Lazio: è sempre tempo di Cesanese

Le feste sono finite da un pezzo ormai, eppure non si è mai troppo stanchi per parlare di Cesanese declinazione Docg Del Piglio

“La befana viene di notte con le scarpe tutte rotte” recitava un canto popolare, ma per gli appassionati del vino è venuta di giorno (anche se in realtà ne sono arrivate due). Il 6 gennaio 2024, il Consorzio del Cesanese del Piglio DOCG, in collaborazione con AIS Lazio, ha organizzato un evento per appassionati, operatori, stampa e Sommelier.

Il Cesanese all’Acquario Romano presentato da AIS Lazio, con la presenza del Presidente Regionale Francesco Guercilena, Angelo Petracci, Docente e Responsabile Guida Vitae Lazio, Umberto Trombelli Delegato AIS Latina,  e poi Ilaria  De Donato, Delegata AIS Fiumicino e Ostia, insieme a Sonia Scala si sono mascherate da befane aggiungendo allegria alla manifestazione.

Una manifestazione improntata sull’autoctono del Lazio che, dopo trascorsi umili, ora sta salendo alla ribalta dei vini che contano. La festa dell’Epifania è stata festeggiata dal Consorzio del Cesanese del Piglio con 13 aziende in un evento in cui il focus è stato la varietà locale tipica della Ciociaria, areale del Lazio meridionale.

Ingresso gratuito e una Masterclass tenuta da Angelo Petracci e Francesco Guercilena con la partecipazione di Pina Terenzi, Presidente del Consorzio Cesanese del Piglio, oltre che dell’Associazione Donne in Campo. Tanti gli appassionati e operatori del vino che hanno partecipato e provato i vini eleganti e serbevoli allo stesso tempo.

Le cantine partecipanti

Cantina Giovanni Terenzi

Casale della Ioria

L’Avventura

Petrucci e Vela

Pileum

Casal San Marco

Cerciole

Sbardella

Federici

Azienda Agricola Rapillo

Corte dei Papi

Marletta Teresa Maria Elena Sinibaldi

Grandi Langhe 2024

La prestigiosa Anteprima piemontese Grandi Langhe 2024 ha avuto luogo nei giorni 29 e 30 gennaio 2024 all’interno degli ampi spazi delle Officine Grandi Riparazioni (OGR) di Torino. Location posta strategicamente a pochi passi dalla stazione ferroviaria di Torino Porta Susa, facilmente raggiungibile con qualsiasi mezzo di trasporto.

L’Evento

In questa edizione è aumentata la presenza degli espositori,  ben 300 dietro ai desk d’assaggio, lieti di far degustare i loro capolavori e fieri di raccontare il loro territorio. Modificato il sistema di assegnazione dei banchi, sempre contraddistinti da colori, ma adesso in ordine alfabetico anziché in zone come nelle precedenti edizioni. All’ingresso vi era un grande spazio d’assaggio per il Consorzio e la possibilità di degustare circa 50 etichette di Alta Langa Metodo Classico con servizio sommelier.

Ingresso spumeggiante: un benvenuto ai visitatori e una tesa di mano ad altri areali da parte del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e dal Consorzio di Tutela del Roero con il supporto di Regione Piemonte ed il sostegno di banca Intesa San Paolo.
All’anteprima hanno partecipato buyers, importatori, ristoratori, enotecari, giornalisti e wine blogger nazionali ed esteri.

L’annata di Barolo in anteprima presa in esame è la 2020, quella di Barbaresco e Roero la 2021. Una passerella tra i produttori e un approfondimento con le aziende mi ha dato la possibilità di degustare vari vini ottenuti da uve varietà Nascetta,  Arneis, Favorita, Moscato Bianco, Barbera,  Dolcetto, Nebbiolo, Pelaverga di Verduno.

I migliori assaggi

G.D Vajra – Barolo Bricco delle Viole 2020 – Emana note di violetta, ciliegia, rosa appassita con cenni balsamici e speziati; avvolgente, elegante e setoso. 
Virna Borgogno – Barolo Sarmassa 2020 – Sensazioni di mora, ribes, tabacco e liquirizia. Composito, rotondo, appagante e persistente.
Fratelli Serio & Battista Borgogno – Barolo Cannubi 2020 – Melagrana, amarena, lampone, ribes e spezie dolci in successione, dalla trama tannica setosa, coerente e lunga.
Agricola Marrone – Barolo Bussia 2019 – Naso di frutti rossi, prugna, sottobosco e liquirizia. Sorso pieno ed appagante, coerente e duraturo
Conterno Fantino – Vigna Sorì Ginestra 2020 – Libera note di pout-pourri floreale, marasca e balsamicità. Palato delicato, setoso ed armonioso.
Diego Conterno- Le Coste di Monforte 2020 – Rimanda ai fiori di campo, alla rosa, mirtillo e sottobosco, con gusto pieno, generoso ed appagante.
Ceretto – Barolo Brunate 2019 – Sentori di ciliegia, fragola,viola ed eucalipto, dal tannino palpabile ma setoso. Duraturo e leggiadro.
Adriano Marco e Vittorio- Barbaresco Basarin 2020 – Effluvi di rosa canina, violacciocca, spezie e nuance mentolate. Fresco e sapido, al contempo setoso. 
Matteo Correggia – Roero Riserva Ròche d’Ampsèj 2018 – Con sentori di frutta matura, cacao e cenni di erbe officinali, è un vino generoso ed armonioso.
Livia Fontana- Barolo Fontanin 2018 – Note di sottobosco, fragolina, tabacco e liquirizia; espressivo e carezzevole, decisamente persistente e fine.

