Garda Doc: i numeri vincenti del vino dal Lago più grande d’Italia

Il Lago di Garda, già destinazione turistica nota in tutto il mondo, vuole spiccare il volo come Garda Doc.

Tirando le prime somme, ciò che colpisce sono i grandi numeri da spendere sul mercato e un suolo unico da raccontare, anche attraverso la neonata carta dei suoli. Insomma, il calice di Garda Doc si proietta verso una scelta d’appeal per il consumatore non più solo vacanziera.

Una strada in salita

Partita come Denominazione orientata all’immediato consumo, con gli anni ha saputo rendere sempre meglio l’idea di un territorio così particolare, dai connotati mediterranei. I confini si circoscrivono alle sponde lombarde e venete – le più produttive dal punto di vista commerciale e gustativo – e si fa forza sul distretto turistico del Lago di Garda.

Dagli anni Novanta qualcosa in avanti si è mosso, precisamente nel 1996 quando il percorso verso il Consorzio volontario ha avuto il suo inizio. Promuovere al meglio i varietali della Riviera Bresciana, Alto Mantovano e Veronese, è stato infine l’obiettivo concretizzato nel 2016. In quest’anno di svolta sono state fatte importanti scelte di mercato in grado di raccogliere il favore dei consumatori esteri, ma soprattutto quello degli italiani. Per farlo le bollicine sono venute in soccorso: Una scelta premiante quella di inserire in disciplinare la tipologia Spumante Bianco.

Sull’onda di questo successo sono stati molti i produttori che hanno scelto la via dell’unione, arrivando, vendemmia dopo vendemmia, a toccare la cifra annua di circa 20 milioni di bottiglie, quasi la massima produttiva.

Un po’ di numeri

Garda Doc esprime numeri importanti che fanno la differenza: oltre 153.000 hl di vino imbottigliati nel 2022, di cui un terzo da Chardonnay. A seguire il Pinot Grigio e la Garganega con 30.000 ettolitri. Una denominazione a trazione bianchista, ove non mancano i rossi da Cabernet Sauvignon e Merlot. La sfumatura giusta da dare al territorio, senza dimenticare l’autoctono principe che si esprime con il Marzemino. Una varietà da cavalcare in fase di riscoperta delle proprie radici enologiche.

Tra i complici di questi enormi numeri c’è certamente il turismo lacustre che assorbe le maggiori quantità di vino prodotto, soprattutto quando si parla di vini da consumare per un aperitivo o una cena. Ma come comunicarlo al meglio? Partendo dal terroir e andando ancora più a fondo, arrivando fino ai suoli.

Chiamatela “pedodiversità”

Dai grandi nomi ai più piccoli che si fanno forza sul brand Garda Doc, il bisogno di far conoscere il vino gardesano si è fatto maggiormente pressante, non soltanto per le esigenze di vendita. Per questo tra le attività di ricerca che il Consorzio Garda Doc mette in campo, c’è quello di spiegare, una volta per tutte, le potenzialità vitivinicole del lago partendo da milioni di anni or sono. La carta dei suoli è arrivata al culmine di un lavoro di rebranding. A occuparsene è stato Giuseppe Benciolini, con il suo brand Terroir2wine. La presentazione è avvenuta l’8 giugno presso l’Auditorium del Vittoriale a Gardone Riviera (BS).

Durante l’occasione, è stato coniato il termine “Pedodiversità” che offire l’essenza stessa del territorio “Ho coniato un nuovo termine per esprimere al meglio ciò che costituisce l’aspetto più caratterizzante della denominazione Garda DOC e la sua sorprendente varietà di suoli – afferma Benciolini – La pedodiversità appunto. Questo territorio, infatti, racchiude al suo interno diversi tipi di suolo che sono a loro volta derivati dalla grande varietà di processi geologici e di modellamento geomorfologico che hanno interessato il continente negli ultimi 200 milioni di anni.

Il Presidente del Consorzio Garda Doc Paolo Fiorini saluta con favore il documento frutto di studi e ricerche che il Consorzio promuove, affinché si generi maggiore attenzione sull’areale. “Questo lavoro, frutto di diversi studi promossi dal Consorzio, non solo testimonia il continuo impegno e attenzione del Consorzio Garda DOC nel campo scientifico, ma incarna anche i valori e lo spirito di innovazione da noi utilizzati per realizzare un documentario dal taglio prettamente divulgativo”.

Un’opera scientifica resa fruibile con un video nell’ottica dell’enoturismo maggiormente consapevole, al passo con il consumatore diretto verso l’enogastronomia di qualità e che, a ragion veduta, muove quasi il 60% dei viaggiatori italiani a caccia del Made in Italy e di un proprio stile di vita. Una tendenza da cavalcare in maniera consapevole.

Garda Doc consente di arrivare in mercati che i singoli produttori aderenti non avrebbero mai potuto conoscere. Una visione comune, commerciale e strutturata, in grado di rendere giustizia a un territorio che conta 31.000 ettari vitati.

I progetti della denominazione

Parallelamente alla tutela e promozione dei vini, il Consorzio si impegna perché possa di fatto rappresentare un supporto verso gli utilizzatori della Denominazione in ottica di controllo e costante ricerca, volto a un miglioramento complessivo. Un viaggio alla riscoperta di sé stessi, delle proprie origini, che hanno reso il vino competitivo e ben apprezzato all’estero, con volumi di vendite pari al 70%. Germania in prima battuta, poi Regno Unito e Svizzera. Una cifra scindibile in due categorie, vini da Grande Distribuzione e da canali Ho.Re.Ca. I primi comprendono essenzialmente bianchi d’annata, mentre i rossi con Cabernet Sauvignon e Merlot, raccolgono apprezzamenti nel settore ristorazione e hotellerie, perché competitivi con quelli dei “cugini stranieri” per qualità organolettiche e fascia prezzo.

Continueremo a lavorare, è far capire il ventaglio di opportunità che questa DOC può offrire, muovendoci parallelamente e mai in contrasto con le denominazioni storiche del territorio – A dirlo è Carlo Alberto Panont – Direttore del Consorzio Garda Doc – La denominazione mira a mettere tutti gli utilizzatori in condizioni di sfruttare al massimo quello che questo areale può dare”.

L’affinamento subacqueo dei vini: solo una “bolla” di profondità o c’è del vero? Ne parliamo con Marco Bacci ed il suo Talamo a Mare

Non ci nascondiamo mai e non lo faremo neanche stavolta parlando di un argomento alquanto delicato degli ultimi tempi: l’affinamento subacqueo dei vini.

Lo facciamo con un imprenditore dalla visione a dir poco lungimirante, Marco Bacci, le cui prodezze in campo vitivinicolo (dopo quelle dell’alta moda), hanno raggiunto vertici assoluti di eccellenza e qualità. Di lui, e del sogno nato in una delle cantine del Gruppo, quella di Terre di Talamo, ce ne ha già parlato la collega Augusta Boes nell’articolo Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità.

