La ricchezza e la complessità del “Vitigno Salerno”

di Ombretta Ferretto

Si è concluso lo scorso 30 maggio, al Green Resort di Chiusano di San Domenico (AV), l’evento “I vini della dieta mediterranea wine tour: il mese dei vini di Salerno in Campania”.

Un’agenda di cinque incontri, organizzata dal Consorzio Vita Salernum Vites, che ha toccato le province campane durante tutto il mese di maggio, con il preciso intento di valorizzare il patrimonio vitivinicolo della provincia di Salerno.

Quella del Green Resort è stata una serata di riflessioni conclusive: partendo dalla dettagliata presentazione del territorio salernitano, attualmente rappresentato in cinque denominazioni (Castel San Lorenzo DOC, Costa d’Amalfi DOC, Colli di Salerno IGT, Cilento DOC, Paestum IGT), proseguendo con una degustazione alla cieca che aveva lo scopo di evidenziare le diverse tipicità dei vini in base al territorio di produzione.

Alla serata, moderata dalla giornalista Fosca Tortorelli, sono intervenuti i produttori Guido Lenza, delle Aziende Agricole Lenza di Pontecagnano Faiano, e Ciro Macellaro, dell’Azienda Vitivinicola Tenuta Macellaro con sede a Postiglione (SA).

La giornalista Fosca Tortorelli

Il territorio vitivinicolo di Salerno, con un’estensione di quasi cinquemila chilometri quadrati e tremila ettari vitati, si presenta estremamente variegato: a partire dalle scogliere della Costiera Amalfitana fino al Vallo di Diano, passando per il Massiccio degli Alburni e i lunghi litorali tra Paestum e Agropoli, coesistono diversi terroir in grado di dare origine a vini notevolmente differenti, a base non solo dei classici vitigni campani, come Falanghina o Piedirosso, ma anche di molteplici varietà autoctone (basti pensare a Ginestra e Ripoli nella DOC Costa d’Amalfi o all’Aglianicone nella DOC Castel San Lorenzo).

Le attuali cinque denominazioni d’origine non sempre sono in grado di descrivere adeguatamente tale complessità e spesso vanno a sovrapporsi l’una con l’altra creando confusione nella scelta finale da parte del consumatore. Un problema non di poco conto, in un settore dalla qualità media dei vini in forte crescita.

Sono stati serviti otto campioni (tre bianchi, tre rosati, due rossi): scopo della degustazione alla cieca era individuare l’areale di appartenenza di ciascun vino e solo al termine dell’intera degustazione sono state rivelate al pubblico le etichette.  In accompagnamento i raffinati finger food dello chef Gerardo Urciuoli, ispirati a piatti della tradizione campana.

I tre bianchi sono stati oggetto del primo confronto. Si trattava di un IGT Paestum, un IGT Salerno, un DOC Costa d’Amalfi.

Il primo campione è stato individuato senza alcun dubbio come il DOC Costa d’Amalfi: salino in bocca, si distingueva per le note agrumate, di erbette mediterranee, di ginestra. Si trattava di Tredici 2022 – DOC Costa d’Amalfi della cantina Tagliafierro in Tramonti, un blend da uve Pepella e Falanghina.

Declinato su sfumature più dolci di miele d’acacia e cera d’api, morbido al palato, il secondo campione era invece un Colli di Salerno IGT, Falanghina 2021 dell’Azienda Agricola Aita in Eboli.

L’ultimo in degustazione tra i bianchi evidenziava immediatamente un timbro più evoluto e strutturato con sentori di idrocarburi e note agrumate su una scia balsamica di menta piperita. Si trattava di un blend di Fiano e Falanghina, da vigneti fino a duecento metri: Ripaudo 2021 IGT Paestum della Tenuta Macellaro in Postiglione.

Tre bianchi, tre denominazioni situate lungo una direttrice nord-sud che in poco meno di cento chilometri tocca la Costa d’Amalfi, con la sua viticultura eroica, passa per il Parco regionale dei Monti Picentini ed il Monte Raione e arriva all’estremo confine nord del Parco nazionale del Cilento.

Il confronto tra i successivi rosati si è rivelato più interessante per la non immediata riconducibilità dei campioni ai relativi vitigni e areali di produzione. I primi due erano vini frizzanti, lavorati con metodo ancestrale: succose le fragoline di bosco, tra petali di rosa e sentori di maggiorana nel Piedirosso in purezza del Gabry Rosato Frizzante 2022 IGT Colli di Salerno – Aziende Agricole Lenza in Pontecagnano Faiano; sorso più materico e complesso, declinato su frutta matura scura, l’Aglianico in purezza de Il Fric 2021 IGT Paestum di Azienda Agricola Casebianche in Torchiara. Grande bevibilità, infine, per l’ultimo tra i rosati, declinato tra sentori di fiori freschi e lampone: Ronnorà 2022 Paestum IGP di Donna Clara in Licusati.

A concludere la degustazione i due campioni rossi: un Colli di Salerno IGT e un Castel San Lorenzo DOC.

Fiori scuri e frutta rossa fragrante caratterizzavano i sentori nel primo calice, capace di evidenziare al sorso anche note speziate di pepe bianco ed erbe balsamiche. Individuato come un Costa d’Amalfi (a dirla tutta completamente fuori luogo), era invece il Piedirosso 2021 Colli di Salerno IGT, delle Cantine Giuseppe Apicella, che in Tramonti vinifica utilizzando entrambe le denominazioni.

Scuro al naso, con note fumée, di tostature e di mora di rovo, l’Aglianicone in purezza Castel San Lorenzo DOP dell’Azienda Agricola Cardosa di Marco Peduto. Castel San Lorenzo DOP è la denominazione più piccola della Provincia di Salerno, l’unica senza sbocchi sul mare e l’unica che prevede nella sua base ampelografica l’utilizzo dell’Aglianicone, vitigno autoctono recentemente riscoperto anche in altre zone del salernitano.

Al termine della serata non poteva che sorgere la riflessione sull’ampiezza del “Vitigno Salerno”, non solo in termini geografici, ma anche di sfaccettature gusto-olfattive, che trovano la loro radice nella ricca base ampelografica e nell’enorme diversificazione del suo terroir.

