Campania Stories 2023: il giorno dei bianchi campani

di Luca Matarazzo

Crescita. Chiamatela come volete è pur sempre questo il concetto. La prima giornata di Campania Stories 2023 dedicata agli assaggi dei vini bianchi campani si è conclusa con splendidi risultati.

L’organizzazione perfetta di Miriade & Partners coadiuvata dai sommelier di AIS Campania ha consentito l’assaggio di tutti i 178 campioni presenti, permettendo, a chi scrive, di poter trarre le considerazioni di rito su stili e denominazioni.

Il quadro complessivo emerso riflette sempre più la vena bianchista della Regione, capace di valorizzare le tante varietà autoctone, vero patrimonio ampelografico. Non soltanto Fiano e Greco, ma anche Falanghina, Coda di Volpe, Pallagrello Bianco, Caprettone e molti altri ad arricchire le tessere del mosaico.

Sugli stili nulla da dire: la ricerca ostinata dell’eleganza comincia a inserirsi in maniera prepotente nella mentalità del vitivinicoltore locale. Il frutto di tale impegno si attesta su vini di estrema piacevolezza e versatilità, rinunciando talora ad irrobustire i caratteri del varietale.

“La potenza è nulla senza controllo” recitava il motto di un noto brand negli anni ’90. Ottime notizie dal Casertano, ove finalmente i produttori del Pallagrello Bianco, uva le cui origini si perdono nella notte dei tempi, hanno trovato la maniera giusta di presentarsi al mercato.

La Costiera Amalfitana e l’isola di Ischia procedono di pari passo lungo il sentiero delle nuance floreali e sapide ammirate dagli osservatori enogastronomici di tutto il mondo. Greco di Tufo e Fiano di Avellino raccontano, nell’annata 2022, le due facce di una stessa medaglia: più pronto ed appagante il primo, austero e timido il secondo a ulteriore dimostrazione del maggior riposo in bottiglia richiesto dal Fiano, per smarcarsi da sentori melliflui post fermentativi e virare su spinte agrumate e tostate di bellezza infinita.

Infine la Falanghina, qui proposta nelle espressioni Campi Flegrei e Sannio. La vintage in anteprima, dimostra l’opera di recupero del divario tra le due realtà ormai compiuta dai vigneron beneventani. I campioni proposti hanno le connotazioni e le identità necessarie per poter essere rapportati ai territori di provenienza. Qualità significa sacrificio e, alla lunga, gli sforzi vengono sempre ripagati. Complimenti davvero.

Veniamo ai migliori assaggi indicati per tipologia, senza ordine di preferenza

Vini Spumanti

Tenuta del Meriggio – Nocturna

Bianchi a base di Coda di Volpe

Amarano – Irpinia Coda di Volpe Dop – Lucinda 2021

Bianchi del Vesuvio

Cantine Olivella – Catalanesca del Monte Somma – Summa 2020

Sorrentino Vini – Vesuvio Caprettone Dop – Benita ’31 2022

Costiera Amalfitana e Isola d’Ischia

La Pietra di Tommasone – Ischia Forastera Dop 2022

Marisa Cuomo – Costa d’Amalfi Furore Bianco – Fiorduva 2021

Terre del Volturno Pallagrello Bianco Igp

Vigne Chigi – Pallagrello Bianco 2022

Cantina di Lisandro – Lancella 2021

Alois – Morrone 2021

Dop Irpinia Falanghina

Tenuta Cavalier Pepe – Lila 2022

Dop Falanghina del Sannio

Torre del Pagus – Falanghina del Sannio Taburno Dop -Macére 2022

Feudi di San Gregorio – Serrocielo 2022

Fontanavecchia – Falanghina del Sannio Taburno Dop 2022

La Guardiense – Anima Lavica 2022

Mustilli – Falanghina del Sannio Sant’Agata dei Goti Dop – Vigna Segreta 2021

Ocone 1910 – Falanghina del Sannio Taburno Dop – Diana 2021

Cantine Tora – Kissos 2017

Dop Campi Flegrei Falanghina

Astroni – Colle Imperatrice 2022

Salvatore Martusciello – Settevulcani 2022

Bianchi a base di Fiano

Porto di Mola – Roccamonfina Igp – Collelepre 2022

Tempa di Zoè – Paestum Fiano Igp – Asterias 2022

Tenuta Scuotto – Campania Fiano Igp – Oinì 2020

Fiano di Avellino Docg

Di Meo – Fiano di Avellino 2022

Villa Raiano – Fiano di Avellino 2022

Le Otto Terre – Saucito 2022

Tenuta Cavalier Pepe – Fiano di Avellino Riserva Docg – Brancato 2021

Feudi di San Gregorio – Fiano di Avellino Riserva Docg – Campanaro 2021

Stefania Barbot – Xoròs 2021

Macchia Santa Maria – Fiano di Avellino Riserva Docg – Boschi a Lapio 2021

Laura De Vito – Elle 2020

Laura De Vito – Li Sauruni 2020

Tenuta Sarno 1860 – Erre 2019

Greco di Tufo Docg

Di Meo – Greco di Tufo Docg 2022

Cantine Di Marzo – Greco di Tufo Docg 2022

Sanpaolo – Puddinghe 2022

Famiglia Pagano – I Tufi 2022

Tenuta Cavalier Pepe – Nestor 2022

Le Otto Terre – Greco di Tufo Riserva Docg – 2021

Amarano – Cardenio 2021

Villa Raiano – Ponte dei Santi 2021

Pietracupa – Greco Pietracupa 2020

Petilia – Campania Greco Igp – QuattroVenti 2015

“I Garagisti di Sorgono”: il Mandrolisai con firma d’autore

di Adriano Guerri

Nella medievale Rocca Rangoni di Spilamberto (Mo), durante la 7°edizione dell’evento Vignaioli Contrari, ho conosciuto un piccolo angolo di Sardegna con la cantina I Garagisti di Sorgono.

Sono rimasto colpito dai loro vini e ve li propongo con alcuni cenni sull’azienda. 

