Food Year 2024: presentato il calendario delle eccellenze gastronomiche di Pompei

Martedì 19 dicembre, nella Sala dei Misteri di HABITA79 POMPEII MGALLERY, è stato presentato Food Year 2024, il calendario che celebra dodici eccellenze, sia culinarie che pasticcere della città di Pompei. Lo scopo è di rendere il 2024 un anno di sapori ma anche di ricette da preparare a casa, in cucina con parenti e amici. Dalla pizza napoletana al piatto gourmet, dal pesce alle verdure, concludendo con il panettone tipicamente “Pompeiano”. I protagonisti sono le tavole delle location che, ogni anno, i cittadini ed i turisti scelgono per colazioni, pranzi, cene ed eventi.

L’idea è nata dal sodalizio di tre professionisti del settore food: Gianni Cesariello, giornalista e fotografo ufficiale del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP, ma anche attivo collaboratore di Slow Food; la giornalista Ilaria Cotarella, che ha collaborato con la rivista “Cucina a Sud” ed ha ideato il blog “Sud Food Express” e Marco Pirollo, giornalista nonché direttore della rivista “Made in Pompei”.

Sala gremita nell’attesa di svelare i nomi presenti, mese per mese, nel calendario. Un format avvincente che prevede, per ciascuno di essi, anche l’indicazione di una ricetta tipica proposta in chiave tradizionale o rivisitata in veste moderna. Perché la cucina è camaleontica, in continua metamorfosi.

I mesi

Gennaio con chef Carlo De Gregorio del ristorante Donna Franca e la sua ricetta “Spaghettone alla Donna Franca”

Febbraio con Mercato Pompeiano, brand giovane e visionario, che rievoca l’antico macellum di Pompei (il mercato), dove selezionare e cucinare le migliori materie prime a chilometro zero.

Marzo presente con chef Raffaele Nocerino de La Gare Pompeii Restaurant e gli Spaghetti alla Nerano, grande classico della Campania.

Aprile è il mese de La Bettola del Gusto di chef Alberto Fortunato e la ricetta degli Spaghettoni di Gragnano IGP con alici fresche, colatura di alici di Cetara, tartufo nero e burro di bufala.

Maggio con chef Gianmarco Carli del ristorante Il Principe. Figlio d’arte, tradizione nella ristorazione gourmet, la sua proposta riguarda il Tonno Balfegò con midollo, limone e porro.

Giugno tempo di pizza con il maestro pizzaiolo Nunzio Gallo di Alleria pizzeria Newpolitana, esperto di Pizza senza glutine.

Luglio propone Il Circolo Habita 79 con chef Roberto Lepre e la sua idea di Melanzana a scarpone.

Agosto di fuoco nel forno a legna del maestro pizzaiolo Guido Iovino e lo staff di L’antica Pizzeria da Michele dal 1870.

Settembre con Casa Gallo Cucina & Puteca di chef Vincenzo Cascone e la ricetta dei Totani locali alla griglia su crema di patate aromatizzate al limone.

Ottobre arriva l’autunno con chef Circo Chechile di Bosco De’ Medici Winery ed i colori del suo raviolo ripieno di ricotta di bufala, con crema di zucca, funghi porcini e Provolone del Monaco.

Novembre di straordinaria dolcezza con le meraviglie offerte dalla premiata Pasticceria De Vivo, profumi vibranti che inebriano i sensi ed il palato.

Dicembre si chiude con due giovani e talentuose promesse della ristorazione gourmet di Pompei: Antonio Cesarano e Barbara Ruscinito, compagni nella vita e nel progetto Cosmo Restaurant. Il Baccalà con insalata di rinforzo è il simbolo stesso delle festività natalizie.

Montepulciano-Cordisco: il sinonimo potrebbe ridurre la confusione

Il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano sul DDL che renderebbe esclusivo l’utilizzo del vitigno “Montepulciano” al solo Abruzzo

Con un DDL del 26 ottobre scorso il Ministero dell’agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste ha introdotto il sinonimo Cordisco per la varietà Montepulciano. Questa misura renderebbe esclusivo ai soli produttori abruzzesi l’utilizzo di “Montepulciano” nell’etichetta, indicando a tutte le altre regioni che utilizzano il vitigno Montepulciano il sinonimo “Cordisco”. Il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano interviene ancora sulla questione puntualizzando che da decenni, in Europa, ma soprattutto in Italia, il sistema DOP IGP ha investito sulla territorialità dei prodotti. La stessa sigla “Denominazione di origine protetta” fa chiaramente riferimento alla zona di produzione, in questo caso il vino.

Alla luce di questo, sostiene ancora il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, più che un sinonimo la strada più legittima potrebbe essere una denominazione che, come avviene per la quasi totalità delle denominazioni italiane e non solo, leghi i vini a base di uve Montepulciano al territorio di produzione e non al vitigno. «Ancora una volta si rischia di creare confusione nel consumatore, soprattutto nei mercati esteri, dove già è complicato indicare la provenienza delle tante denominazioni italiani e internazionali, l’omonimia del termine è sicuramente un elemento che non può essere non considerato dagli uffici di competenza del Masaf», chiarisce il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano.

In sede europea già a fine anni Novanta il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano era intervenuto contro la possibilità di indicare il vitigno in etichetta con un ricorso che fu poi ritirato dallo stesso consorzio toscano a fronte dell’apertura di un dialogo confluito nel 2012 in un accordo sottoscritto dal Ministero delle Politiche Agricole allora guidato dal Ministro Mario Catania, e le Regioni di riferimento. Documento di “collaborazione” che purtroppo, soprattutto sul fronte abruzzese, non trovò molta responsività nella pratica dei fatti.

Il Consorzio del Vino Nobile Di Montepulciano anche per questo, oltre che per la pluricentenaria storia che lega il vino toscano alla sua città, Montepulciano, ha portato avanti un percorso con la Regione Toscana fino alla modifica del Disciplinare di produzione nel 2021 con l’obbligatorietà di inserire in etichetta “Toscana”, proprio per venire meno alla confusione di mercato che si crea tra le nomenclature.