WINE & SIENA 2024 – Masterclass Chianti Classico

Si è conclusa con grande successo la 9°edizione di  Wine & Siena – Capolavori del Gusto. Ha avuto luogo dal 27 al 29 gennaio 2024 all’interno degli stupendi saloni del Complesso Museale Santa Maria della Scala e Palazzo Squarcialupi di Siena.

L’appassionante kermesse enogastronomica  viene organizzata da The WineHunter, ovvero Helmuth Köcher, Presidente del Merano WineFestival, voluta proprio da Köcher e da Stefano Bernardini, Presidente di Confcommercio Siena, ma anche da Andrea Vanni “senese purosangue”, scomparso prematuramente 2 anni fa.

Durante i tre giorni Siena è stata presa letteralmente d’assalto da molti winelovers, alcuni dei quali hanno approfittato dell’occasione per visitare anche i musei della nobile città toscana. La location vanta alcune opere d’arte realizzate da famosi pittori e, mentre si è in attesa per  degustare vini, si può approfittare per ammirare le  magnificenze del museo.

Siena è posta a poca distanza da alcune note Docg e Doc che godono di fama planetaria, tuttavia, all’evento hanno partecipato molti espositori di ogni angolo d’Italia. Le masterclass si sono svolte nel salone delle Feste del Grand Hotel Continental Starhotels Collezione. L’ultimo giorno come di consueto è stato dedicato agli operatori del settore professionale.

Un entusiasmante appuntamento che sin dai suoi albori è cresciuto progressivamente, riuscendo a destare interesse da parte degli amanti del vino. La prossima edizione di Wine & Siena è in programma dal 25 al 27 gennaio 2025. Ho partecipato sabato 27 gennaio e mi sono avvicinato ad un buon numero di banchi d’assaggio. A seguito note di degustazione di alcuni vini provenienti dall’area del Chianti Classico che meritano un approfondimento e cenni sulla denominazione.

Chianti Classico Docg

La zona di produzione del Chianti Classico è posta tra due province, Siena e Firenze. I comuni del territorio senese, sono: Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti e Radda in Chianti, e in parte, alcune zone dei comuni di Castelnuovo Berardenga (il più vicino a Siena) e Poggibonsi, e quelli del territorio fiorentino, sono: Greve in Chianti e parte dei Comuni di Barberino Val d’Elsa/Tavarnelle Val di Pesa e San Casciano val di Pesa.

Tre sono le tipologie di vini del Gallo Nero: Chianti Classico annata, Chianti Classico Riserva e Chianti Classico Gran Selezione. Il vitigno che dà origine ai vini è  il Sangiovese sia in purezza sia in prevalenza,  il disciplinare ne prevede un minimo dell’80% e al completamento concorrono altri vitigni a bacca nera, sia autoctoni che alloctoni, i principali sono il Canaiolo, il Colorino, la Malvasia Nera, il Merlot ed il Cabernet Sauvignon.

Il bando del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici editto nel 1716 riconosceva la Denominazione “Chianti “assieme ad altre 3 zone della Toscana. Con il crescente numero di produttori, al di fuori della suddetta area le verrà conferito il suffisso ” Classico “, per contraddistinguersi come zona storica e vocata alla produzione di questo grande vino. Il riconoscimento a Doc arriva nel 1967 mentre quello a Docg  nel 1984.

La leggenda del Gallo Nero

L’emblema del Consorzio è un Gallo Nero, la leggenda narra che per porre fine a scontri armati, tra Firenze e Siena che si protaevano da anni, e per determinare i confini, avrebbero affidato la prova a due Cavalieri, partendo dalle rispettive città. Sarebbero dovuti partire al canto del gallo. I Senesi scelsero un gallo bianco e lo ingozzarono di cibo, mentre i Fiorentini scelsero un gallo nero che tennero a stecchetto. Lì dove si fossero incontrati sarebbero stati determinati i confini tra le due province. Il gallo nero fiorentino, preso dalla fame, iniziò a cantare prima del sorgere del sole, ed il cavaliere immediatamente parti. Il gallo bianco senese, satollo dormiva ancora e,  l’ incontro avvenne a pochi km da Siena.

