Un giorno a Padula: tra storia, arte, cultura e gastronomia

Un giorno a Padula (SA) può cambiare la vita? La risposta andrebbe articolata se aggiungiamo alla domanda iniziale il naturale prosieguo: un giorno a Padula, tra storia, arte, cultura, gastronomia e persino legalità può cambiare la vita? Certamente sì! Parlando, ad esempio, di rispetto della Legge e delle Istituzioni che la applicano a fatica in territori affatto semplici.

Lo racconta ai microfoni di 20Italie l’erede di Joe Petrosino, quel Nino Melito Petrosino unico pronipote del primo vero “detective” della polizia americana. Siamo nella Casa Museo, la sola in Italia dedicata ad un martire delle Forze dell’Ordine; il 19 ottobre 1883 Joe Petrosino riceve il fatidico distintivo, dopo una gavetta impensabile passata persino dal ruolo di netturbino.

Grazie all’esperienza acquisita per le strade, impara presto la tattica del camuffamento e dell’intercettazione, sventando diversi pericoli e attentati. Di lui se ne celebra ancor’oggi il ricordo negli Stati Uniti, con una sorta di festa nazionale per l’immensa gratitudine del popolo americano al sacrificio (pagato a caro prezzo) nel combattere la Black Hand (la Mano Nera) mafiosa.

Palermo gli fu fatale, giunto in visita in incognito per comprendere le dinamiche della associazioni criminali, una soffiata ne fece saltare la copertura consegnandolo ai colpi di pistola dei sicari. “Chi salva una vita salva il mondo intero” è scritto nel Talmud di Babilonia. La vita di Petrosino non è stata salvata, ma con la sua opera incessante, gli arresti eccellenti e i dossier scottanti, sono state salvate migliaia di vite umane da morti efferate e inique vessazioni.

Alleggeriamo il discorso adesso con le parole di Francesco Barra – Fattoria Agriturismo Alvaneta – per spiegare il peperone corno di capra nella sua versione crusco, cotto e croccante. Una ricetta facile da realizzare lo vede unito alle uova strapazzate, o agli gnocchetti con baccalà e olio piccante. Il Sud chiama con i suoi sapori forti.

Ci spostiamo nella Certosa di San Lorenzo, sito Patrimonio Unesco, per incontrare Caterina Di Bianco, Vicesindaco in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale di Padula, Ente che ci ha concesso gentilmente interviste e visite ad imprenditori e aziende locali a chilometro zero.

È il caso di Nicola Cestaro con il socio Francesco Ferrigno che hanno realizzato la startup 1306 con la presentazione al pubblico di Silentium – antico elixir certosino, nato da una miscela di oltre 70 tra spezie ed erbe officinali seguendo le ricette dei monaci. O Vincenzo Fagiolo ed il suo Amaro del Tumusso, un prodotto elegante dall’innovativa tecnica di affinamento per ben 60 giorni in anfore di terracotta.

Concludiamo la parte gastronomica e agroalimentare menzionando Riccardo Di Novella, direttore dell’Eco Museo della Valle delle Orchidee e delle Antiche Coltivazioni, tra innumerevoli varietà di fiori e piante mediche presenti sul territorio. Ed infine l’Associazione L’Aquilone che prepara le polpette della mietitura, fatte con salsiccia sbriciolata e melanzane, avendo sempre cura di esaltare le potenzialità e le tradizioni del territorio.

La visita al Battistero Paleocristiano di San Giovanni in Fonte del IV secolo, le cui fondamenta poggiano su un’autentica fonte battesimale, è un luogo di rara e mistica bellezza senza tempo.

Gli fa degna compagnia il Convento di S. Francesco D’Assisi, con il suo meraviglioso chiostro dove trovare pace e meditazione.

Un ringraziamento particolare va a Monaci Digitali Srl, con Gianluca e Chiara che svolgono un importantissimo ruolo di comunicazione e riscoperta del territorio, grazie a un progetto di smart working che prevede l’ospitalità tra la magnifica Certosa e il Convento di San Francesco di operatori che lavorano in remoto. Quest’ultimi potranno rivivere le atmosfere dei monaci certosini conoscendo altresì le molteplici meraviglie del Vallo di Diano. Tanti i momenti dedicati anche al trekking, alla cultura enogastronomica ed all’interazione con le Amministrazioni Pubbliche.

Possiamo affermare, parafrasando un antico motto, che anche Padula… val bene una messa.

Lazio: in Ciociaria a passeggio tra le terre del Cesanese

Ma quanto è bello il territorio del Cesanese! Un viaggio nella terra dello storico vitigno autoctono originario del Lazio e precisamente in Ciociaria.

In una bellissima giornata di sole mi trovo dapprima nell’areale del Cesanese del Piglio DOCG in compagnia del Direttore di 20Italie Luca Matarazzo, per approfondire le caratteristiche di questo vitigno rosso che dona vini paragonabili alle tipologie più blasonate. Abbiamo incontrato vignaioli artigianali che ci hanno entusiasmato ed emozionato con le loro storie e con i loro prodotti, dove ogni vino diventa un vero e proprio abito sartoriale in cui si rispecchiano gli elementi distintivi del territorio e della passione di chi lo realizza.

Questo affascinante angolo d’Italia offre molto più di un semplice bicchiere. Paesaggi pittoreschi, tradizioni secolari e una cucina deliziosa che si fondono per creare un’esperienza indimenticabile. Situata nelle colline a sud di Roma, le terre del Cesanese rappresentano un piccolo incanto ricco di borghi, ciascuno con la propria storia e cultura. Quest’areale è stato a lungo celebrato per la sua tradizione vitinicola e culturale; Qui puoi passeggiare per stradine lastricate, ammirare antichi edifici e immergerti nelle tradizioni locali. Impossibile perdere l’opportunità di visitare le cantine storiche, dove i produttori condividono con orgoglio la loro eredità e le loro tecniche tramandate di generazione in generazione.

Sfatiamo il mito della differenza tra Cesanese Comune e di Affile. La leggenda ci parla di questi due vitigni dove il primo è noto per il grappolo più grosso e gli aromi di frutti rossi, dai tannini morbidi. Quello di Affile si dice che tende ad essere più verticale nelle sensazioni organolettiche. Tutta questa differenza, alla fine, non è così evidente e le recenti ricerche dimostrano come la suddivisione sia errata, restituendo importanza a suoli e condizioni pedoclimatiche variabili.

LA VISCIOLA

La prima tappa della nostra visita nel Comune di Piglio, riguarda la Cantina La Visciola di Piero Macciocca, coadiuvato dalla moglie Rosa Alessandri e la figlia Cecilia. Piero è un vero vignaiolo artigianale e la prima impressione, vedendo la piccola cantina ricavata in una sorta di locale deposito, è per una piccola vendita di vino alla buona. L’enorme sorpresa arriva al momento dell’assaggio dei vini, a conferma che non bisogna mai giudicare dalle prime impressioni. La vinificazione in questa cantina è seguita con maestria dall’enologo Michele Lorenzetti. Esperienza e competenza l’altissima qualità rinvenuta nel calice.

Le viti sono coltivate secondo i principi della biodinamica in quattro piccoli appezzamenti per un totale di quasi 6 ettari dai quali provengono i cru che prendono il nome proprio dal terreno di provenienza come il Priore “Mozzatta”, Priore “Ju Lattaro”, Priore “Vignali” e Vicinale. I terreni sono prevalentemente composti da argille rosse ad esclusione del Mozzatta che è composto da argilla bianca e calcare che donano maggiore eleganza e finezza. Priore è il soprannome invece di Piero.

Se volessimo ipotizzare un rapporto tra cantina e vini, per la Visciola esso è “piccola cantina, grandi vini”. In particolare mi riferisco ai cru Cesanese che sono gestiti con una tale capacità che risultano eleganti, con una bocca bellissima già a partire dal  Vicinale. con un crescendo sempre maggiore dove la nota leggermente affumicata è il filo conduttore.