Come detto, a Montepulciano (Si) rappresenta una condizione storica quella della tutela della produzione vinicola che già è scritta e ben evidenziata nelle norme sancite da uno Statuto Comunale del 1337 (ancora oggi disponibile alla consultazione nella Biblioteca Comunale di Montepulciano) che regolavano la produzione e tutelavano i produttori di Montepulciano con appropriate discipline sulla fase commerciale, oltre che per i prodotti di concorrenza che entravano nel territorio già a quell’epoca, e del vino commercializzato oltre i confini territoriali, che doveva risponder a precise norme produttive e di qualità. Una storia produttiva quindi che ha già, da quasi 700 anni, la volontà di tutelare questo prodotto sia alla produzione che nella sua fase commerciale, elemento oggi più che mai fondamentale per la denominazione del vino prodotto in Toscana. 

Non è un caso che una delle campagne di promozione del Vino Nobile di Montepulciano abbia come slogan “E’ la storia che fa la differenza”.

FIVI 2023 l’evento clou dei Vignaioli Indipendenti raccontato in due tappe dagli autori di 20Italie

“Made in BO” – Trionfo della Federazione dei Vignaioli Indipendenti nella Nuova Edizione Bolognese

Il mondo dei Vignaioli Indipendenti si riunisce a Bologna in una festa di sapori, tradizioni e impegno per la terra: è la 12ª edizione della Federazione dei Vignaioli Indipendenti (FIVI), un evento che ha il sapore di un nuovo inizio e che promette di consolidare la sua nuova location nel cuore degli intenditori.

Una novità che ha già catturato l’attenzione è l’assenza della sfilata dei “media partners,” confermando che la forza di questo evento risiede nella passione e dedizione dei produttori indipendenti, più che nella pubblicità. La partecipazione delle aziende è in costante aumento, superando il traguardo di mille presenze e dimostrando che la produzione di vini esclusivamente con le proprie risorse è una scelta sempre più apprezzata.

La tempistica dell’evento, in prossimità delle festività natalizie, aggiunge un tocco di magia. Una buona bottiglia di vino diventa sempre un regalo ben accetto, e i ristoratori non sono da meno nel giovarne, portando a casa prodotti di qualità che arricchiranno le loro proposte culinarie.

Ma l’edizione di quest’anno va oltre il semplice godimento dei sapori: Maria Tripodi, esperta del settore, sottolinea che #oltreilbicchiere c’è molto di più. La sostenibilità è diventata uno dei temi fondamentali dei Vignaioli Indipendenti, che dimostrano un impegno concreto verso pratiche agricole più ecologiche. L’utilizzo di bottiglie più leggere, cartoni eco-sostenibili e tappi responsabili sono solo alcune delle iniziative che evidenziano la crescente consapevolezza di questo settore nei confronti dell’ambiente.

Cosa significa essere un Vignaiolo Indipendente? La definizione fornita dalla Federazione sottolinea l’intera filiera di produzione, dalla coltivazione delle vigne fino alla vendita del vino, sotto la responsabilità diretta del produttore. Questo impegno quotidiano va oltre la produzione del vino: si lavora incessantemente per custodire, tutelare e promuovere il territorio di appartenenza.

L’orgoglio di far parte di questa Federazione è palpabile con la consapevolezza che unicità e autenticità sono le chiavi del successo. In questo scenario, la nuova edizione bolognese di FIVI si presenta come un trionfo di passione, tradizione e sostenibilità. Cosa rimpiangere di Piacenza? Francamente nulla, dato lo spazio a disposizione, nettamente superiore.

Incontro suggestivo allo stand della Cantina Colacicchi, dove incontro Paolo Trimani che ha condiviso con me la storia avvincente di una delle cantine più antiche d’Italia. I Trimani, custodi di un’eredità enologica unica, hanno reso omaggio all’arte e alla passione per il vino, acquisendo negli anni ’80 la Cantina di Anagni appartenuta al grande artista Luigi Colacicchi.

Celebre musicista del suo tempo, sperimentò un’idea audace: affascinato dai vini di Bordeaux, decise di piantare barbatelle di merlot e Cabernet Sauvignon, affiancandoli al vitigno principe del territorio, il Cesanese di Affile. L’arte del vino di Colacicchi è stata riscoperta da Marco Trimani, proprietario dell’omonima enoteca storica romana, che ne ha riconosciuto il valore unico. Nel corso degli anni, il vino è diventato un’eccellenza, facendo il suo ingresso nelle carte dei vini dei ristoranti più prestigiosi d’Italia.

Dopo la scomparsa del Maestro Colacicchi nel 1976, la gestione dell’azienda passò per un breve periodo al nipote Bruno Colacicchi Caetani. Nel 1984, la famiglia Trimani acquisì definitivamente l’azienda con l’obiettivo di rinnovare profondamente sia i vigneti che la cantina. Un processo che, con il supporto dell’enologo Giacomo Tachis, ha visto un aumento della quota di Cabernet Sauvignon e una sostituzione graduale del parco legni con barriques e botti di rovere da 480 litri.

La prima annata prodotta dai Trimani, nel 1990, ha rappresentato un capitolo significativo nella storia di Torre Ercolana. Tuttavia, è nel 2014 che il progetto agricolo attorno all’azienda Colacicchi ha trovato nuovo impulso grazie alle energie e all’entusiasmo di Carla, Francesco e Paolo Trimani, figli di Marco. Oggi, con i suoi 7 ettari e ben otto referenze, l’azienda è una vera e propria testimonianza di passione, un luogo dove l’arte dell’enologia si fonde con la storia e la dedizione di chi crede nel potere unico del vino.