A livello sensoriale é di un colore rosso rubino intenso, trasparente  e consistente, al naso emana sentori di violetta, amarena,  prugna, mirtillo, mora e con affinamenti più lunghi, vaniglia, liquirizia, cannella, noce moscata e pepe nero, oltre a note balsamiche di mentolo ed eucalipto, tabacco, cuoio e cacao.
Sorso sempre caratterizzato da buona trama tannica e lunga persistenza aromatica; in funzione della tipologia sa essere avvolgente, setoso ed armonioso.

I vini degustati

Chianti Classico Riserva Pietraia 2019  – Borratella
Arcanum Igt Toscana 2019 – Tenuta di Arceno – Cabernet Franc
Chianti Classico Vigna del Capannino 2020 – Tenuta di Bibbiano
Chianti Classico Gran Selezione 2019 – Vecchie Terre di Montefili –
Chianti Classico Poggio Rosso  Gran Selezione 2019 – San Felice
Chianti Classico Strada al Sasso Gran Selezione 2020 – Tenuta di Arceno
Chianti Classico 2019 – Tenuta Villa Trasqua

“San Severo provincia di Foggia…”

Un giorno a San Severo (FG), alla ricerca di quell’identità pugliese ammirata e decantata in Italia e all’estero.

Lo ripeteva sempre Lino Banfi nei film commedia anni ’80: San Severo provincia di Foggia. Lo ripeteva come un mantra e tutti noi, compreso il sottoscritto, immaginavamo questo luogo intriso di un senso arcaico di bellezza agreste, di tradizioni e di genuinità degli abitanti.

E allora perché non trascorrere un giorno proprio lì, in compagnia di produttori che hanno fatto la storia dell’areale, guidati dall’autrice di 20Italie Serena Leo. Le video interviste contenute nell’articolo rappresentano uno spaccato verace dell’Italia Meridionale, dove le storie familiari si mescolano spesso a quelle aziendali e viceversa. Dove far qualità costa caro, perché non puoi usufruire degli agi e dell’abbrivio economico di altre realtà soprattutto del Centro-Nord.

Gianfelice D’Alfonso Del Sordo ci narra dell’importanza di una varietà autoctona come il Nero di Troia, in grado di dare vini di carattere, dalle sensazioni vellutate nella loro espressione tannica. Un corredo di frutti di bosco e sensazioni mediterranee uniche nel loro genere, il marchio di fabbrica del Sud. I suoli presenti sono ricchi di calcare e sedimentazioni marine fossili. Vengono chiamati in dialetto “coppanetta” dalle piccole colline (le coppe) dove si scavava la pietra di Apicena per le costruzioni.

L’azienda D’Alfonso Del Sordo è la storia di questo territorio, con il suo carico di ricerca e sperimentazione in cantina e vigna, tra uvaggi, blend di varietà sui campi e microvinificazioni separate per parcelle. Il racconto parte da un assunto storico di fatto: San Severo è da sempre un grande bacino enologico, con cantine sotterranee di rara bellezza, poste all’interno delle mura cittadine. Ci arriveremo per gradi, non dimenticando il passato fatto anche di povertà, dove i ragazzi potevano permettersi di giocare con una palla fatta di vinacce spremute e correre a nascondersi dietro a trattori, enormi torchi in legno e fienili. Gente avvezza alla semplicità, nei modi e nei gesti. Casteldrione è il Nero di Troia dalle sfumature rubino intense e dal sapore gioviale ed elegante, che non ti obbliga ad un abbinamento forzatamente impegnativo.

Da Pisan Battel, in compagnia di Antonio Pisante – titolare con Leonardo Battello di questa splendida realtà – abbiamo parlato dell’altra gemma di San Severo: la spumantistica di altissimo livello. L’enologo Cristiano Chiloiro paragona il passato ed il presente delle bollicine locali ad un hardware sofisticato, che cerca soltanto un software in grado di decifrarlo e assestarlo in maniera definitiva.

In poche parole le potenzialità ci sono, in particolare per il Bombino Bianco, ma serve ancora un pizzico di consapevolezza ed autocoscienza per eguagliare i vertici mondiali della produzione.

Cremoso e avvolgente il Brut Metodo Classico da Bombino Bianco, ma a sorprenderci per finezza e duttilità d’utilizzo è il Pas Dosè Rosè Metodo Classico da Nero di Troia in purezza. Lo stile è tutto ed i vini di Pisan Battel si rivelano un fiore all’occhiello pronto al confronto con i mercati più esigenti.

Pagina conclusiva del nostro percorso la visita da D’Araprì, i pionieri della bolla pugliese. Daniele Rapini spiega, con gli occhi lucidi d’emozione, gli inizi del padre, dalle esperienze in Francia fino ai primi imbottigliamenti arditi, che finivano spesso con le carcasse di bottiglie scoppiate per l’alta pressione. Poi la svolta ed il salto di qualità, divenendo dai primi anni 2000 il riferimento per un movimento che ha coinvolto numerosi vigneron.