Ecco alcuni appunti di degustazione

Vicinale 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°, è il cavallo di battaglia di Piero la cui uva Cesanese viene raccolta dai vari vigneti, dal colore limpido e brillante, al naso coerente con frutti rossi ma anche mirto e note speziate, aromatiche e fumée. Equilibrato in cui nessuna componente prevale in modo determinante sulle altre. Un vino che ci ha fatto esclamare: “’mazza quanto è bono!”

Priore “Vignali” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Intenso e persistente, ricco, frutti rossi, mirto, spezie, in particolare pepe, leggera nota di tostatura. Qui si inizia a sentire la differenza del cru dove la natura detta legge e si sente l’identità territoriale del vigneto.

Priore “Ju Quartu” 2021 Cesanese del Piglio DOCG 13,5°. Ritrovo il Vignali con la differenza che i sentori virano maggiormente verso il frutto di bosco e il melograno.

Priore “Lu Lattaro” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Si differenzia dagli altri appena degustati dal colore che in questo caso non tende al granato, ma è di un rosso rubino brillante. Un capolavoro di vinificazione dove prevale la frutta rossa matura, erbe mediterranee, note balsamiche mentolate e liquirizia. Una bella freschezza con un finale morbido e caldo.

Priore “Mozzatta” 2020 Cesanese del Piglio DOCG 14°. Una bella spina acida che non è esagerata ed è ben bilanciata dai tannini morbidi e setosi. Ovviamente frutti rossi, in particolare lampone e ribes nero. Piante officinali e spezie come china, cannella… un sorso bellissimo che pulisce la bocca e chiede un sorso dopo l’altro. Il finale è lungo e persistente e leggermente sapido. Una bevuta che si ricorda.

Nostrano Lazio Rosso IGT 2020 vinificato con uve Maiolica, un vitigno di origine toscana, imparentato con il Coda di Volpe Rosso. Giovane, piacevole e fresco con belle note di ciliegia e spezie.

Donna Rosa 2021 Passerina del Frusinate IGT 12,5°. Leggermente astringente con un po’ di tannino, morbido, floreale, sambuco.

Cupella 2021 11°, Frusinate IGT Bianco Frizzante rifermentato in bottiglia. Una bella freschezza, note solfuree e agrumate.

L’AVVENTURA

Sempre a Piglio, dopo aver percorso una breve distanza giungiamo al Casale Verdeluna che si erge sulla collina circondata da vigneti di Cesanese dove ci accolgono Gabriella Grassi, Stefano Matturro e il loro bellissimo cane. Il Casale è un agriturismo con una capacità ricettiva di 6 camere e un ristorante che riesce a soddisfare tranquillamente cento coperti, oltre ad essere anche la cantina dei vini L’Avventura. Oggi si direbbe “Wine Resort”, ma qui si respira ancora la tradizione contadina locale, dove è possibile gustare i piatti tipici rivisitati dallo Chef Giuseppe Rossi, che utilizza materie prime di qualità a chilometro zero.

SaxaPasserina del Frusinate IGT 2022 12°. Fresco con una intensità floreale tale da farlo sembrare un semi aromatico. Una bella frutta a polpa bianca che chiude con una verve di sapidità che torna a ristabilire gli equilibri.

Campanino” Cesanese del Piglio DOCG Superiore 2020 13,5°. Tra le gemme vinicole di una cantina si cela spesso un vino che incarna l’anima della terra da cui proviene. Il Campanino è uno di quei vini. Note canforate si mescolano con profumi di frutti rossi, creando un bouquet olfattivo che cattura l’attenzione e l’immaginazione.

Picchiatello” Cesanese del Piglio DOCG Superiore. Complessità aromatica che evoca la macchia mediterranea, il naso si riempie di sentori che richiamano le erbe aromatiche e le spezie, promettendo un’esperienza sensoriale unica. Espressione di eleganza con tannini fini che coccolano il palato, oltre a una testimonianza del legame profondo con la tradizione locale.

Camere Pinte” Cesanese del Piglio DOCG Riserva 2021 15°. Profondo e complesso, riserva una serie di sorprese per chiunque sia pronto a scoprire l’ampia gamma di sfumature che il Cesanese può offrire. Si apre con un bouquet intenso e complesso di aromi speziati di pepe nero e tocchi tostati avvolgono i sensi, creando una promessa di profondità e complessità. Trama tannica vellutata.

L’avventura” è il nome scelto dai proprietari, nel momento in cui hanno deciso di intraprendere il cammino di produttori di vino, provenendo da un altro settore, e trovandosi dal notaio per scegliere il nome della nuova attività, si sono chiesti come avrebbero chiamato questa nuova avventura? Ben fatto!

www.agriavventura.it

DAMIANO CIOLLI

Inerpicandoci per le stradine di Olevano Romano, si arriva a casa di Damiano dove si trova anche la cantina. Il vino Cesanese di Olevano Romano è stato per molti anni il più richiesto nelle osterie di Roma ed era un sostentamento sicuro per molte famiglie tra cui il nonno Guido e poi il papà Costantino. Damiano appartiene alla generazione che ha ereditato da loro la passione per il vino, dandogli una svolta trasformando così dal 2001, la produzione da vino sfuso a vino da imbottigliamento.

La passione unita all’amore  per Letizia Rocchi, enologca, fanno la differenza. Oggi Damiano e Letizia sono fieri del lavoro che porta avanti con dedizione e con i suoi 7 ettari riesce a malapena a soddisfare le richieste delle sue bottiglie prenotate prima ancora dell’immissione in commercio.

Abbiamo avuto il piacere di provare il vino direttamente dalle vasche di maturazione e sono convinto nel dire che sono veri capolavori.

Silene – Il Silene è ottenuto da una selezione di uve Cesanese provenienti da quattro vigneti impiantati in epoche diverse, raccolte e fermentate in vasche di cemento separatamente e assemblate prima dell’imbottigliamento. Damiano lo considera un vino di entrata ma ha già le connotazioni per essere bevuto dopo alcuni anni.

Cirsium – Il Cirsium quest’anno cambia nome e da ora in poi si chiamerà DAMIANO CIOLLI Olevano DOC Cesanese Riserva, è un Cru proveniente da un antico vigneto di un ettaro. Raccolta manuale con accurata selezione dei grappoli utilizzando soltanto i migliori e scartando quelli non idonei. La fermentazione è spontanea, una celebrazione dell’armonia naturale la macerazione, che si svolge ancora in cemento. Qui, il vino ha il tempo di estrarre tannini e aromi dalle bucce delle uve.

Questa fase è cruciale per la struttura e la complessità del vino, Dopo la macerazione, il vino viene travasato in botti grandi, dove inizia un periodo di riposo sui suoi depositi o fecce fini. Questo processo dura per i primi 12 mesi, permettendo al vino di maturare lentamente e sviluppare profondità. Alla fine di questo periodo torna nelle vasche di cemento e continua ad evolversi e acquisire caratteristiche uniche. Alla fine di questo meraviglioso viaggio, viene imbottigliato dove riposa per un ulteriore periodo di 12 mesi in cui raggiungerà la sua massima espressione.

www.damianociolli.it

RICCARDI REALE

Altra bellissima realtà, sempre nell’areale del Cesanese di Olevano Romano. Ci troviamo in compagnia di Piero Riccardi e Lorella Reale, due persone che hanno cambiato la loro vita alla ricerca della felicità. Giornalisti RAI entrambi (Piero è anche regista), decidono di acquistare le vigne a Olevano Romano e una bellissima villa a Bellegra, piccolo comune a circa 800 m. di altitudine, dalla quale si può godere di un panorama stupendo.