Vini da agricoltura biologica, biodinamica, sostenibile o addirittura sensoriale, come nel caso di Luteraia in Toscana. Impresa agricola di tre ettari, giunta alla terza generazione dal 1957. Le uve vengono vinificate separatamente con lieviti spontanei, ghiaccio secco poi fermentazione e affinamento dei vini a contatto con i cristalli, pietre semi preziose e preziose. il Buble è realizzato da 70% Pinot Nero e 30% Chardonnay, affina in presenza di cristalli selenite, quarzo rosa, rodonite e rodocrosite. Poi il Losee Toscana Rosato IGT Sangiovese in purezza da vigneto del 1957 che affina su quarzo rosa. Il Nobile di Montepulciano 2017 e il Nobile di Montepulciano Riserva 2015, sono stati affinati con rubino stellato. Infine il Lemuria Indaco Sensoriale 2013 affina in ametista. La tecnica consiste di mettere la massa a contatto con il cristallo nei giorni di luna crescente, per almeno tre cicli lunari completi. Il Rosato fa sei cicli lunari a contatto con i cristalli, il Nobile di Montepulciano fa otto cicli lunari e il Lemuria dodici cicli.

Degna di nota la presenza della Cantina Moser Trento con la linea Warth che è un logo ideato da Paolo Tait e rappresenta “un tratto solcante deciso e profondo”. Vini di eleganza e freschezza enologica che rappresentano un inno alle caratteristiche intrinseche del meraviglioso territorio trentino. Una ricerca guidata dal rispetto profondo per l’uva, protagonista indiscussa, dove l’equilibrio è il filo conduttore che percorre ogni fase, dalla vendemmia alla fermentazione, passando per una vinificazione attenta e un affinamento che esalta ogni sfumatura. Ogni sorso è un viaggio sensoriale, vini di una piacevolezza unica, un’esperienza che celebra la natura e la maestria artigianale. Gewürztraminer, Riesling Renano e Lagrein sono le denominazioni Trentino DOC, mentre Moscato Giallo, Müller Thurgau, Teroldego e Teroldego Riserva sono denominazione Vigneti delle Dolomiti IGT.

Fattoria La Maliosa vicino a Saturnia in provincia di Grosseto è una azienda biodinamica a ciclo chiuso vegetale, certificata biologica. Produce tre vini di cui il “4”, un blend di Ciliegiolo, Sangiovese e Grenache qui chiamato Cannonau Grigio. Poi il “R” che è vinificato con uve Ciliegiolo in purezza e Tarconte Toscana IGT, Sangiovese in purezza. Una passione per il territorio che ha portato alla ricerca di vini veri e sinceri, senza pennellate o fronzoli.

Un approfondimento particolare merita una cantina che fa parte del Consorzio Albugnano 549. Parlo di Alle Tre Colline dove trovo Elisa, giovane enologa alla terza generazione di una famiglia di vitivinicoltori. “549 metri di passione vinicola! Il Comune di Albugnano non è solo la sua maestosa altezza, ma anche il cuore pulsante di un’associazione nata da un’incredibile coincidenza il 5 aprile, 9 vignaioli, provenienti dai pittoreschi comuni della DOC, si sono uniti per creare qualcosa di speciale: l’Associazione dei Vignaioli di Albugnano. Le radici si intrecciano nei terreni di Albugnano, Castelnuovo Don Bosco, Passerano Marmorito e Pino d’Asti, dove crescono le pregiate uve Nebbiolo per questo vino straordinario. Alle Tre Colline con i suoi 35 ettari, produce vini con le uve di Nebbiolo, Barbera, Bonarda, Chardonnay, Grignolino, Freisa, Albarossa e Malvasia di Schierano con 13 referenze di cui un passito, oltre ad una grappa.

PANETTONE D’ARTISTA – IL FESTIVAL DEL PANETTONE ARTIGIANALE – SALERNO 7, 8, 9 dicembre 2023

A Salerno arriva l’evento enogastronomico più atteso della stagione natalizia: “Panettone d’Artista”, organizzato dall’Associazione Erre Erre eventi.

I due soci fondatori, Roberto Jannelli e Rosario Augusto, con la loro ventennale esperienza, hanno ideato un evento che riunisce per la prima volta al Sud  oltre 30 maestri dei lievitati natalizi in tre giorni di gusto nella Stazione Marittima di Salerno: “Era ora che in Campania, una regione che vanta i più bravi lievitisti d’Italia che ogni anno da oltre un decennio mietono premi e riconoscimento ovunque, si organizzasse un evento sul tema. In una dolce sinfonia di luci e sapori, Panettoni d’Artista nasce con lo scopo di portare la gioia del Natale a Salerno – dichiarano gli organizzatori – all’interno di una manifestazione unica che cerca di affrontare anche temi sociali. Con orgoglio e passione, abbiamo selezionato una rosa di Maestri Pasticcieri inserendoli in un evento che va oltre la tradizione, donando a chi parteciperà un’esperienza indimenticabile”.

Un’Esperienza Unica e Coinvolgente

Il percorso interno alla Stazione Marittima sarà un tripudio di luci, colori e appuntamenti imperdibili, tra cui diversi talk che vedranno giornalisti e maestri pasticceri a confronto. Non mancheranno le masterclass dedicate al vino dolce arricchendo l’esperienza con la conoscenza di abbinamenti eccellenti.

Social e Green: Le Chiavi del Successo

L’evento sarà reso social e virale attraverso una strategia di comunicazione avvincente. Panettoni d’Artista abbraccia la sostenibilità, impegnandosi in pratiche eco-friendly, dalla riduzione dei consumi energetici alla gestione responsabile dei rifiuti.

Solidarietà e Inclusività: Cuore dell’Iniziativa

Panettone d’Artista si impegna anche a regalare un sorriso a chi affronta il Natale in difficoltà. Grazie al supporto della Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana e del Banco Alimentare Campania, saranno realizzate iniziative di solidarietà. Le aziende espositrici avranno l’opportunità di donare panettoni alla Caritas Diocesana Salerno Campagna Acerno, contribuendo a rendere il Natale più gioioso per chi ne ha più bisogno.

Area Gluten Free e Intrattenimento Musicale

Panettoni d’Artista si impegna a garantire un’esperienza inclusiva. Grazie al supporto dell’Associazione Italiana Celiachia sezione Campania, sarà allestita un’area dedicata esclusivamente alla somministrazione di panettoni “gluten-free”, garantendo prodotti sicuri e deliziosi per i celiaci. L’evento sarà arricchito da musica e divertimento, creando un’atmosfera festosa e coinvolgente.