Ciò che invece cercheremo di affrontare quest’oggi con il Direttore di 20Italie Luca Matarazzo e l’autore Alberto Chiarenza, è il tema scottante dello sdoganamento di una pratica divenuta ormai materia d’uso comune.

La sosta del vino in bottiglia, a profondità e condizioni determinate, può influire realmente sulla sua maturazione o resta confinata nei canoni di una semplice pratica commerciale?

Bene o male purché se ne parli dicevano ai tempi della Prima Repubblica; non vogliamo limitarci a un ostracismo incondizionato, ma anzi cercare di aprire gli occhi su un movimento in crescita e in totale fermento (mai termine fu più azzeccato).

Si attendono i risultati imminenti del lavoro pionieristico compiuto da una giovane start-up siciliana, grazie all’appoggio incondizionato dei brand Benanti e Passopisciaro, con il progetto Orygini in collaborazione con l’Università di Catania. Un controllo meticoloso e costante suddiviso in 14 parametri effettuato per durate variabili dai 6 ai 24 mesi su un campione di bottiglie immerse a 48 metri di profondità nei pressi dell’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi, tra Aci Trezza e Aci Castello. Per intanto dobbiamo accontentarci di uno studio già pubblicato dalla società Lyfe Cicle engineering sull’importante riduzione di CO2 (per 1000 bottiglie circa 680 kg) e sul risparmio di risorse energetiche e logistiche.

Al resto manca una nostra valutazione empirica per comprendere le effettive potenzialità, contando sulla correttezza e buona fede degli attori in gioco, elemento essenziale per scrivere un articolo. Lo faremo nel confronto di due annate, la 2018 e 2019, degustate in parallelo tra affinamento classico e affinamento marino.

Il vino di punta di Terre di Talamo, è un blend di quattro vitigni in pari percentuale di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Syrah. Il desiderio era quello di realizzare un Supertuscan, riuscito davvero bene. I quattro vitigni risultano integrati e si percepiscono, di ognuno, le sue peculiarità. Ma Marco Bacci è anche amante del mare, navigante e sommozzatore con esperienze in ogni angolo del mondo, e in una occasione, dopo aver lasciato alcune bottiglie di Talamo nella sentina della sua barca, decide di stapparne una accorgendosi della differenza nell’evoluzione del vino. Si chiede, esattamente come noi, cosa farà migliorare la qualità del prodotto e, andando per tentativi, trova la quadra giusta a 35 metri sotto il livello del mare.

L’annata 2018 ritornerà alla luce dopo due anni, insieme alla 2019 che è rimasta tra le creature marine per la metà del tempo. E’ così che da una linea, ne sono state create due. Stesso vino, ma affinamenti completamente diversi. Talamo matura in cantina e Talamo a Mare, appunto, sul fondale marino in una zona che si trova tra il Monte Argentario e l’Isola di Giannutri.

Le nostre valutazioni finali

Diciamo subito che il prodotto è di una qualità straordinaria già prima di scegliere il suo percorso finale in bottiglia. Si percepiscono lievi differenze solo nella tonalità del colore, più scuro e intenso quello da affinamento subacqueo.

Per il resto, nella 2018 non segnaliamo altre particolarità: i vini sembrano quasi identici nelle loro espressioni organolettiche. Forse più verde e tagliente il Talamo a Mare, che denota, in prospettiva, maggior possibilità di resistere al tempo.

Nella 2019 le diversità si acuiscono, con la versione classica declinata su sensazioni boisée e quella proveniente dai fondali marini molto verticale e sanguigna. Annotiamo, infine, che nel calice le sfumature diventano sottili con il passare dei minuti, andandosi a riequilibrare pian piano con la giusta attesa. Sintomo che le basi solide emergono sempre, come i cavalli di razza. Nella verve iniziale probabilmente conta la variazione di maturazione, ma nella lunghezza di bocca dei due prodotti, in entrambe le annate, tutto sembra coincidere. L’unica cosa è il prezzo, triplicato nella versione da affinamento subacqueo, anche per l’esiguo numero di bottiglie.

Ringraziamo il padrone di casa Marco Bacci per essersi sottoposto al vaglio della stampa con la stessa voglia di apprendere e di trovare risposte. Speriamo di confrontarci con lui nuovamente in futuro, magari con i primi dati scientifici disponibili al mondo, per sdoganare finalmente la filosofia degli underwater wines.

Degustazione presso Les Grands Crus: un format innovativo in questo settore

Con amici e colleghi con i quali condivido la passione per il nettare di Bacco e dietro gentile invito di Simone Tabani, agente di Les Grands Crus per l’area di Siena e provincia, ho partecipato ad una degustazione di vini presso la sede di Magione (PG), piccolo  borgo posto a poca distanza da Perugia e dal Lago Trasimeno. 

Ha guidato la degustazione il dinamico Andrea Forestiero, titolare di Les Grands Crus, società che propone un nuovo format nel mondo della distribuzione, con l’obiettivo di rappresentare aziende di nicchia, talvolta di piccole dimensioni. Tradotto in termini pratici, si segue il concetto di bevibilità, sapidità e piacevolezza. I vini selezionati, per poi essere commercializzati in Italia, provengono da ogni regione del Belpaese e dalle migliori aree vitivinicole del mondo.

Otto gli assaggi che mi hanno maggiormente colpito

Falkenstein Pinot  Bianco  Riserva  2021 Duernberg – veste dorata dalle note di fiori di campo, nocciola, pere mature, ananas, arancia, cremoso e corposo. Piacevolmente fresco con lungo finale minerale.

Cima Vigneto Alto Vermentino Candia dei Colli Apuani Doc 2021 – Giallo paglierino luminoso, subito si percepiscono note di fiori di camomilla, pesca, ananas e agrumi. Sorso vibrante e sapido. 

Gavi La Meirana 2022 Broglia – Paglierino dalle sfumature verdoline, rimanda a note di tiglio, zagara, mela, melone e nuances agrumate sul finale. Gusto sapido, rinfrescante e ammaliante

Scarpe  Toste Unplugged Vino Bianco Cantina Le Macchie – Ottenuto da uve Gewürztraminer dal riverbero color ambra, sprigiona al naso sbuffi di fiori d’arancio, rosa rossa, datteri e spezie dolci. Equilibrio tra freschezza e sapidità, dura a lungo.

Vigneto del Balluccio Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore 2020 – Tenuta dell’Ugolino – Tenue su riflessi verdolini, si esalta tra pesca matura, susina, camomilla, tiglio e arancia tarocca. Vibra su finale di mandorla dolce.

Chianti Classico 2020 Podere Castellinuzza – Rubino lucente, all’olfatto emana note di marasca, viola mammola, scorza d’arancia e rabarbaro, Bocca avvolgente e fine.

Carmione Carmignano DOCG  2021 Fabrizio Pratesi (Sangiovese 70% Cabernet Sauvignon 15% Cabernet Franc 5% Merlot 10%) – Granato scuro, dai sentori di crème de cassis, more selvatiche, amarene e spezie dolci. Struttura potente ed equilibrata, tannini di corpo e ben integrati, dalla chiusura gradevole.

