All’Osteria Pratellino i vini di Agricola Tamburini

Il giornalista enogastronomico Milko Chilleri di RossoRubino.tv, organizza con Francesco Carzoli, titolare dell’Osteria Pratellino, nel capoluogo toscano una serie di incontri enogastronomici, nel format “A tavola con il Produttore”. Un viaggio attraverso le principali zone vitivinicole della Toscana per valorizzare la ricca cultura enogastronomica del nostro Paese. Ogni serata è dedicata ad un produttore proveniente da uno degli otto areali. La location scelta è l’Osteria Pratellino. Per ogni cena vi è un menù dedicato ai prodotti di quell’area con abbinamento vini dell’azienda ospite. Il 31 ottobre è stata dedicata alla Val d’Elsa con Agricola Tamburini, con gli interventi di Emanuela Tamburini,  Michele Jerman e Francesco Carzoli.

Agricola Tamburini si trova a Gambassi Terme (Fi) nel cuore della Val d’Elsa e del Chianti. La Tenuta si estende su una superficie di 50 ettari di terreno, di cui 30 sono vitati e posti ad altimetrie che raggiungono i 250 metri s.l.m. Le varietà allevate sono: Sangiovese, Colorino, Canaiolo, Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e a bacca bianca: Trebbiano e Malvasia Toscana. La coltivazione della vite segue i dettami dell’agricoltura biologica. Tamburini produce vino ed olio extravergine d’oliva da ben 5 generazioni.Tutto ebbe inizio nel lontano 1890, anno di fondazione della Tenuta.

Dal 2002 al timone dell’azienda c’è Emanuela Tamburini, esperta e dinamica enologa, a rappresentare la più giovane generazione di Tamburini ed il marito Michele Jerman, figlio di Silvio che ha  fortemente contribuito al cambiamento del vino friulano. Michele è cresciuto in una considerevole realtà vinicola.  Sono una coppia molto unita, assieme,  sperimentano senza lasciare nulla al caso e con la loro esperienza maturata negli anni  danno origine a vini di eccellente qualità.

Osteria Pratellino si trova invece a Firenze, zona Campo di Marte. Un ambiente informale che propone piatti stagionali e territoriali con materie prime di elevata qualità. Aperto sia a pranzo sia a cena con un’ampia scelta di piatti per ogni tipo di palato e con una carta vini composta da oltre 150 etichette di ogni tipologia, regionali e non. Il titolare è Francesco Carzoli e  la cucina è affidata allo Chef Matteo Caccavo.

TJ Toscana Rosato Igt 2023  – Sangiovese 100% – L’acronimo T sta per Tamburini e J per Jerman. Un vino dedicato alla figlia Mariadele. Rosa tenue, emana note di viola, fragola, albicocca e mandarino, il sorso è vibrante e avvolgente.  Abbinato con Gota cotta su crostone all’olio Evo.

Il Massiccio Sangiovese Igt 2018 – Sangiovese 85% e Merlot 15% – Affinamento in vasche di cemento – Rosso rubino intenso,  sprigiona sentori di frutti di bosco, ciliegia, prugna e eucalipto, attacco tannico vellutato, fresco e sapido con chiusura lunga. Abbinato con Polpette di trippa con salsa di pomodoro.

Mike Limited Edition Toscana Igt 2020 – Sangiovese 100% da singolo vigneto – Rosso rubino trasparente,  al naso sviluppa sentori di prugna,  mora, ribes e spezie dolci,  la freschezza stimola il sorso,  elegante,  armonioso e duraturo. Abbinato con Maltagliati al ragù bianco di coniglio. 

Douscana Limited Edition – Sangiovese 50%, coltivato e vinificato in Toscana e Touriga Nacional 50%, coltivato e vinificato nella Valle del Douro – Rosso rubino intenso,  al naso spiccano note di violetta, amarena,  prugna,  mora e  tabacco accompagnate da nuances mentolate, al palato è pieno ed appagante, avvolgente e persistente. Abbinato con Stracotto di cervo con polenta.

Dulcis in fundo : Bongo (Profiteroles) abbinato con Gin Dry Castelgreve

Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima. (Marcel Proust)

Podere Ema, podere di libertà

La crisi vitivinicola in cui versa l’intero comparto mondiale è ormai sulla bocca di tutti. Che sia effettivamente così, complice costi, cambiamenti climatici o semplicemente mutamenti d’animo dei consumatori finali, fronteggiare le sfide di un mercato globale è diventato sempre più ostico per chi voglia cimentarsi nella difficile missione di vigneron. Con serietà, si intende.

In tutto questo avere una denominazione forte e coesa alle spalle può alleviare alcuni carichi da sostenere; ma Enrico Calvelli di Podere Ema non ama giocare facile. Nel 2014 subentra ufficialmente nella gestione aziendale che conosceva già dal lontano ’97. Siamo a Bagno a Ripoli, borgo posto al limitare di Firenze, dai riverberi classici delle colline chiantigiane. Il nome simboleggia un piccolo affluente del fiume Arno che scorre languido ai confini dei vigneti.

Enrico è ancora un contadino alla vecchia maniera, dai modi bonari e dalla mente sempre lucida pronta a rischiare, ma sempre con i piedi per terra per il bene della famiglia. Un piccolo campo sperimentale con 1000 barbatelle da 12 varietà autoctone lo rende persino visionario nel rispettare quanto di autoctono il territorio possa offrire, rispetto agli innesti internazionali.

Ma la vera novità del Calvelli, a proposito dell’amore per il suo terroir, è l’aver concepito una Fattoria Didattica con un’esperienza immersiva nella storia del vino e delle tipologie ivi prodotte. Una realtà davvero unica in tanti anni di visite che ho fatto in giro per l’Italia. Varcando la soglia della cantina di vinificazione, un video illustrativo introduce all’incontro virtuale con Dante e Gian Vettorio Soderini, che narrano la storia della vite e dei vitigni toscani, dal Sangiovese al Trebbiano, passando per la Malvasia Bianca e le rispettive caratteristiche.