Vini d’Abbazia: una lunga storia dal Medioevo ad oggi

di Silvia De Vita

Per chi ama andare alla scoperta di tradizioni, culture e popoli, il vino consente di intraprendere facilmente viaggi attraverso il tempo, i costumi e i patrimoni intellettuali radicati nella nostra Penisola, (e non solo). L’Italia e l’Europa hanno una lunga storia legata ad abbazie e monasteri e al contributo che essi hanno dato alla salvaguardia della viticoltura tradizionale.

Sin dal Medioevo, le abbazie hanno avuto un ruolo cardinale non soltanto nella produzione di vino per messe e autoconsumo, ma anche nella preservazione dei “cépages” (le varietà d’uva) che altrimenti sarebbero andati persi come ha spiegato Rocco Tolfa, giornalista del Tg2, uno degli ideatori della manifestazione

E’ una storia questa che merita sempre di essere raccontata… ed è successo con la seconda edizione di “Vini d’Abbazia” nella splendida cornice dell’Abbazia di Fossanova – il più antico esempio d’arte gotico-cistercense in Italia, risalente al XII secolo.
Protagoniste dell’evento sono state proprio le abbazie, assieme a monasteri e conventi dislocati su tutto il territorio italiano e francese. Banchi di assaggio di oltre 30 cantine produttrici hanno accompagnato i visitatori, appassionati di vino e operatori del settore, in un viaggio senza confini. Tante etichette provenienti da selezioni curate da religiosi e enologi esperti.

“La scelta delle aziende, come ribadisce Marco De Cave della cooperativa Taste Roots, si è basata sul prestigio e sulla ricerca estenuante. Molte di queste sono tuttora attive, gestite da monaci e suore di diversi Ordini. Altre, lavorano in simbiosi con le abbazie stesse, avendone acquisito le competenze o la gestione diretta. Altre hanno proprio rilevato tali cantine, riprendendo le tradizioni e i progetti locali”.

Ben rappresentato il Lazio, con i vini artigianali del Monastero delle suore Trappiste di Vitorchiano, dell’Abbazia di Valvisciolo di Sermoneta e dell’Abbazia di Casamari a Veroli che domina il torrente Amaseno, e dai vini prodotti nel territorio pontino con le Cantine che aderiscono alla Strada del Vino di Latina: Sant’Andrea, Marco Carpineti, Casale del Giglio, Cincinnato, Pietra Pinta, La Valle dell’Usignolo, Villa Gianna, Donato Giangirolami.

In Campania, la Cantina Feudi di San Gregorio ha voluto dedicare uno dei loro vini più importanti all’Abbazia del Goleto che, fondata nel 1133 a Sant’Angelo dei Lombardi, ha salvato i vitigni autoctoni campani Greco di Tufo, Fiano e Aglianico dalla scomparsa; presente anche Abbazia di Crapolla di Vico Equense.

In Alto Adige, Abbazia di Novacella, quella di Muri-Gries e della Cantina Valle Isarco che cura i vigneti del Monastero di Sabiona; Abbazia di Praglia – Monastero Benedettino della provincia di Padova – e l’Abbazia di Busco del Veneto; l’Abbazia di Rosazzo del Friuli Venezia Giulia, i cui vigneti millenari sono affidati alla Cantina Livio Felluga.

La Toscana è stata rappresentata dalla Badia di Passignano (Abbazia di Vallombrosa), le cui storiche cantine sono in uso da parte della Famiglia Antinori, dall’Abbazia di S. Maria di Monte Oliveto nel Senese, La Pieve di Pievasciata, una delle più antiche del territorio chiantigiano, dal Monastero dei Frati Bianchi di Fivizzano (Massa Carrara), ; mentre l’Umbria e il suo legame tra vino e religione verrà raccontato dall’Azienda Agricola Arnaldo Caprai e dal Monastero di Bose, con le uve coltivate nelle terre del Monastero di San Masseo ai piedi del centro storico di Assisi.

”Le novità di quest’anno sono state diverse, continua Marco De Cave: La presenza delle cantine di abbazie francesi con le quali è nato un gemellaggio proficuo; la collaborazione con Slow Food, con la presenza dei suoi presidi e del suo presidente Carlo Petrini; e la vicinanza al territorio grazie alle diverse iniziative ed experiences connesse in zona”…

Ad arricchire l’evento, inoltre, le diverse Masterclass che si sono susseguite nei 3 giorni.  Di particolare rilievo è stata quella de “I vini autoctoni della provincia di Latina”, alla scoperta di Nero Buono, Bellone, Malvasia Puntinata e Moscato di Terracina condotta magistralmente da Umberto Trombelli, delegato di AIS Lazio- Sez. di Latina.  Marco Caprai, della Cantina Arnaldo Caprai, e Antonio Capaldo, di Feudi di San Gregorio,  esempi di eccellenza italiana nel mondo, per la prima volta insieme, moderati da Isabella Perugini (della Rai), hanno raccontato i loro vini e il legame con le abbazie.

Un’occasione unica per scoprire i “Vini d’Abbazia francesi” è stato l’incontro con l’Associazione Les Vins D’Abbayes.  Inoltre, gli approfondimenti su “La strada del Cesanese”, il vino dei Papi, e su “la cantina Valle Isarco” hanno permesso di conoscere meglio questi territori e le cantine che li rappresentano. Il Consorzio Atina Cabernet DOP ha raccontato l’esperienza della rinascita di un territorio nel cuore della Ciociaria, dove il Cabernet Sauvignon ha trovato il suo habitat già dall’800. Un’opportunità rara è stata la degustazione dei vini naturali del Monastero Trappiste di Vitorchiano, descritti da Giampiero Bea.

Vini d’Abbazia è stata organizzata dall’Associazione Passione di Vino, Taste Roots Soc. Coop., con il Comune di Priverno e la Regione Lazio, ARSIAL, in collaborazione con la Strada del Vino di Latina, Slow Food Lazio, e Slow Wine e Associazione Italiana Sommelier.

Alla prossima edizione!

“TUTTOPIZZA” 2023: GIUNTO ALLA SESTA EDIZIONE SI RICONFERMA UN GRANDE SALONE INTERNAZIONALE

di Paolo Loffredo

Tre Padiglioni alla Mostra d’Oltremare di Napoli probabilmente iniziano ad essere pochi per il TUTTOPIZZA, evento fieristico che si propone di essere il primo vero riferimento nazionale per i professionisti del settore.