Piero e Lorella abbracciano da subito l’arte dell’agricoltura biodinamica, un approccio che rispetta la terra e le sue risorse. Poco più di 5 ettari di vigneti, prosperano grazie all’assenza di pesticidi e al sostegno di sovesci e preparati organici vegetali, preservando la fertilità del suolo e consentendo alle piante di esprimersi nella loro essenza. Qui, le viti sono sostenute da pali di castagno locale, e la biodiversità della zona aggiunge profondità ai vini.

Due tipologie di terreno, uno vulcanico e l’altro di arenarie del Cretaceo, conferiscono ai vini una complessità e una freschezza uniche. Ogni fase di affinamento porta alla creazione di varietà distintive, tra cui Cesanese, Malvasia, Rosciola e Riesling. Con la loro dedizione alla biodinamica e all’ecosistema locale, producono vini che catturano l’essenza del terreno e l’anima della natura.

EMOTIQ Riesling Renano IGT Lazio 2021. Un terroir insolito per il Riesling che qui prospera su terreni argillosi misti a componenti vulcaniche. La macerazione sulle bucce dona profondità e complessità. La sosta successiva in botti di castagno dona una struttura morbida. Profumi di fiori di campo e miele si intrecciano in un bouquet aromatico che avvolge i sensi. La componente minerale e dinamica sottolinea la complessità del vino, mentre le note speziate e sapide aggiungono un tocco di fascino.

EMOTIQ Malvasia Puntinata Lazio IGT 2021. Blend di Malvasia Puntinata, Moscato Bianco, Ottonese e Bellone, quattro varietà di uve che si sposano alla perfezione. Questa miscela offre una complessità aromatica che è un vero piacere per i sensi. vinificato con le bucce per una o due settimane in botti di castagno, poi la massa viene tolta, pulita e rimessa nelle botti per 12 mesi con fermentazione spontanea. Grazie al suo colore aranciato è considerato un orange wine.

TUCUCA Rosato Lazio IGT 2022. Vinificato con uve Cesanese, anch’esso a contatto con le bucce per quasi un giorno poi affina nelle botti di castagno. Colore rosa ciliegia è caratterizzato da una buona freschezza e da un lieve tannino che asciuga la bocca. Ha un bouquet olfattivo di frutti rossi di bosco, ciliegia croccante, melograno pepe rosa e un tocco di lime.

DIVAGO Lazio Rosato Frizzante IGP 2022. Cesanese in purezza, rifermenta in bottiglia, un vino allegro e gioviale con bollicina molto fine. Fragoline di bosco, lampone e melograno, con naso floreale, fruttato e una nota solfurea. Una parte del mosto viene congelato e sarà aggiunto alla massa in primavera facendo ripartire così la fermentazione conferendogli così una buona profondità.

COLLEPAZZO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Cesanese di Affile in purezza coltivato proprio nell’omonima località. Vinificazione e affinamento in cemento. Note solfuree e fumé, frutta rossa e spezie, un pochino corto.

CÀLITRO Cesanese Olevano Romano Rosso DOC 2020. Un Cru prodotto in un numero limitato di bottiglie, affina in botte grande grazie alla quale riceve il giusto apporto di micro ossigenazione che ne arricchisce il corredo olfattivo. Buon corpo anche se è ancora un po’ verde e necessita di ulteriore tempo per svolgersi  ed evolvere.

NECCIO Cesanese Olevano Romano DOC 2020. Altro Cru interessante affinato in barili. Decisamente più verticale con tannini presenti e ancora non completamente svolti. Frutti rossi maturi, cannella e erbe aromatiche.

www.cantinericcardireale.it

Il Cinema prende forma a Sala Consilina (SA) con la decima edizione del Toko Film Fest

Ciak si gira! Parliamo di territorio e lo facciamo, questa volta, con una lodevole iniziativa giunta ormai alla sua decima edizione: il Toko Film Fest – Festival Internazionale di Cinema e Cultura.

Ideato da un’associazione di giovani appassionati della settima arte, definita tale dal critico Ricciotto Canudo nel manifesto del 1921, la kermesse ha cambiato più volte forma, come la pelle di un camaleonte mentre cerca di adattarsi ai colori dell’ambiente circostante.

Partito nel 2014 dalla Piazzetta Gracchi – “la chiazzeredda” per i cittadini salesi – l’evento ha assunto ormai le forme di un appuntamento fisso, che richiama pubblico dai numerosi comuni del Vallo di Diano (e non solo). Ospiti fissi selezionati tra registi, attori e musicisti di caratura nazionale, oltre laboratori di recitazione, cortometraggi, live podcast e talk culturali.

Quest’anno la vera novità è stata quella di passare da un Festival interattivo e itinerante dei tempi della pandemia ad una sorta di “Festival diffuso” lungo 7 giorni e con numerose iniziative in programma dal 24 al 30 luglio. Il culmine sarà il live show finale con il concerto di Valerio Lundini, conduttore televisivo, musicista, comico e scrittore, accompagnato dal gruppo I Vazzanikki già presenti su Raidue nel programma satirico “Una pezza di Lundini”.

Il dibattito invece, spiega il direttore artistico Gianmarco Ungaro, vedrà la presenza del regista Valerio Vestoso e degli artisti Demetra Bellina, Cristina Cappelli, Sabrina Martina, Andrea Vailati, Mauro Zingarelli e il team di sviluppatori indie Morbidware: Diego Sacchetti, Giuseppe Longo e Matteo Corradini (membro dei The Pills e scriptwriter di “The Textorcist”).

Nei giorni precedenti si è svolta la proiezione al Cinema Adriano del film Mixed by Erry del regista Sidney Sibilia e un incontro al Gran Caffè Trezza a Teggiano (SA) per la visione dei cortometraggi ammessi in concorso al Toko Film Fest.

Non manca l’attenzione verso i produttori del territorio; l’occasione ideale per fare la conoscenza di Alessandro Paventa, uno dei titolari, assieme ai cugini, del Caseificio S. Antonio di Sala Consilina (SA), terza generazione di imprenditori abili nel realizzare fiordilatte e caciocavallo di alta qualità. Una gradevole sosta trascorsa assaggiando proprio il loro caciocavallo, stagionato dieci giorni e cotto alla piastra su pane bruschetta.

Nel retro del Palazingaro, sede delle ultime due serate della manifestazione, è possibile anche osservare una piccola mostra d’arte contemporanea, ispirata alle problematiche sociali e ambientali del nostro tempo. Dichiarano gli organizzatori: <<prima ancora che una rassegna cinematografica, è amore per il territorio e per le proprie radici. Uno dei punti fermi è il recupero del centro storico di Sala Consilina, utilizzando il Festival anche per rafforzare la comunità esistente e rilanciare la zona come attrattore turistico e di investimenti nell’intero Vallo di Diano. Una parte fondamentale della nostra macchina organizzativa è sempre stata accompagnare i nostri ospiti – o nuovi membri dello staff provenienti da fuori Regione – a visitare i punti di forza del Vallo di Diano: Certosa di Padula, Grotte di Pertosa, Battistero di San Giovanni in Fonte ed altri, di concerto con le istituzioni e coinvolgendo altre associazioni ove necessario>>.

Per ulteriori info: https://www.tokofilmfestival.it/

L’ingresso è totalmente gratuito.

Albamarina e i vini bianchi di Mario Notaroberto: una storia cilentana fatta di vere passioni ed emozioni

di Silvia De Vita

La cantina del “brigante contadino” Mario Notaroberto e l’espressione dei vini bianchi di Albamarina colpiscono nel segno. Una storia tutta cilentana fatta di vere passione ed emozioni quella che andremo a narrare per 20Italie.