I Garagisti di Sorgono è una splendida realtà enologica sarda, nata nel 2015 dall’unione di tre giovani viticoltori: Pietro Uras, Renzo Manca e Simone Murru. Il loro obiettivo è produrre vini artigianali, espressivi e di elevata qualità con vitigni autoctoni dell’isola.

Pietro Uras – I Garagisti di Sorgono

Coltivano circa 10 ettari vitati al centro geografico della Sardegna, più precisamente a Sorgono (NU), area di confine fra Barbagia e Campidano all’interno della Doc Mandrolisai. Alcuni vigneti ad alberello libero, considerati tra i più belli del mondo, superano addirittura gli ottanta anni di età; altri invece arrivano ai sessanta, messi a dimora dai genitori e persino dai nonni dei proprietari.

Le altimetrie si attestano sui 550 metri s.l.m. con suoli poveri e sabbiosi derivanti da disgregazione granitica. Il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato da notevoli escursioni termiche e le uve beneficiano della maggior concentrazione di aromi. Le varietà coltivate sono, Cannonau, Monica e Muristellu (o Bovale Sardo). La scelta del nome aziendale deriva da “Vin de Garage”, termine usato a Bordeaux per aziende di piccole dimensioni, limitate produzioni e vini di indubbia qualità.

Note di degustazione 

Rosato Mandrolisai Doc 2022 – dalle eleganti note di rosa, lampone e creme de cassis. Fresco, sapido, leggiadro e ben ordinato.

Parisi – Bovale Igt 2021 – rosso rubino intenso, naso da viola mammola, ribes nero, pepe in grani e liquirizia. Gusto piacevolmente tannico, vellutato ed equilibrato. 

Manca – Cannonau Doc 2020 –  riflessi rubino vivaci, intensi aromi di more, prugna, ribes e mirtillo che anticipano note di pepe nero ed erbe aromatiche. Avvolgente, coerente e persistente.   

Murru – Monica Doc 2020 – rubino intenso, naso da ciliegia, lampone e rabarbaro, cui seguono note di spezie dolci e mandorla. Molto lungo e armonioso. 

Uras – Mandrolisai Doc 2020 – svela subito nuance di petali di rosa rossa, frutti di bosco, macchia mediterranea e sottobosco. Finale sapido, rotondo e armonioso.

Roma Doc: “piccola-grande” Denominazione del vino laziale

di Morris Lazzoni

Non me ne voglia l’immenso Claudio Baglioni se ho preso spunto da un suo celebre titolo, ma credo che entrambi gli aggettivi rendano bene l’idea di cosa sia oggi il territorio della denominazione Roma Doc. Ho passato un giorno intero ed una sera in questo areale e voglio raccontare dei vigneti e panorami visti, degli assaggi fatti nelle aziende e dei racconti di chi vive la zona quotidianamente.

È una piccola denominazione, se intesa come bottiglie prodotte rispetto ad altri territori del vino, ma ha una grande storia come può far ben intendere il suo nome. Quando si parla di Roma, qualunque connotazione le si voglia dare, è inevitabile scontrarsi con la grandezza e l’opulenza che questa città si porta appresso.

Nonostante il direttivo del Consorzio Roma Doc, capitanato dal Presidente Tullio Galassini, sia divenuto operativo appena nel 2018, ad essere grande e ben ampio è il territorio di competenza, che si estende, come in un caloroso abbraccio, attorno ai confini della Città Eterna.

La storia di questi luoghi parla di vino e di coltivazione della vite già dai tempi degli Etruschi, da cui i Romani appresero alcune tecniche viticole. Importante per la zona era anche le esportazione dei prodotti dal porto di Ostia, per raggiungere varie zone delle colonie.

Il fulgore del vino in epoca romana durò fino al III-IV secolo d.c. quando, anche a seguito delle lotte politiche interne e delle invasioni barbariche, iniziò la fase calante della viticoltura, con una relativa epoca gaudente sotto lo Stato Pontificio. Si devono, pertanto, ai Papi ed al Clero alcune delle tappe importanti per la valorizzazione del vino di Roma: l’Università dei Tavernieri del 1481, l’Accademia dei Vignaioli del 1692 e l’Università dei mercanti di vino del 1854.

La lunga tradizione vinicola è arrivata fino ai giorni nostri, forse perdendo per strada un pò d’importanza e nobiltà a seguito di alcune scelte di marketing e di posizionamento sul mercato fatte negli ultimi decenni. L’aver creato una nuova Doc ed il credere nella territorialità e tipicità dei questi vini sono punti fermi per uno slancio che guardi al futuro con maggiore cognizione e consapevolezza.

I territori della Roma Doc visti da più angolazioni

L’idea di questi press tour è nata su volontà del Consorzio, ben supportato dalle agenzie di comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta. Un ruolo fondamentale nel tour l’ha avuto proprio il Presidente Tullio Galassini, che non ha mancato di accompagnarci ovunque, da vero e proprio Cicerone del territorio.

Abbiamo toccato quattro diverse realtà aziendali: due di esse le racconterà il collega Alberto Chiarenza in un altro interessantissimo articolo. Io mi concentrerò, invece, sulle restanti due: Principe Pallavicini a Colonna e Cantina Federici a Zagarolo.

Entrambe si trovano nel comprensorio dei Colli Albani i quali, assieme agli opposti Monti Sabatini, costituiscono l’area dei terreni vulcanici creati alla fine del Pliocene. Nei terreni più lontani dalle caldere si possono trovare le cosiddette terrinelle, ceneri vulcaniche simili alle sabbie, mentre, avvicinandosi al centro del cratere, si rinvengono tufi, derivanti dalla cementificazione di ceneri e lapilli, che hanno formato un terreno in cui l’acqua ha scarsa permeabilità.
Terroir e condizioni pedoclimatiche non mancano, come la storia ci insegna: solo il futuro potrà dirci se i produttori sapranno interpretare al meglio questi doni di Natura.