Oltre il 30% in più di espositori, con due grandi novità: un Padiglione allestito a mo’ di ring a cura di uno dei Main Sponsor della Fiera, il Gruppo Perrella Network, dove i Maestri Pizzaioli, da Valentino Tafuri a … si sono metaforicamente “sfidati” con tanto di guantoni fino all’ultimo impasto, a un intero settore dedicato alle birre artigianali, TUTTOBIRRA.

Oltre 40.000 visitatori registrati in 3 giorni e ben 180 marchi presenti. L’evento, a ingresso gratuito, solo per addetti lavori, ha riconfermato la sua capacità di intercettare correttamente domanda e offerta, mettendo in relazione il mondo dei pizzaioli il mondo imprenditoriale.

Grande spazio è stato lasciato anche alle associazioni di settore, con masterclass di rilievo e temi ben identificati, dal “Pizza Tradizionale Day” ai pairing, quindi tanta possibilità di formazione e aggiornamento, oltre che di relazioni. La vocazione del TUTTOPIZZA diventa sempre più internazionale, con uno sguardo rivolto e focalizzato al futuro di questo settore.

“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

“CAMPANIA BEER EXPO”AL MANN – MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

Comunicato Stampa

La città di Napoli ospita il “Campania Beer Expo”, primo Salone regionale della Birra Artigianale promosso dalla Regione Campania, in programma il 5 e 6 giugno prossimi presso il prestigioso MANN – Museo Archeologico Nazionale della città di Napoli.

Un evento organizzato su iniziativa dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Campania nell’ambito della Legge regionale della Campania 24 giugno 2020 n. 16 che prevede misure a sostegno della agricoltura di qualità e del patrimonio agro-alimentare nel settore della produzione di birra agricola e artigianale. La Legge regionale tra le altre cose promuove l’attività di identificazione e di valorizzazione della produzione birraia agricola e artigianale della Campania; occasioni e iniziative di informazione, promozione e valorizzazione del prodotto “birra agricola e artigianale della Campania” anche attraverso una fiera annuale della birra agricola e artigianale da tenersi, a rotazione, nei diversi territori della regione.

Il “Campania Beer Expo” si inserisce in un momento particolarmente interessante per il settore agroalimentare italiano e la Campania in tal senso presenta un patrimonio estremamente ricco di risorse di notevole pregio sotto il profilo agro-alimentare, dotato di grande attrattività per numerose tipologie di target ed in grado di generare, se adeguatamente sviluppato, un significativo impatto sul sistema socioeconomico regionale. La scelta del MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli è legata alle caratteristiche di questa istituzione culturale, tra le più antiche ed importanti istituzioni culturali al mondo, per ricchezza e unicità del patrimonio e per il suo contributo offerto al panorama culturale europeo. Imponente nell’architettura e nelle collezioni, protagonista della vita culturale in città, è una struttura aperta alla modernità e alle contaminazioni. 

Il “Campania Beer Expo” rappresenta un’occasione unica per scoprire e apprezzare la scena della birra artigianale campana. L’evento vedrà infatti in primo piano una selezione di birrifici regionali, dando ai partecipanti l’opportunità di assaporare una vasta gamma di birre di alta qualità. L’evento è dedicato ai beerlovers e agli operatori specializzati, con banchi d’assaggio, Masterclass e BeerLAB, incontri B2B e una serie di attività coinvolgenti, tra cui il percorso degustazione nel suggestivo Giardino della Vanella del MANN, e la presenza di nomi di primissimo piano nel mondo brassicolo italiano e internazionale.

L’apertura ufficiale si terrà lunedì 5 giugno alle ore 15e30 con la tavola rotonda intitolata “Autenticamente campana: la birra artigianale dagli albori alla biodiversità”, che vedrà la partecipazione della Regione Campania e di importanti rappresentanti del settore, tra cui il presidente nazionale di Unionbirrai, Vittorio Ferraris, il presidente regionale di AIS Campania, Tommaso Luongo, Lorenzo Dabove “Kuaska”, considerato una delle figure più influenti nel mondo della birra artigianale in Italia, e Teo Musso, presidente “Consorzio Birra Italiana” per la Tutela e Promozione della Birra Artigianale Italiana da Filiera Agricola, padre putativo della birra artigianale in Italia. Nel corso del primo giorno, si terranno anche due Masterclass di grande interesse. La prima, intitolata “La Campania capitale della pizza e della birra“, vedrà gli interventi del rinomato pizzaiolo Giuseppe Pignalosa, di Tommaso Luongo, presidente regionale AIS Campania, e del giornalista Luciano Pignataro. La seconda Masterclass, dal titolo “La biodiversità del territorio come ingrediente della birra“, sarà tenuta da Alfonso Del Forno, giornalista enogastronomico e referente regionale UBT (Unionbirrai Beer Tasters).

La giornata successiva, martedì 6 giugno, offrirà ulteriori opportunità di esplorare il mondo della birra artigianale. Nel Giardino della Vanella si terrà un percorso degustazione con banchi d’assaggio, dove i partecipanti potranno scoprire le eccellenze dei birrifici aderenti all’evento. Saranno inoltre organizzati incontri B2B per favorire lo sviluppo di collaborazioni tra i produttori e gli operatori del settore. Il martedì pomeriggio si terrà anche un BeerLAB dal titolo “Come comunicare la birra artigianale?“, che includerà interventi di chi svolge un ruolo fondamentale nel fornire ai clienti un’esperienza di qualità nel consumo di birra, i publican: parteciperanno Antonio Romanelli di “Hoppy Ending” e Fabrizio Ferretti di “Mosto – Birra&Distillati” con Gabriele Pollio, delegato AIS Napoli. Successivamente, si svolgerà una Masterclass dal titolo “Equilibri di Gusto”, con interventi di Gabriele Pollio, delegato AIS Napoli, e Lorenzo Dabove “Kuaska”.

Nel Giardino della Vanella saranno riservati spazi speciali per la Regione Campania e per AIS Campania, dove sarà possibile approfondire le peculiarità del territorio e dell’associazione. La giornata si concluderà con un BeerLAB incentrato sul tema “Birra e turismo: la Campania da scoprire“. Gli interventi saranno tenuti da Vito Pagnotta, socio fondatore e consigliere del Consorzio Birra Italia, e Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana.

