Montefalco Green: esperienza “sostenibile” alla scoperta del territorio del Sagrantino

Il 14 e 15 giugno il Consorzio Tutela Vini Montefalco ha organizzato un press tour con l’intento di promuovere una declinazione ecologica del turismo in cantina e di valorizzare la produzione vinicola di una terra unica, “verde” per definizione.

Recentemente Il Consorzio, aderendo a Wine in Moderation, il principale programma di responsabilità sociale del settore, ha confermato l’impegno a praticare la sostenibilità, in modo etico e coerente. i territori di produzione delle Denominazioni di Origine Spoleto, Montefalco e Montefalco Sagrantino si contraddistinguono, infatti,  per l’attenzione a ridurre sempre di più l’impatto ambientale.

Montefalco Green ha voluto proporre un modo sostenibile per approcciarsi al mondo del vino, alla scoperta di vini, delle cantine e delle denominazioni, attuando una conversione ecologica del modo di concepire l’enoturismo: i giornalisti e bloggers intervenuti hanno potuto sperimentare bici e auto elettriche, le “Sagreentino”, per spostarsi lungo le strade del comprensorio di Montefalco, in visita alle cantine aderenti al progetto. Questi mezzi  propongono una mobilità lenta, nel rispetto appunto del territorio, che viene solo “sfiorato”: a questo proposito il Consorzio Tutela Vini di Montefalco ha stipulato un accordo con Enel X e sono stati già stati attivati 12 punti di ricarica in 6 cantine, in attesa di raggiungere quota 15 infrastrutture in altrettante aziende.

 

Il punto cardine del Consorzio è quello di proporre strategie innovative sempre nel rispetto della sostenibilità ambientale. Da tempo è già operativo il progetto Grape Assistance, un nuovo modello di assistenza tecnica per la gestione sostenibile del vigneto, applicato dal 2017 in tutta la regione Umbria.

Inoltre, molte aziende hanno aderito al New Green Revolution con lo scopo di installare impianti fotovoltaici e caldaie a biomassa per la riduzione del gas serra e ad Agroforestry , ovvero l’allevamento di avicoli e le lavorazioni con i cavalli nei vigneti.

La quota di aziende che praticano agricoltura biologica certificata o sono in conversione è salito al 31%; un dato che è sicuramente in aumento, che candida i territori di Montefalco e Spoleto a essere una delle aree vinicole più “green” dell’Italia.

L’evento è stato organizzato in modo impeccabile, nonostante la variabile del meteo che non ha certo assistito i partecipanti.

Il percorso con la green car ha toccato per prima l’azienda Romanelli, dove Devis ha raccontato la storia della famiglia, iniziata nel 1978, quando suo nonno e suo padre decisero di creare l’azienda agricola sul Colle di San Clemente a Montefalco. La biodiversità è rispettata nella scelta di dedicare 8 ettari alla vigne e 12 all’olivocoltura dei circa trenta posseduti, tutti condotti in regime biologico.

Durante la degustazione, accompagnata da quella dell’olio prodotto dagli stessi Romanelli (da ben quattro varietà quali leccino, frantoio, san Felice e moraiolo), abbiamo assaggiato Le Tese, da uve Trebbiano Spoletino provenienti da un vecchio vigneto, che ha ancora le viti maritate agli alberi. Poi il Terra Cupa Montefalco Sagrantino lasciato maturare a lungo in botti di rovere di diverse grandezza, ottenuto dalla parte più argillosa e calcarea del vigneto del Colle ove sorge la cantina e infine Medeo Montefalco Sagrantino prodotto solo nelle annate eccezionali, dedicato ad Amedeo Romanelli, che fu il primo a imbottigliare il vino di famiglia.

La seconda realtà del comprensorio visitata è stata Agricola Mevante, cantina di recente costruzione con una elegante e luminosa sala degustazione: Paolo e Antonella Presciutti hanno fatto diventare la loro passione un lavoro e la produzione si attesta per ora sulle 60.000 bottiglie. Abbiamo assaggiato Birbanteo sur lie da Trebbiano Spoletino e un rosato ottenuto da uve Sagrantino coltivato in vigneti nel comune di Bevagna impiantati da circa vent’anni.

Tra un temporale e l’altro siamo arrivati all’ora di pranzo alla cantina La Fonte: una realtà nata a Bevagna all’inizio del ‘900 grazie al bisnonno Angelo e che col passare del tempo è stata divisa tra i figli. Negli anni novanta del secolo scorso, Guido, da sempre appassionato di agricoltura decise insieme alla moglie Patrizia, di avviare lì attività producendo olio e vino. Il nome “la fonte” deriva dalla sorgente naturale ancora visibile, nascosta nel bosco a pochi passi dell’agriturismo.

L’incontro con Bevanato, macerato sulle bucce per una decina di giorni, è stato spettacolare: un tripudio di frutta matura a polpa gialla e tropicale, freschezza e chiusura sapida, grande bevibilità e piacevolezza. Amorosa è  il rosè ottenuto da Sangiovese raccolto anticipatamente e Cabernet Sauvignon. Profumato, fragrante, succoso. Si è proseguito con l’assaggio del Montefalco Rosso e del Montefalco Sagrantino, entrambi di notevole qualità.

Nel pomeriggio, riprese le Sagreentino Car il gruppo si è diretto alla Fattoria Colsanto, di proprietà della famiglia Livon del Friuli Venezia Giulia e che nel 2001 ha voluto investire in questo bellissimo territorio, ristrutturando un casale del ‘700 e acquisendo circa 20 ettari impiantati tra Sagrantino, Sangiovese, Montepulciano e Merlot.

Un viale costeggiato da cipressi conduce all’ingresso della struttura, che comprende anche un agriturismo: dopo la visita in cantina, l’enologo ha illustrato i vini in degustazione, focalizzando il nostro interesse sul Cantalupo proposto in diverse annate: un vino ispirato al bianco pluripremiato dell’azienda madre, ottenuto da Trebbiano Spoletino coltivato nel territorio di Bevagna e affinato in legno. Abbiamo poi assaggiato un ricco tagliere con salumi e formaggi prodotti localmente e finito un’esperienza molto interessante  con il servizio del Montefalco Sagrantino.

Ultima realtà raggiunta dal tour è stata Briziarelli: i lavori per la costruzione della cantina, vero gioiello architettonico, sono iniziati nel 2012 e la struttura domina i 50 ettari posseduti, di cui 22 vitati. Qui vengono coltivate le varietà autoctone ed è stato scelto uno stile di vinificazione tradizionale.

In degustazione Sua Signoria, un Trebbiano Spoletino che dopo la fermentazione matura in legno e Anthaia, il rosato ottenuto dalle uve a bacca nera coltivate in azienda. Abbiamo proseguito sui rossi con Rosso Mattone Montefalco Rosso Riserva e, infine, il Montefalco Sagrantino, intenso, potente e strutturato.

La giornata si è conclusa con la cena di gala ospiti, della cantina del presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco Giampaolo Tabarrini, al quale sono intervenuti i produttori tra cui Filippo Antonelli di Antonelli San Marco, Paolo Romaggioli enologo di Terre De la Custodia  e Liù Pambuffetti di Scacciadiavoli, dove gli ospiti hanno potuto proseguire al tavolo gli assaggi, serviti dai sommelier AIS, dei vini di questo luogo magico, dove tutto riesce a emozionare e a lasciare ricordi indelebili nella memoria.