Principe Pallavicini è il connubbio perfetto tra vino e storia ddell’antica Roma

Le colline intorno a Tuscolo, antico paese di origine pre-romanica, conquistato dai discendenti di Romolo e Remo con la battaglia del 496 a.c., fanno da contraltare ai vigneti dell’azienda Principe Pallavicini, con piante di età comprese tra 60 e 70 anni.

L’azienda comprende novanta ettari vitati nel territorio dei Castelli Romani, divisi in tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Altre proprietà a Cerveteri ed a Gallicano oltre a Palazzo Rospigliosi Pallavicini a Monte Cavallo. I vigneti si trovano a circa 200/230 metri sopra il livello del mare, con sistema di allevamento a doppio guyot tra le varietà autoctone Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Grechetto e Bombino oltre ad internazionali quali Chardonnay, Traminer e Riesling.

La tenuta di Colonna non rappresenta solo un polo produttivo per i vini della cantina, ma anche un punto d’incontro con Roma, come testimoniano le cisterne sotterranee, ancora oggi ben conservate, dell’antico acquedotto Claudio.

La bellezza di quest’opera ingegneristica lascia senza fiato, soprattutto pensando all’epoca in cui è stata realizzata ed alla capacità d’innovazione che i Romani avevano già duemila anni fa. Davvero perfette le condizioni di mantenimento delle stesse.

Dopo la presentazione da parte di Michelle Smith e l’accoglienza del CEO Giulio Senni siamo passati alla degustazione, concentrandoci soprattutto sui vini di Roma.

Roma Doc Bianco 2021, Malvasia Puntinata in purezza, si presenta fine e compatto al naso con profumi di ananas, mela gialla, pesca, zafferano, salvia, erba di campo e ricordi burrosi. Sorso dinamico, mediamente ampio, con buona e lunga distensione di freschezza. Ha netti ricordi salini e sulfurei, con scorza di bergamotto e pompelmo. Il finale è ben fatto e piacevole.

Roma Doc Rosso 2021, assemblaggio da Montepulciano, Syrah e Cesanese che porta profumi noir da mora, mirtillo, prugna, pepe nero, liquirizia, foglie di menta, tabacco, ricordi terrosi e macchia mediterranea. Schietto e ben strutturato a livello olfattivo, in bocca è ricco di sapore, evidenziando discreta acidità, tannino vivido e struttura più snella che al naso.

Da Colonna a Zagarolo da Cantine Federici

A Zagarolo la terza e quarta generazione della famiglia Federici si sovrappongono, con il padre Antonio atto nella gestione aziendale ed il figlio Damiano che si divide tra l’azienda di famiglia e la nuova Damiano Federici.

La cantina è nata nel 1960, vivendo da lì in poi varie fasi di trasformazione: dalla produzione di vino sfuso alla coltivazione diretta dei vigneti, che mano a mano sono stati incrementati per soddisfare una crescente richiesta del mercato. Il totale a Zagarolo è arrivato a quaranta ettari, cui si aggiungono gli altri sedici della tenuta di Frosinone.

Lo stile della cantina guarda a precisione e corretteza nel calice, puntando anche su varietà locali come Malvasia Puntinata, Montepulciano e Cesanese. Il Roma Doc Bianco 2022 gioca su sfumature floreali e di frutti tropicali al naso, con valida intensità ed altrettanto spunto aromatico. All’assaggio dimostra una beva semplice, in cui il tono fruttato è evidente e nitido.

Nel caso del Roma Doc Rosso 2021 l’unione di Montepulciano e Cesanese connota l’olfatto per polposità da frutti rossi, vena speziata e floreale fresco. Acidità, tannino ed ampiezza di gusto sono bilanciate tra loro, creando un vino immediato, fresco e beverino.

Una giusta considerazione va fatta anche ai vini di Damiano Federici, con il Roma Doc Bianco 2021 più aromatico ed incisivo al naso, grazie anche ad un piccolo contributo di Sauvignon Blanc nell’uvaggio. In bocca è disteso, salivante, più sottile di quanto facesse intendere all’olfatto e di sufficiente persistenza. Il Roma Doc Rosso 2021 è ben espressivo nei profumi di mora, mirtillo, spezie e foglie di pomodoro. In bocca è croccante, con un tannino forse troppo protagonista ed un finale erbaceo che sa di chinotto e liquirizia.

Saluto Roma e la Doc avendo visto luci ed ombre

Sono rimasto decisamente affascinato dal territorio romano, del quale se ne potrebbe scrivere per ore e non solo per parlare dei suoi vini. In queste terre si è fatta la storia della civiltà mediterranea, creando le basi per lo sviluppo socio-economico e culturale delle civiltà successive.

I produttori della Roma Doc hanno tra le mani un “giocattolo” potenzialmente pronto a mettersi in bella mostra, qualora riescano a comprenderne e valorizzarne la vera natura. Limitandomi a parlare di argomenti che conosco, il vino appunto, intravedo ottime prospettive future, sempre ammettendo che ci siano comunione d’intenti, visione uniforme e voglia di fare qualità.

Per troppi anni, da queste terre od altre limitrofe, si è pensato ad inondare il mercato con enormi quantitavi di bottiglie limitando l’essenza stessa della natura di questi luoghi. Mi piace l’idea che si punti sulla Malvasia Puntinata e sul Bellone, veri vitigni autoctoni che potrebbero dare personalità e slancio a tutta la zona, caratterizzando inconfondibilmente i vini.

Ci sono ancora aziende però che guardano alla quantità, puntando a determinati settori di mercato, rinunciando a fare gioco di squadra. La lotta al prezzo basso porta ad un inevitabile appiattimento.

Bisogna fare vini più genuini, caratteriali e territoriali, che parlino il linguaggio di casa, piuttosto che un futile seppure elegante esercizio di stile.

Ciao Roma, tu sei sempre la più bella del Mondo!

Montalcino (SI): visita all’azienda Caprili

di Luca Matarazzo

Bisogna riconoscerlo: fa sempre effetto visitare una realtà ben organizzata, per di più in un areale conosciuto in tutto il mondo, come l’azienda Caprili a Montalcino (SI).

