. Se poi sarete fortunati, potreste incontrare Antonio Caggiano con la sua Nikon sotto braccio a spasso tra i suoi capolavori d’arte, di terra e di vino… un regalo unico che ricorda la frase di William S. Benwell …“Il suono morbido di un sughero che viene stappato dalla bottiglia ha il suono di un uomo che sta aprendo il suo cuore.”…