Per ulteriori informazioni e acquisto dei biglietti in prevendita, visita il sito:  www.panettonedartista.com

Pasticceria Partecipanti:

Ammore Lievitati Senza Tempo – Napoleone Cioffi (Cava dei Tirreni-SA) 
Angelo Grippa Pasticceria – Angelo Grippa (Eboli-SA) Ascolese Maestri Lievitati – Fiorenzo Ascolese (San Valentino Torio-SA) Casa Infante – Marco Infante (Napoli) De Pasticceria D’Elia dal 1970 – Domenico Manfredi (Teggiano-SA) Dolce e Caffe – Aniello Esposito (Salerno) Edeia Pâtisserie – Founder Monzo Carolina Franca – Feola Giuseppe Magliano (Casa velino – SA) Elia – Walter Viviano (Salerno)Estasi Pasticceria – Ivano De Chiara & Irene cavalieri Salerno) Guarracino 1961 – Mario Guarracino (Battipaglia-SA)Helga Liberto – Helga Liberto (Battipaglia-SA) Il Fornaio 1930 – Nunzia Autuori (Vietri sul Mare-SA) La Delizia – Michele Somma (Santa Maria La Carità -NA) Le Radici – Matteo San Giovanni (Battipaglia-SA)Mademoiselle Charlotte – Graziano Notarnicola (Cava de Tirreni-SA) Madò Pasticceria – Domenico Napoletano (Caserta) Mater Lievitazione Naturale – Nicola Guariglia (Salerno) Memmolo – Annibale Memmolo (Mirabella Eclano-AV)Mr. Whippy Dolci innovazioni – Salvatore di Prisco (Salerno) Mulino Urbano – Enrico Santoro (Salerno) Noschese Panettoni- Aniello & Enza Noschese (Pontecagnano-SA)Obliato Pastry Boutique – Nicola Obliato (Frattamaggiore – Na)Pasticceria Aliberti – Marco Aliberti (Montoro-Av) Pasticceria Baunilha – Stefania Fasano (Baronissi)Pasticceria Festival – Tommaso & Giovanni Di Muro (Giffoni Valle Piana-SA) Pasticceria Pentangelo – Aniello Pentangelo (Nocera Inferiore-SA) Pasticceria Pesce – Pasquale Pesce (Avella-AV) Pasticceria Princess – Nino Crispo (Airola-BN)Pasticceria Romolo – Remo Mazza (Salerno) Petrosino Dessert – Alfonso Ice (Pagani-SA) Pizzeria Polichetti – Antonio Polichetti (Roccapiemonte-SA) Punto Freddo – Luigi Fusco (Scafati-SA) Regina Bakery – Gaetano Giorgio (Pagani-SA) Santa Lucia – Giuseppe Monda (Marigliano-N) Vincenzo Faiella Pastry Chef – Vincenzo Faiella (San Marzano Sul Sarno-SA) 

Senza Glutine 

Il Mondo senza Glutine – (San Valentino-SA)

IGLOO ‘Prodotti Senza Glutine’ – Salerno

Degustazioni in collaborazione con AIS

Durante la serata di Giovedì alle 18:15, ci sarà la verticale di “Moscato d’Autunno” di Paolo Saracco,  mentre venerdì sera 18:15 verticale del mitico “Ben Ryé”, Passito di Pantelleria di Donnafugata.

L’evento è stato patrocinato dalla:

Regione Campania, Comune di Salerno, Camera di Commercio di Salerno, Fondazione Carisal, Banco Alimentare Campania Onlus, AIC (Associazione italiana Celiachia Regione Campania, Ais (Associazione Italiana Sommelier delegazione Salerno), Fedepi (Federazione Artigiani e Piccoli Imprenditori), Federalberghi Salerno, Associazione Ecstra App

Merano Wine Festival 2023: “c’è chi dice no”…

Noi vi spieghiamo, invece, il perché dei tanti “sì” e le ragioni per essere presenti alla vera “Festa dell’Enogastronomia”

Festa o Festival, il passo è davvero breve. Dopo mesi di duro lavoro, visite, esposizioni e degustazioni di varia natura, arriva il momento per tutti di resettare la mente e ritrovare la serenità persa. Costi quel che costi si intende, e la tematica del “vil denaro” influirà nel merito del discorso.

Merano Wine Festival è il luogo dove, per un giorno, due e finanche una settimana, le lancette dell’orologio cessano di muoversi. Un immenso parco giochi dove sentirsi come Pinocchio nel Paese dei Balocchi. Espositori di vino, Area Gourmet con primizie provenienti da ogni angolo dello Stivale, masterclass e show cooking appetitosi.

Una sezione dedicata al biologico, biodinamico e naturale ed ai prodotti provenienti dai mercati esteri, come in una sorta di infinito gemellaggio itinerante. L’abile mano di Helmuth Köcher – The WineHunter – il visionario uomo immagine e patron della manifestazione, si è fatta sentire in maniera ancora più pressante e articolata. Merano dovrebbe intitolargli vie, piazze e statue d’oro, anche per buon augurio di altri 100 anni al timone della nave.

Helmuth Köcher ai microfoni di 20Italie

L’indotto comportato in queste 32 edizioni è stato tangibile fin da subito per la cittadina dell’Alto Adige. I miei ricordi d’infanzia della Merano fine anni ’80 cozzano decisamente con la versione aperta all’Europa e al mondo intero dei tempi odierni. Servizi, cura e decoro, che si autoalimentano proprio in simili occasioni, quando ogni angolo diventa meta di incontri, dibattiti e persino accordi commerciali.

E veniamo all’altro tema in corso…

Può una fiera del vino e della gastronomia creare anche vantaggi economici per chi partecipa?