L’avatar di Francesco Redi poi, con l’ausilio di efficaci ricostruzioni grafiche, ci immerge in un mondo fatto di lieviti e batteri che permettono la fermentazione del mosto in vino. Entrano in scena anche due simpatici personaggi: Eric (il lievito) e Joe (la malolattica), che con ironia ci guidano alla scoperta della seconda fermentazione del vino, quella che gli conferisce morbidezza. Nella terza sala, infine, incontriamo Pellegrino Artusi, che invita gli ospiti a vivere di persona l’esperienza sensoriale, grazie all’ausilio di dispense aromatiche che rendono possibile riconoscere i sentori e gli aromi presenti nei prodotti di Podere Ema, suggerendo anche abbinamenti con i piatti della tradizione toscana, come il peposo, la francesina e il pollo in galantina.

E veniamo alla degustazione dei vini

I’Bianco 2023: da Trebbiano Toscano e Malvasia. Buona acidità in ingresso, ma soffre l’annata non semplice chiudendo rapido su mandorla dolce.

Xenoi 2023: unica referenza prodotta con vitigni internazionali dal blend di Chardonnay, Viognier e Petit Manseng in parti uguali. Una follia lucida di Enrico, con il risultato di essere il vino più interessante della batteria, tra nuance delicate di biancospino e agrumi mediterranei. Lungo e attraente.

Rosso Ema 2022: classico, “alla Toscana”, di rapida beva e succoso. Colonna portante la speziatura dagli accenni balsamici e ciliegiosi che vanta il Sangiovese in queste terre. Preferibile la 2022 rispetto alla 2021 troppo incline a note amarostiche di rabarbaro e chinotto.

Chianti Superiore 2021: che dire, eseguito alla perfezione. Appetitoso e dinamico, con scie d’arancia sanguinella e rosa canina, chiudendo su erbe officinali tenere. Tannini in ottimo equilibrio.

Fogliatonda 2020: recupero di una varietà storica, che un manipolo di produttori ha salvato dalla scomparsa. Passa del tempo in anfora, prima di esprimersi al calice con sensazioni morbide e caloriche, pepe verde, arancia sanguinella e liquirizia. Un finale composto, senza sbavature.

Nocchino 2018: Sangiovese, Colorino e Fogliatonda per un vino scuro e denso, richiamo alla tradizione dei supertuscan e con utilizzo delle selezioni clonali presenti in vigna.

“Bada che Gota” e la gota cotta non ha più segreti

Nell’incantevole cittadina di Colle di Val d’Elsa (SI), a poca distanza dalle torri medievali di San Gimignano,  il 13 ottobre si è svolta la seconda edizione di “Bada che Gota”.

Visto il successo della scorsa edizione, il Comune in collaborazione con Aps Equilibrio e la Pro Loco, hanno organizzato di nuovo questo appassionante evento per valorizzare una specialità tipica locale: la gota cotta. Presenti ben 24 ristoratori lungo la via che da Piazza Duomo si estende verso il Baluardo; inoltre, birrifici e cantine per poter fare assaporare al meglio le varie preparazioni con questa singolare eccellenza colligiana.

Colle di Val d’Elsa gode di fama planetaria per essere il comune più importante per la produzione di vetro cristallino. Molto famoso inoltre per aver dato i natali ad Arnolfo di Cambio, al quale è stata dedicata la piazza principale ed il ristorante gourmet Arnolfo, due stelle Michelin, gestito dai fratelli Gaetano e Giovanni Trovato.

Il nostro tour è iniziato dalla RCR (Royal Cristal Rock), eccellenza del territorio per la produzione di bicchieri e prodotti affini. Abbiamo avuto la possibilità di vedere tutte le fasi di produzione del vetro, dai forni ai macchinari di soffiaggio, pigiatura, cernita e confezionamento dei prodotti finali.

Ci siamo spostati poi  al Museo di Santo Pietro, ex convento che vanta oggi varie opere di pittori celebri. La terza tappa è avvenuta alla Torre di Arnolfo, attualmente non aperta al pubblico; è allo studio un piano per la ristrutturazione e realizzazione di una terrazza panoramica con alcuni spazi dedicati all’artista Gino Terreni che li ha vissuto e dipinto diverse opere d’arte.

Dopo tanta arte, non poteva mancare una fermata per una pausa ristoratrice al Ristorante Il Frantoio, in piazza Duomo. Come suggerisce il nome le sale sono ricavate in un antico frantoio del 1800. Un ambiente elegante con  ottimo servizio e una cucina attenta ad utilizzare materie prime locali, ben realizzate e ben presentate.

La Gota Cotta è un prodotto di  salumeria che viene bollito in acqua non salata, a base di guancia o pancetta di maiale. Prodotto dai macellai di Colle di Val d’Elsa e solo da essi Toscana. La gota viene bollita per un periodo minimo di tre ore, poi cosparsa di sale e pepe ed altre spezie (processo adottato anche per la stagionatura) e quindi riposta in frigo o cella frigorifera per almeno una notte, prima di poter essere utilizzata. Da consumarsi preferibilmente entro una settimana, ma se messa sottovuoto si allunga il periodo fino a due mesi.

Un prodotto che può essere utilizzato per centinaia di preparazioni culinarie, sia con antipasti, panini, primi piatti e secondi piatti sia a base di carne sia di pesce.

“Bada che Gota”… bada che evento!

Arillo in Terrabianca, sogno di Toscana di Urs e Adriana Burkard

È un anno importante questo 2024, per la storia del Chianti Classico, poiché ricorre il centenario del Consorzio più antico d’Italia.

Nel cammino di tanta produzione vitivinicola, si inserisce dal 2019 la famiglia Burkard e il desiderio di Urs e Adriana di dar nuova vita e nuova relazione a tre anime distinte della Toscana. Arillo in Terrabianca è infatti un teorema vocazionale per tre tenute colme d’identità: il Chianti Classico a Radda con Terrabianca, la Maremma con Il Tesoro e la sua ispirazione avanguardistica, la Val d’Orcia a Colle Brezza con il percorso biologico e minimalista improntato a produzioni “boutique” e alla sostenibilità ambientale.