Un “distretto dello spumante” mancante solo sulla carta, per numeri ancora troppo esigui e opinioni divergenti tra i vari attori. La posta in gioco è elevata, si tratta del futuro stesso della Denominazione e del suo cavallo di razza, che siamo certi porterà le luci della ribalta anche alle altre versioni ferme, a base degli autoctoni che il terroir sa offrire.

Stefano Milanesi, eno-artigiano nell’Oltrepò Pavese: bollicine, pinot nero e i racconti di famiglia

Terra di bollicine e di pinot nero, l’Oltrepò Pavese vanta antiche tradizioni e sicuramente di essere una delle zone più importanti a livello mondiale per la produzione di spumanti: un territorio che occupa la parte meridionale della provincia di Pavia in Lombardia, a sud del fiume Po. Raggiungo Santa Giuletta, dove ha sede la cantina di Stefano Milanesi, in una giornata fredda ma tersa, dove la luce rarefatta racchiude in paesaggio in una atmosfera magica. Da questa posizione collinare, a circa 200 metri di altitudine, vedo la pianura, la via Emilia e l’arco alpino, dove si riconoscono il Monviso e il Monte Rosa, la Grigna e il monte Lesima, al confine con la Liguria.

I vigneti di Stefano presentano suoli prevalentemente sabbiosi, dove sono presenti anche calcare e gesso e molta arenaria: luoghi dove 5 milioni di anni fa era il mare, che piano piano si ritirò, lasciando appunto arenaria e marne. Lo studio dell’Università di Milano, condotto negli anni Ottanta, evidenziò la vocazione di questo luogo per l’impianto di pinot nero, croatina, riesling, barbera e altre varietà, sia a bacca bianca che nera. Una terra che, sin dai tempi dei Romani, era utilizzata per la produzione di vino e spesso si possono trovare nei vigneti frammenti di anfore vinarie e di copponi che venivano utilizzati per fare i tetti. Sicuramente l’Oltrepò Pavese, collocato sul 45esimo parallelo, rappresenta la zona italiana più coltivata in Italia a pinot nero, la terza in Europa dopo la Champagne e la Borgogna e la quarta nel mondo, dopo l’Oregon.

La famiglia Milanesi inizia la coltivazione delle vigne e della produzione di vino più di 300 anni fa; dal 2018 il vitigno più coltivato, nei 13 ettari collinari condotti in regime biologico, è il pinot nero.

Stefano ha impiantato anche meunier e alcuni PIWI tra cui il johanniter, il muscaris e il souvigner gris per sperimentare e sfruttare la possibilità di ridurre i trattamenti con rame e zolfo, data la loro resistenza maggiore alle malattie fungine. Nelle sue parole si sente la passione e quel rimanere fedele a se stesso e al suo modo di interpretare i vitigni nel rispetto della natura che gli sono valsi il titolo, dato molti anni fa da un amico, di eno-artigiano: vini puliti ed espressivi, che nascono da fermentazioni con lieviti indigeni. Grande cura viene riservata per la produzione del metodo classico, le cui fasi vengono spiegate in modo chiaro ed esaustivo, che sono tutte manuali, compreso il remuage sulle pupitre di legno. Anche la sboccatura viene eseguita à la volèe, dopo aver ghiacciato il collo della bottiglia; il rabbocco, prima della tappatura con il classico tappo e gabbietta, viene fatto con il vino base, senza aggiunta di liqueur.

La visita in cantina prosegue con un aneddoto molto curioso: Stefano indica la statuetta raffigurante Sant’Antonio, in una nicchia e racconta che il bisnonno Antonio, dato per morto, durante la veglia funebre si destò quando i parenti vennero invitati a scendere in cantina per mangiare salame e bere un po’ di vino: “Che nessuno tocchi il salame” disse e si gridò al miracolo, tra la meraviglia di tutti.

L’assaggio di alcuni vini cesellati ad arte avviene nella vicina 700Enolocanda, accompagnati da gustosi piatti della tradizione pavese. Si inizia con uno spumante…e non poteva essere diversamente.

V.S.Q. Vesna Rosè Nature 2018: metodo classico da 100 % pinot nero, la permanenza sui lieviti di circa  42 mesi. Il colore è oro ramato brillante, di grande fascino. Al naso sentori netti ed eleganti di piccoli frutti rossi, tra cui ribes, lampone poi geranio e garbati sentori di panificazione che non coprono le caratteristiche olfattive del vitigno. In bocca si percepiscono la gradevole acidità, la struttura di questa bollicina e il finale, lungo persistente e la chiusura sapida. Chapeau!

Pit Stop 2019 nasce da vigne di croatina di circa 15 anni; dopo la pressatura soffice il vino fermenta e affina in acciaio, viene imbottigliato senza chiarifiche e filtrazioni. Regala una piacevole esperienza di beva, il grado alcolico è splendidamente supportato, tanto da non accorgersene (almeno fino a quando non si finisce la bottiglia!) Un vino goloso, che profuma di melograno, amarena, con tannini setosi, buona freschezza e persistenza.