La domanda è tendeziosa si direbbe; la pubblicità è l’anima del commercio e Merano Wine Festival rappresenta una vetrina unica nel suo genere. Ma, come altre occasioni della vita, alla fine conta sempre l’abilità dell’imprenditore, compresa la propensione al rischio di esporsi a sonore fregature. Insomma: la partita Iva non è cosa per tutti (per fortuna).

Ci si potrebbe chiedere, dunque, se il gioco valga davvero la candela. Alla fine, però, sono tutti lì, aziende e comunicatori (stampa inclusa) con numeri mostruosamente in crescita da un anno all’altro. Numeri che costringono gli organizzatori a selezioni cruente al momento degli accrediti, con evidente scontento di chi resta fuori lista. Ormai è una macchina così ben collaudata che non ha bisogno neppure di quella bulimia comunicativa per trovare una propria dimensione o il benestare delle firme d’autore. Facciamocene una ragione ora e per l’avvenire.

Alla fine fa parte del mestiere: “a chi tocca non si ingrugna”. Nelle scelte economiche (legittime) di ciascun operatore, restare fuori dal giro significa un atto di coraggio che non è detto dia risultati sperati; basta non pensarci una volta tratto il dado e non denigrare un evento che, nel bene e nel male, raccoglie consensi ovunque da autentico fiore all’occhiello d’Italia. Chi fa parli, gli altri tacciano.

Abbiamo corso freneticamente tra gli stand, scalino dopo scalino, sui red carpet che conducono ai settori caldi del Merano Wine Festival. Le interviste integrali le troverete cliccando sul seguente link di youtube.

Ne pubblichiamo un estratto in particolare, riguardante due attori importanti dietro le barricate: il professor Luigi Moio, presidente di OIV ed enologo di chiara fama, e l’esperto sommelier comunicatore del vino Davide D’Alterio di Enoteca Pinchiorri, lo storico tre stelle Michelin di Firenze.

Il prof. Luigi Moio
Il sommelier e comunicatore del vino Davide D’Alterio

Non vogliamo convincere nessuno, ma offrire solo spunti per una buona riflessione.

Il Sake ritorna a Salerno: “Il Sake Giapponese e la Dieta Mediterranea attraverso i Formaggi”

Quando il famoso fermentato di riso approdò a salerno era il 3 febbraio del 2020 e fu A.I.S. capitanata dal Delegato di Salerno Nevio Toti a scommetterci in anteprima assoluta, tenendo un seminario con Gaetano Cataldo, sommelier professionista formatosi presso la locale delegazione, e con la partecipazione straordinaria di Giovanni Baldini, ideatore del sake Days e fondatore della prima realtà italiana a conferire la cultura del sake giapponese: la scuola Italiana sake.

Il nuovo appuntamento stavolta è fissato a venerdì 1 dicembre alle ore 20:30 al Saint Joseph Resort e porta un titolo che è già tutto un programma: “Il sake Giapponese e la Dieta Mediterranea attraverso i Formaggi”.

Insomma, è pur vero che con tale evento la delegazione salernitana farà il bis con il nihonshu, ma lo farà attraverso una prospettiva rinnovata, più innovativa e ricca; infatti, dopo il primo seminario che ha evidentemente palesato la lungimiranza e un grandissimo senso di apertura, rispetto ad una cultura del bere solo apparentemente distante, da parte dei tastevin salernitani, questa volta si entra in scena con i formaggi e il modello alimentare a noi più familiare: la Dieta Mediterranea.

Sulla scia del grande successo di pubblico del primo appuntamento, avvenuto circa quattro anni fa, ecco la riconferma di un nuovo meeting, atto a dimostrare quanto il sake giapponese sia armonico con la nostra cucina e quanto sia importante oggigiorno il ruolo dell’assaggiatore di sake.

Sarà il relatore Mino Perrotta a introdurre i tre formaggi in abbinamento e constatarne l’armonia, una volta che  Gaetano Cataldo, reduce di attività tenute persino a Firenze e all’A.I.S. Bologna, oltre che di una rinnovata esperienza che lo vede anche docente della  Scuola Italiana Sake, avrà guidato gli ospiti attraverso una disamina inerente alla storia, la cultura, gli ingredienti e la produzione del sake, non priva di aneddoti e curiosità.

Ecco un’anteprima dei premium sake in assaggio: Dewanoyuki Kimoto Junmai e Konishi Aosae Junmai, per una più meditata degustazione che orienti al gusto del fermentato, Konishi Hiyashibori Gold Daiginjo, Amabuki Junmai Daiginjo e lo Shirayuki Edo Genshu Junmai, in abbinamento a un latticino, a un formaggio a pasta dura e ad un erborinato. Tali attività risultano determinanti per l’Associazione Italiana Sommelier in quanto ne caratterizzano il collante e i valori fondamentali: un grande senso della famiglia, un costante team building, accompagnato da un dialogo assiduo ed assertivo, non privo di quella lungimiranza nel guardare anzitutto alle competenze in seno alla associazione stessa, prima che altrove, finalizzata alla crescita ed alla partecipazione appassionata di coloro che ne fanno parte. È proprio questa grande umanità, questa onestà intellettuale e questo preciso intento di incoraggiare, fidelizzare e onorare gli associati, a rendere fiero Gaetano Cataldo, quasi prossimo al ventennio da iscritto, di essere parte di A.I.S. e, sopra ogni cosa, di essere parte della delegazione di Salerno.

Perché diventare sommelier del Sake in Italia

La nostra quotidianità è sempre più inficiata dagli effetti della globalizzazione in processi decisamente così rapidi da sfuggire alla nostra totale comprensione, richiedendo uno sforzo costante al fine di poter restare sempre aggiornati e competitivi nel settore di riferimento. Il complesso campo dell’alimentazione umana interseca tutta una serie di attività umane, quali trasporti aerei, marittimi e terrestri, l’energia e le risorse umane che, nell’insieme, hanno un impatto sulla sostenibilità che, come ben sappiamo, non può che essere ambientale, sociale ed economica, e di conseguenza sull’ecosistema e il clima.