All’Hotel Rome Hilton Cavalieri di Roma, questi concetti sono stati celebrati in una serata dedicata alla presentazione di Arillo in Terrabianca e del suo “Teorema Toscano” che anima quest’azienda fortemente innovativa. L’introduzione e le parole di Daniela Scrobogna – FIS Fondazione Italiana Sommelier – hanno accompagnato una folta schiera di partecipanti alle degustazioni verticali di due vini epigoni dell’azienda e della sua rivitalizzazione: “Poggio Croce” Chianti Classico Riserva, e “Campaccio”, il Supertuscan di casa, tutti declinati nei vent’anni dal 2001 al 2021.

Fortissime le motivazioni organizzative e progettuali di Alberto Fusi, CEO dell’azienda e di Luano Benzi enologo di lungo corso di Arillo in Terrabianca. Introdotti alla sala da Dario Pettinelli, responsabile della comunicazione aziendale, hanno raccontato a corredo delle degustazioni ben 30 anni di territori, di evoluzioni dei vini, di ripensamento della viticultura in funzione di un intero ecosistema a garantire piena identità e, persino, modernità dei loro vini.

Da un’origine attenta ai vivai e i giusti cloni, improntata a estrazione, alcolicità e potenza, i vini di Arillo in Terrabianca hanno virato verso analisi minuziose della geologia delle tenute, assieme a una sempre più parca e attenta amministrazione delle acque. Fusi ha infatti illustrato come sia stata la centralità dell’agronomia, di concerto con la progressiva maggiore disponibilità di acque ben preservate, a determinare un intero salto quantico verso vini migliori e biologie dinamiche, con determinata attenzione alla Certificazione Equalitas.

In più, un’estensione perfino architettonica di questi concetti ha generato una cantina stato dell’arte disegnata dall’architetto Mario Botta, archistar svizzero tanto caro ai coniugi Burkard per aver sviluppato tridimensionalmente la loro visione di produzione e accoglienza verso i clienti.

I vini degustati hanno nettamente espresso questo cammino e questa visione. Al netto delle stagionalità e relative temperature e precipitazioni, ogni annata ha sempre più espresso in maniera riconoscibile nel tempo quella identità di territorio e quella leggerezza del Sangiovese rinvenibile tanto nel Chianti Classico quanto nel Supertuscan di casa.

Non solo un cambio della forma di allevamento, da cordone speronato a guyot, caratterizza la svolta della nuova proprietà e della sua squadra, ma il passaggio a rese minori in vigna e, in cantina, alla ricerca di maggior impatto aromatico, evitando la prevalenza del legno ma impiegando botti più piccole. I due vini degustati nelle annate dalla 2020 in entrambi i casi rivelano più eleganza, finezza e meno concentrazione.

La longevità è parimenti garantita, ma il transito da estrazioni muscolari e presenze eteree e austere, quasi marsalate, a bouquet di frutta e sottobosco, a tannini armonici e nobili rivolti al raggiungimento di quell’equilibrio di note che rende grande un vino in maniera internazionale.

È in particolare la trasformazione di Campaccio, da concetto austero e antico, informato di china e tabacco e sentori ferrosi, a un blend che include anche il Merlot dopo Cabernet Sauvignon e Sangiovese sempre dominante: non più concentrazioni difficili al food pairing, ma equilibrio e modernità distinti, dolcezze di gusto e spunti muscolari più suadenti.

Il cambio di direzione nel cammino è quindi evidente e manifesto. Arillo in Terrabianca guarda a produzioni, in purezza come in blend,  fatte di ricca mineralità in equilibrio con floreale e fruttato boschivo unici nel loro genere. Dal colore al finale, tanto Poggio Croce quanto Campaccio si ergono ad araldi della personalità e della rinnovata, più profonda e più innovativa identità.

I coniugi Burkard hanno realizzato una generazione di vini strutturati e profondi, ricchi di profumi e sfumature sensoriali, che contribuisce a spingere la Toscana al centro del panorama vinicolo internazionale.

Toscana: ritorno a Podere Marcampo nel segno del compianto Genuino Del Duca

Genuino di nome e di fatto. Era così il patron Del Duca, proprietario di Podere Marcampo e del ristorante Il Vecchio Mulino prima e dell’Enoteca Del Duca poi, sempre a Volterra. Dalla beneamata Arma dei Carabinieri, spostato dall’Abruzzo in Toscana, ha saputo tramutare estro e passione in un lavoro che diverrà, col tempo, la sua primaria occupazione fino alla precoce dipartita nel 2022.

Un calco di Genuino Del Duca

Aiutato sin dagli inizi dalla moglie Ivana e dai due figli, in particolare la giovane Claudia Del Duca, ha saputo credere fortemente in un territorio conosciuto solo per le rovine etrusco romane, l’alabastro, il sale ed il carcere. Il vino qui era considerato un fattore estraneo, nonostante le potenzialità delle classiche colline morbide toscane. Le balze circondano i confini agricoli del borgo medievale, regalando una visione unica nel suo genere per chi cerca un comodo rifugio dalla frenesia.

Claudia Del Duca

Podere Marcampo sarebbe stato destinato all’oblio senza l’impianto delle prime barbatelle nel lontano 2004. La prima annata ufficiale, targata 2007 dall’enologo Giacomo Cesari, suscitò subito l’interesse della critica di settore e qualche riconoscimento arriva già nei primi vagiti dell’azienda, inaspettato persino per l’istrionico fondatore.

Quale varietà d’uva coltivare è stata la prima domanda che si pose Genuino. Seguire la moda dell’epoca che indicava negli internazionali francesi (ed in particolare il Merlot) i più raccomandabili o andare verso la storicità della regione onorando sua Maestà il Sangiovese? Alla fine la scelta è ricaduta su entrambi, degni compagni di merenda anche uniti nell’assemblaggio.