Gimme Hope nasce da un uvaggio composto da barbera, cortese e altri vitigni: Stefano lo definisce “ Vino gatorade” perché il tenore alcolico contenuto, la beva agevole, i profumi succosi, lo rendono perfetto per le merende estive e per le “ ribotte” ( per usare un termine dialettale delle mia regione, la Liguria) In compagnia. Bellissima l’etichetta, colorata e accattivante, soprattutto l’arcobaleno che spunta dietro l’unicorno alato ( o meglio, sembra un unicorno!)

Maderu 2009 è un meraviglioso pinot nero che assaggio in magnum, aperta a Capodanno: profumi complessi denotano una regale terzializzazione, in cui si riconoscono, humus, tartufo, sentori boschivi, ciliegia matura, cardamomo. Personalità ed equilibrio caratterizzano il sorso, trama tannica perfettamente integrata, lunga scia finale. Una giornata che è volata via ascoltando i racconti di Stefano, così affabile, cortese e capace di trasmettere la sua passione e la voglia di sperimentare: il sole al tramonto ha incendiato di rosso la pianura, a suggellare il ricordo di emozioni ed assaggi, che rimarranno scolpiti nella mente e nel cuore.

Cartoline dal Matese: le interviste a Terre dell’Angelo e La Sbecciatrice

Come non pensare ad una delle visite più coinvolgenti vissute dalla redazione di 20Italie, quella nell’Alto Casertano ai piedi del Matese? Ricordi che hanno lasciato tracce indelebili, testimonianza del fare artigianalità in Campania, a volte persino contro tutto e tutti.

Le possibilità di creare impresa non sono le stesse di altri territori, inutile evidenziarlo. Ma l’inventiva nostrana è il vero motore di un settore che potrebbe mirare ai vertici assoluti dell’eccellenza enogastronomica. Basta poco che ce vo’? In realtà, pensiero ed azione devono andare di pari passo con impegno e sacrificio, dedizione e volontà, in maniera impavida pronti alle sfide enormi poste in essere dall’odierno altalenante e dal futuro ricco di insidie.

Terre dell’Angelo e La Sbecciatrice, ovvero Angela e Domenico (Mimmo), due elementi caratterizzanti un territorio bellissimo, foriero di prodotti d’alta qualità e genuini fino al midollo. Le loro aspirazioni, i sogni e progetti ancora da realizzare traspaiono dalle parole e dagli occhi lucidi. Il pensiero fisso di chi non cerca solo il facile realizzo economico, quanto, piuttosto, di lasciare un segno nel luogo in cui vivono.

Di loro abbiamo già accennato nell’articolo riassuntivo Matese: un giorno in Alta Campania alla ricerca del nostro “Vecchio West”; mancava all’appello l’approfondimento video e due righe del sottoscritto per invogliare il lettore a tuffarsi in una dimensione ancora poco esplorata, di forte impatto emotivo.

Terre dell’Angelo è un progetto che unisce idee e professioni per promuovere alcune peculiarità delle terre sannite legate all’antico culto micaelico. Partendo dal recupero dell’ulivo per arrivare alla riscoperta di vitigni autoctoni come il Pallagrello e il Casavecchia, per produrre olio e vino di alta qualità continuando a mantenere vive le tradizioni.

Quattro etichette, moderne e originali con richiami iconici al terroir: “La volta” da uve Pallagrello Bianco; “L’Astrale” Falanghina in purezza clone beneventano e poi “L’Arca” dallo storico vitigno Casavecchia e “Il Tempo”, il loro primo vino, da vecchi filari di Pallagrello Nero allevati ancora a pergola casertana. E poi un’attenzione particolare alla cultivar Tonda del Matese, per un olio extravergine di oliva delicato e fruttato, in grado di esaltare preparazioni estremamente eterogenee.

La Sbecciatrice, la storia di due fratelli, un antropologo ed un naturalista, che decisero di mettere a frutto le loro competenze seminandole nei campi della loro stessa famiglia. Per generazioni la base della sussistenza alimentare di avi agricoltori, poi quasi abbandonati, queste terre fertili ed incontaminate, collocate in un territorio lontano da ogni forma di inquinamento e antropizzazione, sono diventate l’inestimabile risorsa con la quale costruire un progetto di valore unico.

L’azienda è stata battezzata con il nome di un antico attrezzo agricolo utilizzato per mietere il grano ed è stata arricchita dalle innumerevoli competenze di una ex-architetta/designer, donna di ingegno e di temperamento. Ricerche con università sulle varietà Pomodoro Riccio, Fagiolo Lenzariello, Fagiolo Curiniciello e Cece delle Colline Caiatine, tutti a km zero, oggetto di resilienza eroica dei Barbiero.

Viva l’Alto Casertano, viva il Matese!