Con tali premesse si potrebbe immaginare la tematica debba vertere sulla transizione nutrizionale e sulla sovranità alimentare, Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno di questi tempi, ma in realtà, tornando alla globalizzazione invece c’è da dire che non è un fenomeno moderno e che la stessa Dieta Mediterranea, così come la conosciamo oggi, ne è una risultante.

La Dieta Mediterranea è una stratificazione di tradizioni in costante evoluzione, di ingredienti che da alloctoni diventano autoctoni, di viaggi, invenzioni e scoperte e lo è stata da quando sono sorte le Popolazioni Pelasgiche alle conquiste di Alessandro Magno, dall’affermarsi dell’Impero Romano alla nascita delle Repubbliche Marinare, dal Medioevo al Colonialismo, dalla grande Epopea della Vela alla Rivoluzione Industriale fino ai giorni nostri.

Da dove provengono prodotti agricoli oggi così comuni sulle nostre tavole come le solanacee? Dissertare sull’origine dei prodotti che attualmente consideriamo di uso comune, e che oggi fanno parte del nostro modello alimentare, richiederebbe un tempo lunghissimo, farne appositamente accenno invece lascia intuire che, nella misura in cui gli alimenti varcano i confini stabiliti dall’uomo, cambia l’approccio alla gastronomia e, ve lo assicuro, anche la cultura del bere, anzi si estende.

Proprio sul trend di bevuta in Italia, così come nella maggior parte dei Paesi occidentali, l’attenzione di importatori, distributori, food & beverage managers, ristoratori, sommelier, barmen e persino chef, per non parlare di un pubblico sempre più colto ed evoluto, è altissima.

E non potrebbe essere diversamente: la globalizzazione non si ferma, la marea non attende e i soldi non dormono mai. D’altronde non si finisce mai di imparare.

Perché diventare sommelier del sake in Italia? Semplice: per stare al passo coi tempi, perché occorre aggiornarsi e perché esso costituisce per tutti gli operatori un nuovo strumento e una ulteriore opportunità di vendita, per non parlare di una validissima opportunità di accrescimento culturale e professionale.

Insomma, un enogastronomo e un degustatore di mestiere non possono esimersi dall’apprendere la cultura del sake giapponese, per tutta una serie di fattori che proveremo ad elencare di seguito…

Il sake è una bevanda millenaria al pari del vino e come il vino evoca storia, cultura, arte, religione, leggende, folklore, tradizioni, edonismo, democraticità ed esclusività, pertanto è tendenza consolidata da secoli e non può essere banalizzato ad una semplice moda passeggera.

Ha messo ufficialmente piede in Europa tra il 1872 e il 1873 per la prima Expo Universale di Vienna.

Nell’ultimo ventennio i ristoranti fusion, mediterranean fusion, giapponesi, sushi bar, orientali, mediorientali ed all you can eat, sono aumentati in maniera esponenziale e praticamente nessuno, fatte le debite eccezioni, ha la competenza per proporre e raccontare il sake.

Dal 2015 l’Italia è il primo importatore europeo di sake e il fenomeno è in crescita. Milano è la capitale italiana del sake, il Triveneto, seppur a macchia di leopardo, si difende benissimo, così come Roma e Firenze, che ogni anno consolida benissimo una posizione di rilievo col Sake Days, riconosciuto dall’Ambasciata Giapponese.

Il Sake si sposa appieno col nostro modello alimentare e si addice alla Dieta Mediterranea.

Il sake è tendenza consolidata anche nella miscelazione: il saketini nasce negli States nel 1980. Ciò significa che il sake rientra appieno nel concept di beva colta anche per quanto attiene ai cocktail.

Come diventare sake sommelier in Italia?

La Sake Sommelier Association è stata fondata a Londra nel 2000 dall’esperto di sake Kumiko Ohta e dal sommelier Xavier Chapelau. Tale associazione opera in Italia grazie a Lorenzo Ferraboschi, imprenditore attivo nel commercio del fermentato giapponese con Sake Company, oltre che con altri prodotti con Wagyu Company, ed è il proprietario di Sakeya, bistrot milanese con la carta del sake più profonda d’Europa in termini di referenze. Effettua corsi di avvicinamento al sake, due livelli per accedere all’attestato di Sake Sommelier, più un terzo in Giappone per seguire da vicino le fasi produttive del sake. La SSA ha contribuito a formare la prima generazione di quelli che oggi sono tra i maggiori conoscitori del fermentato giapponese in Italia.

Tutti conosciamo la Wine and Spirits Education Trust e il sistema didattico. Anche la WSET è nata nel Regno Unito, precisamente nel ’69, ed ha lanciato il suo primo corso sul sake nel 2014, arrivando più tardi in Italia. Per quanto attiene alla formazione abbiamo un primo ed un terzo livello nella conoscenza del sake. Nel nostro Paese, tra i relatori di rilievo, abbiamo Marco Massarotto, diventato sake samurai nel 2016, rara onorificenza conseguita presso il santuario di Shimogamo Jinja a Kyoto. La Scuola Italiana Sake nasce a Firenze nel gennaio 2020, fondata da Giovanni Baldini, di cui potete leggere qui, qualora voleste approfondire su di lui. La Scuola Italiana Sake di fatto è di fatto la prima e l’unica associazione italiana ad impegnarsi nella formazione sulla cultura del Nihonshu e, più in generale con Sake News, nella divulgazione di tutto quel che attiene all’enogastronomia del Sol Levante. La Scuola Italiana Sake, grazie ad un team eterogeneo, ha ingegnerizzato un percorso didattico innovativo e multidisciplinare: è il crogiolo delle esperienze di relatori provenienti da WSET, SSA, FISAR e dall’Associazione Italiana Sommelier, tutti certificati Sake Sommelier, in taluni casi anche attraverso più attestazioni da diversi enti e comunque professionisti ad alto riconoscimento nel mondo della degustazione, oltre che food & beverage manager, biologi alimentari e giornalisti enogastronomici. Tra i relatori si annoverano Daniela Cancellara, famoso barmanager del Rasputin, uno dei 3 secret bar italiani, autore su Beverfood e Bargiornale, oltre che conduttore di Whisky for Breakfast, Erica Benucci, docente Fisar ed esperta di birre a livello internazionale, Luca Pedinotti, wine consultant ed f&b proveniente dal mondo Ais, Nina Capecchi, esperta di tè e dei suoi rituali, e Luca Rendina, specialista in distillati storici giapponesi, oltre che founder di Beregiapponese. Per poter avere un ruolo quanto più equanime e trasparente possibile, Giovanni Baldini decide di dismettere la sua attività di importer di sake, la Firenze Sake, diventando così un punto di riferimento determinante e solidale per tutte le istituzioni e gli operatori della cultura nipponica. La Scuola promuove un primo ed un secondo livello per diventare Assaggiatore Tecnico del Nihonshu, dei moduli intermedi di approfondimento, e un terzo livello di Maestro Assaggiatore di Nihonshu in territorio giapponese.