Ecco i birrifici aderenti all’evento “Campania Beer Expo”: 082TRE, Skapte Handcraft Beer, Cifra, Cuoremalto, Kbirr Napoli, Microbirrificio Artigianale Incanto, Birrificio Ventitré, Serrocroce – La birra artigianale da filiera agricola, Terravecchia, Parthenya, Birrificio Artigianale Napoletano N’Artigiana, Birra Karma, Malbrewing, Birrificio Sorrento, Magifra Excellent Craft Italian Beer, Microbirrificio artigianale 84030, Maestri del Sannio, Microbirrificio Artigianale Okorei e Birrificio Dell’Aspide.

L’evento “Campania Beer Expo” rappresenta un’opportunità unica per immergersi nel mondo della birra artigianale campana e apprezzare la sua diversità e qualità, dedicato a tutti gli amanti della birra e gli operatori del settore per una due giorni indimenticabile dedicata alla birra artigianale campana in un luogo di indiscutibile fascino nel cuore di Napoli.Tutte le informazioni anche per ticket e prenotazioni su www.campaniabeerexpo.it.

Gaja: una semplice storia di famiglia

di Ombretta Ferretto

“Sono nato a Barbaresco, un piccolo paese di seicento anime, che ha dato il nome al vino”.

Ha esordito così Angelo Gaja all’Hotel Renaissance Mediterraneo, nella lectio magistralis che ha emozionato la platea di appassionati e professionisti del vino. Una narrazione durata quasi tre ore passando attraverso ricordi di famiglia, grandi successi e nuovi progetti.

Passato, presente, futuro sono stati i fili conduttori che hanno intessuto la trama di un racconto di famiglia, iniziato a metà del diciannovesimo secolo in un minuscolo comune della Provincia Granda e giunto oggi a lambire l’Etna, passando attraverso Montalcino e Bolgheri tra le varie tenute in proprietà. Protagonista indiscusso il vino, straordinario portatore di cultura e vero ambasciatore del Made in Italy nel mondo.

Non ha bisogno di presentazioni Angelo Gaja, della quarta generazione di una cantina sita all’indirizzo storico di via Torino, nel comune di Barbaresco. Classe 1940, nipote di Clotilde Rey, maestra di origine francese, e di Angelo, “produttore di vini di lusso e da pasto”, è lui che ha diffuso il nome del Barbaresco nel mondo, proseguendo nell’intento che era già stato del padre Giovanni di “fare un Barbaresco migliore del Barolo” .

La riconoscenza va a nonna Clotilde e al padre Giovanni, i primi maestri a indirizzarlo su quella strada che Angelo ancora percorre, avendo ben chiaro dove ricercare le origini del proprio successo. Si definisce un artigiano, facendo propria una frase della nonna: fare, saper faresaper far farefar sapere. Un elogio al lavoro manuale, che, nel perseguimento di un progetto, deve andare di pari passo all’ingegno, alla capacità di trasmettere l’arte alle generazioni successive e al talento di diffonderlo sul mercato.

L’83% dei viticoltori italiani sono artigiani per cui il motto “piccolo è bello” suona all’orecchio più intonato quando diventa “piccolo è difficile”, ed è proprio in questa prospettiva che Angelo vede ancora il suo lavoro e quello della cantina di famiglia. Alla base del suo progetto i pochi e semplici insegnamenti del padre: pensare fuori dai luoghi comuni, non adagiarsi mai sulle certezze, rispettare sempre il lavoro degli altri. Un progetto che pone al proprio centro il vino come portatore di valori, paesaggi, umanità perché chi sa bere, sa vivere. In questa visione vanno collocate la volontà e la capacità di interpretare altri terroir fuori dalle Langhe.

Al 1994 risale l’acquisizione di Pieve Santa Restituta in Montalcino e due anni dopo di Ca’ Marcanda a Bolgheri: due realtà vinicole estremamente diverse che hanno imposto una riflessione importante sul futuro. Areali vocati a produzione monovitigno (come Barolo, Barbaresco, Montalcino) devono prepararsi ad affrontare le difficoltà crescenti derivate dai cambiamenti climatici: un serio ragionamento sulla vinificazione in blend come pure l’innalzamento dell’altitudine delle vigne sono solo due delle possibili soluzioni che si prospettano all’orizzonte.

L’affezione alla terra impone inoltre scelte di sostenibilità, perché è necessario “imparare a leggere il presente con gli occhi del domani”. La pratica agronomica nelle vigne Gaja già da tempo prevede  l’inerbimento e le fioriture spontanee; il nomadismo apistico favorito tra i filari è indice della buona salute del vigneto. In questa prospettiva di sostenibilità è nata Ca’ Marcanda, a Bolgheri, una cantina  completamente eco compatibile e integrata nel paesaggio rurale, ideata dall’Architetto Giovanni Bo, che ha progettato tutte le cantine di casa Gaja, perseguendo un ideale stilistico incentrato sul sottrarre anziché caricare.

Ombretta Ferretto autore di 20Italie

Angelo ha saputo mantenere il filo conduttore del suo racconto teso tra radici, famiglia e vino come espressione del territorio. Ha concluso parlando a lungo dei figli, Gaia, Rossana, Giovanni, e dell’importanza che riveste all’interno di una realtà artigiana il passaggio generazionale, da curare per tempo e con attenzione, affinché ognuno rivesta il ruolo più adeguato al proprio talento e alla propria volontà di rimanere legati all’attività di famiglia, trovando il giusto equilibrio all’interno di un percorso che, tracciato da tempo, mira a proseguire ancora a lungo.

La successiva degustazione si è concentrata su annate recenti di etichette provenienti da tutti i terroir su cui opera Gaja ed è stata condotta da Tommaso Luongo, Presidente AIS Campania, Franco De Luca, Responsabile della didattica AIS Campania e Gabriele Pollio, Delegato AIS Napoli. E come a voler parafrasare Angelo, che non mette mai il naso nel vino perché il vino preferisce raccontarlo attraverso i luoghi e le persone, ciascuno di questi calici ci ha permesso di immergerci nei rispettivi terroir.

Siamo andati immediatamente sull’Etna, l’areale più lontano dalle origini storiche di Gaja, e al recente progetto di collaborazione con la cantina Graci, in una Sicilia a lungo ammiccata, su insistenza di Giacomo Tachis, e infine raggiunta. È un caleidoscopio di profumi e sapori Idda (Bianco Sicilia dop 2022 Carricante in purezza), “Lei” in dialetto, riferendosi alla natura femminile dell’Etna, capricciosa e al contempo materna. Una passeggiata tra cespugli di ginestra aggrappati a colate laviche solidificate, salino e rinfrescante come il respiro del mare, il sorso appaga senza mai stancare.