Un ringraziamento, infine, a MG Logos per l’invito e la splendida opportunità di conoscere Montefalco e le sue produzioni.

Torna a Salerno la Festa della Pizza

Oltre ottantamila presenze e centoquarantamila tranci di pizza sfornati. Questi i numeri con cui è tornata, per spegnere le sue venticinque candeline, la Festa della Pizza a Salerno, dopo una pausa lunga quattordici anni.

Una kermesse organizzata da Associazione Alimenta con Maurizio Falcone e Alfonso Aufiero, in collaborazione con Ivano Santoro di Santoro Creative Hub per il piano marketing e comunicazione, che si è nuovamente proposta come la giusta combinazione di gastronomia e spettacolo.

Piazza Salerno Capitale, sul lungomare del capoluogo campano, si è trasformata in un vero e proprio villaggio del gusto, dove dodici pizzerie storiche hanno lavorato per cinque sere consecutive, dal 12 al 16 luglio, per far conoscere le proprie specialità, mentre sul palcoscenico si sono alternati otto cantanti, sei band e otto scuole di danza, per animare ogni singola serata.

<<Avevamo voglia di tornare! – ha dichiarato Alfonso Aufiero – La location è la migliore: nel centro di Salerno, in un luogo dal clima ideale in giorni di caldo infernale, ventilato e vicino al mare. La missione della festa è sempre stata quella di esaltare la tradizione campana della pizza>>.

In ciascuna delle serate è stato possibile assaggiare, con un ticket a pagamento, quattro tranci di pizza e bere una bibita, scegliendo tra uno o più dei tredici forni a legna presenti.

A partire dalle tradizionali margherita e marinara, proposte dall’Antica Pizzeria Brandi attiva a Napoli dal 1780, alla pizza col pomodoro arruscato della Pizzeria Umberto Falcone, specialità cilentana che su una base bianca prevede l’utilizzo di pomodorini cotti in forno a legna; dalla pizza con impasto gragnanese, diverso da quello napoletano perché più alto e più soffice, della pizzeria Ai Tre Monelli, al classico panuozzo, un vero e proprio panino in pasta di pizza con provola e pancetta, di Luigi o’ Furnar. Presente anche il forno Madison dell’AIC, con le proposte per i celiaci.

E nonostante il caldo, sono state lunghe le file ad ogni forno per mangiare la pizza all’aperto, con tanti numeri d’intrattenimento alternati sul palcoscenico. La conduzione delle cinque serate, come in tutte le edizioni precedenti, è stata affidata a Pippo Pelo, noto conduttore di Radio Kiss Kiss.

Alla domanda su cosa significhi tornare dopo anni a condurre questo evento, Pippo non ci ha pensato due volte: <<Per me la Festa della Pizza è intanto famiglia, è una festa, è lavoro, lavoro nella mia città. Mi sento accolto e amato dai salernitani e non solo, perché questo evento è conosciuto in tutta la regione e anche oltre>>.

Ad affiancarlo sul palcoscenico anche Adriana Petro, sua compagna di “battaglia radiofonica” nella trasmissione di radio Kiss Kiss che tra le 7.00 e le 9.00 dà il buongiorno all’Italia: Pippo Pelo Show.

Il palinsesto della manifestazione ha contato su artisti del calibro di Lele Blade, Napoleone, Neri per Caso, Dadà, Davide De Marinis, Ciccio Merolla, LDA, che hanno intrattenuto il pubblico in attesa della propria pizza o intento a gustare una delle specialità appena sfornate.

<<Gastronomia e spettacolo sono un connubio perfetto>> sottolinea infine Alfonso Aufiero. E in questo caso la gastronomia è quella della grande tradizione della pizza partenopea e campana. Una tradizione che ha il difficile compito di mantenersi attraente in un’epoca in cui l’offerta, sempre più multiforme e multietnica, ha sortito lo stesso effetto delle Sirene su Ulisse. Se dobbiamo dare ascolto ai maestri pizzaioli che hanno partecipato alla Festa, la vera originalità della pizza oggi risiede unicamente nell’eccellente rielaborazione della grande tradizione e nelle materie prime.

L’ELENCO DELLE PIZZERIE PRESENTI ALLA MANIFESTAZIONE

Ai Tre Monelli – Angri (SA)

Pizzeria l’Angelo e il Diavolo – Salerno

Antica Pizzeria Brandi – Napoli

Antica Pizzeria Reginé – Salerno e Firenze

Criscemunno – Salerno

I Due Fratelli – Salerno

I Love Pizza – Baronissi (SA)

Luigi ‘o Furnar – Gragnano (NA)

Madison – Cava de’ Tirreni (SA)

Ma Tu Vulive ‘a Pizza – Napoli

La Pizza di Umberto Falcone – Salerno

Tutù Pizza – Bivio Pratole (SA) Vaco ‘e Pressa – Salerno

Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità

di Augusta Boes

Marco Bacci, imprenditore da sempre e vignaiolo per amore, raccoglie la sfida del caso e prova ad affinare il più classico dei tagli bordolesi nel profondo degli abissi della costa maremmana, con risultati davvero sorprendenti con il suo progetto “Talamo a mare”.

In un nostro precedente articolo (Bacci Wines: equazione risolta) avevamo anticipato che ci sarebbero state interessanti novità all’orizzonte in casa Bacci Wines, e che ne avremmo parlato a tempo debito: il momento è arrivato e “ogni promessa è debito”.

Il sorriso solare e l’entusiasmo sincero con cui Marco Bacci ha accolto media e giornalisti nella sua tenuta Terre di Talamo, nei pressi di Fonteblanda (GR) in piena Maremma Toscana, hanno immediatamente conquistato tutti. In un caldo pomeriggio di luglio, coccolati da un rinfrescante calice di spumante e dalla brezza che porta i sussurri del mare fin su la collina, ci siamo sentiti subito a casa. Uno spumate peraltro d’eccezione, il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero, un metodo classico da uve Sangiovese di cui si producono poco più di 3.000 bottiglie per una fresca carezza dal gusto decisamente toscano.

Non è raro che imprenditori nazionali e internazionali decidano di investire in tenute vitivinicole qui in Italia. Tuttavia, sono pochi quelli che si lasciano coinvolgere così profondamente da decidere di cambiare radicalmente vita.

Bacci Wines: una scelta di vita all’insegna dell’eccellenza

La storia di Bacci Wines comincia come tante altre: un giovanissimo ed esuberante imprenditore decide di acquistare una tenuta vitivinicola, un po’ per gioco, un po’ come investimento e un po’ perché fa tendenza.  Si innamora di Castello di Bossi nell’areale del Chianti Classico, i cui spazi di cantina, tra l’altro, custodiscono storie e segreti del grandissimo enologo Giacomo Tachis. Ed è così che questo ragazzo di 25 anni intraprende, più o meno inconsapevolmente, una nuova avventura che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. «Il primo segno di pazzia, che poi mi ha preso tutto» ci racconta Marco, a tal punto che nel 1996 decide di vendere le sue aziende d’abbigliamento per sposare senza compromessi la sua nuova missione: fare vino e farlo anche molto bene.