Le argille azzurre e le sabbie miste a componenti saline ben si prestano nell’offrire vini corpulenti, quasi muscolari e voluminosi, ma dotati di un finale salmastro-iodato che ne caratterizza la loro identità anche nelle annate più difficili. Oggi, con i nuovi impianti che risalgono al 2017, l’azienda è arrivata a 5 ettari complessivi, tutti adiacenti la cantina suddivisi fra: Merlot, Sangiovese, Pugnitello, Ciliegiolo e Vermentino. L’azienda è certificata biologica dal 2021.

La degustazione tecnica ha riguardato le tipologie Sangiovese e Merlot in purezza ed il blend confluito nel Marcampo, in varie annate “in verticale”. Luca Rettondini, attuale guida enologica dopo l’arrivo nel 2022, pochi mesi prima della scomparsa di Genuino, ci ha aiutato nel racconto dei vini e della filosofia stilistica volta a snellire corpo e morbidezze verso agilità e trame tanniche saporite. Compito non semplice quando si ha già concentrazione in vigna con appena 40/50 quintali di resa per ettaro.

Interessante, prima di partire con i cavalli di battaglia, l’assaggio del Vermentino “Terrablu” nelle annate 2023 – 2021 e 2019 ognuna con la sua storia da raccontare. Polposa e acerba l’ultima nata, incredibilmente fruttata e succosa la mediana e delicatamente agrumata quella con maggior maturità. Adesso fiato alle trombe prima della chiusura finale parlando della visita al Museo Etrusco Guarnacci di Volterra.

Il Sangiovese del Severus

Severus 2020: floreale, tenue, con note di viola mammola, spezia scura (chiodi di garofano), erbe mediterranee ed albicocca. Tipico, identitario, elegante.

Severus 2019: manca di forza nel centro bocca, con fase evolutiva da agrumi rossi e tannini amaricanti sul finale. Resiste quanto basta.

Severus 2018: dimostra completezza e versatilità. Masticabile, sorso tonico su ciliege succose e nuance iodate. Prosegue su ricordi ferrosi con riverberi di arancia gialla e china su chiusura balsamica. Spinge in tenore alcolico.

Severus 2016: il Sangiovese sa regalare emozioni autentiche a patto che sia ben fatto e che il tempo non cominci la sua corsa inesorabile al declino. Qui c’è ancora quella dolce sensazione gelatinosa e calorica, ma poi sopravanza il legno e termina corto in malinconia.

Il Merlot del Giusto alle Balze

Giusto alle Balze 2020: elegante, fitto con sensazioni speziate e iodate tra pepe nero, tabacco e cacao fondente. Saporito e salino.

Giusto alle Balze 2019: caramello a tratti allappante. Inizia verde e termina amaro con sbuffi salati che impegnano la bocca.

Giusto alle Balze 2018: si distende maturo e appetitoso. Danza tra amarene sotto spirito, condite da pepe in grani e grafite. Chiosa con emazie, torrefazione di caffè e salsedine. Averne.

Giusto alle Balze 2015: la freschezza non è il suo forte, ma la densità riesce a compensare quella vibrazione ormai scomparsa. Un vino gastronomico, da ricette a base di selvaggina a lunga cottura di cui l’Italia è piena.

L’unione tra Sangiovese e Merlot nel Marcampo

Marcampo 2022: lamponato e astringente. Leggermente indietro, deve attendere ulteriore tempo in bottiglia finendo su china, liquirizia e radice di rabarbaro.

Marcampo 2021: l’era del frutto. Intensità espressiva, tra ciliegia e succo di pesca. Agile al sorso, legato alla spezia morbida e sottile dai riverberi minerali.

Marcampo 2020: conferma l’annata performante per l’areale. Fine e nella giusta maturità d’assaggio, con spinte officinali e floreali quasi melliflue. L’acidità non sorregge la potenza calorica.

Museo Etrusco Guarnacci

La bellezza senza tempo dell’ingegneria e delle abilità umane, quelle che fanno bene allo spirito. La guerra con altre popolazioni, se mai di guerra si possa parlare o piuttosto di lenta integrazione e fusione tra popoli e culture, ha portato dapprima l’influenza ellenica e, successivamente, romana nelle opere d’arte lasciate a noi dagli Etruschi.

Lo schema sociale avanzato dove le donne avevano un ruolo preponderante nelle attività economiche e familiari, la possibilità democratica di consentire degna sepoltura ai morti di ogni ordine sociale e la cultura avanzata ben predisposta alle contaminazioni esterne, fanno riflettere sulle nostre stesse origini. Una visita permessa grazie al Direttore Fabrizio Burchianti e alla guida Dott.ssa Stefania Piunti su richiesta di Claudia Del Duca stessa e dell’Ufficio Stampa e PR “DarWine&Food” di Claudia Marinelli.

A conclusione del magnifico tour per la stampa, il pranzo in azienda organizzato da Osteria Bis di Gaetano Trovato di Colle Val d’Elsa, con l’aiuto chef Alessandro Calabrese, già Executive Chef dell’Enoteca De Duca.

Il Chianti Classico raccontato nei vini di Vecchie Terre di Montefili

Oggi siamo da Vecchie Terre di Montefili, grazie all’accoglienza del direttore commerciale Stefano Toccafondi. Giornata splendida per fare quattro passi nei vigneti, prima di entrare in cantina. Il modus operandi dell’azienda tiene conto della particolare attenzione alla biodiversità di specie endemiche.

La chiacchierata con l’esperta Enologa e Agronoma Serena Gusmeri e poi a seguire la degustazione vini hanno arricchito la nostra esperienza con alcune nozioni sul territorio che vi racconteremo.

Vecchie Terre di Montefili è situata a Panzano in Chianti nel cuore del Chianti Classico, facente parte del comune di Greve in Chianti (FI), osta ad un’ altimetria di oltre 500 metri., sul crinale collinare che fa da spartiacque tra la valle di Greve e la Val di Pesa. Quando varchi il cancello della tenuta si gode di un panorama senza eguali e la quiete regna sovrana. 