Un salto ci riporta indietro in Piemonte, nella Langa di Fenoglio, tra viti raccolte su alberi di frutta, gli alteni, quando la vigna era solo una minima parte delle colture, e i fiori di brassica, che crescono spontanei tra le vigne. Alteni di Brassica (Langhe DOP 2020 – Sauvignon blanc in purezza) è dissetante per la sottile vena di frutto non completamente maturo, ingentilita dalla nettezza dei profumi di sambuco e gelsomino.

Un aneddoto narra che Giovanni Gaja, papà di Angelo, fosse rimasto talmente deluso dalla sostituzione di una vigna di Nebbiolo con una di Cabernet Sauvignon, che passandogli affianco, avesse scosso la testa e borbottato “Darmagi!” (Peccato, in piemontese). Il colore del vino è rosso, sosteneva, per cui, quando fu invece  impiantato Chardonnay, non se ne curò.

Gaia & Rey (Langhe DOP 2021 – Chardonnay in purezza) nasce nel 1983 come omaggio alla nonna di Angelo, Clotilde Rey, ma quando il grafico vide il nome per esteso sull’etichetta, esclamò: “A’m pias nen Clotilde” (Non mi piace Clotilde) e dunque Gaia, allora bambina, affiancò il nome della bisnonna per il primo Chardonnay italiano maturato in barrique. Femminile, elegante, discreto negli sbuffi minerali che riportano alla memoria certi Mersault e si intrecciano alla freschezza calda e avvolgente di agrume candito, che termina in una lunga nota piacevolmente amaricante. Dopo questo sorso, ci sembra quasi di averla conosciuta Clotilde.

Il vino deve essere in grado di restituire il luogo d’origine e dunque la ricerca dei suoi caratteri distintivi deve essere costante. Le vigne di Pieve Santa Restituta crescono a 600 metri d’altezza, per far fronte al cambiamento climatico e all’innalzamento delle temperature. Elegante e snella la 2018 di Rennina (Brunello di Montalcino DOP), tratteggiata dalla balsamicità delicata di origano fresco e timo, è già piacevolmente godibile per la trama vivace ma non invadente del tannino.

Per lo stesso principio di espressività territoriale, le vigne di Ca’Marcanda guardano il mare, godendo del riverbero del sole, mentre i boschi alle loro spalle garantiscono quell’escursione termica necessaria allo sviluppo del profilo olfattivo tipico di questo tratto di costa toscano. Ed è un’esplosione di macchia mediterranea Camarcanda (Bolgheri DOP 2020 – Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc), dove la potenza, governata a regola d’arte, si fa talmente snella e sottile da restituire un tannino setoso su lunghissime scie balsamiche di liquirizia.

Gli ultimi due campioni in degustazione non potevano che riportarci nel Piemonte delle radici e della memoria.

Al naso compatto, scuro, quasi impenetrabile, Sperss (Barolo DOP 2018) evoca già nel nome i caratteri che emergono nei profumi (Sperss significa nostalgia in piemontese). Maschile nelle note di ciliegia sotto spirito, cannella e coriandolo, è sobrio e compatto e mostra il carattere di un vino piemontese di razza, dalla freschezza preponderante e dal tannino che asciuga senza mai aggredire. Ancora una volta l’etichetta celebra una storia di famiglia, perché la vigna di Serralunga da cui sono prodotte le uve di questo Barolo è la stessa in cui Giovanni vendemmiava da ragazzo, ben prima che i Gaja possedessero parcelle di terra nell’areale del Barolo. Solo nel 1988 Angelo riuscirà ad acquisire la vigna, la prima nella denominazione Barolo, la stessa legata ai ricordi della gioventù spensierata di suo padre.

Il Barbaresco 1979 ha concluso l’emozionante serata, tre ore in cui tempo e spazio sono rimasti sospesi nel racconto affascinante dal sapore piemontese di Angelo Gaja. Il tempo sembrava essersi fermato anche per quest’ultimo calice, che solo nell’aspetto tradiva il carico d’anni sulle spalle e neanche in modo così palese. Elegante, perfettamente coeso, in straordinario equilibrio tra la freschezza ancora appagante e le note evolute di sottobosco, ruggine, incenso, ci è sembrata l’immagine trasposta in vino di un uomo straordinario, che ha scritto un pezzo della storia enoica italiana.

Angelo si è soffermato a lungo sul ruolo della ristorazione  nella diffusione della cultura del vino, attraverso la convivialità, l’accoglienza e la corretta comunicazione, e sulle donne, che negli ultimi venticinque anni hanno saputo imporsi come assaggiatrici più attente e sensibili degli uomini.

Tutti devono fare qualcosa nella vita per vivere e sostenersi, ma solo l’artigiano ha un suo progetto nel quale profonde impegno costante; quando il progetto viene realizzato, allora l’artigiano deve diventare un maestro di bottega che trasferisce il saper fare; infine bisogna essere capaci di andare sul mercato e far conoscere il proprio progetto.

L’etichetta minimal nera e bianca ha reso celebre nel mondo il marchio Gaja : il nero idealizza il passato su cui non si può più scrivere e su cui è impresso solo il nome Gaja; il bianco, invece, è al contempo presente e futuro, ancora scrivibili, ma rappresentati attraverso nell’essenzialità delle informazioni d’etichetta.

Best Wine Stars: le “stelle” del vino splendono a Milano

di Carolina Leonetti

Nelle giornate del 20-21 e 22 maggio si è tenuta a Milano, Palazzo del Ghiaccio, la quarta edizione dell’evento-degustazione Best Wine Stars.

Oltre 200 realtà wine e spirit selezionate dalla società Prodes Italia, con ben 800 etichette in degustazione: una bella vetrina per i produttori che hanno avuto l’occasione di presentarsi al grande pubblico e agli addetti del settore. La manifestazione ha avuto anche momenti di approfondimento con talk e masterclass tenuti da esperti organizzate in collaborazione con la sommelier e scrittrice Adua Villa.