Da allora l’azienda si è espansa notevolmente, e ad oggi conta 5 tenute a conduzione biologica certificata: Castello di Bossi, Tenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcino, e Terre di Talamo qui in Maremma. Una “pazzia” davvero dilagante.

Terre di Talamo: il rifugio del lupo di mare

La tenuta maremmana è incantevole: un anfiteatro naturale con i vigneti che baciano Talamone in lontananza, declinando dolcemente verso il mare azzurro. Affascinato dalla sua bellezza, Marco all’epoca concluse l’affare in soli cinque giorni, aggiungendo Terre di Talamo alla sua collezione di gioielli. Il posto perfetto per lui che ama le immersioni e la pesca di profondità; che poi, a guardarlo bene, è difficile distinguere il vignaiolo dal lupo di mare.

Tra questi filari nascono, tra le altre cose, due interpretazioni davvero interessanti del Vermentino di Toscana, rispettivamente il Vento e il Vento Forte. Il primo, vinificato in acciaio, cattura l’essenza della brezza marina e delle erbe aromatiche, offrendo un vino piacevole e dalla personalità leggiadra. Il secondo, invece, maturato in barrique, colpisce per la sua delicata cremosità e si distingue per i suoi piacevoli sentori di frutta bianca, salvia, alloro, tiglio e ginestra. Inconfondibile la nota iodata che, anche in questo caso, richiama la carezza del vento marino sia nell’aroma che nel gusto.

Talamo a mare: il vino rosso affidato alle cure di re Tritone

Il vero protagonista della giornata però è stato il Talamo a Mare, il vino nato per caso da una dimenticanza. Il destino ha voluto che Marco scordasse per lungo tempo una cassa di Talamo, il taglio bordolese dell’azienda, nella stiva della sua barca. Al ritrovamento la sorpresa è stata grande. Il rollio delle onde, la temperatura e il grado di umidità pressoché costanti avevano conferito al vino una marcia in più. È da qui che nasce l’idea di sperimentare l’affinamento in fondo al mare, il primo tentativo in assoluto per un vino rosso in Toscana, tant’è che la mancanza di norme specifiche ha fatto sì che ci volessero poi 3 anni per poter inabissare la prima cassa a 35 metri.

Non lascia alcun dubbio la degustazione comparativa di questi gemelli diversi, di terra e di mare, figli della stessa botte, assaggiati nei millesimi 2018 e 2019. Custodito e coccolato da dio Tritone, sebbene il ventaglio olfattivo e la piacevolezza del sorso fossero molto simili, il Talamo a Mare è decisamente un vino in dolby surround. L’intensità e la profondità dei profumi, di frutti rossi croccanti, rose carnose, ibiscus e delicate spezie dolci, risultano amplificati come ci fosse una sorta di reverbero a sostenerne la complessità. La stessa cosa si può dire del sorso che risulta teso, dinamico e piacevolissimo, con tannini carezzevoli, grande equilibrio e tanta freschezza. Puntuale e precisa la corrispondenza gusto-olfattiva, caratteristica sempre importante nel valutare la qualità di un vino.

Un esperimento che sin qui ha dato ottimi risultati che hanno premiato la tenacia e la caparbietà di Marco Bacci nel perseguire questo suo sfidante obiettivo. E la storia non finisce certo qui; non mancano le idee e i nuovi progetti ma nessuna anticipazione, per non rovinare la sorpresa. Ne parleremo a tempo debito. Braccia fortunatamente restituite all’agricoltura quelle di Marco, perché se un vino non è fatto prima per passione e poi per il mercato, la differenza si sente tutta, e qui il supplemento d’anima risulta davvero rilevante.

Buonissimi 2023: oltre la bontà arriva la solidarietà

E anche l’edizione Buonissimi 2023 è terminata in un tripudio di emozioni uniche.

Emozioni forti nel sostenere, anzitutto, il progetto CHANCE, “Five hundred CHildren with cANCErs”, per conoscere il panorama di ereditarietà genetica nel cancro infantile e facilitare lo sviluppo di trattamenti personalizzati.

Emozioni che fanno anche bene al cuore quelle del charity event dell’Associazione Oncologia Pediatrica e Neuroblastoma – OPEN OdV, realizzato con il sostegno della Fondazione Giuseppe Marinelli, ideato e organizzato da due amiche – Paola Pignataro e Silvana Tortorella – unite da una sincera passione per il buon cibo, che hanno coinvolto amici e illustri professionisti del gusto per realizzare un sogno fatto di bontà e solidarietà.

Nelle 4 edizioni del passato sono stati donati 399.796 euro alla ricerca con 5.400 presenze registrate e 87.500 ghiottonerie proposte. Numeri da capogiro per l’Associazione Oncologia Pediatrica e Neuroblastoma – OPEN OdV, sotto la guida dell’instancabile Presidente Anna Maria Alfani.

Quest’anno, però, si sono superate le più rosee aspettative: abbattuta ogni barriera psicologica dopo gli anni bui della pandemia, il risultato è stato il tutto esaurito già molto tempo prima della data del 26 giugno. Ben 151.000 euro raccolti e la cornice del Rocce Rosse del LLoyd’s Baia Hotel di Vietri sul Mare (SA) a completare un quadro splendido.

Spalti e passerelle gremite in ogni ordine di posto, con una partecipazione impressionante del pubblico tale da lasciare commossi gli stessi organizzatori.

Divertirsi facendo cultura enogastronomica, diffondere il piacere dello stare insieme per una nobile causa. Questo e molto altro è Buonissimi e il racconto fedele delle interviste rilasciate ai microfoni di 20Italie anticipa l’attesa già frenetica per la prossima edizione. 

Campania.Wine 2023: la seconda edizione tra vino, gastronomia e cultura della Campania

di Ombretta Ferretto

La Galleria Umberto I e il MUSAP – Museo Artistico Politecnico –  sono stati il cuore pulsante della seconda edizione di Campania.Wine, manifestazione dedicata ai vini campani, che ha animato il centro storico di Napoli nelle giornate dell’11 e del 12 giugno.

L’evento è stato organizzato dai cinque consorzi di tutela vini della Campania (Irpinia Consorzio Tutela Vini, Sannio Consorzio Tutela Vini, Vesuvio Consorzio Tutela Vini, Consorzio Vita Salernum Vites, VitiCa Consorzio Tutela Vini Caserta) e dal Pomodorino del Piennolo Vesuvio DOP Consorzio Tutela, realizzato con fondi europei Campagna Medways_EU “European Sustainability”, con il patrocinio del Comune di Napoli e della Regione Campania in collaborazione con AIS Campania.

Centosedici le cantine coinvolte e oltre seicento le etichette in degustazione per questa seconda edizione che conta di una piccola parte delle aziende vitivinicole della regione. Ma vale la pena ribadire, come ha dichiarato Libero Rillo, Presidente Consorzio Tutela Vini del Sannio, che, con Campania Wine per la prima volta ben sei consorzi di tutela fanno sistema per dare vita a un evento di ampio respiro per la promozione di vino e territorio campano.