L’etimo del nome deriva dal vecchio Castello Montefilippi, che andò in rovina nel periodo di lotta tra Guelfi e Ghibellini. La famiglia si ritirò definitivamente a Firenze e dopo poco il Castello cominciò a crollare, preda di chi necessitava di pietre e ferro per rafforzare o costruire ex novo la propria residenza. 

Il vigneto più vecchio di Vecchie Terre di Montefili risale al 1975 ed il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese. I tre proprietari amici, Nicola Marzovilla, Frank Bynum and Tom Peck Jr., hanno creduto e credono in questo straordinario vitigno, tranne un piccola parcella dedicata al Cabernet Sauvignon. E’ in programma la realizzazione della nuova cantina che andrà a facilitare le operazioni di vinificazione.

L’azienda possiede oggi la certificazione biologica; il suolo è ricco di argilla, ma a circa quaranta cm di profondità sono presenti galestro e pietra forte. Le rese nelle vigne per ettaro attuali risultano molto basse e l’elevata qualità dei vini si riscontra nel calice.  L’enologa e agronoma è Serena Gusmeri, entrata poco prima dell’autunno del 2015, dando sin da subito un nuovo impulso all’attività. Panzano è infatti un areale rinomato per la longevità dei suoi vini, per la famosa Conca d’Oro e per essere stato il primo biodistretto d’Italia. Panzano è divenuta ufficialmente una UGA all’ interno del comune di Greve in Chianti.

I vini degustati

Bruno di Rocca Toscana Igt 1999 – Cabernet Sauvignon e Sangiovese – rosso granato dalle sfumature aranciate, sprigionante note di lavanda, prugna, frutti di bosco maturi, tabacco liquirizia, sandalo e bacche di ginepro. Avvolge con accattivante suadenza e buona lunghezza. Spettacolare.

Anfiteatro Toscana Igt 2015 – Sangiovese 100% – rubino intenso dai riflessi granati, emana sentori di violacciocca, amarena, mora, arancia rossa, melagrana, charcuterie e spezie orientali. Sorso appagante, dai tannini setosi e ben integrati.

Chianti Classico 2020 – Sangiovese 100% – Rubino vivace, olfatto di violetta, ciliegia, ribes, grafite e curcuma. Al gusto è saporito, vibrante e generoso.

Chianti Classico Gran Selezione 2019 – Sangiovese 100% – Rosso rubino vivace, giungono subito note di rosa canina, marasca, lampone, seguite da rabarbaro, bacche di ginepro, pepe nero e nepitella. Rotondo, pieno ed equilibrato.

Le Mortelle: un sogno di Maremma della dinastia Antinori

Nel cuore pulsante della Toscana, tra colline ondulate e vigneti che si estendono a perdita d’occhio, si snoda una storia di passione, tradizione e innovazione che dura da oltre sei secoli. È la famiglia Antinori, che ha trasformato l’arte di produrre vino in vera e propria leggenda. Immaginate di tornare indietro nel tempo, alla Firenze del 1385. Mentre Dante aveva scritto la sua Divina Commedia e qualche anno dopo Brunelleschi avrebbe progettato la cupola del Duomo, Giovanni di Piero Antinori dava vita a quella che sarebbe diventata una delle più longeve dinastie vinicole del mondo.

Per 26 generazioni, gli Antinori hanno custodito gelosamente i segreti della loro arte, trasmettendoli di padre in figlio come un prezioso tesoro. Negli anni ’70, quando il mondo del vino italiano sembrava cristallizzato in antiche consuetudini, Piero Antinori osò l’impensabile. Con audacia e visione, ideò il Tignanello, un vino che sfidava ogni convenzione. Fu uno shock per i puristi, una rivelazione per gli appassionati. Quel gesto audace non solo ridefinì il concetto di vino toscano ma aprì la strada a una nuova era di “Supertuscans”, elevando il prestigio dei vini italiani in tutto il mondo.

Oggi, sotto la guida del marchese e delle sue tre figlie – Albiera, Allegra e Alessia – l’impero Antinori si estende ben oltre i confini della Toscana. Dalle colline umbre alle valli californiane, dal Cile alle terre selvagge della Puglia.

Le Mortelle: un sogno di Maremma

Siamo in bassa Maremma nei pressi di Castiglione della Pescaia, un luogo dove il cielo azzurro si fonde con il mare cristallino, dove le colline dolci si inchinano gentilmente verso la costa, e dove l’aria è permeata dal profumo di macchia mediterranea e salsedine. Le Mortelle, un sogno diventato realtà, nasce tra le siepi di mirto che lo contraddistinguono.

Era il 1999 ed il richiamo di questa terra incontaminata era troppo forte per essere ignorato. In quei vigneti ancora da piantare, in quei terreni piantati a frutteto ricchi di minerali, Piero Antinori vide non solo un’opportunità, ma una sfida sotto forma di vigneti che oggi si estendono a perdita d’occhio: filari di Cabernet Sauvignon che si alternano al Cabernet Franc, parcelle di Syrah che dialogano con Vermentino, Carmenere e l’Ansonica.

Ma la vera magia si svela agli occhi quando si scende in cantina, esempio d’architettura e di ingegneria. Costruita nel 2012, è un tempio sotterraneo dedicato al vino, un luogo dove modernità e tradizione si fondono in un abbraccio perfetto. Immaginate di camminare tra barrique di rovere francese, mentre sopra di voi, invisibile ma presente, la vita della tenuta continua il suo corso.

Ampio e Poggio alle Nane sono il fiore all’occhiello della Tenuta. Ma Le Mortelle non è solo vino. È un progetto di sostenibilità, un esempio di come l’uomo possa dialogare con la natura senza sopraffarla. Pannelli solari che catturano l’energia del sole toscano, sistemi di climatizzazione naturale che sfruttano la freschezza della terra: ogni dettaglio è stato pensato per rispettare e valorizzare l’ambiente circostante.