Carolina Leonetti autore di 20Italie

Tra le news di questa quarta edizione la presenza di un’area bio dedicata a quelle aziende che hanno fatto della sostenibilità la loro missione. Il giro tra i banchi d’assaggio, accompagnata dalla mia amica e sommelier Marta, si prospetta davvero interessante.

Il tour inizia con la Cantina Merlotta Vignaioli dal 1962. Siamo in Romagna, precisamente a Imola; qui da oltre sessant’anni si coltivano vitigni autoctoni e dalla fine degli anni novanta l’attenzione della cantina alle colture internazionali è stata una carta vincente che ha portato a nuove interpretazioni di Chardonnay e Cabernet Sauvignon.

L’assaggio parte con due bollicine, la prima a base Pinot Nero e Chardonnay: Predio Brut dal nome affascinante “Perla Rara”, qui l’armonia tra l’eleganza dello Chardonnay e la struttura del Pinot Nero danno vita ad uno spumante metodo Charmat Lungo molto interessante, elegante e cremoso con una spiccata mineralità; la seconda è un’interpretazione del vitigno autoctono della zona, il Pignoletto, uno spumante brioso, fresco con note che richiamano la mela golden e rimandi floreali.

Il colpo di fulmine arriva con il loro Romagna Albana Secco “Icona di Stile”, un tripudio di profumi e sapori, dalla frutta tropicale alle note mielate e ammandorlate.  Un vino elegante, sontuoso prodotto da uve che nelle annate favorevoli vengono attaccate della botritys cinerea, una bevuta nobile.

Ci spostiamo in Toscana da Tenuta di Artiminio, posta sui colli del Montalbano ha una storia che si perde nei secoli, dal periodo etrusco al 1596 quando il Granduca Ferdinando I de ‘Medici fece erigere la Villa Medicea “La Ferdinanda”.

La loro produzione spazia dalle blasonate DOGC Carmignano e Chianti, ad un vino che attira per il nome stravagante Vin Ruspo, rosato che vedrei ben abbinato alla pappa al pomodoro, per arrivare alle IGT e l’assaggio di Artumer, blend di Trebbiano e Petit Manseng anticipa le bevute estive.

Scendiamo ancora lo Stivale per arrivare in Abruzzo a Contrada Camerino, dove ad accoglierci troviamo  il patron della cantina La Lignite. Il racconto diretto dei produttori è molto coinvolgente, una storia familiare che parte dai nonni, dal lavoro quotidiano nei terreni fertili e vocati per la coltivazione della vite. Partiti da una piccola produzione ad uso familiare, con gli anni l’azienda si è strutturata per far fronte alla crescente richiesta e per dare vini sempre di ottima qualità. Il nome dell’azienda fa riferimento al luogo in cui si trova il vigneto, su una vecchia miniera di lignite dismessa.

Due sono le linee: Lignite e Montevignani. Non posso tirarmi indietro e li assaggio tutti! Della linea Lignite mi colpisce il rosato, un bel rosato carico da Montepulciano in purezza, un gusto morbido, l’utilizzo esclusivo dell’acciaio per la fermentazione e maturazione esalta le caratteristiche del frutto e del territorio. Montevignani è invece il loro fiore all’occhiello, blend di Montepulciano e Cabernet, affinato in piccole botti, regala una grande finezza e leggerezza gustativa.

Il nostro giro è un po’ strano, decidiamo di risalire la Penisola e approdiamo in Friuli dall’azienda Paradiis che prende il nome dalla piccola frazione Paradiso, nel Comune di Pocenia a metà strada tra Udine e Lignano Sabbiadoro. In questa zona del medio Friuli Venezia Giulia, dove le terre sono definite “terre forti” proprio per la natura geologica dei terreni, particolarmente tenaci, argillosi e adatti alla coltivazione di uve a bassa resa per ettaro, l’azienda produce vini dotati di spiccata personalità spaziando dai vitigni autoctoni a quelli internazionali. Mi soffermo sul Friulano e sul loro Refosco dal peduncolo rosso, e ne riconosco le peculiarità di cui sono grande ammiratrice, due bevute veramente interessanti.

Quando si sta bene e si è intenti a fare cose interessanti non ci si rende conto del tempo che vola. Sono quasi le 17 ed è ora di avvicinarci ai tavoli della masterclass che abbiamo prenotato: “Sensibili alla Sostenibilità” Le aziende protagoniste sono Borgoverde Soc Agricola S.S., Bulichella, Marisa Cuomo e Monviert a raccontarcele Francesco Quarna al fianco di Adua Villa.

Si parte con Isabella, Manzoni Bianco di Borgoverde, per passare alla Ribolla Gialla di Monviert, quindi allo spettacolare Fiorduva di Marisa Cuomo; Il Rubino e Montescristo di Bulichella tra i rossi, ritorna Marisa Cuomo con il Furore Riserva, e si conclude con lo Schioppettino di Monviert e il 39 di Borgoverde.  Otto vini che ci fanno percorrere altrettanti viaggi verso terre così diverse.

La giornata volge al termine, un ultimo giro tra i banchi non può mancare, cos’altro dire se non che non si finisce mai di imparare. E si impara soprattutto parlando con i produttori che sono ogni giorno in prima linea, che affrontano fatiche e difficoltà, che amano la loro terra, che danno vita, per scomodare Galileo, allo straordinario composto di umore e di luce.

Prosit!

Slow Food: la storia del progetto “Salviamo i prati stabili e i pascoli”

di Ombretta Ferretto

“Salviamo i prati stabili e i pascoli” è un progetto Slow Food nato con l’obiettivo di portare l’attenzione sulla salvaguardia dei prati da pascolo e sull’enorme patrimonio di biodiversità di erbe da foraggio.

Prati stabili e pascoli, a serio rischio per l’estensione delle monocolture, sono alla base della produzione casearia del nostro paese oltre ad essere indispensabili per la vita di api e altri impollinatori. In occasione del prossimo Cheese 2023, che si svolgerà a Bra (CN) dal 15 al 18 settembre, Slow Food ha dunque lanciato l’iniziativa “Il gioco del piacere”, degustazione alla cieca di cinque formaggi (4 da prati stabili e 1 clandestino da scoprire), che lo scorso 19 Maggio ha contato sulla partecipazione di oltre ottocento persone, in collegamento telematico da tutte le Condotte d’Italia.