Hocheck Pinot Nero Riserva 2020 Duernberg – Rubino esuberante, al naso declina note di gelsomino, lampone, amarena, scorza d’arancia e sottobosco. Carezzevole e setoso, leggiadro e incredibilmente durevole.

Les Grands Crus Srl
Sede operativa:
Via L. Ariosto, 45/47
06063 Magione (Perugia)
Italia
Tel. +39 075.8241834

Kasanna a Sala Consilina (SA): il Vallo di Diano conosce un maestro dell’affinamento formaggi

Nicola Memoli, professione affinatore di formaggi a pasta molle e crosta fiorita con la sua azienda Kasanna a Sala Consilina (SA).

Nicola Memoli che di anni ne ha 48, pur sembrando ancora un giovane virgulto, ha ormai collezionato un’esperienza nel settore che lo vede protagonista sulle tavole d’Italia e di molti Paesi europei. Essere affinatore di formaggi richiede voglia continua di sperimentare, adottando lavorazioni e materie prime che non alterino eccessivamente i sapori d’origine. Il nome dell’azienda a conduzione familiare è dedicato alle sue 3 figlie, utilizzando l’acronimo dei nomi Karol, Sara e Annalisa.

Nicola Memoli – Kasanna

Non basta una grotta a fare un eremita, e neppure basta per ricreare quel mistero nel quale i maestri italiani primeggiano. All’estero è praticamente una rarità l’esercizio di tale professione, ma lungo lo stivale della nostra Penisola siamo autentici fuoriclasse. L’Affinatore fa il possibile per continuare a mantenere il profilo originale del formaggio, facendo attenzione ad abbinare le spezie, gli aromi o le erbe, con lo scopo di esaltare la materia prima quando il processo sarà terminato, sperimentando idee nuove, ma rispettose.

Nicola era partito, 10 anni orsono, dalla stagionatura del caciocavallo, per tentativi, fino a giungere al suo piccolo capolavoro: un caciocavallo al tartufo con riposo in botte di rovere contenente fieno per una durata media dai 4 ai 6 mesi di cantina. Non si sentiva soddisfatto del livello ormai raggiunto e, sconvolgendo ogni suo proposito, decise nel 2015 di selezionare latte di pecora e capra per affinare i formaggi a pasta molle e crosta fiorita.

E adesso? Memoli è arrivato alla cifra di ben 22 prodotti diversi, alcuni premiati dalla critica gastronomica, come l’elisir di fragole al rosmarino, oppure un formaggio a crosta fiorita con colatura di alici e scorzette di limone o, infine, vari tipi di affinamento nel vino, utilizzando l’Aglianico possente e tannico, sulla scorta dell’antica ricetta romana del mulsum.

A proposito di territorio, Kasanna propone, principalmente tra i comuni del Vallo di Diano, (estendendosi a volte lungo l’intero areale del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni), una sorta di “aperitivo itinerante”, fruibile da chi ne segue i canali social, entrando a far parte del gruppo di watsapp. Una sorta di flash mob organizzato all’improvviso sulla base di un certo numero di adesioni con indicazione di una data papabile.

Il luogo dell’evento viene scelto all’ultimo momento tra una lista di strutture disponibili. L’idea è quella di far da punto di ritrovo per persone di diversa estrazione e cultura e parlare delle bellezze artistiche ed enogastronomiche del luogo, con la partecipazione di altri caseifici e produttori di vino, companatico ideale per le nostre migliori espressioni casearie.

Kasanna

Salita Guerrazzi, 5

84036 Sala Consilina Italia

Romagna: Tenuta Uccellina, una viticoltura cesellata fra pianura e collina

di Matteo Paganelli

Si narra che i romagnoli siano un popolo ospitale e se ne ha la conferma quando si arriva in una cantina, manco a farlo apposta nel giorno in cui il produttore deve imbottigliare e, anziché dirti che non ha tempo, ti accoglie calorosamente.

Questo è solo un esempio del classico tipo di trattamento che Alberto, Antonietta ed Hermes Rusticali – Tenuta Uccellina – riservano a chi va a trovarli nella loro azienda agricola a Russi (RA).

Alberto Rusticali

Oggi in particolare si imbottiglia “Ghineo” Romagna DOC Sangiovese Riserva che da quest’anno esce con la sottozona Brisighella in etichetta. Già, perché pochi sanno che, nonostante Tenuta Uccellina sia da sempre ubicata nelle pianure ravennate dove coltivano i loro prodotti di punta Bursôn e Rambëla (di cui parleremo in seguito), continua a puntare sui vitigni Romagnoli per eccellenza: Sangiovese e Albana. Lo fa in collina, proprio in una delle zone più vocate per la viticoltura. La storia abbraccia pianura e collina, usualità e unicità; ma andiamo per ordine.

Le origini della famiglia sono abbastanza comuni qui in Romagna: provenienti dal settore agricolo, con la splendida location ove oggi sorge l’azienda che era un tempo la casa dei nonni; coltivatori d’uva sin da quando attorno al casale non sorgeva alcun centro abitato. Nel 1985 Alberto, mosso da fortissima passione e motivazione, decide di iniziare a diventare produttore di vino, quasi come per hobby (lavorava come dipendente in una distilleria in zona), credendo così tanto nel progetto, al punto da investirci risorse, prendendo in affitto dei vigneti a Bertinoro e iniziando quindi a sponsorizzare la viticoltura di collina.

La produzione prevedeva solo la vendita in damigiane, ai tempi consuetudine locale. La svolta arriva pochi anni più tardi, alla fine degli ’80, quando Pasquale Petroncini de “La Ca’ de Vèn” di Ravenna suggerisce di iniziare a imbottigliare i propri vini. Nascono così le prime annate di Trebbiano, Sangiovese e Albana, sotto la guida enologica del pilastro Sergio Ragazzini.

I risultati non tardano ad arrivare: l’Albana di Romagna DOCG 1989 viene proclamata Albana dei VIP dall’allora Ente Tutela Vini di Romagna e nel 1995 la richiesta è così alta che, oltre ai 2 dipendenti fissi, Alberto è costretto a licenziarsi dalla distilleria per seguire la cantina a tempo pieno. Il 1998 è forse l’anno più importante per Tenuta Uccellina quando, grazie proprio a Sergio Ragazzini, promotore della riscoperta del vitigno dimenticato “Longanesi”, oggi lanciato con il nome Bursôn, fonda assieme ad altri soci il Consorzio “Il Bagnacavallo” per commercializzarlo..

Nel 2004 il Consorzio istituisce il premio “Miglior Bursôn” al quale da allora partecipano ogni anno tutti i produttori iscritti, presentando i loro vini a una commissione di enologi e sommelier. Quello di Tenuta Uccellina si conferma vincitore in svariate annate, la più significativa è proprio l’edizione di quest’anno 2023, anno di premiazione del loro Bursôn “Etichetta Nera” 2016.