Vengo accolto da Barbara Fredianelli, referente dell’azienda maremmana, che mi racconta della storia della cantina e mi descrive i vini espressione del territorio.

La degustazione

Vivia 2023

Il nome è un tributo ai vitigni che lo compongono: Vermentino, Viognier e Ansonica. Ma c’è di più: VIVIA è anche il nome della nipote del leggendario Marchese Piero Antinori, aggiungendo un tocco di storia familiare a ogni sorso. La prorompente sapidità sveglia i sensi con note di pesche bianche succose e invitanti. Un soffio di brezza marina porta con sé le nuance agrumate. E poi, come un ricordo d’infanzia, ecco sbocciare il profumo delicato della ginestra, che riempie l’aria di primavera per chiudere su mango maturo al palato.

Botrosecco 2022

Immaginate di percorrere un sentiero polveroso nella selvaggia Maremma toscana, il sole del tardo pomeriggio che filtra attraverso le fronde degli alberi secolari. Il vostro cammino vi porta a un antico fossato prosciugato, un “botro” come lo chiamano qui. Il nome “Botrosecco” evoca immediatamente immagini di una natura tenace, che resiste e prospera nonostante le avversità. L’aroma di frutta rossa matura avvolge come un abbraccio caldo, evocando ricordi di estati passate e promesse di momenti indimenticabili. Le note speziate danzano intorno a voi, stuzzicando i sensi e invitandovi a esplorare più a fondo. Al sorso le componenti dure e morbide si bilanciano con maestria, che si esaltano sulle erbe aromatiche tipiche della Maremma. Il profumo del rosmarino selvatico, del timo e della salvia che crescono spontanei tra le rocce e poi tabacco e cacao amaro in finem. Fermentazione in tini d’acciaio dove la temperatura è controllata e dodici mesi di paziente attesa in barrique di secondo e terzo passaggio.

Poggio alle Nane 2021

Colori, profumi e sapori che raccontano una storia di passione. Sensazioni che evocano la ricchezza di questa terra generosa. La struttura importante e complessa si rivela già al naso, echi dei grandi Supertuscan con un’impronta unica e inconfondibile. Immaginate la cura con cui ogni grappolo viene diraspato, la pazienza certosina nella selezione manuale dei migliori acini sul tavolo di cernita. Visualizzate i tini di acciaio tronco-conici sospesi dove avviene la fermentazione, un’opera d’ingegneria creata ad hoc per l’uso.

E poi sedici mesi di affinamento in barrique, per la maggior parte di primo passaggio, la “gemma” della produzione, che richiede tempo e attenzione per rivelare la sua vera essenza. Un compagno per le occasioni speciali.

Le Mortelle è un angolo di paradiso per gli amanti del vino, una delle stelle più belle della costellazione Antinori.

COLLINE ALBELLE: Julian Reneaud un enologo francese approdato in Toscana

Ascoltare il racconto di Julian Reneaud di Colline Albelle è stato affascinante, mi ha trasportato in luoghi lontani, è stato un po’ come fare il giro del mondo insieme a lui. Un racconto che celebra il suo spirito d’avventura e il desiderio di esplorare il mondo. Enologo e agronomo, terminati gli studi, decide di seguire le vendemmie in giro per il globo ponendosi come sfida quella di non prendere mai l’aereo. Parte in autostop da Carcassonne, la famosa città fortificata a sud della Francia, alla volta del porto di Bordeaux dove trova lavoro a bordo di uno yatch che gli dà l’opportunità di attraversare l’Atlantico.

Approdato prima a Cuba e poi in Messico è in California che si ferma per partecipare alla sua prima vendemmia. Prosegue poi per altri Paesi: Sud America, Australia, Nuova Zelanda e per finire attraversa l’Asia. Soddisfatto da questa sua prima avventura, si rimette in viaggio, questa volta verso l’Africa, quindi il Sud America e gli USA. Si ferma nuovamente in California dove gli viene offerta l’opportunità di far parte dello staff della cantina Opus One: lì rimarrà per due anni collaborando alla produzione di un vino che riceverà il massimo punteggio dalla guida di Parker. Evento che gli farà ricevere proposte interessanti, una di questa arriva nel 2013 dall’azienda toscana Caiarossa a Riparbella che gestirà enologicamente per quattro anni.  

Ma Julian sogna in grande, il desiderio di avere una cantina tutta sua è sempre presente e l’incontro con due donne del vino bulgare, Dilyana Vasileva e Irena Gergova lo porterà alla svolta. Un giorno passeggiando insieme a loro, accade qualcosa: “Abbiamo svoltato in una strada stretta e iniziato la ripida salita sulla prima dorsale della Costa Toscana. A circa 350 metri di altezza, siamo stati accolti da un panorama aperto, il sole e le poche nuvole pennellate sullo smalto blu del cielo. A catturare la nostra attenzione un vigneto abbandonato, bellissimo e dal grande potenziale. Abbiamo deciso che era ora di riportarlo in vita”

Riparbella, antico borgo medievale sulle colline a nord di Bolgheri, vanta una natura ancora incontaminata che negli ultimi decenni ha assunto un modello di viticoltura biologica e naturale.

La zona ha tutti gli elementi favorevoli per la produzione della vite:

  • Terreni sabbiosi, ben drenati, ricchi di sassi, sono l’indicatore di un’alta potenzialità agronomica;
  • alte quote che regalano lunghe giornate fresche e soleggiate, dove le difficili condizioni di crescita della vite apportano concentrazione e carattere. Tutto questo dona ai vini una grande densità e una vivace aromaticità;
  • l’influenza costiera caratterizza le vigne con freschi venti marittimi e una foschia mattutina, permettendo all’uva di mantenere l’equilibrio e l’eleganza mentre dona una particolare salinità al vino.