Le due giornate si sono articolate tra numerose iniziative dedicate a stampa, food blogger e appassionati. L’obiettivo ambizioso di raccontare il “Vitigno Campania” nelle sue molteplici sfaccettature di specie e di terroir, è stato centrato attraverso le masterclass diversificate per stampa e amatori, tenutesi al MUSAP, uno scrigno del patrimonio artistico e culturale di Napoli in Palazzo Zapata. I seminari rivolti alla stampa, condotti da Luciano Pignataro insieme a  Ferdinando De Simone, sommelier e archeologo, e Pasquale Carlo, giornalista, si sono incentrati su due macro temi: “La Campania dei vini di montagna”, dedicata agli areali Sannio e Irpinia, e “La Campania dei vini vulcanici e dei parchi naturali”, dedicata agli areali Vesuvio, Caserta e Salerno. Entrambi sono arrivati a coprire tutto il territorio campano, con una panoramica su storia vinicola, caratteristiche dei terroir e dei vitigni e degustazioni esemplificative di varie denominazioni.

Pillole di vino, invece, sono state raccontate nella masterclass dedicata agli amatori “La Campania in 10 vini”, tenuta dalla giornalista Chiara Giorleo in quattro sessioni giornaliere, con la collaborazione dei relatori AIS Campania che hanno capitanato le diverse degustazioni.

Durante le giornate di Campania.Wine, stampa, food blogger e influencer sono stati coinvolti in numerosi eventi a latere, dedicati a gastronomia e cultura, con lo scopo di evidenziare il rapporto che lega in maniera indissolubile storia, territorio e patrimonio enoico, in un connubio che dura da tremila anni.

In quello che a più riprese è stato definito il Rinascimento di Napoli e della Campania, la manifestazione ha voluto rappresentare un modo di promuovere il vino attraverso il suo territorio, ma anche l’inverso: promuovere il territorio attraverso il suo vino, come ci ha raccontato Cristina Leardi, Presidente del Pomodorino del Piennolo Vesuvio DOP Consorzio di tutela <<soltanto valorizzando il brand Campania, possiamo portare i nostri prodotti ovunque e, soprattutto, far venire sempre di più tutto il mondo da noi>>.

La premiazione “La Campania che ama la Campania” a fine kermesse per assegnare i riconoscimenti alle migliori carte dei vini con referenze regionali, rientra nella stessa ottica di sinergia. I walk around tasting si sono svolti nella monumentale Galleria Umberto I, che ha accolto i produttori in una suggestiva disposizione lungo le due strade che si incrociano ortogonalmente nell’ottagono centrale.

Tra le moltissime degustazioni effettuate in un percorso dedicato a specifiche denominazioni, segnalo venti etichette (l’ordine è dettato esclusivamente dalla successione di assaggio):

  • Kissòs – Falanghina del Sannio DOC 2018 – Cantine Tora
  • Crono – Falerno del Massico bianco DOC 2019 – La Masseria di Sessa S.A. srl
  • Licosa – Cilento DOC Fiano 2022 – Il Colle del Corsicano
  • Fiano – Colli di salerno IGT 2019 – Mila Vuolo
  • Ortale – Greco di Tufo DOCG 2017 – Cantine di Marzo
  • Libero – Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva DOC 2017 – Fontanavecchia
  • Alimata – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Villa Raiano
  • Li Sauruni – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Laura De Vito
  • Bacio delle Tortore – Fiano di Avellino DOCG 2022 – Passo delle Tortore
  • Vigna Laure – Greco di Tufo DOCG Riserva 2017 – Cantine di Marzo
  • Taurasi DOCG 2017 – Villa Raiano
  • Elle – Fiano di Avellino DOCG 2020 – Laura De Vito
  • Bosco Satrano – Fiano di Avellino DOCG 2019 – Villa Raiano
  • CRAI – Cilento DOC 2022 – Tenuta Cobellis
  • Patrinus – Paestum IGT 2021 – Il Colle del Corsicano
  • Colle delle Ginestre – Fiano di Avellino DOCG 2018 – Tenuta del Meriggio
  • Palimiento –  Paestum IGT Fiano 2019 – Albamarina
  • Perella – Cilento DOC Fiano 2019- Viticoltori De Conciliis
  • Valmezzana – Cilento DOC Fiano 2022 – Albamarina
  • Principe Lagonessa – Taurasi DOCG 2014 – Amarano

A chiosa di questo resoconto sono calzanti le parole di Teresa Bruno, Presidente Irpinia Consorzio Tutela Vini: <<la Campania è sapore, amore, emozione che ritroviamo in un percorso che va dal vino al cibo, attraverso la passione delle persone e il lavoro>>.

Roma Doc – “Roma DOCet”

di Alberto Chiarenza

Quando leggo Roma, il mio pensiero non può fare a meno di andare alla Roma imperiale, che ha portato la gloria in tutto il mondo allora conosciuto e raggiungibile. Ho in mente la scena del film Il Gladiatore che si precipita sul nemico al galoppo incitando le sue armate gridando, “al mio segnale scatenate l’inferno”.

Film a parte, oggi vedo quella energia nei produttori che hanno il desiderio di far conoscere questa giovane realtà con convinzione e determinazione e con il desiderio di comunicare al mondo intero, che il vino di Roma sta tornando e sarà una sfida interessante di cui d’ora in poi sentiremo spesso parlare.

L’energia si percepisce, ma saranno pronti i produttori a collaborare in armonia con lo scopo comune di una crescita di tutti, nel bene della Denominazione?

Il progetto del Consorzio di Tutela Vini Roma DOC voluto dal Presidente Tullio Galassini è stato chiamato Roma DOCet, come a significare che Roma insegna e… molto altro. Il progetto è stato affidato alla Agenzia di Comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni, oltre che l’Agenzia Gheusis di Silvia Baratta.

Lo scopo, direi raggiunto, è stato quello di promuovere il vino della Denominazione “Roma” e di tutelarne la qualità del prodotto, molto apprezzato in tutto il mondo, importante risorsa per l’economia locale. Tra le attività del Consorzio ci sono la promozione enogastronomica attraverso eventi e manifestazioni, la partecipazione a fiere del vino e la creazione di strumenti per informare i consumatori sulle caratteristiche del vino.

Mi riallaccio all’articolo scritto dal mio collega Morris Lazzoni, con cui abbiamo condiviso il press tour in quattro aziende appartenenti al Consorzio Roma DOC di cui vi parlo delle cantine Poggio le Volpi e Fontana Candida.

Ci troviamo a Monte Porzio Catone alle pendici di quello che, seicentomila anni fa, era un grande vulcano, forse il più grande complesso vulcanico d’Europa e attualmente una montagna vulcanica allo stato quiescente dai terreni estremamente fertili. Un terreno eterogeneo ma ricco di micro elementi minerali e organici che conferiscono ai vini, peculiarità uniche. Una collina in particolare, proprio sotto al paese che porta il nome del celebre oratore romano, Marco Porcio Catone che scrisse in latino un trattato di agricoltura il De Agri Coltura , dove si parlava già di come coltivare la vite, pianta che rivestiva una grande importanza per i romani.