Ciò a riprova del fatto che quella vendemmia combacia con il primo anno in cui Hermes, figlio di Alberto e Antonietta, prende le redini enologiche di Tenuta Uccellina. Il 2016 vede inoltre anche l’imbottigliamento di Teodora, un’edizione limitata di Bursôn in soli 1.000 esemplari e solo nelle annate più propizie (prima di questa solo la 2008 e la 2011), da una selezione delle migliori Tonneau. L’etichetta è dedicata a Teodora, l’imperatrice di Bisanzio, della quale nella Basilica di San Vitale di Ravenna è conservato il suo famosissimo ritratto mosaico.

Torniamo indietro alla metà degli anni 2000. Mentre il Bursôn spopolava anche per la poca competizione, non si può dire lo stesso di Sangiovese e Albana. Numerose sono infatti le giovani cantine che vedono la luce in quegli anni, aumentando a dismisura l’offerta e causando un forte deprezzamento con bottiglie in vendita a partire da pochi euro. Si scatena una vera e propria guerra al ribasso, dove a uscirne sconfitti sono purtroppo i proprietari che sceglievano di puntare sulla qualità, costretti a ridurre il prezzo per restare sul mercato con inevitabili ripercussioni sul margine.

Per riuscire a restare a galla, nel 2010 arriva la decisione per Tenuta Uccellina di spostare i suoi vigneti da Bertinoro a Oriolo dei Fichi in modo da migliorare la logistica verso i locali deputati alla vinificazione e guadagnare così in competitività. La famiglia Rusticali opta, nel 2019, per un ennesimo spostamento delle vigne questa volta per ragioni stilistiche, abbandonando i terreni sabbiosi di Oriolo alla ricerca di quelli gessosi di Brisighella, nell’ottica della ricerca di una maggior complessità e profondità.

Inoltre da Tenuta Uccellina i cosiddetti autoctoni dimenticati abbondano. Uno in particolare vede la luce nel 2012: si tratta della Rambëla, termine dialettale (utilizzabile solo dai produttori del consorzio “Il Bagnacavallo”) con il quale viene indicato il vitigno Famoso. Questo vitigno, di carattere semi-aromatico, si presta in maniera egregia sia alla produzione di un vino fermo secco, sia alla produzione di bollicine.

È risaputo che il Famoso perda la sua carica aromatica dopo i primi 12 mesi dalla vinificazione, e per tale motivo solitamente se ne incentiva il consumo entro l’anno solare; tuttavia, in una recente degustazione di una loro Rambëla con 6 anni sulle spalle, sono state evidenziate caratteristiche di evoluzione decisamente interessanti, con freschezze ancora ben presenti agevolate dalla chiusura Nomacorc e Screwcap, per cercare di regalare qualche altro anno di longevità a questo prodotto tutt’altro che fugace.

Ho resistito fino a fine articolo per parlarvi di quello che a mio avviso è il dulcis in fundo di Tenuta Uccellina. Sto parlando di Biribésch, nome del vino che viene ottenuto da un rarissimo vitigno autoctono chiamato Cavècia. Il nome è dedicato al nonno di Alberto, soprannominato proprio “e biribésch”, il birichino, a indicarne la natura vocata allo scherzo.

Prodotto sia in versione rifermentato in bottiglia, sia in versione metodo classico, si affianca al contesto aziendale di esclusività e incorona una storia di sperimentazione da rare varietà autoctone (ricordiamo il loro spumante Alma Luna da uve Lanzesa e il loro spumante Pelaghios da uve Pelagos, entrambi non più in produzione).

Non resta che far visita ad Alberto, Antonietta ed Hermes per aver fatto della tradizione e dell’innovazione i capisaldi della produzione di vino in Romagna.

“100 Best Italian Rosè”: una grande occasione per i vini rosati del Sud Italia

di Luca Matarazzo

I vini rosati (o vini rosa) vengono ancora visti, da molti consumatori, come il frutto di un’alchimia sperimentale non sempre ripetibile.

Ciò quando va bene. Quando va male, invece, scorgiamo negli occhi delle persone quel senso di smarrimento nel pensare a un mero completamento di una gamma commerciale, ovvero un’etichetta di ricaduta per annate generose o altrettanto negative per le maturazioni dei rossi da lunga sosta in cantina.

Bisognerebbe, piuttosto, pensare ai rosè come ad un mondo parallelo, ove fare qualità non con metodi da azzeccagarbugli, ma seguendo lo stesso filo logico degli altri esempi aziendali. Solo così si punta dritti all’eccellenza, con contestuale rapidità di beva, timbro di fabbrica ideale. Senza dimenticare che alcuni virtuosi riescono persino a resistere oltre un lustro in bottiglia, senza veder scalfita l’acidità e la sapidità, veicolo di tensione gustativa e di piacevolezza al sorso.

Lo scopo di una Guida giunta alla terza edizione, che da quest’anno prende la formula di 100 Best Italian Rosè, grazie al giornalista enogastronomico Luciano Pignataro, sta proprio nel concetto di rappresentanza e nobilitazione. Ed in tale riflesso i rosati del Mezzogiorno hanno una porta spalancata da varcare.

Il giornalista Luciano Pignataro editore della guida 100 Best Italian Rosè edizione 2023

Già la storia di quanto accaduto in Puglia ne è un fulgido esempio, tra Negroamaro, Primitivo e Susumaniello per citarne alcuni. Ma anche in Campania, come ci raccontano i produttori Libero Rillo di Fontanavecchia, Adolfo Scuotto di Tenuta Scuotto e Ludovica Pagano di Famiglia Pagano, una varietà ostica come l’Aglianico dalla spiccata tannicità, se lavorata bene, può dare un contributo di sostanza al comparto.

Libero Rillo – Fontanavecchia
Adolfo Scuotto – Tenuta Scuotto
Ludovica Pagano – Famiglia Pagano

E perché non pensare alla Calabria nel versante Cirò, con il Magliocco a far da padrone indiscusso o in Sicilia sulle pendici dell’Etna tra Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese, magari equilibrati in blend.

Il Sud Italia, spesso dimenticato e sofferente dal punto di vista comunicativo, può dettare le regole del futuro con espressioni di ottima agilità, dal profilo organolettico elegante e serbevole. Che sia incontestabile però una cosa: il quadro della situazione attuale, come già spiegato nella video intervista dal giornalista Luciano Pignataro, obbliga gli attori in gioco a evitare improvvisazioni.

Il lavoro comincia in vigna con selezioni accurate, non per eccedenze o per difetti di maturazione. Bisognerebbe, poi, razionalizzare l’impianto, immaginando che quelle porzioni vitate siano deputate unicamente alla realizzazione del rosato, senza commistioni al ribasso.

Last but not least l’opera di cantina da parte dell’enologo è fondamentale, nell’evitare ossidazioni rimarchevoli o devianze che vanifichino uve ottime sotto il profilo aromatico.

La giornalista Antonella Amodio
La giornalista Chiara Giorleo
La giornalista Adele Elisabetta Granieri
Teresa Mincione

Non è un gioco per tutti ed il severo panel alla cieca condotto da Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Elisabetta Granieri, Teresa Mincione e Raffaele Mosca ha sfornato una sequela di vini impressionanti, tra i quali primeggia il Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2022 “Baldovino” di Tenuta i Fauri.