Colline Albelle prende forma così nel 2016: 40 ettari di terreno (20 di bosco e 20 di vigna), il nome ricorda i suoli tufacei chiari della zona, Albella: bianca L’idea di seguire i principi dell’agricoltura biologica e biodinamica porta Julian ad acquistare bestiame, al quale verrà affidato il lavoro di ripulire la macchia intorno alle vigne, che dopo due anni di ristrutturazioni tornano produttive. La biodiversità è tangibile, lavorando con il sovescio che fertilizza in modo naturale. La presenza delle api nei vigneti rappresenta una straordinaria risorsa: preservano la biodiversità degli stessi e giocano un ruolo fondamentale nella riproduzione dei fiori della vite.

Anche l’uomo fa la sua parte. I vigneti sono allevati secondo il sistema a guyot e a cordone speronato, ma su queste due classiche tecniche, l’azienda lavora ulteriormente sulla selezione con una particolare azione di potatura. L’idea – studiata sul campo – punta ad ottenere due grappoli per pianta di dimensioni minori e lievemente più tardivi degli altri. Al momento della vendemmia, saranno questi elementi a offrire una particolare nota di freschezza ai vini grazie a un pH più basso.

La prima vendemmia arriva nel 2020. L’inverno mite e poco piovoso ha consentito una buona ripresa dell’attività biologica del suolo (non più trattato dal 2016). La primavera con le giuste piogge che hanno integrato le riserve idriche in vista dell’estate. Il 14 agosto è stato raccolto il Vermentino: “abbiamo raccolto uve di grande qualità, ricche in aromi freschi e fruttati e in uno stato sanitario perfetto, con grappoli spargoli e bel distribuiti sulla pianta” racconta Julian. “Il giorno dopo, è stata la volta del Merlot che si è presentato di grande intensità e dal colore deciso, permettendoci di lavorare lentamente e a bassa intensità su canoni d’estrazione”. Il Sangiovese è stato vendemmiato il 14 settembre offrendo uve sane e con ottime concentrazioni di zuccheri, polifenoli ed aromi.

La Degustazione

Colline Albelle Inbianco unVermentino in purezza con una particolarità: il suo grado alcolico è di soli 10 gradi, primo e unico Vermentino italiano con questa gradazione. L’ispirazione per produrre questo vino, racconta Julien, arriva da una vendemmia fatta in Champagne. Colpito dalla trama aromatica delicata e floreale della base spumante, che nella produzione degli spumanti non è bevibile, decide di creare un vino fermo con le stesse caratteristiche aromatiche.

Da qui l’idea di anticipare la vendemmia: di solito il Vermentino in Toscana viene vendemmiato nella prima settimana di settembre, il suo il 13 di agosto, l’uva non è completamente matura, facendo una pressatura leggera le prime gocce che fuoriescono sono dolci, pressatura a 0.6 che per bianchi di solito è a 1.2 bar. Si estrae così un mosto senza troppe note vegetali.

Il vino fermenta a bassa temperatura con lieviti indigeni e fa anche la malolattica per abbassare la freschezza. Finisce il percorso con 6 mesi di affinamento in barrique di legno crudo piegate al vapore che non incide sulla trama aromatica del vino, non dà note terziare. Una vera scommessa che ha provocato tanta curiosità ma anche qualche scetticismo da parte di colleghi enologi. Poche bottiglie, 3300 nel 2021. All’assaggio Inbianco è ben strutturato con note di pesca, miele e finale minerale.

Colline Albelle Inrosso, Merlot in purezza rivisitato. La particolarità è data dalla lavorazione che viene fatta in vigna durante la fase vegetativa della pianta. Una procedura particolare di potatura che porta il prodotto finale ad avere note vegetali più marcate che normalmente sono assenti nel Merlot. All’assaggio presenta note di frutti rossi e una leggera speziatura, è presente la vena balsamica, la foglia di pomodoro e i chiodi di garofano. Il tannino è elegante e ben integrato.

Serto Sangiovese in purezza. Colore impenetrabile; al naso frutta nera matura, qualche cenno officinale e sottobosco. Una bella declinazione di Sangiovese con tannino elegante e buona struttura.

L’accoglienza

Colline Albelle è anche ospitalità, infatti la proprietà si completa di un grande casolare, Villa Albella, una dimora raffinata per soggiorni all’insegna della tranquillità e dell’eleganza. A completare il progetto, l’inizio della costruzione di una cantina con annesso ristorante e spazio degustazione.

Jiulien mi conduce verso la fine dell’intervista sottolineando come la sostenibilità è per Colline Albelle una filosofia di vita, un chiaro impegno verso l’ambiente e la conservazione delle risorse. L’azienda ha in dotazione anche un apiario. “Nel primo anno abbiamo avuto la bellissima sorpresa di vedere tre sciami arrivare nelle nostre vigne, gli abbiamo dati casa e deciso di non prendere il miele” racconta Julian. Da tre, il primo anno, siamo arrivati oggi a più di 50 arnie in azienda. A questo ritmo, arriverà presto il tempo di una piccola produzione di miele.

Montalcino: la degustazione dei vini di Camigliano

Vi abbiamo già parlato di Red Montalcino, l’evento creato per celebrare il Rosso di Montalcino in una terra che ha fatto la storia dell’enologia italiana (Red Montalcino: il Rosso di Montalcino festeggia i suoi primi 40 anni).

Mancava ancora un tassello al racconto, quello riguardante la storia di una famiglia, un borgo medievale e della cantina che degnamente lo rappresenta. Stiamo parlando della famiglia Ghezzi che gestisce l’azienda Camigliano dal 1957, anno di acquisizione dei poderi censiti nell’omonimo borgo rurale.

Silvia Ghezzi ci accoglie con la calma serafica di chi vive la quiete dello stare a contatto con la natura, i suoi silenzi, i suoi prodotti.

L’azienda viene raccontata dalle parole di Sergio Cantini, il direttore tecnico. Siamo in una zona di media collina, tra i 300 ed i 400 metri d’altitudine, con suoli profondi ricchi di sabbia, limo e argille. Giunti alla quarta generazione, la cantina rappresenta la storicità di Montalcino, con ben 95 ettari vitati di cui 50 iscritti a Brunello, per un totale di 200 mila bottiglie prodotte ogni anno.