Irpinia, amara terra mia…

Esiste sempre un prima e un dopo. Ancor di più pensando alla famiglia Mastroberardino (dal lontano 1800 ad oggi, nessuno escluso). Esiste infatti un’Irpinia con o senza di loro. Da nativo avellinese non posso che pensare ai due cugini, Piero e Paolo, rispettivamente figli di Antonio e Walter, con dolcezza e particolare affetto, per motivazioni e ricordi eterogenei.

Archivio storico della dinastia Mastroberardino

Ho sempre visto il primo un degno erede nel ruolo di studioso e propagatore commerciale di vini che hanno reso celebre questo piccolo angolo campano, dalle pronunciate pendenze, ricco di boschi e di natura a tratti ancora incontaminata. Un’Istituzione per chiunque abbia nelle vene tracce di Fiano, Greco, Coda di Volpe e Aglianico clone Taurasi. Il secondo invece, preparatissimo nella gestione agronomica della vigna, la spontaneità fatta persona nel bene e nel male, dato che non te le manda a dire quando sente “castronerie”. E per fortuna! Entrambi i rami di questa meravigliosa famiglia, ormai separata da strade diverse da oltre un trentennio, hanno contribuito e contribuiscono in maniera decisiva alla salvaguardia delle varietà d’uva autoctone irpine, uniti da un sottile filo rosso fatto di cultura, passione, veracità.

Uno scorcio di una delle grotte del Castello Marchionale a Taurasi

A loro andrebbe l’eterna gratitudine di un territorio che cerca da sempre un faro guida, schiacciato tra individualismi, dispettucci puerili e posizioni estreme inutili e dannose. Le nuove leve, abituate ad un contesto comunicativo completamente diverso dai genitori, apportano già linfa vitale e lunga prospettiva, a patto di riuscire a mantenere saldo il “capo in mano”, senza l’intervento invasivo e la stretta sorveglianza dei grandi vecchi. La saggezza non sempre si lega al pragmatismo.

La locandina dell’evento

Annosa questione che in Irpinia, dove non mancano certo spirito imprenditoriale e possibilità economiche, non ti aspetteresti: il problema del corretto passaggio di poteri generazionale. Infine, last but not least, la presenza influente dei grandi imbottigliatori, attenti unicamente ai bilanci societari in attivo, e di aziende nate sotto altri profili lanciatesi poi nel complicato settore vitivinicolo, dove non basta una bella etichetta a fare il monaco (e neanche il vino). Risultato? Potenziale tutt’ora parzialmente inespresso, confusione di stili e prezzi ampiamente sotto il valore reale per molti prodotti di qualità.

L’intitolazione della Piazzetta Antonio Mastroberardino

In tale scenario contemporaneo, intitolare una piazza del comune di Taurasi ad Antonio Mastroberardino, Cavaliere al Merito del Lavoro, alla presenza delle Autorità, è un segnale di speranza e fiducia per il prossimo futuro. Ci si aspettava, e lo dico da cronista appassionato, un’attenzione differente da alcuni operatori del settore. Non certo dagli organi della stampa accorsi in massa all’evento, testimoni di un passato difficile dove negli scarsi numeri si trovava comunque unità, rispetto e condivisione d’intenti.

Piero Mastroberardino non nasconde le emozioni palpitanti ai microfoni di 20Italie, complice anche il riconoscimento del suo Taurasi Riserva 2016 Radici nella top five wines of the world di Wine Spectator. Francamente facciamo fatica anche noi a farlo; il resto sono polemiche sterili e parole al vento, comprese quelle del sottoscritto, che nulla aggiungono al quadro d’insieme. I fatti contano e allora mi chiedo: perché non tramutare anche in Irpinia l’assunto del Gattopardo “se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi” nella splendida aria conclusiva del Guglielmo Tell di Rossini “tutto cangia il ciel s’abella”?

Mosaico per Procida chiude i battenti con un arrivederci

Dal 1 settembre del 2022, data di un incontro tra amici a Pontelatone da cui è scaturita l’idea visionaria di Mosaico per Procida, la celebre bottiglia di fermo ha avuto soltanto la tipologia enologica di riferimento, se non si tiene conto del vinaggio pazzesco di 26 vini che non ha precedenti. Roberto Cipresso e Gaetano Cataldo hanno portato egregiamente a termine un’attività amorevole per il territorio campano e mantenuti tutti i buoni propositi. La bottiglia ne ha macinato di strada, da una parte all’altra dell’Italia e portando un messaggio fortissimo in Francia, Irlanda, Cina, spagna e stati Uniti d’America, anzi, più di uno…

1. Da soli si va più veloci, assieme si va più lontano. La rete sinergica tra cantine, ristoranti, imprenditori dell’agroalimentare e del packaging ha dato i suoi frutti, le relazioni umane soprattutto.

2. Promuovere e valorizzare il territorio con un amorevole gesto, senza secondi fini, non necessità di compromessi o permessi. E bisognava pur cedere generosamente qualcosa di bello per la Campania, piuttosto che pigliare sempre.