Al centro Valentina Di Camillo – Tenuta I Fauri

Non poteva mancare, infine, un piccolo spazio a Vinolok, uno degli sponsor principali della manifestazione celebrativa di chiusura del 20 luglio 2023 nella splendida cornice dello Yacht Club Marina di Stabia.

Vinolok

Ecco l’elenco completo dei premiati da visualizzare cliccando il link sottostante:

https://www.lucianopignataro.it/a/italian-best-rose/236142/amp/

Costiera Amalfitana: a Maiori (SA) l’azienda agricola biologica Raffaele Palma

di Luigi Salvatore Scala

Raffaele Palma ha seguito il suono dolcissimo del richiamo alla terra ed ha creato a Maiori (SA), in Costiera Amalfitana, un’azienda totalmente condotta all’insegna della eco-compatibilità e sostenibilità a picco sul blu del mare.

Vista panoramica dall’azienda

Fu certo in un momento di pazzia che Raffaele Palma, anzichè godersi in panciolle l’età matura dopo una vita attiva da imprenditore del settore legno, ha deciso di investire tutto per strappare alla montagna dei terrazzamenti da destinare alla vigna, oggi incorniciati e sostenuti dai muretti a secco, tra uliveti e limoneti. Impossibile descriverne il coraggio: l’invito è partire alla scoperta della vera viticoltura eroica, quella dell’uomo che non solo vince sulla natura, preservandola, ma la fa anche presuntuosamente più bella.

Il primo terreno

Nel 2005 Raffaele decise di dare tutto sé stesso e, passeggiata dopo passeggiata in questo paradiso perduto, si è convinto ad acquisire diversi appezzamenti dai 50 ai 450 metri di altitudine, investendo nell’innovazione e nella sperimentazione, con passione e assoluta devozione alla natura del luogo. Oggi sono ben gli 6 ettari vitati sui 22 totali.

PUNTACROCE Costa d’Amalfi D.O.C.

Nasce da un assemblaggio tra Falanghina, Biancolella, Ginestra ed altre varietà locali. Il profumo è caratterizzato da sentori di mandarino, albicocca, fiori di agrumi e lavanda. Al gusto le marcate note minerali sono piacevolmente accompagnate da una discreta sapidità. Finale persistente di frutta gialla candita. Ideale abbinamento con la cucina di mare.

MONTECORVO Costa d’Amalfi D.O.C. rosso

Da un uvaggio di Piedirosso e Aglianico. Colore rosso rubino intenso, dal bouquet di prugne rosse, arance, petali di rosa e ribes. Al gusto è fresco con piacevole persistenza aromatica e dalla struttura tannica non invadente. Ideale abbinamento al tipico pranzo domenicale a base di ragù.

SALICERCHI Costa d’Amalfi D.O.C. rosato

Pressatura soffice di uve Piedirosso e Aglianico. Un rosato dai riverberi cerasuoli intensi. Odora di note da crème de cassis, liquirizia, chiodi di garofano e fragoline sotto spirito. Al palato fa sentire tutta la sua freschezza e l’imponente enfasi alcolica che ben si bilancia alle note sapide. Persistenza fondata su un’ottima struttura acida. Vino davvero versatile, abbinabile a tutto campo, dalla carne bianca, agli arrosti di agnello, dai primi piatti alle tagliate di frutta.

CIARARIIS IGP Colli di Salerno bianco

Frutto della vinificazione di sole uve Ginestra in purezza, varietà locale poco diffusa, ma dalle particolari caratteristiche organolettiche. All’olfatto ha sentori di agrumi, frutta candita, albicocca e note di fiori gialli. Il sorso avvolge con armonia e chiosa sapido e di lunga persistenza.

Tutta la cantina è certificata BIO, così come i limoneti e gli uliveti. L’azienda produce anche: miele, marmellate, liquori e l’unico olio di oliva extravergine Colline Salernitane D.O.P. presente ad oggi in Costiera Amalfitana.

A Raffaele Palma va dunque il merito di avere ulteriormente ampliato “la frontiera” del vigneto Campania.

© Azienda Agricola Biologica Raffaele Palma

Via Arsenale, 8 – 84010 Maiori (SA)
Sede Operativa: Località San Vito 
Tel +39 335 76 01 858 | Fax +39 089 812129

“A cena con l’enologo”: Sergio Pappalardo ci racconta il suo Fiano Pelós al Ristorante Mediterraneo a Salerno

di Luca Matarazzo

Nemo profeta in patria. Lo so, a volte mi rendo conto di essere ripetitivo col passare degli anni. Eppure credo sempre di più nella verità storica di questo motto latino: nessuno è profeta in patria, ovvero pochi sanno esaltare le bellezze che abbiamo a due passi dai nostri occhi.

Una di queste è il Ristorante Mediterraneo a Salerno di Carla D’Acunto, giunto ormai alla prima decade dal giorno dell’apertura, motivo dell’incontro a cena con l’enologo (e produttore) Sergio Pappalardo per la presentazione, in esclusiva per 20Italie, del suo Pelós 2021 da uve varietà Fiano.

L’affabile Carla ci accoglie con quel sorriso che solo i grandi del mestiere sanno esprimere. Non un gesto di semplice cortesia, quanto il modo migliore per dirti “benvenuto a casa mia”. Dimentichiamo spesso l’importanza di ricevere un simile trattamento nell’avvicinarci a un esercizio pubblico o comunque vogliate chiamarlo. Ma dalla forma bisognerà poi passare alla sostanza e di questo ne parleremo a breve.

Cominciamo, invece, con raccontare il progetto di Sergio Pappalardo, esperto enologo che ha deciso di cimentarsi in prima persona nel duro mestiere di vigneron. Nel 2018 prende in gestione una vigna a Sorbo Serpico a 500 metri d’altitudine, in Contrada Pascone. Il materiale d’inizio era buono, piante di Fiano del 1994 che però necessitavano di giusta cura e attenzione.

Anche perché Sergio è da solo e deve occuparsi di ogni aspetto produttivo, persino l’etichetta per il suo vino. I suoli sono argillosi, puntati a forte pendenze con rischio continuo di dilavamento a valle durante le piogge. Motivo ulteriore per dover seguire la vigna come un bambino ai primi passi con la mano del buon padre di famiglia.

Ma cosa farne, esattamente, dei grappoli splendidi e luminosi vendemmiati da tale appezzamento? Pappalardo non esita un secondo, seguendo la propria filosofia produttiva improntata sulla ricerca delle pratiche rispettose dell’ambiente e della natura.

Permettetemi, dunque, un lieve brivido pensando ad altre esperienze fallimentari o alla grande confusione esistente attorno al concetto di vino naturale. Tralasciando il termine in sé, bisogna provare per credere, tastare nel calice il prodotto nato da tanta selezione e sacrificio e capire che non possiamo mai avere preconcetti, ma solo verifiche tecniche di chi lavora bene… e chi no.