La filosofia stilistica ha vissuto momenti di cambiamento, così come in tante altre Denominazioni d’Italia. Dai retaggi di un passato “nobiliare” in cui i vini erano frutto più di scelte empiriche sul campo che di corrette considerazioni tecniche, si è passati alla ricerca del mercato perfetto, con estrazioni e maturazioni all’epoca considerate invitanti, ma inapplicabili ai contesti attuali dalle temperature climatiche e potenze caloriche ormai fuori scala.

Bisognava, quindi, intervenire recuperando quelle agilità e quelle finezze di sapori un po’ smarrite nell’epoca dell’uso/abuso del legno e delle vendemmie posticipate. Un processo di snellezza simile ad una dieta accurata, che ha portato i suoi frutti con prodotti dinamici, dai tannini meno impegnativi seppur fitti (stiamo pur sempre parlando del Sangiovese).

La famiglia Ghezzi

E tutto ciò lo ritroviamo oggi nel calice, durante il momento degli assaggi nella caratteristica sala degustazione, accogliente quanto un salotto di casa. In etichetta il simbolo del dromedario, nato dalla leggenda che Camigliano fosse un luogo di templari nell’antichità. Il deserto, almeno metaforicamente, è arrivato con un vento di passione e di novità importanti.

La prima, senza dubbio, è il sorprendente Vermentino del Gamal annata 2023: salino, floreale e mediterraneo, senza opulenza e senza acidità costruite a tavolino per compensare eccessi di struttura che il varietale può offrire. Beva giocosa e buon allungo finale, duttile a tavola e nei momenti conviviali.

Scaldati i motori si parte con il Brunello di Montalcino 2019, ancora in fase di assestamento con la dovuta evoluzione in bottiglia che richiede la tipologia. Delineata e succosa la ciliegia, cala leggermente nel centro bocca e recupera nell’aggancio finale per la trama tannica elegante e saporita.

Il Brunello di Montalcino “Paesaggio inatteso” 2019 è una selezione piena, salina e materica. Tannini svolti da manuale, certamente più pronti rispetto alla versione base. Non nascondiamo altresì fiducia anche nello scorrere del tempo in cantina. Suadente la scia balsamica ed officinale con tocchi di salsedine sul finale da condurre davvero verso le dune sabbiose del mare.

Montalcino: visita da Casanuova delle Cerbaie

Il mese di agosto è iniziato decisamente bene, con la visita da Casanuova delle Cerbaie a Montalcino. Recarsi nella patria  del Brunello è sempre molto appassionante, anche nelle giornate torride come quelle estive. Le temperature sono elevate, ma la costante ventilazione aiuta a stemperare la calura climatica.

Mi hanno accolto Simone Carlotti e Cristina Migliore del Wine Hospitality. All’ombra di una quercia secolare ho ammirato lo scorcio su alcune vignee di proprietà e ascoltato con piacere la storia dell’azienda, per poi entrare in cantina nel reparto vinificazione e affinamento vini.

È seguita la degustazione dei loro capolavori in un’accogliente sala ben climatizzata, dove ho avuto il piacere di essere stato raggiunto anche dal direttore Alessandro Brigidi. Alcune nozioni sull’azienda anticipano le note sensoriali dei vini degustati.

La storia

Casanuova delle Cerbaie nasce nel 1980, anno in cui una gentildonna di origini tedesche si innamora di questo meraviglioso lembo di Toscana e dà vita all’attuale realtà. Non avendo eredi, nel 2008 la proprietà passa in mano a Roy Welland, grande appassionato e collezionista di vini.

L’azienda vitivinicola si trova sotto il centro abitato di Montalcino, nel quadrante settentrionale; i vigneti sono posti ad un’ altimetria che varia dai 250 ai 350 metri sul livello del mare, su terreni ricchi di argille e rocce calcaree. La superficie occupa 15 ettari di terreno, di cui 10 interamente vitati con la varietà Sangiovese (Grosso). Gli appezzamenti si trovano intorno alla tenuta ed nelle vocate zone di Montosoli e Casato.

I restanti ettari sono suddivisi tra oliveto, bosco e una piccola parte di seminativo. Una favorevole esposizione ed un microclima ideale con rese molto basse per ettaro sono elementi imprescindibili per dare origine a vini di elevata qualità ,che si contraddistinguono per eleganza gusto-olfattiva. Le uve vengono vinificate separatamente con l’uso di lieviti indigeni. L’ affinamento avviene in botti rotonde da 20 hl e ovali da 24 hl. I vini sono molto identitari: rispecchiano appieno l’areale, coniugando finezza e struttura data anche dai cambiamenti climatici.

La degustazione

Rosso di Montalcino 2022 – rubino trasparente, al naso giungono sentori di violetta, ciliegia, prugna, tabacco  e spezie dolci. Sorso pieno,fresco e saporito, dotato di buona facilità di beva.

Brunello di Montalcino 2019 – vira al granato intenso. Olfatto su eleganti sentori di amarena, bacche di ginepro, liquirizia, e sottobosco. Finale avvolgente, con setosa trama tannica e lunga persistenza aromatica.

Brunello di Montalcino 2018 –  Granato puro, accompagnato da buona trasparenza, al naso è fine e complesso, sprigionando note di prugna, pepe nero, polvere di cacao e caffè, arricchite da nuance balsamiche e agrumate. Appaga al gusto con coerenza e sapore.

Brunello di Montalcino Vigna Montosoli Riserva 2018 –  Il CRU dal colore granato luminoso, con accenni di ciliegiamatura, mora selvatica, sottobosco e spezie orientali. Morbido e suadente dotato di ottima lunghezza in chiusura.

Società Agricola Casanuova delle Cerbaie

Podere Casanuova delle Cerbaie 335

53024 Montalcino (SI)

Tel. +39 0577 849284

https://www.casanuovadellecerbaie.it