Taverna Mafalda, osteria contemporanea a Castellammare di Stabia, che ricerca le sue materie prime tra piccoli produttori locali, in collaborazione con Slow Food Costiera Sorrentina e Capri Aps, ha ospitato l’iniziativa e la successiva cena, a tema “pastorizia”. La degustazione online è stata moderata da Antonio Puzzi di Slow Food Italia e condotta da Giampiero Lombardi del Dipartimento di Scienze Agrarie e forestali dell’Università di Torino, Giampaolo Gaiarin, tecnico caseario di Slow Food e vicepresidente ONAF, Maria Luisa Zoratti, esperta di analisi sensoriale del miele e referente del Presidio dei mieli di alta montagna alpina del Friuli Venezia Giulia.

Protagonisti della degustazione visiva e gusto-olfativa un pecorino toscano, un pecorino d’Alta Baronia, un Caciocavallo da mucche di razza modicana, un Parmigiano Reggiano e un Trentingrana. L’intruso, ovvero il pecorino toscano, è stato individuato da oltre l’80 % dei partecipanti al gioco, anche grazie all’approfondita degustazione sensoriale condotta da Giampaolo Gaiarin. Il gioco si è concluso con la degustazione del miele di alta montagna Valgrana dalla provincia di Cuneo, anche in abbinamento ai cinque formaggi.

Lo Chef Andrea Di Martino di Taverna Mafalda, in occasione della serata gioco, ha studiato il Menù del Pastore, utilizzando prodotti locali, come la ricotta di Gesinella della Fattoria Zero di Castellammare di Stabia, abbinando vini di piccole realtà vinicole della Campania. La pizza al padellino con mousse di ricotta Gesinella, unita a pomodori secchi e zest di limone, ha aperto la cena in abbinamento con la Falanghina del Fois IGP Campania 2021 di Società Agricola Cautiero a Frasso Telesino (BN).

La ricotta, ottenuta esclusivamente con latte di mucche agerolesi, si sposava in maniera interessante con il pomodoro secco e la zest di limone, ma l’abbinamento con Fois, vinificato in acciaio con lieviti indigeni, non chiarificato e non filtrato, evidenziava il carattere agrumato e minerale della Falanghina allungandola in un finale a tratti amaricante.

Evocativo della più classica merenda del pastore (fave, pecorino e pancetta) il piatto successivo: risotto alla gricia con fave.

Abbinamento con il Respinto IGT 2020 della Cantina Bambinuto di Santa Paolina (AV). Provocatorio nel nome perché respinto in sede di Commissione Greco di Tufo Docg, si distingue per profumi d’acacia e zenzero, oltre alla piacevole freschezza del sorso.

Con l’ultima pietanza lo chef Di Martino ha voluto omaggiare la Shepherd’s pie irlandese, come
espressione delle svariate esperienze avute all’estero. La Torta del pastore è uno stufato di agnello e piselli, servito in una terrina di coccio e sigillato da una cremosa purea di patate, croccante in superficie.

Il Taurasi DOCG 2014 Padre de La Cantina di Enza in Montemarano (AV) si è mostrato complesso nei riconoscimenti olfattivi, che spaziavano dalle more di rovo al pepe, dalla prugna alle tostature di caffè, e grazie al sorso intrigantemente fresco e al tannino ben integrato, sosteneva perfettamente la struttura della preparazione.

La cena si è chiusa con il più classico dei dolci al formaggio, la cheesecake con marmellata ai frutti rossi, cotta al forno. Ospite della cena, oltre ai partecipanti del gioco del piacere Slow Food, anche la Presidente di Fattoria Zero, Carolina Esposito.

La sua ricotta Gesinella, degustata durante la serata, è frutto di un progetto sociale che vede il coinvolgimento di ex-tossicodipendenti e ragazzi con problemi psichici. Dove c’è cultura enogastronomica, ci sono sempre grandi valori di riferimento.

Toscana: Morellino del Cuore 2023

di Adriano Guerri

Lo scorso 24 maggio ho partecipato alla prima di tre serate denominate Morellino del Cuore dedicate al Morellino di Scansano. L’evento si è svolto  a Firenze al Boulevard Parc Bistrò, luogo di promozione e divulgazione del vino di qualità, spazio eventi e bistrot. In degustazione 10 vini selezionati da una commissione di giornalisti, esperti e collaboratori di importanti guide e riviste enogastronomiche. 

Il seminario è stato organizzato e guidato dai giornalisti Roberta Perna e Antonio Stelli in collaborazione con il Consorzio Tutela Morellino di Scansano. Hanno partecipato tutti i produttori dei 10 vini selezionati  per l’occasione e il direttore del Consorzio il dott. Alessio Durazzi, che ci ha illustrato brevemente il territorio e le aziende.

Prima di passare all’analisi sensoriale dei vini in degustazione, lasciamo il tempo ad alcune nozioni su questo incantevole  comprensorio .

Il Morellino di Scansano è una gemma enologica localizzata tra l’antico vulcano Monte Amiata e la stupenda costa Tirrenica in provincia di Grosseto. In tempi remoti, qui gli Etruschi avevano già iniziato a coltivare la vite e a produrre vino. Si ipotizza  che il nome derivi da un’antica leggenda secondo la quale, dal vicino capoluogo, alcune famiglie transitavano in carrozza sulle colline intorno al borgo di Scansano per acquistare il già notorio vino rosso della zona. Erano trainate da cavalli neri detti “morelli”, motivo, sembrerebbe, dell ’origine del nome “Morellino”. Un microclima ideale per la coltivazione della vite: suoli sciolti e ricchi di minerali, calcare e argilla (tra galestro e alberese), e l’influsso marino della costa a dar origine a vini di indubbia qualità.

Per disciplinare deve essere prodotto con uve Sangiovese almeno per l’85%. Possono concorrere al completamento nella misura massima del 15%: Alicante, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Canaiolo, Montepulciano, Merlot, Syrah, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. La maggioranza dei produttori predilige, però, lavorare il Sangiovese in purezza. Nelle migliori annate viene prodotta anche la tipologia Riserva. 

Il territorio comprende 7 Comuni: oltre a Scansano, che dà il nome alla denominazione, parte dei territori di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano. Il riconoscimento a Doc è giunto nel 1978; sarà il 2007 l’anno dell’incoronazione a Docg.  Ha vissuto un periodo di grande successo alla fine dello scorso millennio e dopo un periodo di pausa è tornato con merito nella cerchia dei grandi vini rossi italiani.