Questa collina oggi, attraversata dall‘autostrada divide da un lato la Cantina  Fontana Candida, con una lunga storia alle spalle e che ha reso famoso il vino Frascati in tutto il mondo, e dall’altro in direzione di Monteporzio Catone, la Cantina Poggio le Volpi importante realtà vitivinicola del Comprensorio con spiccata propensione all’eccellenza.

Incontriamo prima Alessandro Jannece, Responsabile della Comunicazione di Fontana Candida che ci accoglie e ci parla di questa storica cantina, accompagnandoci attraverso un percorso che passa dagli impianti di imbottigliamento, ai vigneti, alla bottaia e a seguire nella grotta scavata nel terreno vulcanico dove sono ben evidenti le stratificazioni delle colate laviche. In questa grotta la temperatura è costante tutto l’anno a circa 10/12 gradi, qui vengono riposte le bottiglie in affinamento e le Riserve. Dopo la grotta è stata la volta della visita in sala degustazione, in una raffinata e storica palazzina dove abbiamo degustato i vini Roma DOC Bianco e Rosso, oltre a concederci la degustazione delle altre referenze tra cui due annate storiche del famosissimo Frascati Superiore Riserva Luna Mater.

L’uva per la produzione del vino proviene da circa 350 ettari di estensione di cui circa 20 di proprietà, che permette di produrre dai 3 ai 4 milioni di bottiglie/anno in base alla annata. Fontana Candida rappresenta il 45% della produzione della Denominazione Frascati. Si tratta di una delle realtà più significative nell’ambito della produzione vinicola nella zona, tanto che la sua storia è radicata nel territorio dal 1957, anno della fonazione e trova la sua espressione più autentica nelle colline dei comuni di Frascati, Grottaferrata e Monte Porzio Catone, ma non solo. Anche i comuni di Roma e Montecompatri contribuiscono alla produzione.

Dagli inizi degli anni 2000 la cantina è stata rilevata dal Gruppo Italiano Vini, che ha scelto l’enologo Mauro Merz, originario di Trento e laureato in Enologia all’Università di San Michele all’Adige (BZ), a dirigere Fontana Candida. Sotto la sua guida c’è stato uno slancio in avanti, in termini di qualità.

Fontana Candida svetta per tradizione secolare e vastità degli appezzamenti, con il Vigneto Santa Teresa che spicca per la importanza. Con i suoi 13 ettari di superficie, rappresenta un vero e proprio gioiello per l’azienda, oltre agli 8 ettari che circondano la tenuta in cui sussiste trovare una vigna didattica con filari di Malvasia Puntinata allevata con il sistema a conocchia, ovvero con la pianta che si arrampica su quattro canne unite alla sommità.

Il vino Roma DOC viene vinificato in bianco, con uve Malvasia Puntinata e Bombino e il rosso, con uve Montepulciano e Cesanese. Sia per il Roma DOC Bianco  che per il Roma DOC Rosso, sono stati selezionati vitigni autoctoni proprio per valorizzare il territorio laziale. Una Produzione di 50.000 bottiglie suddivise equamente tra Bianco e Rosso, sono destinate anche al mercato giapponese.

Poggio le Volpi nasce da una famiglia di agricoltori con una tradizione che inizia dal 1920. Felice Mergè, rappresenta la terza generazione della famiglia ed è lui a dar vita all’attuale realtà proprio su questo “poggio” dove la vista spazia su Roma lo fa innamorare di questo luogo.

Si trova a 400 metri s.l.m. nell’area la dell’antico Tusculum una zona particolarmente vocata che apporta mineralità ai vini bianchi. Il capostipite è stato Manlio Merge che produceva vino sfuso e lo portava a Roma con il famoso carretto usato per rifornire le osterie romane. Da allora ne hanno fatta di strada i Mergè, divenendo uno dei punti di riferimento per il vino romano e non solo, fino ai giorni nostri dove Poggio le Volpi è sinonimo di eccellenza.

Ci accoglie Rossella Macchia, moglie di Felice e Responsabile Commerciale della cantina, che ci accompagna per un percorso molto bello tra piante ornamentali e fiori in un susseguirsi di profumi di primavera, fino alla vigna per poi risalire il Poggio e visitare la bottaia, dove ben allineate troviamo sia tonneaux che barriques, tutte di pregiato rovere francese. Dalla bottaia Rossella ci conduce su una terrazza a sbalzo con vista panoramica sui vigneti con lo sfondo della città eterna più in basso, e qui la sensazione di benessere è evidente perché l’insieme delle percezioni olfattive e visive, appaga la mente e il cuore.

Il bello non è ancora finito perché entriamo nel Ristorante Epos, un vero e proprio gioiello che trasuda bellezza ed eleganza e dovunque cade lo sguardo si notta la cura per ogni minimo dettaglio, per regalare al visitatore un senso di stupore e ammirazione.

Toni caldi e riflessi dorati caratterizzano gli ambienti con una alternanza di elementi di arredo, bottiglie e legni di rovere, la luce soffusa, il soffitto sapientemente coperto di tralci d’uva, che fanno capire di essere in una realtà unica nel suo genere. Felice Mergè è una persona che ama il bello, la buona cucina e il buon vino ed è molto attento a trasmettere queste sensazioni a chiunque venga a visitare la sua cantina e il ristorante.

Il pranzo con abbinamento vini è stato il coronamento di una visita memorabile. L’eccellenza degli ambienti si riflette anche sulla qualità dei piatti con portate, dall’entrée al dolce, che hanno soddisfatto pienamente i palati di tutti i partecipanti al tour.

Toscana: Valdarno di Sopra Day un futuro che è qui

di Olga Sofia Schiaffino

Si è svolto martedì 16 maggio presso l’Anfiteatro del Borro, presso l’omonima cantina a Loro Ciuffenna (AR), l’evento del Consorzio di Tutela Valdarno di Sopra Doc.

Importante e sentita la partecipazione delle Autorità locali e regionali, dei giornalisti italiani e internazionali e dei produttori di questo territorio caratterizzato dalla grande vocazione vitivinicola, nota fin dai tempi di Cosimo III de’ Medici che la citò nel famoso Bando Granducale del 1716.

Il presidente Luca Sanjust di Teulada e il direttore Ettore Ciancico hanno aperto la manifestazione nata per presentare i progetti condivisi dalle realtà vitivinicole aderenti e per stimolare un dialogo e una condivisione. I temi, definiti come essenziali per l’affermazione di una propria identità e per il lavoro del Consorzio, sono stati l’importanza della valorizzazione del territorio di Valdarno di Sopra, con l’attenzione al cambiamento climatico e alla promozione di una reale sostenibilità. E poi il concetto di Vigna, da specificare in etichetta per raccontare al consumatore la particolarità di alcune microzone e l’eccellenza dei vini; non ultimo il grande lavoro svolto nell’ottenere per la certificazione bio da porre come obbligatoria nel Disciplinare di produzione.