L’emozione nasce dal fatto che i loro vini sono entrati a far parte di quel patrimonio enologico d’Italia, vanto per chiunque grazie al Sangiovese di queste terre, forte di connotazioni eleganti e potenti al tempo stesso. La storia della famiglia Bartolommei, titolari da 4 generazioni, nasce come tanti in Toscana, dal vecchio retaggio dell’epoca della mezzadria.

Nel 1911 già conducevano i poderi della Tenuta Villa Santa Restituta, per poi spostarsi, nel 1952 all’attuale podere denominato Caprili. Nel 1965 decidono di acquistarne la proprietà dai signori Castelli-Martinozzi, tenutari di Villa Santa Restituta, e nello stesso anno impiantano il primo vigneto, denominato ancora oggi “Madre”, da cui si ricavano le selezioni massali per i nuovi innesti.

Agli inizi si trattava di appena un ettaro vitato, per poi crescere, passo dopo passo, fino agli oltre 25 odierni. Non soltanto accrescimento agrario, bensì pure la costruzione di una nuova cantina di vinificazione per arrivare a gestire l’aumento produttivo giunto al record di 54 mila bottiglie con la straordinaria 2019.

La qualità non nasce dal caso: parlando con Giacomo Bartolommei, l’attuale timoniere aziendale, gli sovvengono i ricordi dolci ed affettuosi per suo nonno Alfo, artefice del primo imbottigliamento datato vendemmia 1978 e messo in commercio nel 1983. Alfo era un visionario, un pioniere in quelle stagioni ove il vino italiano neanche conosceva la propria identità e consapevolezza. Il futurismo enologico è visibile nel settore dedicato alle etichette storiche di valore indiscusso, con pezzi rarissimi ancora disponibili per assaggi unici nel loro genere.

Ora come allora, si decide di lavorare in base alle diverse maturazioni del vino nei contenitori, andando prima a comporre il mosaico della tipologia Rosso di Montalcino e poi quello delle botti selezionate verso il Brunello di Montalcino e la Riserva, realizzata solo nelle annate generose e equilibrate. Fusti di varie dimensioni, passaggi, periodi di sosta: dai 30 ai 60 ettolitri e dai 24 ai 36 mesi. Solo il Rosso di Montalcino viene dirottato verso tonneaux e legni da 20 ettolitri per 12 mesi.

In vigna la parte agronomica viene seguita dal padre Manuele, lo zio si occupa delle vendite ed il cugino Filippo Pieri, neppure ventenne, già rappresenta il futuro di Caprili. Giacomo Bartolommei è anche uno dei vicepresidenti del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. A lui non potevamo evitare, prima della consueta degustazione, alcune domande sull’andamento della denominazione e dei mercati.

Giacomo, esprimeresti un tuo pensiero sul presente e sul futuro del Brunello di Montalcino? <<Il presente vive ancora una lunga coda positiva di ordinativi frutto della ripresa post-pandemica. Le note dolenti arrivano, invece, dal costo delle materie prime e dagli approvvigionamenti, che molte realtà cercano di attuare per svincolarsi dalla rarefazione di vetro ed etichette. Il futuro trasmette ottimismo, pur con una flessione sui prodotti di bassa fascia fuori dalla denominazione di origine. La richiesta è altissima e si fa fatica a soddisfare tutti i mercati, superando la soglia dei 9 milioni di fascette annue.>>

E per quanto concerne il cambiamento climatico quali sono le sensazioni dei produttori? <<Con il cambiamento climatico bisogna ormai conviverci, probabilmente spostando le altitudini per la vite. Serve inoltre un corretto approvvigionamento idrico, con la costruzione di numerosi bacini di accumulo d’acqua piovana sempre più scarsa durante la primavera e l’estate. Non c’è comunque l’intenzione di aumentare i diritti d’impianto complessivi; ciò rischierebbe infatti di creare un’involuzione nella fiducia dei consumatori, non aiutando il sostegno di adeguati prezzi di vendita.>>

E adesso, ringraziando il collega giornalista Dario Pettinelli per aver organizzato un incontro tanto atteso, passiamo a momenti più ludici: la degustazione dei vini.

Partiamo dal Rosso di Montalcino 2021, che dimostra il calore dell’annata siccitosa e torrida, con alcune vasche di fermentazione dai valori record per componente alcolica. In questi casi, oggi più che mai, la mano dell’uomo diventa necessaria per riportare le condizioni entro normali limiti di piacevolezza. La tipologia non consente particolari espressioni estrattive o materiche con rinuncia, invece, ad un sorso dinamico e immediato. Per fortuna (e bravura), il target gustativo resta sempre l’agrume rosso con buoni spunti minerali e scie di erbe mediterranee. Obbiettivo raggiunto.

Il Brunello di Montalcino 2018 mostra i caratteri di una vintage totalmente differente rispetto alla 2021, giocata maggiormente su toni freschi e meno pomposi. Come sempre, preferiamo evitare giudizi e facili vaticini da rabdomanti mediatici, evidenziando che la qualità altissima non è legata necessariamente a persistenze tanniche irsute o altre componenti. Ogni anno è un racconto diverso, per chi sa narrarlo e per chi vuole ascoltare. Questo parla di ciliegie succose, tendenze all’amaricante tipiche del varietale ed un sorso che è pura goduria di bocca. Berlo ora o tra un po’ sarebbe come il dubbio amletico irrisolvibile tra l’uovo e la gallina. Perché esitare?

Vinitaly 2023: il focus sui produttori del Lazio

Alberto Chiarenza

Verona, città d’arte e cultura, dal 2 al 5 aprile, ha ospitato il più grande evento del vino italiano: Vinitaly 2023.

La 55ª edizione ha visto la partecipazione di ben 93.000 espositori, 29.600 provenienti da 30 nazioni diverse. Tante le emozioni e le occasioni per gli appassionati del vino, ma soprattutto per produttori, i buyer e operatori del settore, per incontrarsi e confrontarsi sui nuovi trend e sulle sfide del mercato.