Le uve scelte per il Pelós 2021 sono state raccolte tardivamente tra il 30 ottobre e il 13 novembre e hanno seguito diraspatura e successiva macerazione in 7 lune di anfora di gres e uova di cemento, durante le quali si sono svolte le principali fermentazioni spontanee alcolica e malolattica. Zero aiuto da anidride solforosa o altre componenti chimiche: alla svinatura e torchiatura di maggio il vino è ritornato negli stessi vasi vinari per 9 mesi e imbottigliato senza nessuna filtrazione, presentato in commercio a giugno 2023 per sole 583 bottiglie numerate.

Quando si crede (sbagliando) sulla stranezza di simili espressioni, alla fine sei costretto a fare ammenda ritornando sui tuoi passi. Non affrontiamo minimamente la tematica del colore, un mix tra ambra lucente e topazio lievemente velato che poco importa ai fini della degustazione. La bellezza del Pelós 2021 sta tutta nella bocca! Possente, fruttata, con quegli aromi tipici di chi sa cosa sia lavorare una delle varietà a bacca bianca più interessanti e avvincenti del mondo enologico.

Le naunce da pesca matura e albicocca, seguite da una vena mediterranea goduriosa tra salvia e tiglio, che chiosa verso mandorla disidratata e nocciola tostata raccontano la completezza del quadro dipinto dal Fiano. Tra mille lo si riconoscerebbe senza esitazioni.

E per un degno re della tavola, non potevano mancare altrettante proposte culinarie dello staff di Carla D’Acunto, come il calamaretto cotto alla piastra con cipolla fresca o gli gnocchetti fatti in casa al sugo di molluschi e pecorino grattuggiato.

Due esempi di perfetto abbinamento, di armonia e di equilibrio esaltati dalla sapidità finale del vino con quella mordenza data dalla macerazione e la morbidezza della vendemmia in surmaturazione.

Si può essere ottimi profeti in patria, basta giocare tra gusto e semplicità.

Ristorante Mediterraneo a Salerno
Via M. Testa, 31
Tel. 089 296 2405
Chiuso il lunedì

Liguria: Genova quando il Cuore incontra il mare

di Alberto Chiarenza

Genova, città di naviganti, così affascinante che incanta per storia, cultura e bellezza. Città di porto, crogiolo di influenze e tradizioni che ne fanno un luogo davvero unico al mondo.

Il suo centro storico caratterizzato dai “Caruggi”, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, è un labirinto di stradine strette, piazzette, chiese e i palazzi antichi nascosti, ove si respira l’atmosfera del passato e si odono le canzoni di Fabrizio De André.

Meta di appassionati di mare e di barche oltre che dal turismo della città con numerose attrazioni culturali e culinarie; raramente, però, si sente parlare di Genova come destinazione di un evento dedicato esclusivamente al vino. A questo ha pensato Olga Sofia Schiaffino, già autore di 20Italie, nell’organizzare l’evento della Guida dei Vini del Cuore che si è svolto dal 7 al 8 maggio presso la bellissima cornice dell’Hotel NH Collection Genova Marina.

Quando si parla di cuore il pensiero va all’amore e in questo caso il legame tra il vino e il cuore è dato dal contributo di blogger selezionati. Olga la definisce una guida social: non vengono dati voti, ma solo racconti di storie ed emozioni. Può trattarsi di una bottiglia aperta in una occasione particolare o di una visita in cantina, un racconto emozionale e indipendente dove il blogger non è il protagonista ma soltanto il narrante e racconta le sue impressioni senza dover scendere in descrizioni eccessivamente tecniche.

Giornate ricche di appuntamenti con i produttori e tre masterclass. Il mare incontra il vino nell’elegante cornice del NH Marina Collection Genova, un hotel sul mare affacciato sul porto antico proprio accanto il bellissimo e famoso vascello “Neptune”, utilizzato per numerosi set cinematografici.

Le eleganti sale che hanno ospitato l’evento’ hanno accolto i numerosi partecipanti con vini ai banchi d’assaggio e una vista mozzafiato. Poi nella sala Mediterraneo si sono tenute le tre masterclass di grande spessore.

La prima, condotta dal giornalista Aldo Fiordelli, con 8 vini selezionati e raccontati quasi come un viaggio in Italia. La Leccia, Cantina della Volta, Marisa Cuomo, Colli di Luni , La Salceta, Lecci e Brocchi, Enotria Tellus e Marzocco di Poppiano.

Poi è stata la volta degli Amber Wines, vini senza confine. Il sommelier ed export manager Enrico Cusinato ci ha parlato dei luoghi comuni sui cosiddetti “orange wine”. Il termine orange, amber, macerati o skin contact sono tutti sinonimi di vini di nicchi. Sono prodotti in quantità limitate, crescendo in esperienza, soprattutto nell’affinare le tecniche di vinificazione.

L’ultimo appuntamento è stato un racconto affascinante degli autori del libro “MALVASIA, un diario mediterraneo”, Paolo Tegoni con il fotografo Francesco Zoppi di cui la collega Maura Gigatti ha parlato già nell’articolo MALVASIA un diario mediterraneo – presentazione del libro di Paolo Tegoni.

Varietà dotata di precursori aromatici straordinari; un’uva eccellente dalla quale si possono ottenere vini di grande eleganza e versatilità.

La prima giornata si è conclusa con la Cena di Gala al Rollipop Bistrot con i piatti preparati dal resident Chef Luca Satta.

Antipasto “ribagnun”: la rivisitazione delle acciughe ripiene che in dialetto genovese si chiamano bagnun.

Per primo il risotto Pasqualina, ispirato alla torta di verdure ed un secondo composto da filetto di ombrina, puntarelle e salsa alla mugnaia.

Il dolce, una delizia per occhi e palato, è il “sasso di panera”. Due semifreddi al caffè ricoperti di cioccolato fondente, poggiati su una granella di caffè e spolverati sempre con polvere di caffè.

Non ci resta che aspettare la terza edizione della Guida dei Vini del Cuore, che sarà ulteriormente arricchita e piena di spunti interessanti, visto che i vini che ogni autore potrà descrivere saranno sette invece di tre. Tante le novità allo studio da parte dell’Organizzazione che ha fatto un lavoro egregio e di grande qualità.

Le cantine partecipanti all’evento

Andrea Bruzzone (Liguria)

Cà du Ferrà (Liguria)

Cantina della Volta (Emilia-Romagna)

Cantina di Vicobarone (Emilia-Romagna)

Casale Azienda Agricola (Toscana)

Crotin 1897 (Piemonte)

Enotria Tellus (Veneto)

Eraldo Dentici (Umbria)

Il Paluffo (Toscana)

John Maiolo (Piemonte) *

La Leccia (Toscana)

La Pietra del Focolare (Liguria)

La Salceta (Toscana)

Lecci e Brocchi (Toscana)

Marisa Cuomo (Campania)

Marzocco di Poppiano (Toscana)

Podere Casina (Toscana)

Podernuovo (Toscana)

Ramoino (Liguria)

Tröpflthalof (Trentino-Alto Adige)

Vini Moras (Campania)

Freschi&Bufano Wine Merchants (Svizzera) con le cantine ospiti:

Fattoria Pagano (Campania)

La Badiola (Toscana)

Piccoli (Veneto)

Tenuta del Vallone Rosso (Sicilia)

Liquorificio Fabbrizii (Liguria)

Tra questealcune che mi hanno emozionato particolarmente senza un ordine di preferenza.