A questo proposito, è stato illuminante l’intervento di Nicoletta Dicova che ha presentato la modifica legislativa fatta  in Spagna, per cui la D.O. Cava, per le vigne di qualità superiore, obbliga il vignaiolo alla conduzione biologica. A favore si sono espressi anche il dott.Paolo De Castro, l’on. Cafiero De Raho, il Vice Presidente della Regione Toscana e l’Assessore all’agricoltura Stefania Saccardi.

La platea ha applaudito alla nascita dell’associazione Produttori Vigne Bio Valdarno volta a tutela di un impegno reale, coerente e onesto nei confronti dei consumatori, sempre più sensibili al tema del biologico.

Mattinata densa di interventi da personalità del mondo del vino quali gli enologi Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Stefano Chioccioli, Maurizio Alongi ed il Presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini che hanno sottolineato l’unicità di un territorio espresso nei suoi vini. Le peculiarità espressive del Sangiovese accanto agli autoctoni Canaiolo, Pugnitello, Malvasia, Orpicchio, trebbiano e agli internazionali Merlot, Cabernet, Syrah e Pinot Nero.

Il metereologo Paolo Sottocorona ha espresso, in modo risoluto e esaustivo, come il riscaldamento globale della Terra possa creare condizioni difficili per le coltivazioni in alcune aree rispetto ad altre e che la variabile del microclima diventerà un fattore importante, che non consentirà una generalizzazione e una previsione standardizzata. Il vero problema risiede nel fatto che il cambiamento è avvenuto in modo esageratamente accelerato negli ultimi vent’anni, rispetto ai milioni di anni  che furono necessari nel passato e che avevano occupato intere Ere Geologiche.

Monica Larner, penna virtuosa di “ The Robert Parker Wine Advocate” ha applaudito allo stile “ contemporaneo” dei vini prodotti in questa denominazione, sicuramente tra le più giovani ma dotate di grande appeal. In chiusura di mattinata, la splendida degustazione guidata da Jeff Porter di “Otto Produttori, Nove Vini e due belle annate Valdarno di Sopra 2016 e 2019″.

Vigna Ruschieto 2019 La Salceta – Sangiovese 100% rosso granato, naso che conquista con i sentori di mora, iris, pepe bianco. Sorso fresco, tannino presente, un vino vibrante ed equilibrato, dove la scelta della vinificazione in acciaio è assolutamente interprete della bellezza dello stile contemporaneo.

Sangiovese Riserva 2019 Migliarina e Montozzi intreccio fitto di note vanigliate e di gelatina di frutta rossa, con tannino presente e graffiante.

Vigna dell’Impero 2016 Tenuta Sette Ponti – Sangiovese 100% si apprezzano note balsamiche, di mirto, mora di rovo, iris e humus e una fine speziatura che include il pepe e la stecca di vaniglia. In bocca si bilanciano struttura, componente alcolica e un tannino ben regolato.

Pugnitello 2019 Fattoria Fazzuoli – vitigno autoctono recuperato, colpisce per l’intensità cromatica e per il profilo olfattivo orientato sulla frutta rossa succosa; matura in barrique di rovere francese e americano.

Caberlot 2019 Il Carnasciale – dall’omonima varietà ottenuta da un incrocio tra Cabernet Franc e Merlot, affascina per un bouquet complesso che spazia dai profumi di lampone, alla prugna, al tabacco, al coriandolo,al corbezzolo, regalando effluvi che ricordano la macchia mediterranea. Elegante la struttura ed il finale lungo e persistente.

Rodos- Cabernet Sauvignon 2016 Campo del Monte – precise le note varietali che esprimono la foglia di pomodoro, il rabarbaro, il mirtillo seguite dalla dolcezza della speziatura legata al passaggio in legno. Trama antocianica integrata in un sorso sapido.

Galatrona 2016 Petrolo – un Merlot su terreni ricchi di alberese e galestro, è caratterizzato da raffinatezza e personalità: danza su terziari con rimandi al tartufo e al cioccolato, poi emerge il frutto che ricorda la mora e la prugna. In bocca dimostra una grande profondità e armonia, pura seta. Un vino in splendida forma.

Alessandro dal Borro 2016 Il Borro – il Syrah dalle note speziate avvolgenti quali cannella, pepe verde e nero, caramella mou, frutta rossa matura. Fermenta in rovere e invecchia in barrique per 18 mesi.

Boggina B 2019 Petrolo – Trebbiano Toscano coltivato sin dagli anni ’70. Cedro, nota fumée, miele, rosa canina e cera d’api. Bella espressione di un territorio che riesce ad eccellere anche nella produzione di vini bianchi.

Un evento perfettamente organizzato, che ha impressionato per la qualità dei vini proposti dalle aziende presenti alla degustazione e per i contenuti proposti con quella passione e determinazione che è bello trovare nel mondo del vino e dei suoi principali attori.

ONLY WINE 2023: l’evento dedicato ai giovani produttori ed alle piccole realtà vitivinicole

di Alberto Chiarenza

Varata la nuova edizione di Only Wineil Salone dei Giovani Produttori e delle Piccole Cantine – che si svolge presso il cinquecentesco Palazzo Vitelli a Sant’Egidio a Città di Castello. Il pubblico e gli appassionati di vino saranno i protagonisti di questo importante evento che celebra le eccellenze vitivinicole italiane.

Only Wine è la vetrina ideale per far conoscere al pubblico i migliori produttori; un’edizione, la 2023, inaugurata in grande stile, alla presenza di personalità di spicco del mondo politico e istituzionale, tra le quali il Sindaco di Città di Castello Luca Secondi, la Vicepresidente della Camera dei Deputati On. Anna Ascani, il Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno On. Emanuele Prisco, il Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e delle Foreste Sen. Patrizio Giacomo La Pietra, la Presidente della Regione Umbria Donatella Tesei.

Un’occasione unica, come recita il motto scelto per la kermesse, per scoprire i tesori enologici di giovani produttori italiani e di piccole cantine. In tempi di crisi dovuti alla recente pandemia, il settore vitivinicolo ha avuto difficoltà a far conoscere e comunicare le proprie eccellenze. Only Wine rappresenta, dunque, il palcoscenico ideale allo scopo.

L’edizione si preannuncia ricca di eventi e degustazioni di vini pregiati. I partecipanti potranno apprezzare il percorso di degustazioni guidate e incontri a tema ai banchi dei produttori. Verrà anche offerta l’opportunità di partecipare a workshop e seminari di enologia e tecniche di degustazione.

Only Wine 2023: l’evento di grande rilievo per il mondo del vino italiano. Un’occasione per far emergere le eccellenze delle piccole cantine e dei giovani produttori e per far conoscere al grande pubblico le tradizioni vitivinicole italiane.

Per tutte le info: https://onlywinefestival.it/

“La Pietra di Tommasone”: una storia di Famiglia

di Augusta Boes

Quando il tuo destino è scritto nel DNA, e il tuo DNA è quello di Ischia, non importa dove nasci e dove ti porta la vita: puoi stare certo che il destino si compirà. Questa è la storia di una ragazza tedesca che viene da Ischia. No, non è la storia di una delle tante turiste innamorate di questa isola meravigliosa che i tedeschi da sempre hanno scelto come meta prediletta, compresa Angela Merkel. Il suo nome è Lucia Monti, è nata a Colonia in Germania, di professione fa l’enologa, ha rilanciato con passione l’attività della Cantina “La Pietra di Tommasone”, e questo racconto appartiene a lei.