Nove Lune e Costa Jels – Il vino della miniera

In quel di Gorno, piccolo comune della Val del Riso in provincia di Bergamo, si trova il complesso minerario Costa Jels. E’ qui che Alessandro Sala, patron della cantina Nove Lune, ha intrapreso la sfida di produrre il suo metodo classico “Costa Jels”, utilizzando vitigni resistenti (conosciuti anche come PIWI) di Bronner, Johanniter e Souvignier Gris.

La scorsa primavera ho avuto l’occasione di trascorrere una piacevolissima giornata in compagnia di Alessandro e delle guide che ci hanno accompagnato in un percorso emozionante nelle viscere della montagna.

All’ingresso le guide ci raccontano come le miniere di piombo e zinco di Gorno fossero conosciute e sfruttate già in epoca romana, quando il minerale rossastro ora noto come calamina, qui venivano mandati i condannati a “cavar metallo” (damnatio ad metalla)

La storia prosegue probabilmente nel periodo medievale anche se non si hanno notizie documentate sulla continuazione dell’attività estrattiva. Si sa con certezza che riprende nel 1500, quando un ingegnere illustre, Leonardo da Vinci, vi si reca in visita. Nel 1800 si registra un forte sviluppo delle miniere che continua fino a quasi i giorni nostri. Nel 1982 viene definitivamente chiusa.

Entriamo in gruppo all’imbocco “Serpenti” ed è proprio all’ingresso che affina, per almeno 60 mesi, il Metodo Classico «Costa Jels». Qui viene conservato alle perfette condizioni, in un ambiente in totale assenza di luce e vibrazioni, con livelli stabili di umidità e temperatura costante di 10°C durante tutto l’anno.

Attualmente troviamo tre annate, la prima sarà pronta nel 2025, limitatissima la produzione, solo 1200 bottiglie. Scorgiamo in fondo ad un corridoio le pupitres che illuminate dalle lampade regalano abbacinanti riflessi. Le bottiglie accatastate riposano in posizione orizzontale mentre si compie la magia dei lieviti.

Periodicamente Alessandro verifica l’evoluzione del vino con degustazioni per monitorarne l’affinamento.

Il nostro percorso si snoda tra i cunicoli della miniera che svelano il lavoro faticoso dei “minadur” (minatori) e dei “galecc” (ragazzi addetti al trasporto a spalla di minerale) e quello paziente delle “taissine” (cernitici di minerale). Racconti di sofferenze, di dolore ma anche di tanta umanità che hanno visto protagonista la gente del luogo.

Dopo circa un’ora e mezza usciamo alla “Lacca Bassa” e torniamo al punto di partenza attraverso un sentiero panoramico nel bosco. Ci incamminiamo verso il ristorante per il pranzo degustazione, ad accompagnare i piatti della tradizione locale i vini di Nove Lune.

Alessandro ci racconta la storia della sua cantina e della filosofia cui si ispira. L’azienda pone molta attenzione alla sostenibilità ambientale e predilige tutte quelle tecnologie che consentono di risparmiare energia e preservare il territorio.

Inizia nel 2009 ad applicare il protocollo biologico nelle sue vigne in provincia di Bergamo, la sua attenzione all’ambiente e alla sostenibilità lo spinge, negli anni successivi, ad andare oltre appassionandosi ai vitigni resistenti e così nel 2013 decide di piantare nel suo terreno 3 varietà di questi vitigni.

Il risultato è sorprendente, le viti cresco sane, senza alcun trattamento e senza l’ombra di malattie, le uve hanno la buccia spessa. Inizia a testare il potenziale enologico e i risultati sono ottimi: nuovi profumi, vini con corredi aromatici propri.

Nel 2015 vede la luce Nove Lune, azienda vitivinicola nel comune di Cenate Sopra (BG) che ha come obiettivo quello di coltivare e vinificare solo uve che non necessitino di alcun trattamento chimico o, nelle annate peggiori, solo in minima parte.

Viticoltura sostenibile per chi lavora in campagna e per il consumatore finale. Chimica limitata al minimo, i vini presentano una acidità spiccata che dà la possibilità di mantenere la solforosa bassa.

Alessandro ingrana la marcia con gli studi sui vitigni resistenti e nel 2017 viene eletto Presidente del PIWI Lombardia, associazione neonata che riunisce i viticoltori che utilizzano vitigni resistenti nella regione.

Ecco un breve racconto dei vini che abbiamo degustato

Vino Bianco “310”(origine del nome: 3 uve; 1 vino; 0 chimica) Solaris 40% – Bronner 30% – Johanniter 30% Fermentazione e affinamento in barrique. Dai profumi fruttati e floreali con note di frutta tropicale. Una buona sapidità e un’ottima acidità danno al vino un gusto pieno e una lunga persistenza.

Vino Bianco macerato Rukh, un orange ottenuto con uve Bronner e Johanniter, un bellissimo colore arancione con riflessi dorati dovuto alla lunga macerazione sulle bucce e l’affinamento in anfora. Un vino un di grande struttura con note agrumate, sapido e leggermente tannico.