Inizio con Pierin il Barolo secondo John Maiolo, un produttore di Monforte D’Alba, presente con tre referenze del famoso rosso piemontese, il Langhe Rosso, il Langhe Nebbiolo e il grande Barolo Pierin 2016 e 2017. Tre vini di grande eleganza dove le attente selezioni delle uve e le basse rese fanno la differenza.

Dal Veneto l’azienda Piccoli con le bellissime etichette di rose colorate del Valpolicella Superiore DOC Rocolo, il Valpolicella Superiore Ripasso DOC Caparbio e AMARONE della Valpolicella DOCG La Parte.

Sempre dal Veneto una giovane realtà enoica di Fabio Lucchese e Anita Abazi. Le bottiglie si distinguono per le etichette molto colorate e decisamente originali, che sembrano opere d’arte. Parliamo di Enotria Tellus, la cantina inaugurata nel 2016. Vini di un’eleganza sorprendente che ho apprezzato molto.

Rimanendo sui grandi rossi, era presente la Cantina Podernuovo rappresentata da Roberto Mercurio, con il Brunello di Montalcino, Orcia Rosso DOC Il Primo, Orcia Rosso DOC Nectar, Toscana IGT Il Moro e Toscana IGT bianco Gemma. Vini fatti con cura, dove il progetto enologico di fare vini longevi, si ritrova alla beva non solo con la componente fresca ma con un corredo gusto-olfattivo decisamente interessanti.

Cantina Della Volta dall’Emilia, una Cantina che si è dedicata dal 1981 alla spumantizzazione con Metodo Classico di Chardonnay e Pinot nero, oltre al famoso Lambrusco di Sorbara nella versione Lambrusco Spumante metodo Classico. Quando si inizia una degustazione si predilige la bollicina per poi procedere con i fermi. Più volte durante la degustazione sono tornato invece a provare i loro spumanti.

Dall’areale Valdarno di Sopra era presente la Cantina La Salceta, con vini a base di Sangiovese e Cabernet Franc sia in purezza che in blend. Parlando con il produttore, Ettore Ciancico, uomo dalla grande personalità, mi ha parlato del progetto che lo sta portando a studiare un vitigno autoctono quasi sconosciuto e riscoperto da pochi anni e che darà vita a un vino bianco rarissimo: l’Orpicchio.

Ancora Toscana, nel Chianti Classico, con Lecci e Brocchi, realtà immersa in un territorio vocato grazie alla grande biodiversità di Castelnuovo Berardenga.

Dalla terra del Montefalco Sagrantino era presente Eraldo Dentici con i suoi vini di produzione “naturale” bilanciati da buona freschezza e avvolgenza al tempo stesso.

Il Nuovo Liquorificio FABBRIZII in Val d’Aveto nell’ entroterra di Genova è una Azienda di produzione di liquori artigianale che rinasce dal ricettario ritrovato dalla famiglia, appartenente a Giovanni Fabrizi che vendeva liquori in Liguria e Italia settentrionale fino al 1940. Ora è la pronipote Laura a seguire la produzione che vanta una vasta gamma di prodotti di assoluta qualità e bontà.

Cà du Ferrà, produzione di nicchia posizionata nella zona delle Cinque Terre in Liguria, dove la valorizzazione di vitigni antichi e autoctoni è stato il progetto fondamentale della Cantina. Sono il Ruzzese, il Rossese Bianco, il Picabon e l’Albarola Kihlgren le varietà che danno vita a vini di grande eleganza grazie al lavoro svolto dagli enologi, Barbara Tamburrini e Vittorio Fiore.

Non ci resta che attendere la prossima edizione della Guida dei vini del cuore in cui troverete anche i sette vini che ho appositamente selezionato.

Ora i link delle aziende citate

I Vini Del Cuore – https://associazioneampelos.it/

Andrea Bruzzone (https://andreabruzzonevini.it)

Cà du Ferrà (http://caduferra.wine/it/)

Cantina della Volta (https://cantinadellavolta.com)

Cantina di Vicobarone (https://www.cantinavicobarone.com)

Casale Azienda Agricola (http://www.casalewines.com)

Crotin 1897 (https://www.crotin1897.com)

Enotria Tellus (https://www.enotriatellus.it)

Eraldo Dentici (https://www.eraldodentici.com)

Il Paluffo (http://ifiassociazione.it)

John Maiolo (https://www.johnmaiolo.com/barolo/maiolo/pierin/) *

La Leccia (https://www.castellolaleccia.com)

La Pietra del Focolare (https://www.lapietradelfocolare.it)

La Salceta (https://www.lasalceta.it)

Lecci e Brocchi (https://www.vinolecciebrocchi.it)

Marisa Cuomo (https://www.marisacuomo.com)

Marzocco di Poppiano (https://www.marzoccopoppiano.it/it/)

Podere Casina (https://www.poderecasina.com/it/azienda/vino/)

Podernuovo (https://www.podernuovovini.com)

Ramoino (https://www.ramoinovini.com)

Tröpflthalof (https://www.bioweinhof.it/it/)

Vini Moras (https://www.vinimoras.it)

Freschi&Bufano Wine Merchants (https://www.freschibufano.ch/it/freschibufano-i-mercanti-del-vino/)

Fattoria Pagano (https://www.fattoriapagano.it)

La Badiola (https://www.labadiola.it)

Piccoli (https://www.piccoliwine.it)

Tenuta del Vallone Rosso (https://www.tenutadelvallonerosso.com)

Liquorificio Fabbrizii (https://www.liquorificiofabbrizii.com) AccessoriDa Vino (https://www.accessoridavino.com)

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella dallo chef una Stella Michelin Peppe Guida

di Silvia De Vita

Tour Pighin 2023: Prima Tappa a Villa Rosa – La casa di Lella

Un incontro interregionale tra due fuoriclasse del mondo enogastronomico: il produttore vitivinicolo Roberto Pighin e lo chef una Stella Michelin, con l’Antica Osteria Nonna Rosa, Peppe Guida.

In una cornice del tutto originale con un panorama mozzafiato, inerpicandosi tra strade sinuose, strettissime e vertiginose della Costiera Sorrentina, ad Alberi (NA), si è svolta la prima tappa del Pighin Tour. Villa Rosa – La Casa di Lella è stata la location prescelta per la cena degustazione durante la quale si è compiuto un connubio insolito tra Friuli Venezia Giulia e Campania.

Da sinistra lo chef Peppe Guida e Roberto Pighin

Due eccellenze, Peppe Guida, la cui semplice e strepitosa cucina è fatta di prodotti stagionali dell’orto e del pescato del giorno, e Roberto Pighin, vice presidente e responsabile dell’Azienda Pighin, i cui vini sono frutto di un progetto e di un’esperienza lunghi ben 4 generazioni.