Lucia è la figlia di Antonio che a sua volta è figlio di Tommaso, il figlio di Pietro che diede origine nel 1870 alla tradizione vitivinicola di famiglia. Tradizione portata avanti a fasi alterne. Il giovane Antonio difatti lascia l’isola alla volta della Germania per imparare il tedesco che qui ad Ischia serve come e più dell’italiano. Ed è così che incontra la bella Birgit, se ne innamora e finisce per restare.

Ma la storia, se pur a lieto fine, non si conclude qui, per la gioia di tutti gli amanti del buon vino! Ci sono luoghi natali che restano nel sangue più di altri perché permeati di un’aura magica molto potente: Ischia è decisamente uno di questi. Impossibile spezzare un incantesimo così forte. E così Antonio ritorna nel tempo e si dedica al recupero della vecchia cantina e dei vigneti di proprietà. Ma sarà la figlia Lucia, dopo la laurea in enologia conseguita in Germania, a scegliere questa terra per il suo progetto professionale e di vita insieme al marito Giuseppe Andreoli.

Terra di grandi vini dalla notte dei tempi, nell’antichità i vigneti ricoprivano gran parte delle pendici del monte Epomeo. Si dice difatti che i boschi di castagno che vi si trovano oggi si siano sviluppati dai pali che sorreggevano le viti, fatti appunto col legno di castagno. Con le sue vigne sospese tra il cielo e il mare, Ischia vanta una tradizione vitivinicola davvero millenaria.

Sebbene sia un’isola, la cultura terragna qui a Ischia è sempre stata forte, in alcuni casi addirittura predominante su quella marinara. Il caso ha voluto che mi sia innamorata della cantina “La Pietra di Tommasone” con un calice che, all’apparenza, aveva poco a che fare con l’idea di un vino isolano. Ma poi, ripensando alla scalata al Monte Epomeo, ardita anche in piena notte per poter godere della meraviglia dell’alba dalla sua sommità, tutto magicamente ritornava nel sorso.

Ed eccolo il colpo di fulmine, il Pignanera, da Aglianico e Montepulciano d’Abruzzo, un blend inusuale in un posto inaspettato. A Ischia è perfettamente normale trovare l’Aglianico, ma che c’entra il Montepulciano d’Abbruzzo? Qui, con l’Aglianico c’entra e pure tanto. Un rosso nobile, sensuale, avvolgente, elegante; i due vitigni che si fondono con armonia assoluta, ognuno esaltando il meglio dell’altro. Non si riesce a capire dove finisca l’uno e dove cominci l’altro, e se donare sé stessi si traduce poi in una entità nuova ma così bella, allora io dico doniamoci fino in fondo e non ci perderemo mai!

Il secondo e definitivo colpo di fulmine è arrivato poco dopo con il Biancolella che, insieme al Forastera, rappresenta l’emblema della produzione a bacca bianca dell’isola. Un vino schietto, fresco, pulito e piacevolmente minerale che colpisce direttamente al cuore. Vinificato in acciaio, sviluppa il bouquet elegante e delicato del varietale, e riporta nel calice le sensazioni autentiche dell’isola d’Ischia: l’aria di mare, il sole, il profumo dell’estate e la tipicità dei vini vulcanici. Note di ostriche, e poi di biancospino, acacia, fiori di campo, sfumature di pera e una leggera nota sulfurea.

L’esaltazione delle varietà autoctone, Biancolella e Forastera per i bianchi, e Piedirosso, Guarnaccia e Aglianico per i rossi, passa anche e soprattutto attraverso la sostenibilità e il rispetto per l’ambiente. Concetti imprescindibili che la Cantina Tommasone pone al centro della propria filosofia di produzione per portare il sole, il mare, i profumi e i sapori veraci di Ischia intatti e puliti in ogni sorso. Da profonda conoscitrice di questa meravigliosa terra, posso garantire che riescono egregiamente nell’impresa.

Dovete sapere che l’isola d’Ischia è un pezzo importante della mia infanzia e della mia giovinezza, un pezzo importante del mio cuore. La toccavo con un dito dalla finestra della mia camera da letto, e papà ci portava lì spesso, in barca partendo da Capo Miseno. Ci mancavo da troppo tempo, e così la voglia di scoprire la storia di questi vini deliziosi, e la prospettiva di una visita alla Cantina di Lucia hanno offerto il pretesto perfetto e irresistibile per tornare.

Ed eccomi qui finalmente! Dalla Tenuta il panorama è a dir poco mozzafiato! Tra cielo e mare si spiegano alla vista il meraviglioso golfo di Pozzuoli e la costa flegrea, con il Vesuvio che inequivocabilmente si staglia verso sud all’orizzonte. La vecchia cantina è davvero suggestiva, con il corpo principale scavato nella roccia di tufo verde. La temperatura qui è fresca e costante, e con il giusto grado di umidità, condizioni ideali per la spumantizzazione. Lucia non si è certo fatta sfuggire l’occasione di sperimentare con successo sia un Metodo Classico da Biancolella e Forastera, che da Aglianico. Ma la nostra intraprendente enologa ha altre sorprendenti novità per il prossimo futuro, quindi vi suggerisco di tenerla d’occhio!

Ci vorrebbe un tour dell’isola per visitare i 14 apprezzamenti che oggi compongono i 16,5 ettari de “La Pietra di Tommasone”, alcuni così piccoli da essere considerati poco più che giardini, fino alla Tenuta Monte Zunta nella zona di Sant’Angelo, a 450 mt sul livello del mare. Viticultura eroica dunque, non solo per la pendenza estrema di alcuni vigneti, ma anche per il fatto che parcelle così piccole, e incastonate ogni dove sul territorio, non consentono alcun tipo di meccanizzazione dei processi produttivi e di gestione dei vigneti.

Ciononostante, la produzione annua si attesta intorno alle 100.000 bottiglie suddivise in tredici etichette tra spumanti, versioni in anfora, bianchi e rossi, passando per un delizioso rosato, retaggio culturale della Germania. Qui difatti questo tipo di vino è particolarmente apprezzato nella sua versione intensa e di carattere, proprio come il Rosamonti che Lucia ha voluto dedicare ai luoghi dove è nata e cresciuta.

Concludo con una citazione dal sito istituzionale dell’azienda, perché, in poche parole riesce a dare una idea precisa e potente di chi sia questa strepitosa Donna del vino:

“… riflessiva, amante del territorio e capace di ascoltarlo, solo come le donne sanno fare. Con lei, le radici continuano ad essere la forza delle Cantine Tommasone: la famiglia, la terra e il duro lavoro in vigna sono l’importante eredità ricevuta.”

Cantine Tommasone

Azienda Agricola

Via Prov.le Lacco Fango, 144

80076 Lacco Ameno (NA)

tommasonevini.it

Il Nihonshu: il Sakè giapponese rapportato alla Dieta Mediterranea

di Gaetano Cataldo

Le tre principali religioni monoteiste del bere fermentato sono inequivocabilmente il vino, la birra e il sake giapponese, a dimostrazione del fatto che il dio Bacco non è mai stato né monotono né monofago, approdando persino nelle terre del Sol Levante per insegnare all’uomo cosa estrarre dal riso (e con cosa) e per brindare al miracolo dell’esistenza.