I racconti hanno sempre il loro fascino quando consentono di immergersi in atmosfere talvolta lontane nel tempo e nello spazio. Le parole che li compongono assumono peso, circostanze, significati che in contesti diversi avrebbero tutt’altro senso. Le espressioni, le intonazioni, le pause ne arricchiscono enormemente il fascino. E se poi la narrazione è accompagnata da un calice di vino, arricchita da complici sguardi, l’immersione nel luogo e nel tempo è garantita. Silenzi e pause che contribuiscono a condurre il ritmo, la suspense e l’armonia della composizione, come accade in un brano musicale.

Mario Notaroberto – Albamarina

Ci troviamo nel comune di Centola (SA), nella natura selvaggia del Parco del Cilento, lì dove mare e montagna si incontrano in un trionfo di colori che sfumano dal blu profondo del mare al verde intenso della campagna, con spennellate di macchia mediterranea e profumi intensi di salsedine e piante aromatiche.

Il protagonista è Mario Notaroberto – cantina Albamarina proprietario di splendidi vigneti che si affacciano sul golfo di Palinuro. Un terreno noto agli esperti come flysch cilentano, dove lo strato di argilliti e quarziti di origine marina ha l’arduo compito di assorbire l’acqua piovana per poi restituirla nei periodi più aridi. È un piccolo mondo di storie, di vigne e pensieri: una terra di testarde attese e di cuori resilienti.

La roccia è composta da vari livelli di arenaria, argilla, marna, calcare, e qualcuno sostiene, non solo. Nel tratto a largo della costa del Cilento, due giganti sottomarini, il Marsili e il Palinuro, hanno avuto in passato una attività vulcanica imponente, tanto da far supporre ad alcuni studiosi che il suolo possa avere richiami tipicamente vulcanici.

Mario sviluppa qui la sua cantina su 10 ettari vitati, tra Fiano ed Aglianico e altri vitigni autoctoni cilentani e della Campania (Falanghina, Greco e Santa Sofia). Gli impianti sono del 2009 e nel 2012 è avvenuta la prima vendemmia; l’anno seguente Albamarina è comparsa sul mercato con ottimo consenso dalla critica. Il microclima è particolarmente favorevole e si avvantaggia della brezza marina proveniente dal golfo di Policastro protetta dal Monte Bulgheria in un unico abbraccio.

Di strade Notaroberto ne ha percorse molte dal momento che, dopo gli studi di ragioneria e un lavoro proficuo a Napoli, si è trasferito in gioventù nel Lussemburgo spinto forse da questioni di cuore o molto più probabilmente da nuove ambizioni e ricerca di stimoli. Lì apre il Ristorante Il Notaro che conduce al successo rapidamente, arricchendone la cantina con un numero importante di vini, tali da raggiungere negli anni oltre 1450 etichette. Oggi il business in Lussemburgo viene gestito dai figli Livio e Dario che, dopo gli studi alla Bocconi, hanno deciso di seguire le orme del papà.

La passione per il vino nasce in Mario sin da ragazzo, nella vigna di famiglia. Non ha mai saputo che uva il padre coltivasse, ma ha chiaro il ricordo di questo vino rosso da una varietà francese a detta dei genitori, riportata nel Cilento da un compaesano emigrato con dei “maioli”.

Il risultato era di colore tanto scuro da far dannare la mamma quando una sua goccia macchiava la tovaglia. Molti anni dopo, per caso durante un viaggio a Montevideo, scopre che quell’uva era semplicemente il Tanat, vitigno del Sud Ovest francese, molto tannico, con caratteristiche che si collocano a metà strada tra Aglianico e Sagrantino.

La degustazione improntata sui suoi vini è splendida. Con molta generosità alterna il racconto di Albamarina e della sua storia personale a momenti di assaggi delle diverse tipologie di vino della cantina.

Ad aprire le danze Etèl – IGP Campania 2022, Falanghina proveniente per metà dai terreni di Centola ed il rimanente 50% dal Sannio. Il nome del vino richiama il nome del fiume LETE scritto al contrario, sui cui lembi (ben stilizzati in etichetta) si affacciano, a circa 250 mt di altitudine, i vigneti. Il clone utilizzato è quello del Sannio, impiantato nel 2016 e vinificato per la prima volta nel 2021. L’affinamento avviene in acciaio sulle fecce fini per circa 6 mesi, ed in bottiglia per almeno 3 mesi. Vino di carattere, dalle nuance giallo paglierine e naso inebriante di sentori fruttati. Sorso fresco e di buon corpo, ben equilibrato dal gradevole allungo.

Nerbo e prospettive di longevità per il Nylos, IGP Campania 2021, da Greco in purezza. La dedica è a San Nilo, il cui cammino cilentano, in alcuni punti, segue le vigne di Albamarina. Richiama al naso fiori di ginestra e frutta a pasta gialla. Fresco, ben equilibrato e di buona persistenza.

La degustazione continua con il vino storico dell’azienda, il Fiano IGP Valmezzana. Il nome del richiama la località nella quale viene coltivata l’uva. L’etichetta invece evoca una farfalla per simboleggiare un’esistenza effimera e quindi un vino che va bevuto velocemente perché di vita breve. Invece resiste in maniera superba lo scorrere del tempo!

La verticale proposta denota, infatti, tutt’altro. Le diverse annate di Valmezzana 2021 – 2019 – 2014 – 2013 oltre ad impressionare per l’intensità del colore che vira a mano a mano verso il giallo dorato con riflessi ambrati, sviluppano al naso un bouquet di note agrumate, con fiori bianchi, mughetto alpino e balsamicità. Andando indietro con le lancette dell’orologio emergono le sfumature tostate e mielose del Fiano e una mineralità di forte presenza in bocca. Straordinaria l’evoluzione del Valmezzana in versione Magnum.

Ultimo prodotto in degustazione è il Palimiento, che rappresenta per Albamarina un ritorno al legno in fase di fermentazione e un affinamento per almeno 12 mesi in barrique.

Il nome del vino “Palimiento” richiama “I Palmenti”, le vasche o di cemento o scavate nella roccia, che già in tempi antichi venivano utilizzate per la fermentazione del mosto, rievocate e stilizzate in etichetta con un tratto delicato. La presenza del legno nel processo produttivo ha un impatto nobile sul vino. L’esaltazione della macchia mediterranea e la mineralità vengono percepite senza troppe difficoltà, come se le sue botti fossero state immerse in acqua di mare. Una struttura importante accompagnata da una freschezza e una sapidità rendono la beva elegante.

Un nuovo progetto vede l’espressione del Fiano nelle bollicine – Metodo Charmat e Metodo Classico – presto in arrivo al pubblico. Noi abbiamo degustato in anteprima lo spumante brut Metodo Charmat il cui nome “L’eremita” è un omaggio ad una delle frazioni di Futani “Eremiti”. L’etichetta richiama una rete in cui l’eremita si sente intrappolato, come lo spumante quando è chiuso in bottiglia. Dal perlage fine e brillante con piccoli riflessi di luce dorata.  Al naso richiama sentori di agrumi e frutta gialla non ancora matura, arricchiti da piacevoli note floreali e di lievitazione. La beva ha una buona freschezza e finezza; lungo e pulito il finale.

Il mondo dei rossi e rosati di Albamarina meriterà tempo e dedizione in un’altra visita. Si va via consapevoli della magia appena vissuta e nostalgici delle magnifiche sollecitazioni che più volte hanno stimolato piacevolmente i nostri 5 sensi.

Oscar Wilde diceva “The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams.”

Mario Notaroberto, ne è l’esempio vivente…

Merci et à la prochaine! Et ce sera bientot.

