di Luca Matarazzo
I vini rosati (o vini rosa) vengono ancora visti, da molti consumatori, come il frutto di un’alchimia sperimentale non sempre ripetibile.
Ciò quando va bene. Quando va male, invece, scorgiamo negli occhi delle persone quel senso di smarrimento nel pensare a un mero completamento di una gamma commerciale, ovvero un’etichetta di ricaduta per annate generose o altrettanto negative per le maturazioni dei rossi da lunga sosta in cantina.
Bisognerebbe, piuttosto, pensare ai rosè come ad un mondo parallelo, ove fare qualità non con metodi da azzeccagarbugli, ma seguendo lo stesso filo logico degli altri esempi aziendali. Solo così si punta dritti all’eccellenza, con contestuale rapidità di beva, timbro di fabbrica ideale. Senza dimenticare che alcuni virtuosi riescono persino a resistere oltre un lustro in bottiglia, senza veder scalfita l’acidità e la sapidità, veicolo di tensione gustativa e di piacevolezza al sorso.
Lo scopo di una Guida giunta alla terza edizione, che da quest’anno prende la formula di 100 Best Italian Rosè, grazie al giornalista enogastronomico Luciano Pignataro, sta proprio nel concetto di rappresentanza e nobilitazione. Ed in tale riflesso i rosati del Mezzogiorno hanno una porta spalancata da varcare.
Già la storia di quanto accaduto in Puglia ne è un fulgido esempio, tra Negroamaro, Primitivo e Susumaniello per citarne alcuni. Ma anche in Campania, come ci raccontano i produttori Libero Rillo di Fontanavecchia, Adolfo Scuotto di Tenuta Scuotto e Ludovica Pagano di Famiglia Pagano, una varietà ostica come l’Aglianico dalla spiccata tannicità, se lavorata bene, può dare un contributo di sostanza al comparto.
E perché non pensare alla Calabria nel versante Cirò, con il Magliocco a far da padrone indiscusso o in Sicilia sulle pendici dell’Etna tra Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese, magari equilibrati in blend.
Il Sud Italia, spesso dimenticato e sofferente dal punto di vista comunicativo, può dettare le regole del futuro con espressioni di ottima agilità, dal profilo organolettico elegante e serbevole. Che sia incontestabile però una cosa: il quadro della situazione attuale, come già spiegato nella video intervista dal giornalista Luciano Pignataro, obbliga gli attori in gioco a evitare improvvisazioni.
Il lavoro comincia in vigna con selezioni accurate, non per eccedenze o per difetti di maturazione. Bisognerebbe, poi, razionalizzare l’impianto, immaginando che quelle porzioni vitate siano deputate unicamente alla realizzazione del rosato, senza commistioni al ribasso.
Last but not least l’opera di cantina da parte dell’enologo è fondamentale, nell’evitare ossidazioni rimarchevoli o devianze che vanifichino uve ottime sotto il profilo aromatico.
Non è un gioco per tutti ed il severo panel alla cieca condotto da Antonella Amodio, Chiara Giorleo, Adele Elisabetta Granieri, Teresa Mincione e Raffaele Mosca ha sfornato una sequela di vini impressionanti, tra i quali primeggia il Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2022 “Baldovino” di Tenuta i Fauri.
Non poteva mancare, infine, un piccolo spazio a Vinolok, uno degli sponsor principali della manifestazione celebrativa di chiusura del 20 luglio 2023 nella splendida cornice dello Yacht Club Marina di Stabia.
Ecco l’elenco completo dei premiati da visualizzare cliccando il link sottostante:
https://www.lucianopignataro.it/a/italian-best-rose/236142/amp/