A sinistra il professor Luigi Moio con Alberto Chiarenza di 20Italie

Il successo di Vinitaly è sotto gli occhi di chiunque. Consolidati vecchi rapporti commerciali e create numerose nuove collaborazioni. Il quartiere Fiera si è trasformato in un’immensa enoteca, con degustazioni, convegni e masterclass, dove ho incontrato esperti del settore tra i quali il professore Luigi Moio – Presidente OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, Federica Cecchi winedesigner di etichette per grandi aziende e Vice delegata della Associazione Donne del Vino Toscana, Marco Simonit di Simonit & Sirch ed enologi del calibro di Barbara Tamburini, Maurilio Chioccia e Giuseppe Colopi.

Non solo: Vinitaly ha dato anche l’opportunità di conoscere meglio il mercato internazionale, grazie alla presenza di operatori stranieri e di esperti del settore dell’export come Marco Facchini di China Link conosciuto in una cena nella sontuosa Villa Mosconi Bertani grazie ad Alessia Lulli della cantina Parvus Ager.

Tanti i produttori incontrati durante la kermesse: Giovanni Folonari e Andrea Contucci, Enrico Pimazzoni di Sagrivit, gruppo che racchiude tre grandi realtà vinicole, Rocca Bernarda, Villa Giustiniani e Castello di Magione, Francesca Pagnoncelli Falcieri, produttrice e Presidente del Consorzio Moscato di Scanso e organizzatrice dell’evento Wine in Venice, Umberto Trombelli Delegato di AIS Latina, Tullio Galassini Presidente del Consorzio Roma DOC e Emanuele Ranchella della Associazione Vignaioli in Grottaferrata.

La possibilità, unica nel suo genere, di conoscere meglio le realtà vitivinicole delle regioni italiane, in particolare il Lazio, che sta facendo un lavoro encomiabile per proiettarsi ai massimi livelli qualitativi.

Nel territorio del Cesanese, ad esempio, spicca Pina Terenzi, figlia di Giovanni Terenzi l’uomo che ha creduto nel vitigno rosso ciociaro. Dal 15 marzo Pina è il nuovo Presidente del Consorzio del Cesanese del Piglio DOCG. Rimanendo sul territorio, ho intervistato Marina Perinelli della storica Cantina Casale della Ioria e con Gabriella Grassi della Cantina L’Avventura. Una vera e propria avventura d’amore, insieme al marito Stefano Maturro, che ha portato alla creazione di vini di notevole qualità e potenziale.

Nello stand dedicato ai Castelli Romani ho incontrato Chiara Iacoponi di Eredi dei Papi, Lorenzo Costantini di Villa Simone e la figlia Sara, che ha intrapreso il percorso paterno iniziando una produzione propria con la nuovissima realtà: Borgo del Cedro. Infine Cristina Piergiovanni di Casale Vallechiesa, Francesco De Sanctis della Cantina De Sanctis, 

Per la Provincia di Latina, Giovanna Trisorio della Cooperativa Cincinnato, con la sua realtà a Cori che vanta la partecipazione di ben 110 associati e la signora Carmen della Cantina I Pampini, visitando anche lo spazio dell’azienda Villa Gianna.

Appartiene alla bassa Tuscia la Cantina Muscari Tomajoli dove il Vermentino (per Marco Muscari Tomajoli) è un punto di riferimento. Ma la vera scommessa e sfida è stata AIDA, rosso di struttura ottenuto da rese bassissime di uve Montepulciano, raccolta tardiva e, dopo la fermentazione, elevazione in barrique per 18 mesi poi in bottiglia per altri 9. Solo 325 bottiglie davvero ricercate.

Vinitaly è stata anche l’opportunità per constatare e tastare il polso del livello qualitativo del panorama enologico italiano, attraverso convegni e incontri con la partecipazione delle più alte cariche istituzionali italiane. Tra i temi trattati si è parlato dell’impatto del cambiamento climatico sulla produzione del vino e delle strategie adottate per far fronte a questa sfida. In particolare, si è discusso della necessità di adottare pratiche sostenibili e di ridurre l’impatto ambientale della produzione vitivinicola.

Ampio spazio è stato dato ai vini naturali e biologici, sempre più apprezzati dai consumatori. Sono stati organizzati degustazioni e incontri con i produttori di questi vini, per far conoscere al pubblico le loro caratteristiche e le tecniche utilizzate nella produzione. Non sono mancate le novità tecnologiche, con la presentazione di soluzioni innovative per la gestione dei vigneti e la vinificazione, che permettono di ottenere vini sempre più di qualità, con un minore impatto ambientale e una maggiore efficienza produttiva.

Grande merito va riconosciuto a Excellence di Pietro Ciccotti che, con professionalità, ha organizzato nell’area eventi un’agenda fitta di incontri in collaborazione con la Regione Lazio, ARSIAL e altri Enti, Associazioni e Consorzi vitivinicoli. 

Vinitaly: un appuntamento imperdibile per gli appassionati del buon vino e per tutti coloro che desiderano scoprire le eccellenze enologiche del made in Italy. Al prossimo anno!

Da “Cibrèo Ristorante” a Firenze: quando l’amore davvero è dappertutto

di Augusta Boes

Da “Cibrèo Ristorante” a Firenze: quando l’amore davvero è dappertutto

Sono talmente assorta nel mondo del vino che mi ci è voluto un caro amico di Los Angeles, col quale ho condiviso gli anni del College a Washington, per presentarmi Fabio Picchi e il suo fantastico Cibrèo, leggendaria trattoria di Firenze in Via del Verrocchio. L’incontro è stato così toccante e coinvolgente che, per la prima volta in assoluto, ho deciso di raccontare una storia che non fosse di una Cantina.