“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

Roma DOC: una denominazione degna di una Capitale

di Matteo Paganelli

Il grande cantautore Lando Fiorini in una delle sue celebri canzoni recitava “Faje sentì ch’è quasi primavera”. C’è da dire che dopo le tristi notizie riguardanti il maltempo è molto piacevole passare una bella giornata di piena primavera proprio in Capitale, e qual miglior modo per farlo se non partecipando a uno dei press tour del progetto “Roma ha un cuore DiVino”.

Il progetto è nato dall’idea del Consorzio di Tutela Vini Roma DOC, soprattutto grazie alla volontà del suo presidente Tullio Galassini, e all’organizzazione meticolosa delle agenzie MG Logos di Maria Grazia D’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta.

Da sinistra l’autore di 20Italie Matteo Paganelli e Tullio Galassini presidente Consorzio di Tutela Vini Roma Doc

La giornata di oggi, Tour Marino, prende il nome proprio da uno dei comuni su cui la denominazione insiste. Siamo esattamente a sud-est rispetto alla capitale, sui Colli Albani nell’area dei Castelli Romani, in una specie di morsa fra il vulcano Albano (uno dei due vulcani di Roma, entrambi ancora attivi ma dormienti), i laghi Albano e Di Nemi e il mare.

Il tour parte dalla cantina Gotto D’Oro, situata nel comune di Marino, indubbiamente la realtà più grande di tutta la regione Laziale. Grande non solo per i 1000 ettari vitati e i 7 milioni di bottiglie prodotte annualmente, ma anche a motivo della loro storicità che prende vita nel lontano dopoguerra. È il 1945 quando un gruppo di 41 viticoltori costituisce il consorzio denominato “Cantina Sociale Cooperativa di Marino”. La sede dell’epoca era uno stabilimento dello Stato situato a Ciampino. Dobbiamo aspettare il 1973 per il trasferimento nell’attuale stabilimento di Frattocchie. Il principale motivo di crescita esponenziale della Gotto D’Oro è sicuramente da ricercare nell’intuizione che il vino si potesse anche esportare (inizialmente era distribuito solo nel territorio circostante) e quindi questo rese necessaria la precoce realizzazione di una linea completa di imbottigliamento e di conseguenza, di uno stabilimento che potesse accogliere la crescita di volumi.

Al momento della visita, l’azienda è purtroppo ancora stretta nel cordoglio per la recentissima perdita di Luigi Caporicci, storico presidente della cantina. Siamo quindi ancora più grati dell’ospitalità che ci è stata mostrata. Veniamo accolti da Marco Zanibellato, tecnico responsabile di laboratorio, il quale ci accompagna lungo tutte le fasi del processo. Processo che inizia dalla ricezione delle uve in grandi vasche di conferimento. Uve che nonostante vengano prodotte da soci conferitori, sono oggetto di analisi specifiche e approfondite prima di essere processate. La visita prosegue visionando le presse soffici pneumatiche e le vasche di affinamento divise fra inox e cemento che condividono una capienza totale di ben 400.000 ettolitri. La linea di imbottigliamento e confezionamento è un serpentone molto tecnologico dove abbiamo avuto la possibilità di vedere dal vivo una cadenza di ben 7.700 bottiglie/ora.

L’eterna lotta “quantità vs qualità” trova una risposta chiara nel 2016, anno di nascita di Vinea Domini, nuova linea che rappresenta l’emblema della qualità Gotto D’Oro. L’idea nasce in realtà anni prima, nel 2004, quando l’azienda, spinta dalla curva positiva delle vendite, si chiese se non fosse il caso di investire anche in un prodotto di nicchia. Vengono quindi impiantati nuovi vigneti che sono quelli utilizzati tuttora per la produzione di questa linea premium. Etichette che possono vantare della denominazione Roma DOC, ad avvalorare il concetto di qualità. Le produzioni si assestano sulle 25.000 bottiglie per i Roma DOC Bianco e Roma DOC Rosso mentre sono in media 6.000 le bottiglie che escono in Roma DOC con la specificazione del monovitigno.

Fra i vari vini in degustazione, a colpire particolarmente è il Roma DOC Malvasia Puntinata Vinea Domini 2022. Di colore giallo verdolino con spiccati riflessi dorati, l’aspetto suscita già interesse. Scorre bene nel calice e quando avvicinato al naso dona spiccate note di erbe officinali unite a ginepro, cipresso e menta piperita. Il frutto arriva poco dopo in aromi di pesca bianca ed albicocca. A colpire è un equilibrio già centrato, merito di una freschezza presente ma non esuberante e un calore contenuto. La persistenza lunga sancisce definitivamente la qualità del prodotto.

La mattinata prosegue veloce e ci spostiamo di pochi km più a nord, precisamente a Frascati, per la visita a Cantine San Marco. L’azienda prende il nome dal colle su cui sorgeva inizialmente; dobbiamo infatti fare un bel balzo indietro per conoscere la sua storia. È il 1972 quando Umberto Notarnicola e Bruno Violo intraprendono la sfida per riuscire a promuovere il Frascati, vino d’eccellenza della zona, nel mondo. Se pensiamo solamente a quanto sia diffuso oggi il nome Frascati, soprattutto nel panorama oltreoceano, possiamo affermare che ci sono riusciti. Una loro bottiglia appare pure nella scena di un film, “Il talento di Mr. Ripley” (Paramount Pictures, 1999).

Oggi l’azienda è pilotata dai figli di Umberto e Bruno, Danilo e Pietro, che si dividono equamente i compiti manageriali. È proprio Pietro a guidarci in visita nel loro stabilimento atto a produrre ben 3 milioni di bottiglie/anno. Anche in questo caso il processo inizia con il ricevimento delle uve. A chi storce il naso supponendo che in questi casi non si abbia controllo di ciò che avvenga in vigna, mi preme sottolineare che i soci conferitori sono in realtà piccolissimi proprietari che in media possiedono appena 1 ettaro ciascuno. Questo si traduce nella possibilità di poter contare su un’attenzione meticolosa nella cura dei vigneti sommata al grosso vantaggio di un supporto agronomico/enologico centralizzato in San Marco.

Pietro ci fa notare che l’export occupa un buon 50% della loro produzione, e che nonostante i loro flussi siano impostati con la metodologia just-in-time (in perfetto stile Lean Production), i tempi legati all’esportazione dilatino al punto che si deve aspettare fino a 4 mesi dopo la spedizione per poter vedere quella bottiglia stappata sul tavolo di qualche cliente Americano, Cinese o Indiano. Questo non è affatto banale se si pensa al lavoro che si cela dietro al garantire un’aromaticità longeva, ottenuta grazie a criomacerazioni mirate. Le Malvasie Laziali, a dispetto del nome, non sono vitigni aromatici bensì neutri. La versatilità delle ben 25 referenze, oltre a dare la possibilità di poter provvedere prodotti per il mondo Ho.Re.Ca. che si potessero distinguere da quelli destinati alla GDO, ha permesso di poter dedicare una linea alla denominazione Roma DOC.

La giornata termina con la visita a Cantina Gaffino, ubicata più a sud, ad Ardea, esattamente a metà fra Castel Gandolfo e il mare (che dista in linea d’aria appena 18 km). Ciò che più colpisce appena arrivati sono i vigneti: puliti e ordinati, oserei dire “pettinati”, con una ricercatezza sulla perfetta ramificazione di ogni singola pianta e un’omogeneità priva di fallanze. Ad accoglierci calorosamente è Gabriele Gaffino, titolare dell’azienda. Gabriele ci parla di come suo nonno, Lucchese di origine ed ex giocatore in borsa, trasferitosi a Roma ebbe l’intuizione di acquistare nel 1961 il podere sul quale oggi sorge l’azienda, che ad oggi può vantare la certificazione biologica sui 28 ettari vitati. Dobbiamo però aspettare il 2014 per vedere l’intera produzione dalla vite alla bottiglia (prima le uve venivano conferite a una cantina sociale), anno in cui fu proprio Gabriele a impostare il suo personale stile vinicolo. Dobbiamo dire che la scelta ha dato i suoi frutti: dalla prima vendemmia del 2015 ad oggi, infatti, la produzione ha raggiunto le 75.000 bottiglie/anno.