La réunion è stata possibile grazie all’impegno di Giuseppe Buonocore del Gambero Rosso e da Ab Comunicazione nel creare una serata unica e speciale. La sfida è stata lanciata, quella di ampliare gli orizzonti e sperimentare come vini friulani di qualità possano accompagnare con piacevolezza piatti gourmet di tutt’altra tradizione e radici, garantendo ai 5 sensi percorsi emotivi di grande spessore.

Ma chi sono i due protagonisti della nostra serata?

La cantina Pighin si trova a Risano, in provincia di Udine e con i suoi oltre duecento ettari vitati rientra nelle DOC Friuli Grave e Collio Doc. Dagli anni Sessanta è tra i più conosciuti produttori friulani. Roberto Pighin, attuale responsabile dell’azienda di famiglia, è un uomo ben radicato nel suo territorio, ma con lo sguardo attento ai mercati esigenti e preparati. La passione per la terra, per il vino, per il lavoro traspare dalle sue parole.  L’azienda lavora utilizzando vitigni autoctoni e internazionali, rigorosamente sottoposti a selezione massale. Le viti sono radicate su terreni di pianura, composti da ciottoli di origine alluvionale che conferiscono ai vini importanti doti minerali.  “La scelta – dice Roberto Pighin – è quella di prediligere freschezza e immediatezza di beva, senza essere mai banali…” Poi continua: “Il vino deve essere come un abito e va abbinato a ogni circostanza”

Scendiamo verso Sud, a casa nostra. Villa Rosa – La casa di Lella è il luogo dove Peppe Guida, nell’Antica Osteria Nonna Rosa, esprime la sua arte culinaria. Splendida la vista della Villa sul Vesuvio e sul Golfo di Napoli, un tutt’uno con l’orto su cui lo chef punta tanto. Peppe Guida è un autodidatta incallito, una voce fuori dal coro, un uomo dall’aspetto serio con uno sguardo intenso e di poche parole. “Per me la cucina di territorio è quella della penisola, stretta tra le braccia” dice lo chef, aggiungendo “Abbiamo un giacimento così prezioso di prodotti caseari, ortofrutticoli, di terra e di mare, tutto a portata di mano. Io mi concentro su questo valore. Non c’è scarto, tutto è materia”. Non c’è menu prefissato, si lavora su base stagionale, con verdure e pescato locale che fanno da canovaccio a una tela reinterpretata quotidianamente, seguendo un percorso che varia a seconda delle giornate.

La nostra cena degustativa ha inizio con aria fritta, una deliziosa montanara, leggerissima e ben fritta con una salsa di pomodoro sul fondo. La leggerezza dell’impasto denota un’alta percentuale di idratazione oltre che un processo di lievitazione ottenuto con i giusti tempi. In abbinamento al piatto è stato proposto il Pinot Grigio Friuli Grave DOC 2022 di Pighin. Vitigno coltivato su terreni ghiaiosi, ben esposti con sistema di allevamento a Guyot. Vinifica unicamente in vasche di acciaio inox. Nel calice si presenta giallo paglierino tenue, mentre al naso spiccano leggeri profumi di frutta bianca. La persistenza non è lunga e nell’abbinamento la memoria del vino viene persa a vantaggio del piatto. 

Arriva la carrellata degli antipasti con i quali lo chef dimostra la sua passione per le verdure. La selezione prevede: culatello con emulsione di mozzarella, caponata, Melanzane a barchetta, tonno con pomodorini, alici marinate, fritto, totano e patate, Pasta e fagioli ripassata. Tutto cucinato con cura e con attenzione ai sapori originali. Particolare menzione merita il tonno con pomodorini e la pasta e fagioli del giorno prima ripassata.

Viene servito un Ribolla Gialla 2022 del Collio, meno declinato sui tipici sentori varietali. Coltivato nella zona del Collio Goriziano, terreno ricco della presenza di “ponca”, una roccia marnosa che sa conferire un carattere minerale ai prodotti del territorio. Al naso il vino regala profumi di frutta a polpa gialla in fase di iniziale maturazione e fiori di campo combinati a lievi cenni di pietra focaia e agrumi. Al sorso esprime freschezza e una nitida mineralità. Ottimo l’abbinamento sia con la pasta e fagioli ripassata che con il tonno. Degno di nota anche l’abbinamento con i fritti.

La pasta e patate con cozze e pecorino è la sorpresa che Peppe Guida ci riserva tra i primi. Un piatto estremamente equilibrato, con gli ingredienti risultano bene amalgamati tra di loro. Gradevole la trama dei sapori e delle consistenze. Il vino in accompagnamento è una Malvasia del Collio 2022. Riconosciamo l’espressività dei vitigni istriani. Il vigneto si trova a meno di 200 m sul livello del mare e cresce anch’esso sulla ponca. Nuance rivestite di giallo paglierino brillante, con note floreali di ginestra, camomilla ed erbe aromatiche e, a seguire, buccia d’arancia miste a sentori di frutta secca. Piacevole alla beva, arricchita da una grande freschezza e sapidità. Abbinamento riuscito alla perfezione!

La seconda sorpresa dello chef è un piatto di pesce: Pesce Musdea o Mostella le cui carni sono simili a quelle del merluzzo nordico, saporite e bianchissime, delicate e gustose. La mostella è servita con patate e scarolina tenera in una riduzione di limone, molto persistente e pregnante al palato. Il Collio Bianco Soreli ’20, di carattere, è ottenuto dal blend di tre bianchi autoctoni del Collio: il Friulano, la Malvasia Istriana e la Ribolla gialla. Naso da albicocca matura e vaniglia, e sorso fresco e longevo. Le uve vengono sottoposte a criomacerazione; Una parte del mosto ottenuto fermenta in vasche di acciaio sulle proprie fecce nobili. Una parte fermenta in “tonneaux” e in “barrique” di rovere Slavonia naturale e di media tostatura ove riposa fino all’assemblaggio.

Il fine pasto è affidato a una sfogliatella santa rosa scomposta con crema e amarene, degna rivisitazione della ricetta originale. In bocca è un’esplosione di sapori ed odori. Immancabile jolly è la zeppola fritta, che qui è una vera e propria istituzione da assaggiare.

Il Picolit ha un colore giallo ambrato, al naso è intenso, fine ed elegante. Ricorda l’albicocca e i fichi secchi. In bocca è dolce, caldo e armonico. Un vino passito, di grande concentrazione e persistenza. Ottimo chiusura di serata.

Un territorio cresce ogni qualvolta il confronto è cercato, condiviso e ragionato. Il connubio a Villa Rosa tra due grandi eccellenze del mondo enogastronomico ha sicuramente lasciato il segno. Il dialogo, la sperimentazione e l’apertura consentono sempre di migliorare e perfezionare le intese. Per il Pighin Tour 2023 possiamo concludere con la tipica espressione cinematografica “Buona la prima”!