3. Non è la materia che genera il pensiero ma il Pensiero che genera la materia, così diceva Giordano Bruno, e senza lo straccio di un aiuto pubblico o di un finanziamento una piccola associazione ha fatto quello che le grosse e facoltose corporazioni del vino avrebbero potuto fare in un qualsiasi giorno della settimana.

Insomma, Mosaico per Procida si è rivelato un progetto sano, tanto francescano quanto eversivo, ed è stato interessante, malgrado tutti i pronostici contrari e qualche detrattore, vedere come il primo vino a celebrare una capitale della cultura sia diventato tale, inaugurando l’umanesimo del vino stesso.

Esemplare per la bottiglia celebrativa l’essere stata oggetto della tesi universitaria di Giovanna Agnello ad un corso di wine marketing presso l’Università di Fisciano e rientrare tra le tematiche del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea, fondato dal prof. Marino Niola.

Le innumerevoli degustazioni ufficiali con l’Associazione Italiana sommelier e non solo, oltre che le uscite in pubblico al MAVV Wine Art Museum, al Vinitaly di Verona, campeggiando in tre padiglioni e una trentina di  stand, al Mediterranean Wine Art Fest al Complesso Monumentale di san Domenico Maggiore a Napoli, al Macellum di Pozzuoli e al Merano Wine Festival, hanno decretato tanto il successo enologico di Roberto Cipresso che quello progettuale di Gaetano Cataldo, spintosi ben oltre il limite ed ha saputo gettare il cuore ben oltre l’ostacolo, di qualsiasi cosa si sia trattato. Le autorità politiche, oltre che del mondo della cultura e dello spettacolo, ad essere state raggiunte dalla bottiglia in formato magnum, sono state tante, ma a noi piace citare il dono fatto a Francesco Bergoglio e la Jéroboam dedicata a san Gennaro in ricordo di Procida Capitale 2022.

È stato proprio un “Incanto diVino”, potremmo dire, citando l’opera d’arte di Carolina Albano che ne è divenuta l’etichetta. Al termine del 2023 non sono mancate comunque le occasioni a Mosaico per Procida per attestare il buono e il bello che lo ha contraddistinto: Identità Mediterranea lo ha portato a Procida, per cui tutto è nato, alla Festa del Vino che non vi si celebrava da anni e che ha avuto luogo nel giorno dell’Immacolata, lo ha offerto ad un pranzo di beneficenza per la Caritas procidana, tenutosi il giorno successivo presso il ristorante Albatros, proprio dopo la celebrazione della consegna della bandiera di Città del Vino, alla presenza del sindaco Raimondo Ambrosino e dell’assessore Leonardo Costagliola, officiata dal presidente nazionale Angelo Radica. Salpata dall’Isola di Arturo, Identità Mediterranea è approdata verso un altro appuntamento: il 14 dicembre scorso, grazie ad un’idea di Francesco Di Martino, la piccola associazione culturale fondata da Gaetano Cataldo, ha presenziato alla cena di beneficenza organizzata, entro il progetto Punch Art Helps People, al ristorante La Gare di Pompei. In tale occasione è stata donata una bottiglia magnum di Mosaico per Procida a Giuseppe Peroziello, presidente dell’associazione onlus Live for Africa, di modo che, come per March of Dimes, possa essere battuta all’asta per finalità benefiche.

Infine, la stessa Identità Mediterranea ha partecipato anche alla manifestazione per la consegna della bandiera delle Città del Vino a Pozzuoli e, in segno di buon auspicio, ha fatto dono di un magnum della celebre bottiglia al capoluogo flegreo, consegnandola nelle mani dell’assessore Titti Zazzaro.

Officina 83 a Sala Consilina: un viaggio in moto custom nello stile american fast food e braceria selezionata

Marco Marrocco è una forza della natura, con i suoi 40 anni vissuti intensamente e le mille idee ancora da realizzare. Officina 83 è solo l’ultimo dei suoi nati, un locale in stile drive in anni ’60, con tanto di camioncino delivery all’esterno e Harley-Davidson da collezione all’interno.

Perché Marco ha la passione smodata per i cavalli a motore, il vento del mare e la buona cucina, magari con una valida proposta vini in abbinamento. Ho sempre ammirato la concretezza di chi svolge da anni l’attività di ristoratore. Agli inizi (nel 2011) non esisteva che un unico bancone dove i clienti potevano selezionare gli ingredienti di qualità per la composizione del piatto, potendo usufruire di uno spazio limitato per sedersi comodi.

Da allora le cose sono ben diverse, mentre il luogo, Sala Consilina, è rimasto quello di una volta, ancora bisognoso di aprire le menti verso le novità e le sirene provenienti dalle grandi metropoli. Marrocco cerca quotidianamente di essere avanti anni luce con i tempi: tra i primi a portare l’esterofilia del concept e del gusto nei propri locali, inclusa una ricca selezione di carni servite tra tartare, bun con hamburger, tagliate e costate di “varie metrature”.