Anche Gabriele ha scelto di uscire con alcune delle sue etichette all’interno della denominazione Roma DOC. Addirittura abbiamo avuto il privilegio di poter degustare una piccola verticale del loro Roma DOC Rosso, nelle annate 2018-2019-2020. Il confronto è un puro lettore dell’annata dato che lo stile è rimasto sempre il medesimo: Montepulciano e Sangiovese in blend rispettivamente al 60%-40%, rimontaggi durante tutta la fase di fermentazione e macerazione sulle bucce, poi successiva pressatura soffice e riposo delle masse per metà in acciaio e metà in legno piccolo. Affinamento in bottiglia per lo stesso tempo passato in inox/barrique. L’annata 2020, quella attualmente in commercio, è probabilmente quella di maggior interesse. Discreta trasparenza che aiuta a notare i riflessi purpurei all’interno di un rosso rubino molto intenso. Un naso che chiama immediatamente sentori di arancia sanguinella in succo, erbe aromatiche fresche come la salvia e una speziatura di pepe nero e chiodi di garofano. Al palato l’acidità è la componente principale ma gradevolmente non invadente, con un tannino percettibile e un alcol perfettamente integrato. Sapidità che invita al sorso e sposta ancora di più il vino sulle durezze, ma che si fa apprezzare proprio per questo motivo.

A conclusione della giornata ho constatato come i produttori di questa zona abbiano fermamente creduto al progetto Roma DOC, nonostante in ognuna di queste zone esistessero già altre denominazioni. Un motivo è da ricercare forse nel fatto che la nuova denominazione abbracci anche vitigni a bacca rossa, in modo da includere in un disciplinare, sinonimo di controllo e garanzia, vini che diversamente potrebbero uscire solo nella più generica Lazio IGT. Ma, probabilmente, il motivo principale è insito proprio nel nome: Roma. Con la sua potenza al semplice pronunciare quelle due sillabe, l’importanza e la responsabilità che riveste l’affacciarsi al mondo circostante come a dire “ci siamo anche noi, non siamo solo la capitale d’Italia ma siamo un popolo con una storia vitivinicola che vogliamo farvi conoscere”. E il Consorzio, devo ammettere che ci stia riuscendo bene.

Roma Doc: “piccola-grande” Denominazione del vino laziale

di Morris Lazzoni

Non me ne voglia l’immenso Claudio Baglioni se ho preso spunto da un suo celebre titolo, ma credo che entrambi gli aggettivi rendano bene l’idea di cosa sia oggi il territorio della denominazione Roma Doc. Ho passato un giorno intero ed una sera in questo areale e voglio raccontare dei vigneti e panorami visti, degli assaggi fatti nelle aziende e dei racconti di chi vive la zona quotidianamente.

È una piccola denominazione, se intesa come bottiglie prodotte rispetto ad altri territori del vino, ma ha una grande storia come può far ben intendere il suo nome. Quando si parla di Roma, qualunque connotazione le si voglia dare, è inevitabile scontrarsi con la grandezza e l’opulenza che questa città si porta appresso.

Nonostante il direttivo del Consorzio Roma Doc, capitanato dal Presidente Tullio Galassini, sia divenuto operativo appena nel 2018, ad essere grande e ben ampio è il territorio di competenza, che si estende, come in un caloroso abbraccio, attorno ai confini della Città Eterna.

La storia di questi luoghi parla di vino e di coltivazione della vite già dai tempi degli Etruschi, da cui i Romani appresero alcune tecniche viticole. Importante per la zona era anche le esportazione dei prodotti dal porto di Ostia, per raggiungere varie zone delle colonie.

Il fulgore del vino in epoca romana durò fino al III-IV secolo d.c. quando, anche a seguito delle lotte politiche interne e delle invasioni barbariche, iniziò la fase calante della viticoltura, con una relativa epoca gaudente sotto lo Stato Pontificio. Si devono, pertanto, ai Papi ed al Clero alcune delle tappe importanti per la valorizzazione del vino di Roma: l’Università dei Tavernieri del 1481, l’Accademia dei Vignaioli del 1692 e l’Università dei mercanti di vino del 1854.

La lunga tradizione vinicola è arrivata fino ai giorni nostri, forse perdendo per strada un pò d’importanza e nobiltà a seguito di alcune scelte di marketing e di posizionamento sul mercato fatte negli ultimi decenni. L’aver creato una nuova Doc ed il credere nella territorialità e tipicità dei questi vini sono punti fermi per uno slancio che guardi al futuro con maggiore cognizione e consapevolezza.

I territori della Roma Doc visti da più angolazioni

L’idea di questi press tour è nata su volontà del Consorzio, ben supportato dalle agenzie di comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta. Un ruolo fondamentale nel tour l’ha avuto proprio il Presidente Tullio Galassini, che non ha mancato di accompagnarci ovunque, da vero e proprio Cicerone del territorio.

Abbiamo toccato quattro diverse realtà aziendali: due di esse le racconterà il collega Alberto Chiarenza in un altro interessantissimo articolo. Io mi concentrerò, invece, sulle restanti due: Principe Pallavicini a Colonna e Cantina Federici a Zagarolo.

Entrambe si trovano nel comprensorio dei Colli Albani i quali, assieme agli opposti Monti Sabatini, costituiscono l’area dei terreni vulcanici creati alla fine del Pliocene. Nei terreni più lontani dalle caldere si possono trovare le cosiddette terrinelle, ceneri vulcaniche simili alle sabbie, mentre, avvicinandosi al centro del cratere, si rinvengono tufi, derivanti dalla cementificazione di ceneri e lapilli, che hanno formato un terreno in cui l’acqua ha scarsa permeabilità.
Terroir e condizioni pedoclimatiche non mancano, come la storia ci insegna: solo il futuro potrà dirci se i produttori sapranno interpretare al meglio questi doni di Natura.

Principe Pallavicini è il connubbio perfetto tra vino e storia ddell’antica Roma

Le colline intorno a Tuscolo, antico paese di origine pre-romanica, conquistato dai discendenti di Romolo e Remo con la battaglia del 496 a.c., fanno da contraltare ai vigneti dell’azienda Principe Pallavicini, con piante di età comprese tra 60 e 70 anni.

L’azienda comprende novanta ettari vitati nel territorio dei Castelli Romani, divisi in tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Altre proprietà a Cerveteri ed a Gallicano oltre a Palazzo Rospigliosi Pallavicini a Monte Cavallo. I vigneti si trovano a circa 200/230 metri sopra il livello del mare, con sistema di allevamento a doppio guyot tra le varietà autoctone Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Grechetto e Bombino oltre ad internazionali quali Chardonnay, Traminer e Riesling.

La tenuta di Colonna non rappresenta solo un polo produttivo per i vini della cantina, ma anche un punto d’incontro con Roma, come testimoniano le cisterne sotterranee, ancora oggi ben conservate, dell’antico acquedotto Claudio.

La bellezza di quest’opera ingegneristica lascia senza fiato, soprattutto pensando all’epoca in cui è stata realizzata ed alla capacità d’innovazione che i Romani avevano già duemila anni fa. Davvero perfette le condizioni di mantenimento delle stesse.

Dopo la presentazione da parte di Michelle Smith e l’accoglienza del CEO Giulio Senni siamo passati alla degustazione, concentrandoci soprattutto sui vini di Roma.