A destra l’autore di 20Italie Augusta Boes

La gentilezza nell’accoglienza è d’obbligo in qualsiasi ristorante certo, ma qui da Cibrèo c’è qualcosa di profondamente diverso. Quell’attenzione che va ben oltre la cortesia nei gesti, fatta di sguardi e di parole che ti fanno sentire subito un amico di vecchia data, un ospite in famiglia, come se stessero aspettando solo te.

La sala è illuminata da una luce calda, di quel chiarore color zafferano da tè danzante anni Venti. C’è una candela su ogni tavolo a rendere l’atmosfera ancora più intima. Il nostro tavolo è in una posizione strategica, domina tutta la sala e, casualmente, ma non troppo, è lo stesso tavolo della volta precedente. Per il mio amico Dom, non per me. Lui dalla California è un loro cliente affezionato da anni, per me che vengo da Roma invece è la prima volta, e un po’ me ne vergogno!

La sala

La sala si riempie velocemente, di sorrisi e di allegria. Non siamo qui semplicemente per il piacere edonistico della tavola d’autore. Siamo tutti qui in cerca di quell’attimo di trasalimento, di quel picco di gioia, di quella emozione che va ben oltre l’esperienza del cibo. Le vibrazioni positive sono davvero forti in sala, e la felicità è talmente densa e tangibile che la si taglia con il coltello. Seduti in tavoli diversi, siamo tutti connessi più o meno inconsciamente, e mentre sfoglio la carta dei vini (deformazione professionale) mi viene in mente la scena iniziale del film “Love Actually”.

È la scena dell’aeroporto in cui le persone si ritrovano e si abbracciano, e la voce fuori campo racconta che “ogni volta che sono depresso …. penso all’area degli arrivi dell’aeroporto di Heathrow …. Per me l’amore è dappertutto! Padri e figli, madri e figlie, mariti e mogli, fidanzate, fidanzati, amici… Io ho la strana sensazione che se lo cerchi, scoprirai che l’amore davvero è dappertutto”. Ecco, per me non sarà la sala di arrivo di un aeroporto a ricordarmi tutto ciò; d’ora in avanti sarà la sala del Cibrèo.

Assorta in questo potentissimo piano vibrazionale, mentre mi godo un confortevole senso di appartenenza, una coppia con i capelli d’argento cattura la mia attenzione. Li avevo notati nel pomeriggio in giro per Firenze; passeggiavano mano nella mano e si guardavano come se fosse il loro primo appuntamento. Sì, l’amore davvero è dappertutto e io, qui, adesso, sono nel posto più giusto che mi possa venire in mente, innamorata più che mai della vita.

Zuppetta del Pescatore

E l’amore è forte, vibrante e agrodolce nelle parole di Giulio Picchi, che mi racconta la sua Zuppetta del Pescatore. “Me l’ha insegnata il babbo, è un piatto semplice dei pescatori delle isole, fatto con le verdure e i pesci meno pregiati, quelli che al mercato non compra mai nessuno”. Piatto talmente sublime che non ho resistito e ho fatto il bis, e non l’ho nemmeno dovuto chiedere! La Direttrice Cristina Petrelli, impeccabile e attenta, deve avere notato la gioia eloquente nei miei occhi e me ne ha portato un altro piatto. È bellissimo avere qualcuno che anticipa i tuoi desideri e si prende cura di te in questo modo. Io non ci sono abituata!

Spezzatino con piselli e patate

Lo spezzatino con piselli e patate, un piatto che sa tanto di casa, di famiglia e di dolce conforto, è impreziosito da deliziosi bocconi di tenerissima ricciola, un pesce di profondità dalle carni morbidissime e succulente che adoro particolarmente. Non tenterò di descriverne lo spettro organolettico, né tantomeno l’equilibrio del piatto e la bontà dei sapori. Spesso non lo faccio nemmeno con quei vini spettacolari per i quali ogni racconto, ogni descrittore risulterebbe tristemente inadeguato. Da godere ad occhi chiusi per imprimere nella memoria la piacevolezza commovente del momento.

Il vino, certo che ne parlo! Per una cena a base di pesce e non solo, non poteva che essere un vino di mare e di monti, e in Italia di vini così non ce ne sono poi tantissimi. In carta, per la mia gioia, ho trovato il Tramonti Bianco – Costa d’Amalfi DOC di Tenuta San Francesco. Un blend di Falanghina, Biancolella e Pepella che mi fa sempre battere il cuore.

Il vino

Vino che ha accompagnato con la sua freschezza e bella struttura non solo i piatti di mare, ma anche lo sformato di patate e ricotta al forno con il ragù, e il tenerissimo piccione ripieno di mostarde con cipolline borettane in agrodolce, i piatti scelti da Dom. Per quanto si sposasse egregiamente con tutto, l’abbinamento perfetto lo ha trovato con lo spezzatino di ricciola, aggiungendo l’effetto “dolby surround” ad ogni boccone, compreso il pane con cui ho fatto elegantemente la scarpetta.

I secondi

È difficile mi faccia tentare dal dessert, non amo particolarmente i dolci, ma non ero ancora pronta a lasciare andare questo momento magico, e così mi sono lasciata tentare dalla torta al cioccolato senza farina. Una coccola densa e cremosa talmente buona che mi sono dimenticata di fare la foto! Ugualmente deliziosa la torta di ricotta e arance scelta invece da Dom.

I dessert

La serata volge al termine purtroppo, è tempo di andare. Siamo entrati in cerca di emozioni, e ce ne torniamo a casa con gli occhi pieni di meraviglia e il cuore pieno di ricordi. Una bellissima ragazza mi porge la giacca, la mia, senza che le dovessi ricordare quale fosse. Sono i dettagli che fanno la differenza. E per quanto possa sembrare semplice, ma vi sfido a farlo al suo livello,

“saper soffriggere, saper far pomarole, è come muovere una leva che lentamente ma costantemente ci porterà verso un mondo migliore.” – Fabio Picchi –

Fabio Picchi

Caro Fabio, non ho fatto in tempo a conoscerti personalmente, e questo resterà per sempre il mio grande rammarico. Ma so che mi senti, e che sei sempre qui, in questa sala che hai tanto amato. Per cui te lo devo dire: stasera qui con te, a casa tua, il mio mondo è davvero diventato migliore. Mi hai regalato un attimo perfetto e tornerò presto, te lo prometto. Non è mai troppo tardi per diventare amici.