Esattamente come per sorella birra e fratello vino anche il sake giapponese ha una storia millenaria, da bevanda sia popolare che elitaria: il suo racconto è intriso di cultura, arte, storia e letteratura e riesce ad abbracciare tutte le umane attività, nondimeno religione, bellezza e salute. Insomma il sake non è certo una moda, ma fa decisamente tendenza, se così si può dire, ed accompagna l’uomo nel lungo corso del fluire del tempo, testimoniandone l’evoluzione e contribuendo alla nascita della Civiltà Nipponica.

Il fermentato più famoso del Giappone è diffuso in tutto il mondo. Si pensi che ebbe il suo esordio ufficiale dinanzi al grande pubblico occidentale proprio durante la prima Weltausstellung (Esposizione Universale) del 1873, nell’allora capitale dell’impero austro-ungarico; non soltanto famoso, ma anche prodotto in tutto il mondo, anzi imitato in tutto il mondo! Il sake è entrato di fatto nella quotidianità, ricoprendo un ruolo tanto alimentare quanto edonistico, sulle tavole dei Paesi Orientali e diventando un ottimo pairing per pietanze raffinate d’ogni sorta, persino come ingrediente principale in moltissimi cocktails, come il saketini, capostipite della miscelazione a base del fermentato di riso, inventato nel Queens dallo chef Matsuda nel 1964.

Ma facciamo subito chiarezza: ciò di cui si vorrebbe disquisire nel corso di questo pezzo in realtà si chiama Nihonshu!

Infatti con il termine sake viene indicatomolto genericamente l’alcool, mentre con la parola nihonshu, scritta allo stesso modo e probabilmente inventato dai samurai per diversificare la loro bevanda nazionale dalle altre importate nell’arcipelago, tendiamo a definire un prodotto che deriva dalla fermentazione del riso con aggiunta di acqua e koji, una sorta di spora fungina o muffa. Inoltre, perché lo si possa denominare nihonshu, occorre venga sottoposto a filtraggio, fatti salvi diversi stili di lavorazione e, al di sopra di ogni cosa, deve essere prodotto e imbottigliato integralmente ed esclusivamente in Giappone.

Un po’ di storia…

Con buona probabilità, il casuale processo di fermentazione del riso ha avuto origine in Cina attorno al V millennio a.C. nei pressi del Fiume Azzurro, per quanto altre fonti sostengano  sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo, durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a.C. Nella grande Cina, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, viene fatta menzione di una particolare muffa per la prima volta nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come Aspergillus Oryzae, ossia quel fungo filamentoso cui si accennava prima e di estrema importanza per l’alimentazione in tutto l’Estremo Oriente.

Ciò non significa che il sake abbia realmente avuto origine in Cina, per quanto la bevanda più prossima ad esso sia il cosiddetto huang-jiu. Solo grazie al know-how cinese sulla coltivazione del riso il Popolo Giapponese ha imparato a sostenersi sulle proprie gambe, diventando una civiltà autonoma, e inventando il fermentato tra il 300 a.C. e il 300 d.C. nella versione ancestrale del kuchikami no zake, fino ad arrivare ai nostri giorni, ai processi innovativi ed alle attuali espressioni di questa iconica bevanda.

Ovviamente è facile immaginare certi abbinamenti col nihonshu: sushi, ostriche e sashimi ne sono un esempio piuttosto lampante e diffuso. E se invece vi suggerissero di sorseggiarlo con la nostra amatissima Dieta Mediterranea?

Statene certi perché lo dico dal 2017: il nihonshu, ed il modello nutrizionale mediterraneo per il quale l’Italia è indiscussa capitale, vanno a nozze!

Intanto cominciamo col rilevare che l’Italia, per gran parte, e il Giappone sono circondati dal mare, hanno uno sviluppo territoriale che si estende in lunghezza e non in ampiezza, oltre ad essere Paesi vulcanici e sismici imbrigliati nella stessa fascia di latitudine.

Va rammentato che tra i Paesi le cui osservazioni hanno dato vita allo studio epidemiologico condotto dal celebre Ancel Keys a partire dal 1957, colui che coniò il termine “Dieta Mediterranea” e ne enunciò i dettami, v’era anche il Giappone. Infatti il Seven Countries Study, ideato, coordinato e condotto per molti anni dal prof. Keys, è stato uno studio epidemiologico di monitoraggio eseguito su oltre 12 mila persone di età compresa tra 40 e 59 anni, appartenenti a 16 aree situate in sette Paesi dislocati in tre continenti. Le analisi ottenute dalle osservazioni fanno riferimento alle relazioni intercorrenti tra abitudini alimentari e malattie del sistema cardiocircolatorio: in via generale, l’incidenza e la mortalità coronarica risultavano decisamente più elevate nelle aree del Nord Europa e del Nord America e più basse nelle coorti del Sud Europa e del Giappone.

Ebbene le assonanze tra la Dieta Mediterranea e la Cucina Giapponese sono evidenti almeno dagli anni ’70 del secolo scorso e sottolineano quanto un consumo di alimenti variegati, privilegiando materie prime di origine vegetale, incluso un sano stile di vita, siano tratti comuni dei centenari del Cilento e del Giappone, seppur con ingredienti differenti ma dallo stesso valore nutraceutico e, talvolta, dal simil profilo organolettico.

Piaccia osservare che, per quanto con sfumature e costumanze diverse, il Popolo Giapponese e quello Italiano amano dare il benvenuto a tavola, proprio perché come nella Dieta l’ospitalità, la condivisione del buon cibo e del buon bere sono elementi inscindibili di un grande, genuino senso di convivialità.

Per quanto si possa giustamente ritenere che natto, salsa di soia, miso e tofu siano elementi “alieni” alla nostra idea locale di gastronomia, è bene ribadire che i Paesi del Mare Nostrum non sono assolutamente estranei ai cibi fermentati: ne sono esempio il kefir, la colatura di alici e le olive in salamoia. Inoltre non è recentissima la diffusione di modelli di ristorazione che fondano la loro filosofia su piacevoli contaminazioni e tecniche come la latto-fermentazione Katsuobushi? Rispondo: bottarga, acciughe sotto sale e la stessa colatura di alici appunto! Tofu? mozzarella o parmigiano reggiano, a seconda del grado di stagionatura della cagliata di soia. Alga Wakame? Puntarelle ed agretti con i condimenti a noi più cari, pomodori secchi e chi più ne ha più ne metta!

La chiave di volta dell’abbinamento è nel fattore umami e nella considerazione che, grazie ad un quinto in meno dell’acidità contenuta mediamente in un vino, il nihonshu non litiga mai col cibo. Insomma crudità sia di mare che di terra, risotti, formaggi, funghi e tartufi, verdure grigliate, salumi, frittate e carni pregiate si offrono piacevolmente al pairing con il nihonshu.

Dunque buon nihonshu a tutti e… kampai!