Roma Doc Bianco 2021, Malvasia Puntinata in purezza, si presenta fine e compatto al naso con profumi di ananas, mela gialla, pesca, zafferano, salvia, erba di campo e ricordi burrosi. Sorso dinamico, mediamente ampio, con buona e lunga distensione di freschezza. Ha netti ricordi salini e sulfurei, con scorza di bergamotto e pompelmo. Il finale è ben fatto e piacevole.

Roma Doc Rosso 2021, assemblaggio da Montepulciano, Syrah e Cesanese che porta profumi noir da mora, mirtillo, prugna, pepe nero, liquirizia, foglie di menta, tabacco, ricordi terrosi e macchia mediterranea. Schietto e ben strutturato a livello olfattivo, in bocca è ricco di sapore, evidenziando discreta acidità, tannino vivido e struttura più snella che al naso.

Da Colonna a Zagarolo da Cantine Federici

A Zagarolo la terza e quarta generazione della famiglia Federici si sovrappongono, con il padre Antonio atto nella gestione aziendale ed il figlio Damiano che si divide tra l’azienda di famiglia e la nuova Damiano Federici.

La cantina è nata nel 1960, vivendo da lì in poi varie fasi di trasformazione: dalla produzione di vino sfuso alla coltivazione diretta dei vigneti, che mano a mano sono stati incrementati per soddisfare una crescente richiesta del mercato. Il totale a Zagarolo è arrivato a quaranta ettari, cui si aggiungono gli altri sedici della tenuta di Frosinone.

Lo stile della cantina guarda a precisione e corretteza nel calice, puntando anche su varietà locali come Malvasia Puntinata, Montepulciano e Cesanese. Il Roma Doc Bianco 2022 gioca su sfumature floreali e di frutti tropicali al naso, con valida intensità ed altrettanto spunto aromatico. All’assaggio dimostra una beva semplice, in cui il tono fruttato è evidente e nitido.

Nel caso del Roma Doc Rosso 2021 l’unione di Montepulciano e Cesanese connota l’olfatto per polposità da frutti rossi, vena speziata e floreale fresco. Acidità, tannino ed ampiezza di gusto sono bilanciate tra loro, creando un vino immediato, fresco e beverino.

Una giusta considerazione va fatta anche ai vini di Damiano Federici, con il Roma Doc Bianco 2021 più aromatico ed incisivo al naso, grazie anche ad un piccolo contributo di Sauvignon Blanc nell’uvaggio. In bocca è disteso, salivante, più sottile di quanto facesse intendere all’olfatto e di sufficiente persistenza. Il Roma Doc Rosso 2021 è ben espressivo nei profumi di mora, mirtillo, spezie e foglie di pomodoro. In bocca è croccante, con un tannino forse troppo protagonista ed un finale erbaceo che sa di chinotto e liquirizia.

Saluto Roma e la Doc avendo visto luci ed ombre

Sono rimasto decisamente affascinato dal territorio romano, del quale se ne potrebbe scrivere per ore e non solo per parlare dei suoi vini. In queste terre si è fatta la storia della civiltà mediterranea, creando le basi per lo sviluppo socio-economico e culturale delle civiltà successive.

I produttori della Roma Doc hanno tra le mani un “giocattolo” potenzialmente pronto a mettersi in bella mostra, qualora riescano a comprenderne e valorizzarne la vera natura. Limitandomi a parlare di argomenti che conosco, il vino appunto, intravedo ottime prospettive future, sempre ammettendo che ci siano comunione d’intenti, visione uniforme e voglia di fare qualità.

Per troppi anni, da queste terre od altre limitrofe, si è pensato ad inondare il mercato con enormi quantitavi di bottiglie limitando l’essenza stessa della natura di questi luoghi. Mi piace l’idea che si punti sulla Malvasia Puntinata e sul Bellone, veri vitigni autoctoni che potrebbero dare personalità e slancio a tutta la zona, caratterizzando inconfondibilmente i vini.

Ci sono ancora aziende però che guardano alla quantità, puntando a determinati settori di mercato, rinunciando a fare gioco di squadra. La lotta al prezzo basso porta ad un inevitabile appiattimento.

Bisogna fare vini più genuini, caratteriali e territoriali, che parlino il linguaggio di casa, piuttosto che un futile seppure elegante esercizio di stile.

Ciao Roma, tu sei sempre la più bella del Mondo!

Anteprima Montefalco Sagrantino 2019: le nostre considerazioni

Redazione

“A” come Anteprima, quella di Montefalco Sagrantino 2019.

Vino che vive un momento di rinascita stilistica ormai consolidata e lunga come la scia delle comete nel firmamento. In tale contesto appare più che naturale la discontinuità tra vendemmie differenti, con una 2019 in grande spolvero.

Non solo: il Sagrantino ci ha abituato a non demordere mai, neppure negli anni difficili, proprio come la tenacia dei suoi produttori. Lo scorrere delle lancette ed il riposo in bottiglia, possono cambiare radicalmente le carte in tavola, con sorprese positive nel riassaggiare i campioni valutati nelle precedenti edizioni.

È il caso di alcune 2017 finalmente dome nella parte tannica irsuta, amplificata nelle asperità da una stagione estiva calda e siccitosa. Trovandole nel calice oggi, dimostrano quanto la varietà sia unica nel panorama enologico italiano (e mondiale), garantendo sempre il suo marchio di fabbrica a base di succo di more e spezie scure suadenti, pur nella compressione dell’allungo finale.

Tecnicismi che lasciano il tempo che trovano… Celebriamo i nuovi arrivi targati 2019, caratterizzati dall’elegante profilo aromatico nella maggioranza dei casi e da una bevibilità ed immediatezza simbolo del sentiero intrapreso dai vitivinicoltori di Montefalco nel presentare, a operatori e stampa di settore, prodotti espressivi e di buona qualità.

Ecco l’elenco dei migliori assaggi valutati sui 24 campioni presenti di Montefalco Sagrantino 2019, elencati singolarmente senza ordine di preferenza:

  • Antonelli San Marco – Montefalco Sagrantino
  • Romanelli – Montefalco Sagrantino “Medeo”
  • Valdangius – Montefalco Sagrantino “Fortunato”
  • Agricola Mevante – Montefalco Sagrantino
  • Tabarrini – Montefalco Sagrantino “Campo alla Cerqua”
  • Arnaldo Caprai – Montefalco Sagrantino “Collepiano”
  • Arnaldo Caprai – Montefalco Sagrantino “Valdimaggio”
  • Tenute Lunelli – Tenuta Castelbuono – Montefalco Sagrantino “Carapace”
  • Moretti Omero – Montefalco Sagrantino “Vignalunga”

MareMMA – la Natura del Vino – edizione 2023

di Adriano Guerri

Lo scorso 6 marzo al Granaio Lorenese in Località Spergolaia ad Alberese ha avuto luogo la quarta edizione di MareMMMa.

Un evento organizzato dai tre Consorzi di Tutela con le denominazioni: Maremma Toscana, Montecucco e Morellino di Scansano. Oltre 300 etichette in degustazione con ogni tipologia di vino; rossi, rosati e bianchi con 80 cantine presenti.

Tre le fasce orarie create per accedere all’ evento. Le prime due dedicate agli operatori: la prima dalle 10:30 alle 13: 30, la seconda dalle 14:30 alle 17:00 e la terza dalle 17:00 alle 19:30 aperta anche ai wine lovers.

La Doc Montecucco è stata costituita nel 1998. Il suo straordinario territorio è incastonato tra due giganti ad anima rossista, Montalcino a nord, a pochi passi dal fiume Orcia, e Morellino di Scansano a sud, in vista del mare. All’interno della denominazione vengono prodotte varie tipologie; per quanto concerne i vini rossi, il vitigno principe è il Sangiovese e per i bianchi il Vermentino. 