CIBRÈO RISTORANTE

Cucina fiorentina e toscana

Via del Verrocchio 8r
Firenze, Italia

booking@cibreo.com
Tel  +39 055 234 11 00

Orario di apertura:
Dal martedì al sabato dalle 12.30 alle 14.30
& dalle 19.00 alle 22.30

Chiuso la domenica e il lunedì.

Braceria “Cillo Experience” a Somma Vesuviana

di Paolo Loffredo

Sabatino Cillo colpisce ancora e lo fa con il suo immancabile motto “non accettare carne dagli sconosciuti”.

Questa volta l’idea di portare il suo marchio di fabbrica in giro per la Campania, precisamente a Somma Vesuviana (NA) – Via Marigliano 130 – lo si deve alla promettente unione con lo chef Salvatore Vitiello e la sua brigata, composta da Saverio Guardato e Luigi Passariello in cucina e da Enrico Lucarelli in sala, con mansioni di assistenza ai clienti e consigli per l’abbinamento cibo vino.

a sinistra Sabatino Cillo

Sabatino è un maestro di tecnica da provato macellaio, dopo i trascorsi in svizzera da figlio di emigranti. Classe ’64, a soli 21 anni rientra in Italia fondando la sua prima bottega di carni e, dopo 30 anni in continua crescita, realizza il sogno della braceria ad Airola (BN).

Rispettata la filiera di qualità da assoluto pioniere del settore: gli allevamenti selezionati sono sparsi lungo l’intero territorio sannita e parte del potentino. A Cillo spetta la supervisione e la scelta delle carni migliori, tra quelle di razza bovina (le classiche Marchigiana, Frisona, Chianina o gli incroci studiati personalmente), suina (Antico Suino Nero Lucano o il Suino di Razza Casertana), l’agnello di Laticauda, il pollo bianco ruspante lucano del Picerno e persino il coniglio di San Giorgio La Molara (BN).

Differenti le proposte che comprendono anche insaccati e salumi, formaggi e conserve a chilometro zero da produttori certificati. Proprio nell’arte di creare würstel e affini risiede il sogno futuro di realizzare piccoli punti vendita su base regionale, ove le persone possano fruire delle preparazioni da mangiare in loco o da portare a casa.

Uno stile tipicamente nord europeo che ricalca i chioschi presenti lungo le strade di paese e quelle ad alto scorrimento; una modalità rapida e gustosa per approfittare di una sosta all’insegna della gastronomia di altissimo livello.

In una cena degustazione, organizzata nei nuovi locali “Cillo Experience” a Somma Vesuviana, in compagnia di operatori ed esperti e di Angela Merolla, promotrice dell’evento, abbiamo assaggiato alcune delle specialità di casa, nell’attesa di visitare la sede di Airola per un racconto più approfondito.

Tante le sorprese, a cominciare dalla polpetta di salamino realizzata a mo’ del celebre cioccolattino con nocciola, o il “Marchigianotto”, hot dog di Suino Nero proposto in accoppiata con un Bratwurst di Vitello e contorno di crauti.

Intriganti le tartare, da scegliere in più versioni o come vera e propria esperienza sensoriale gourmet. Qui ce n’è per tutti i gusti, anche se la mia preferita resta la versione delicata con crema di pomodorini gialli e rossi, lattica di Pezzata Rossa, prosciutto crudo di Suino Nero Lucano e polvere di olive nere.

Ottima l’esecuzione delle lunghe cotture, come i classici ragù alla genovese ed alla napoletana, o la guancia di vitello corredata dai suoi succhi, tenera ed appetitosa.

Incredibile, infine, la punta di petto marchigiana con verdure tornite. La carne viene affumicata personalmente dallo staff di Sabatino Cillo, utilizzando legni dedicati. Una scelta importante che prosegue nella parte riservata alla brace: un’attenzione necessaria per evitare condizionamenti organolettici eccessivi della carbonella, esaltando le componenti aromatiche della carne.

Bene il rapporto qualità-prezzo, nonostante il percorso articolato per chi volesse raggiungere il locale in automobile e nonostante il difficile momento che vive l’intero comparto a causa della bolletta energetica. Da ampliare la carta dei vini, compito che toccherà presto alle competenze di Enrico Lucarelli, ormai prossimo al traguardo da sommelier professionista.

Accettiamo pure la carne dagli sconosciuti… a patto che sia di qualità, certificata e da filiera controllata e garantita, come quella di Cillo Experience.

Bacci Wines: equazione risolta

di Augusta Boes

Esiste un’equazione, apparentemente semplice, ma non sempre risolvibile: TANTO + BUONO = TANTO BUONO.

Notoriamente prediligo le produzioni medio-piccole e adoro quelle cantine così minuscole che non avrebbe senso fare vino se non fosse eccellente, oppure semplicemente per uso personale! E forse nemmeno per quello, se non fosse comunque salubre e sufficientemente piacevole. Ciò premesso non ho mai preconcetti e mi piace esplorare, comprendere ed assaggiare a prescindere dalle proporzioni o dalla filosofia di produzione di ogni singola realtà, purché la produzione sia sempre nel rispetto di parametri di qualità e di sostenibilità ambientale.

Ogni produttore con il suo stile e la sua personalità, ma tutti accomunati dal rispetto per la Natura, per il territorio e per il consumatore. Moderni artigiani di una tradizione secolare, uomini e donne d’altri tempi ma sempre proiettati nel futuro. Questo l’identikit del “mio” produttore ideale, e come vedete non vi è alcun accenno a dimensioni di sorta. Insomma, mi accontento di poco!