Un panorama agricolo caratterizzato da dolci colline, che ha invogliato molti imprenditori già affermati in altre zone della Toscana e in Italia ad investire in questo lembo di terra, valorizzando e tutelando l’intero comparto. A tavola è il compagno ideale di molte preparazioni culinarie della tradizione; l’abbinamento giusto predilige comunque carni rosse, soprattutto alla griglia, tortelli maremmani al ragù di carne e cinghiale in umido. 

Un vino duttile, capace di farsi apprezzare sia da giovane sia con qualche annetto in più. L’attuale Presidente del Consorzio del Morellino di Scansano è Bernardo Guicciardini Calamai.

I vini in degustazione

Santa Lucia Morellino di Scansano Docg 2022 A’ Luciano Sangiovese 90% e Alicante 10%. Emana note di fiori di campo, frutti di bosco e succo d’arancia, fresco con tannini ben levigati, invoglia ad un sorso successivo.

Tenuta Agostinetto Morellino di Scansano Docg 2022 La Madonnina Sangiovese 85% Cabernet per la restante parte. Rivela sentori  di rosa, mora, mirtillo e ciliegia; sorso fresco, sapido e rotondo.

Mantellassi Morellino di Scansano Docg 2022 Il Mago di O3 Sangiovese 100%. Danza tra note di viola, lampone, ribes e mirtillo; succoso e lungo.

Le Rogaie Morellino di Scansano Docg 2021 Forteto Sangiovese 100%. Dipana note di erbe aromatiche, violetta,  anguria e frutta rossa matura, dal sorso fresco, dinamico e persistente.

Per i campioni “Intermedio”, che si pongono come una sorta di Selezione tra le tipologie Annata e Riserva:

Boschetto di Montiano Morellino di Scansano Docg 2021 Io&Te – Sangiovese 85% e Merlot 15%. Svela sentori di arancia sanguinella, mora, amarena e nuances balsamiche. Palato ricco, avvolgente e durevole.

Cantina Vignaioli di Scansano Morellino di Scansano Docg 2021 Vigna Benefizio Sangiovese 100%. Declina nuance di prugna, ciliegia matura e pepe nero, dal gusto fresco e piacevolmente tannico.

Podere 414 Morellino di Scansano Docg 2020 – Sangiovese 85%, Ciliegiolo, Colorino, Alicante, Syrah 15%. Rimanda sentori di corbezzolo, frutti di bosco,  liquirizia, pepe e nuances balsamiche,  ricco, setoso, morbido e dinamico.

Per la Riserva

Roccapesta Morellino di Scansano Docg Roccapesta Riserva 2020 – Sangiovese con un saldo di Ciliegiolo. Si percepiscono sentori floreali succeduti da susine, more, lamponi e melagrana. Dal sorso armonioso e vellutato.

Morisfarms Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 – Sangiovese 90% Cabernet Sauvignon e Merlot 10%. Complesso e intenso, in prima battuta da note floreali, frutta rossa, carruba, rabarbaro, eucalipto e menta, sapido,  avvolgente e persistente.

Terenzi Morellino di Scansano Docg Riserva 2019 Madrechiesa Sangiovese 100%. Alla prima olfazione parte su petali di rosa e ciliegia croccante, poi vira tra scorza d’agrumi e tabacco, molto appaganti.

Dopo la degustazione dei vini è seguita una squisita cena a base di pesce in abbinamento ai campioni degustati. Roberta Perna ci ha ricordato le altre due serate dedicate a Morellino del Cuore, che saranno il 22 giugno presso Lo Scoglietto a Rosignano Solvay (Li) e il 12 luglio da Canapone a Grosseto.

“I Garagisti di Sorgono”: il Mandrolisai con firma d’autore

di Adriano Guerri

Nella medievale Rocca Rangoni di Spilamberto (Mo), durante la 7°edizione dell’evento Vignaioli Contrari, ho conosciuto un piccolo angolo di Sardegna con la cantina I Garagisti di Sorgono.

Sono rimasto colpito dai loro vini e ve li propongo con alcuni cenni sull’azienda. 

I Garagisti di Sorgono è una splendida realtà enologica sarda, nata nel 2015 dall’unione di tre giovani viticoltori: Pietro Uras, Renzo Manca e Simone Murru. Il loro obiettivo è produrre vini artigianali, espressivi e di elevata qualità con vitigni autoctoni dell’isola.

Pietro Uras – I Garagisti di Sorgono

Coltivano circa 10 ettari vitati al centro geografico della Sardegna, più precisamente a Sorgono (NU), area di confine fra Barbagia e Campidano all’interno della Doc Mandrolisai. Alcuni vigneti ad alberello libero, considerati tra i più belli del mondo, superano addirittura gli ottanta anni di età; altri invece arrivano ai sessanta, messi a dimora dai genitori e persino dai nonni dei proprietari.

Le altimetrie si attestano sui 550 metri s.l.m. con suoli poveri e sabbiosi derivanti da disgregazione granitica. Il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato da notevoli escursioni termiche e le uve beneficiano della maggior concentrazione di aromi. Le varietà coltivate sono, Cannonau, Monica e Muristellu (o Bovale Sardo). La scelta del nome aziendale deriva da “Vin de Garage”, termine usato a Bordeaux per aziende di piccole dimensioni, limitate produzioni e vini di indubbia qualità.

Note di degustazione 

Rosato Mandrolisai Doc 2022 – dalle eleganti note di rosa, lampone e creme de cassis. Fresco, sapido, leggiadro e ben ordinato.

Parisi – Bovale Igt 2021 – rosso rubino intenso, naso da viola mammola, ribes nero, pepe in grani e liquirizia. Gusto piacevolmente tannico, vellutato ed equilibrato. 

Manca – Cannonau Doc 2020 –  riflessi rubino vivaci, intensi aromi di more, prugna, ribes e mirtillo che anticipano note di pepe nero ed erbe aromatiche. Avvolgente, coerente e persistente.   

Murru – Monica Doc 2020 – rubino intenso, naso da ciliegia, lampone e rabarbaro, cui seguono note di spezie dolci e mandorla. Molto lungo e armonioso. 

Uras – Mandrolisai Doc 2020 – svela subito nuance di petali di rosa rossa, frutti di bosco, macchia mediterranea e sottobosco. Finale sapido, rotondo e armonioso.