E poi la ripartenza nei mesi della pandemia con un servizio impeccabile di consegne porta a porta. Tutto facile? Non sembra a giudicare dall’impegno continuo che lo vede coinvolto nell’ampliare la gamma delle pietanze e la carta dei vini giunta ad oltre 50 referenze italiane ed internazionali.

Marco Marrocco

In cucina il giovanissimo chef Giovanni Rocco, appena ventenne, sa coniugare energia e talento anche nell’impiattamento. Proveniente dall’Istituto Alberghiero ha davanti a sé un brillante futuro che ne smusserà alcuni angoli ancora acerbi; d’altro canto quando la mela è buona vale la pena coglierla direttamente dall’albero piuttosto che sceglierla dal cesto.

Il piatto firma di Officina 83, la tartare di manzo ai frutti di bosco è semplicemente perfetta. Realizzata alla moda francese, con quei richiami di senape anche nelle salse in accompagnamento ai bordi, resta ancorata nei ricordi dei miei migliori assaggi.

La picanha di Swamy, lavorata e frollata dallo staff a partire dalla mezzena, cosa rara solo in carta alle migliori steak house, ha subito un’affumicatura ai trucioli di Jack Daniel’s Tennessee Whiskey. Un carpaccio sottile e saporito con 3 diverse varietà di pepe in grani, burrata e scaglie di tartufo nero.

In ultimo, la classica tagliata di Angus U.S.A. con cardoncelli e parmigiano e la guancia di maialino cotta a bassa temperatura, servita con misticanza e broccoli saltati. Tenera al taglio, non eccessiva nelle componenti gelatinose e grasse che possono talora stancare il palato. Un viaggio tra sapori semplici, essenziali, senza trucco e senza inganno, nel cuore del Vallo di Diano.

Umbria: la visita da Fattoria ColSanto della famiglia Livon nello storico borgo di Bevagna

Da Fattoria ColSanto si arriva percorrendo un lungo e suggestivo viale di cipressi, disposti in duplice filare, che anticipa lo charme della Tenuta. Siamo nel centro dell’Umbria nello storico borgo di Bevagna, a pochi passi da Montefalco. 

La Storia

Nel 2001 l’azienda è stata acquisita dalla famiglia Livon, che ha subito iniziato a restaurare i ruderi del vecchio casale risalente al 1700, impiantando nuovi vigneti ad alta intensità. L’etimologia del nome deriva proprio da Colle, posta sulla sommità della collina di fronte ad Assisi, terra di Santi.
La proprietà ha un’estensione vitata di oltre 20 ettari, attorno alla nuova cantina, ove affondano le radici di varietà, quali, Sagrantino, Sangiovese, Montepulciano e Merlot e un appezzamento di tre ettari di Trebbiano Spoletino non lontano dalla fattoria. La “patria enologica” del Montefalco Sagrantino, il cui vino può a buon diritto essere considerato una perla enologica italiana sia nella versione secca sia passito. La struttura mette a disposizione ai propri clienti 12 eleganti camere ricavate nella vecchia villa padronale.

Fattoria ColSanto è immersa in uno scenario incantevole, dove la nutrita presenza di vigneti e uliveti ne fanno un territorio di straordinaria bellezza che cede il passo ai rilievi del Monte Subasio con cime innevate in questo periodo. La visita è iniziata dalla panoramica terrazza che offre una vista di ineguagliabile bellezza, dalla quale si vedono in lontananza Assisi, Spello, Trevi e Montefalco. Poi dritti in cantina, tra barriques, botti di varie dimensioni e anfore, a seguire degustazione dei vini anche dell’azienda friulana accompagnati da prelibatezze locali.

I Vini degustati

Fenis Livon – Ribolla Gialla Metodo Martinotti – Paglierino con riflessi verdolini, dal perlage fine e persistente. Note di fiori di camomilla, pera e pasticceria da forno, dal gusto fresco, sapido e lungo.

Collio Doc Chardonnay 2021 – Livon – Paglierino brillante, naso di mela, ananas, banana, pesca, nocciola e crosta di pane. Avvolge e persiste al palato con freschezza che stimola il sorso.

Collio Doc Friulano Manditocai 2021 – Livon – Riflessi dorati, sprigionante note floreali di pesco, frutta tropicale e noce moscata. Sorso ricco, avvolgente e vibrante.

Cantaluce Umbria Igt 2019 – ColSanto – Trebbiano Spoletino – Riflessi dorati,  con sentori di mela, pera, melone, frutta tropicale e erbe aromatiche. Fresco, rotondo e leggiadro.

Montefalco Sagrantino Docg ColSanto 2016 – Rubino profondo, emana note di marasca, melagrana,  mora, prugna, tabacco e spezie orientali. Grip tannico poderoso, ma setoso, avvolgente e duraturo.

Montarone Passito Umbria Igt 2016 – ColSanto – Sagrantino – Anch’esso rubino profondo, sentori di lavanda, confettura di more, ciliegie sotto spirito e prugne secche. Vino delicato ed appagante.