Bacci Wines è una realtà medio grande nel panorama vitivinicolo della Toscana e non solo. L’azienda nel suo complesso vanta oltre 900 ettari a conduzione biologica certificata, con un campo fotovoltaico di ben otto ettari ed è suddivisa su 5 tenute: Castello di BossiTenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcin, Terre di Talamo in Maremma. Sono 21 le etichette prodotte fra rossi, bianchi, rosé, dolci e spumanti, con qualche esperimento avveniristico per non sentirsi mai arrivati! La produzione annua si aggira intorno a un milione e duecentomila bottiglie, sono decisamente numeri importanti. Entriamo un attimo nel merito di questi numeri tuttavia, e vedrete quante belle sorprese…

La produzione della linea base, massimamente rappresentativa per ogni cantina, delinea sempre la sfida più impegnativa: quella da dover vincere senza se e senza ma.  Qui il processo è necessariamente ad alta automazione a cominciare dalla raccolta meccanica che, su superfici considerevoli, ha il vantaggio di garantire tempestività d’esecuzione, parametro fondamentale nella produzione di vino di qualità. Le uve devono essere raccolte tutte al medesimo stadio di maturazione e devono arrivare rapidamente in cantina.

All’apice della loro piramide qualitativa troviamo una interessante declinazione di Cru, parcelle specifiche gestite ognuna come micro-produzione sia nella conduzione dei vigneti, con raccolta manuale e selezione delle uve migliori, che con pratiche di cantina artigianali, ma sempre sotto la guida attenta e l’occhio vigile dell’enologo Stefano Marinari. Attenzione, selezione e pulizia sono i punti cardine della sua filosofia produttiva e tutto ritorna con estrema precisione durante l’assaggio.

Apriamo la degustazione con un Metodo Classico da Sangiovese, nel più rigoroso rispetto dell’etichetta, dopo tutto siamo ospiti in un Castello! Amo i Pas Dosé, credo ai numeri degli angeli come ad esempio 1111, e adoro il Sangiovese che trovo davvero divertente in versione spumantizzata. Che dite, mi sarà piaciuto il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero? Solo 3.000 bottiglie per una fresca ondata di morbide bollicine dal carattere tutto toscano.

In rapida sequenza stappiamo poi Vento 2021 e Vento Forte 2016, due interpretazioni di Vermentino della costa maremmana davvero interessanti. Il primo, vinificato in acciaio, di brezza marina ed erbe aromatiche, presenta piacevolezza e tanto carattere. Il secondo, stagionato in barrique in prevalenza di secondo e terzo passaggio, colpisce particolarmente per la sua delicata cremosità che ricorda lo Chardonnay, ma che poi si differenzia immediatamente con i suoi piacevolissimi sentori di salvia e alloro, di camomilla e tiglio e quell’immancabile nota iodata che riporta alla carezza del vento di mare nel profumo e nel sorso. Conquistare una rossista convinta come me con i bianchi (e per di più in Toscana) non è affare da poco!

Ma rientriamo da questa piacevolissima passeggiata in spiaggia e sediamoci comodi davanti al camino, che adesso a Castello di Bossi comincia a nevicare! Dimmi che sei in Chianti Classico senza dirmi che sei in Chianti Classico: Berardo Chianti Classico DOCG Riserva 2018 e non aggiungo altro!

Per un’amante di Montalcino come me non potevano mancare certo gli assaggi della tenuta Renieri. Impeccabile Renieri Brunello di Montalcino DOCG 2018 fine ed elegante, ma l’autentico attimo di trasalimento me lo ha regalato il Rosso di Montalcino DOC 2019 con un bouquet esemplare e quel suo sorso dinamico, fresco e coinvolgente.

Voce solista fuori dal coro qui a Castello di Bossi è il Pinot Nero di cui si producono circa 3.000 bottiglie. C’è grosso fermento negli ultimi anni intorno a questo vitigno in Toscana e non posso fare a meno di chiedere all’enologo Stefano Marinari se il Pinot Nero abbia davvero un suo perché in questo territorio. La sua risposta mi spiazza e al contempo mi illumina.

Il Pinot Nero è il sogno proibito di ogni enologo, mi dice Stefano. Se c’è un solo barlume di speranza che possa adattarsi e produrre qualcosa di interessante non è possibile rinunciare al sogno più grande. È un vitigno complicato sotto tanti punti di vista, non per ultimo per il fatto che richiede molti più anni di tanti altri prima di produrre uve di qualità adatte alla vinificazione. Il vigneto qui è stato impiantato nel 2014, e bisogna considerare il fatto che il territorio della Toscana marca davvero tanto. Non c’è la pretesa di ambire all’inutile paragone con la Borgogna, non avrebbe senso. Però è una sperimentazione promettente che fin qui ha restituito un piacevolissimo vino, gradevole e molto versatile nell’abbinamento. Dopo aver assaggiato sia l’annata 2020 che la 2021 in anteprima, confermo e sottoscrivo!

Sebbene il vino sia la star indiscussa a Castello di Bossi, tuttavia non è il solo protagonista. L’olio Extravergine di Oliva (in sigla EVO) è letteralmente “da sbattere per terra”! E per concludere, sono grandi maestri nella sapiente arte dell’accoglienza. Siamo a Castelnuovo Berardenga nella parte meridionale del Chianti Classico. Dalle finestre si scorge netto all’orizzonte lo skyline di Siena con l’inconfondibile torre del Mangia e, per chi vuole raggiungere Firenze, la passeggiata attraverso le dolci colline della Toscana è davvero incantevole. Il Resort nel borgo medievale è suggestivo ed elegante, con ambienti curati e spaziosi. Poi per una come me che dimentica frequentemente lo spazzolino o il dentifricio, spesso e volentieri entrambi, l’averli trovati nel kit da bagno è stato davvero impagabile! Anche se questa volta me li ero portati.

Tornando alla nostra equazione, sarà stata risolta secondo voi? In questo caso direi proprio di sì!

Castello di Bossi

Località Bossi in Chianti
Castelnuovo Berardenga – 53019
Siena – ITALY https://bacciwines.it/it/bossi-di-sopra/