Theia vino passito Helios 40% Solaris 40% Bronner 20% Le uve raccolte vengono messe ad appassire per tre mesi. Fermentazione in acciaio e affinamento di diversi mesi in piccolissime botti di rovere. Un profilo olfattivo complesso che richiama note di albicocca, dattero, erbe aromatiche, miele, fichi secchi e che accompagna una beva di grande equilibrio e freschezza e un finale molto lungo e balsamico

Vino ancestrale HeH Solaris 100%con la fermentazione in bottiglia il vino rimane torbido sul fondo e può essere bevuto limpido oppure torbido se agitato. Regala profumi fruttati e floreali, sentori evidenti di pesca, pera e mela. Al sorso una buona acidità e freschezza. Un ancestrale che non ti aspetti.

Amaro Misma viene prodotto con una base id vino rosso da uve PIWI dove vengono messe in infusione 17 erbe aromatiche della zona. Il vino viene affinato in barrique di rovere francese, il prodotto che ne scaturisce è un amaro di ottimo equilibrio e morbidezza che lo rendono ideale da meditazione.

Ne manca uno, il Metodo Classico Costa Jels, ma per questo dobbiamo pazientare, le viscere della montagna lo custodiscono.

Stay Tuned! Prosit!

“Borgo diVino in Tour”: Alla scoperta dei tesori enogastronomici dei borghi più belli d’Italia

Prosegue anche nel corso del 2023 l’appuntamento con “Borgo diVino in Tour“, un evento itinerante che porta con sé il fascino dei borghi più belli d’Italia e la prelibatezza dei migliori vini nazionali. Ben 15 borghi, 45 giorni di evento, oltre 500 aziende, e oltre 1000 vini sono i protagonisti di questo percorso che porta alla scoperta di luoghi unici e sapori indimenticabili. Un’opportunità imperdibile per combinare il piacere del palato con l’incanto dei borghi e un’occasione per esplorare questi territori passeggiando tra vicoli pittoreschi, antiche rocche e panorami mozzafiato, rigorosamente calice alla mano.

Una lunga corsa iniziata il 21 aprile a Valvasone Arzene, gioello nascosto del Friuli, e terminata il 15 ottobre a Spello, fra le colline Umbre.

20 Italie è stata presente per voi nella penultima tappa, quella di Brisighella (RA), precisamente nel weekend del 6, 7 e 8 ottobre.

Brisighella è un borgo medievale situato tra le pendici dell’Appennino Tosco-Romagnolo, incastonato fra Faenza e Firenze. Questo incantevole borgo, uno dei “Borghi più Belli d’Italia” e insignito della “Bandiera Arancione” dal Touring Club, è rinomato per la sua ospitalità e il turismo sostenibile.

Ed è proprio nel cuore di Brisighella, in piazza Marconi, tra stretti vicoli e scale scolpite nel gesso, che si svolge il percorso di degustazione di Borgo diVino. Non è stata solo un’opportunità per ritrovare alcune aziende di produttori locali, ma anche per scoprire altre eccellenze vinicole provenienti da tutto il paese.

In questo primo articolo vorremo parlarvi di alcune realtà che ci hanno colpito, con i relativi assaggi.

La Canosa (AP)

Lo stemma sulle bottiglie ci ricorda la Illva Saronno e difatti La Canosa è di proprietà proprio di Riccardo Reina, innamoratosene nel 2004 essendo un assiduo frequentatore delle Marche alla caccia di buon vino.

Offida DOCG Pecorino “Pekò” 2022

Il vino offre al naso un invitante bouquet con sfumature tropicali, dolci sentori mielati e fieno. In bocca è sia fresco che ampio: la mineralità va a bilanciare perfettamente il calore, che comunque ti avvolge su un finale piacevolmente persistente. Una coccola.

Rosso Piceno Superiore DOC “Nummaria” 2019

Interessante blend di Montepulciano e Sangiovese, che dopo la vinificazione in acciaio vanno a sostare il primo in tonneau e il secondo in botte grande, per poi farsi assieme 1 anno di bottiglia. Cioccolattino alla ciliegia, foglia di tabacco e aromi tipici della torrefazione sembrano il presagio di un vino morbido e strutturato, che in bocca lascia invece sbalorditi per la sua acidità prorompente e un tannino davvero elegante. Persistenza record.

Tenute Martarosa (CB)

Molisn’t? No, no. Esiste eccome. Lunga storia quella dietro Tenute Martarosa, che porta il nome della famiglia Travaglini. Solo di recente però è avvenuto il salto di qualità, grazie al nipote Michele.

Tintilia del Molise DOP “Tintilia” 2020

Solo acciaio per questa varietà che sembra non amare particolarmente le versioni affinate in legno, tendendo a nascondersi un po’ troppo dietro agli aromi del contenitore. Ed effettivamente non ha bisogno di edulcorazioni. Naso accattivante con sentori tipici della marmellata di more e del ramo spezzato, come in un sottobosco di fine estate. Rosa rossa e una delicatezza che ci ricorda la cipria. In bocca è ricco ma tanto tanto agile; fa infatti della sua facilità di beva il suo punto di forza. Vibrante.

Villa Simone (RM)

Siamo a casa di Lorenzo Costantini, nipote di Piero, lo storico proprietario di Villa Simone. Lorenzo non è solo un rinomato enologo, ma è conosciuto anche per essere consulente enologico di molteplici aziende vitivinicole dei Castelli Romani.

Frascati DOC 2022

Una delle prime DOC Italiane, nata nel 1966, nonché primo vino dell’azienda. Spiccate note floreali che ricordano il gelsomino, per passare poi ad addentare una percoca. In bocca entra chirurgico ma non dobbiamo aspettare poi così tanto per sentirlo sgomitare con una marcata vena pseudocalorica, a controbilanciare egregiamente le durezze. Un finale non lunghissimo ma che soddisfa.

Lazio IGP Merlot 2022

Colore spiccatamente purpureo coerente con i sentori di ciliegia appena colta e nepitella. In bocca è succoso, agile e pungente. Una semplice eleganza. Siete curiosi di leggere quali altre aziende ci hanno incuriosito particolarmente?

Ce ne parlerà la collega Olga Sofia Schiaffino nel prossimo articolo.