Tuttavia vengono coltivati altri vitigni, sia autoctoni che alloctoni. I comuni ove viene prodotto il Montecucco sono: Cinigiano, Campagnatico, Arcidosso, Castel del Piano, Seggiano, Civitella Paganico e Roccalbegna. L’areale si trova alle pendici dell’antico vulcano del Monte Amiata, nel versante grossetano ed in quello della Maremma vera e propria. La vite si coltiva sin dagli Etruschi ed è stata meta di interesse da parte di importanti famiglie, alcune su tutte i Medici e gli Aldobrandeschi.

I terreni sono altamente vocati per la produzione di vino e danno origine a vini di elevata qualità. Le dolci colline che circondano tutto l’areale sono di rara bellezza. La vicinanza al mare e alla montagna le dona un microclima unico, con forti escursioni termiche tra giorno e notte che contribuiscono ad un quadro aromatico ideale. La ventilazione favorisce l’evitare dei fenomeni di marciume dell’uva, riuscendo a limitare enormemente il ristagno di umidità. I vini così ottenuti si distinguono da quelli prodotti a quote più basse, per la loro maggiore ricchezza aromatica.

Al Sangiovese Riserva è stata, nel 2011, attribuita la meritata Docg. Una denominazione non troppo conosciuta, ma a mio modesto avviso (sono convinto) che in futuro ne sentiremo parlare molto e bene. Ho visitato varie volte alcune aziende della denominazione, conoscendone altre in varie kermesse enologiche, apprezzando i vini degustati. Ho percorso la Strada del Vino Montecucco svariate volte, ove il Sangiovese ha trovato habitat ideale, esprimendosi in maniera maestosa sia in purezza che con saldo di altri vitigni. Il Presidente del Consorzio Tutela Vini Montecucco è Giovan Battista Basile, eletto il 25 febbraio 2021.

Il Morellino di Scansano è una perla enologica incastonata tra il Monte Amiata e la costa Tirrenica, iI cui nome deriva da un’antica leggenda secondo la quale, dalla vicina città di Grosseto, alcune famiglie transitavano in carrozza sulle colline intorno al borgo di Scansano per acquistare il già noto vino rosso della zona. Le carrozze erano trainate da cavalli neri detti “morelli”, da qui si ipotizza l’origine del nome Morellino di Scansano. 

L’elevata qualità di questo vino è dovuta soprattutto a un microclima ideale ed al suolo ricco di minerali, calcare e argilla, con galestro e alberese, e l’influsso marino della costa. Questo eccellente vino rosso è per disciplinare ottenuto con un minimo di 85% di Sangiovese. Possono essere utilizzati nella misura massima del 15%: Alicante, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia Nera, Canaiolo, Montepulciano, Merlot, Syrah, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon.

Molti produttori prediligono lavorare il Sangiovese in purezza. Nelle migliori annate viene prodotto anche in versione Riserva. I comuni ove viene prodotto il Morellino, oltre a Scansano, sono parte dei comuni di Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano. La Doc è nata nel 1978, sarà poi il 2007 l’anno in cui arriva la Docg.  Il Morellino di Scansano ha vissuto un periodo di grande successo alla fine dello scorso millennio, con un territorio di invidiabile bellezza.

Parte dei terreni paludosi di un tempo furono bonificati ed adibiti a vigneti curati come giardini. A tavola è il compagno ideale di molte preparazioni culinarie locali; l’abbinamento giusto predilige comunque carni rosse, soprattutto cucinate alla griglia. Molti produttori di vino già visti in altri areali, hanno investito e dato vita ad aziende a Scansano e dintorni.

L’attuale Presidente del Consorzio del Morellino di Scansano è Bernardo Guicciardini Calamai. Ogni anno a Scansano si svolge la kermesse enoica “Rosso Morellino” alla quale ho partecipato le ultime edizioni, un motivo plausibile per approfondire questo stupendo areale.

La Doc Maremma Toscana è nata nel 2011 ed Il Consorzio Tutela Vini della Maremma nel 2014 con il preciso obiettivo di promuovere e tutelare i vini dell’omonima Denominazione Un vasto areale che si estende nell’intera provincia di Grosseto e spazia tra mare, natura e dolci colline. Le colline tracciano un paesaggio tipicamente toscano, estendendosi a nord ovest verso le Colline Metallifere e a nord est verso il Monte Amiata. A est del fiume Fiora e sulle diramazioni dei Monti Volsini, nel comprensorio di Pitigliano e Sorano, si trovano gli altopiani e le colline contraddistinti da suoli vulcanici e da borghi arroccati sul tufo. Il Monte Argentario e lIsola del Giglio donano scorci unici, dove la viticoltura si sviluppa su terrazzamenti a picco sul mare.

Le condizioni pedoclimatiche sono variabili e influiscono molto nell’ampia offerta dei vini. Le varietà autoctone maggiormente coltivati sono: Sangiovese, Ciliegiolo, Canaiolo, Pugnitello, Alicante, Malvasia, Trebbiano e Vermentino e per gli alloctoni, Chardonnay, Sauvignon Blanc, Viogner, Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Syrah. Il Presidente del Consorzio è Francesco Mazzei, titolare della Tenuta Belguardo.

Tra i migliori assaggi proposti:

Toscana Rosso Igt Pugnitello 2019 – Az. Roccapesta rosso rubino impenetrabile, sprigionante ribes, prugna, china e nuances speziate, morbido, pieno ed appagante, un gran bel sorso.

Maremma Toscana Doc 2020 “Mongrana” – Querciabella – Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon, rosso rubino vivace, visciola, violetta, prugna, mora ben integrate con cuoio e tabacco dolce, fresco, pieno e sapido.

Maremma Toscana Rosso Doc 2020 “Il Pacchia” Doc – Az.Tenuta Moraia Sangiovese 60%, Merlot 20% e Syrah 20%, rosso rubino intenso, lampone, ciliegia, violacciocca e sentori di cacao in polvere, palato fine, soddisfacente e persistente.

Maremma Toscana Elegantia Doc 2021 – Rigoloccio – Cabernet Franc 50% e Cabernet Sauvignon 50%, rosso rubino intenso e profondo, melograno, cassis, bacche di ginepro e pepe nero, piacevolmente morbido e ampio.

Montecucco Sangiovese Riserva Docg 2018 – Peteglia – 100% Sangiovese, rosso rubino intenso, leggere sfumature granata, mora, ribes, rabarbaro e sottobosco, ben si integrano con note boisé, attacco tannico poderoso, ma setoso. Avvolgente, pieno e persistente.

Montecucco Sangiovese Riserva Docg 2016 – Campinuovi – 100% Sangiovese, rosso granato intenso, tabacco, rosa appassita, arancia sanguinella, cassis, cacao e cuoio, rotondo, fine e generoso, sorso duraturo.

Montecucco Sangiovese Riserva Ad Agio Docg 2017 – Basile – 100 % Sangiovese, rosso granato trasparente, pot-pourri di fiori, amarena, bacche di ginepro, note mentolate e tostate, tannino carezzevole, lunghezza sapida ed interminabile.

Morellino di Scansano Docg 2019 – Celestina Fè – Sangiovese in purezza, rosso rubino vivace, emana sentori di ciliegia, mora, rosmarino, macchia mediterranea con sussulti balsamici, tannino nobile, fresco e sapido, nonché lungo. Un vino a immagine e somiglianza di Moira Guerri.

Morellino di Scansano Lorneta Docg 2021 – Villa Patrizia – Sangiovese in purezza, rosso rubino luminoso, una cascata di frutti di bosco e fiori di campo seguono una scia speziata, leggiadro, giustamente tannico e lungo.

Morellino di Scansano Madrechiesa Riserva Docg 2019 – Terenzi – 100% Sangiovese, rosso rubino con leggere sfumature granata, una miriade di frutta rossa, erbe aromatiche, tabacco e spezie dolci, tannino copioso ma ben levigato, vigoroso e persistente.