Romagna: Tenuta Uccellina, una viticoltura cesellata fra pianura e collina

di Matteo Paganelli

Si narra che i romagnoli siano un popolo ospitale e se ne ha la conferma quando si arriva in una cantina, manco a farlo apposta nel giorno in cui il produttore deve imbottigliare e, anziché dirti che non ha tempo, ti accoglie calorosamente.

Questo è solo un esempio del classico tipo di trattamento che Alberto, Antonietta ed Hermes Rusticali – Tenuta Uccellina – riservano a chi va a trovarli nella loro azienda agricola a Russi (RA).

Alberto Rusticali

Oggi in particolare si imbottiglia “Ghineo” Romagna DOC Sangiovese Riserva che da quest’anno esce con la sottozona Brisighella in etichetta. Già, perché pochi sanno che, nonostante Tenuta Uccellina sia da sempre ubicata nelle pianure ravennate dove coltivano i loro prodotti di punta Bursôn e Rambëla (di cui parleremo in seguito), continua a puntare sui vitigni Romagnoli per eccellenza: Sangiovese e Albana. Lo fa in collina, proprio in una delle zone più vocate per la viticoltura. La storia abbraccia pianura e collina, usualità e unicità; ma andiamo per ordine.

Le origini della famiglia sono abbastanza comuni qui in Romagna: provenienti dal settore agricolo, con la splendida location ove oggi sorge l’azienda che era un tempo la casa dei nonni; coltivatori d’uva sin da quando attorno al casale non sorgeva alcun centro abitato. Nel 1985 Alberto, mosso da fortissima passione e motivazione, decide di iniziare a diventare produttore di vino, quasi come per hobby (lavorava come dipendente in una distilleria in zona), credendo così tanto nel progetto, al punto da investirci risorse, prendendo in affitto dei vigneti a Bertinoro e iniziando quindi a sponsorizzare la viticoltura di collina.

La produzione prevedeva solo la vendita in damigiane, ai tempi consuetudine locale. La svolta arriva pochi anni più tardi, alla fine degli ’80, quando Pasquale Petroncini de “La Ca’ de Vèn” di Ravenna suggerisce di iniziare a imbottigliare i propri vini. Nascono così le prime annate di Trebbiano, Sangiovese e Albana, sotto la guida enologica del pilastro Sergio Ragazzini.

I risultati non tardano ad arrivare: l’Albana di Romagna DOCG 1989 viene proclamata Albana dei VIP dall’allora Ente Tutela Vini di Romagna e nel 1995 la richiesta è così alta che, oltre ai 2 dipendenti fissi, Alberto è costretto a licenziarsi dalla distilleria per seguire la cantina a tempo pieno. Il 1998 è forse l’anno più importante per Tenuta Uccellina quando, grazie proprio a Sergio Ragazzini, promotore della riscoperta del vitigno dimenticato “Longanesi”, oggi lanciato con il nome Bursôn, fonda assieme ad altri soci il Consorzio “Il Bagnacavallo” per commercializzarlo..

Nel 2004 il Consorzio istituisce il premio “Miglior Bursôn” al quale da allora partecipano ogni anno tutti i produttori iscritti, presentando i loro vini a una commissione di enologi e sommelier. Quello di Tenuta Uccellina si conferma vincitore in svariate annate, la più significativa è proprio l’edizione di quest’anno 2023, anno di premiazione del loro Bursôn “Etichetta Nera” 2016.

Ciò a riprova del fatto che quella vendemmia combacia con il primo anno in cui Hermes, figlio di Alberto e Antonietta, prende le redini enologiche di Tenuta Uccellina. Il 2016 vede inoltre anche l’imbottigliamento di Teodora, un’edizione limitata di Bursôn in soli 1.000 esemplari e solo nelle annate più propizie (prima di questa solo la 2008 e la 2011), da una selezione delle migliori Tonneau. L’etichetta è dedicata a Teodora, l’imperatrice di Bisanzio, della quale nella Basilica di San Vitale di Ravenna è conservato il suo famosissimo ritratto mosaico.

Torniamo indietro alla metà degli anni 2000. Mentre il Bursôn spopolava anche per la poca competizione, non si può dire lo stesso di Sangiovese e Albana. Numerose sono infatti le giovani cantine che vedono la luce in quegli anni, aumentando a dismisura l’offerta e causando un forte deprezzamento con bottiglie in vendita a partire da pochi euro. Si scatena una vera e propria guerra al ribasso, dove a uscirne sconfitti sono purtroppo i proprietari che sceglievano di puntare sulla qualità, costretti a ridurre il prezzo per restare sul mercato con inevitabili ripercussioni sul margine.

Per riuscire a restare a galla, nel 2010 arriva la decisione per Tenuta Uccellina di spostare i suoi vigneti da Bertinoro a Oriolo dei Fichi in modo da migliorare la logistica verso i locali deputati alla vinificazione e guadagnare così in competitività. La famiglia Rusticali opta, nel 2019, per un ennesimo spostamento delle vigne questa volta per ragioni stilistiche, abbandonando i terreni sabbiosi di Oriolo alla ricerca di quelli gessosi di Brisighella, nell’ottica della ricerca di una maggior complessità e profondità.

Inoltre da Tenuta Uccellina i cosiddetti autoctoni dimenticati abbondano. Uno in particolare vede la luce nel 2012: si tratta della Rambëla, termine dialettale (utilizzabile solo dai produttori del consorzio “Il Bagnacavallo”) con il quale viene indicato il vitigno Famoso. Questo vitigno, di carattere semi-aromatico, si presta in maniera egregia sia alla produzione di un vino fermo secco, sia alla produzione di bollicine.

È risaputo che il Famoso perda la sua carica aromatica dopo i primi 12 mesi dalla vinificazione, e per tale motivo solitamente se ne incentiva il consumo entro l’anno solare; tuttavia, in una recente degustazione di una loro Rambëla con 6 anni sulle spalle, sono state evidenziate caratteristiche di evoluzione decisamente interessanti, con freschezze ancora ben presenti agevolate dalla chiusura Nomacorc e Screwcap, per cercare di regalare qualche altro anno di longevità a questo prodotto tutt’altro che fugace.

Ho resistito fino a fine articolo per parlarvi di quello che a mio avviso è il dulcis in fundo di Tenuta Uccellina. Sto parlando di Biribésch, nome del vino che viene ottenuto da un rarissimo vitigno autoctono chiamato Cavècia. Il nome è dedicato al nonno di Alberto, soprannominato proprio “e biribésch”, il birichino, a indicarne la natura vocata allo scherzo.

Prodotto sia in versione rifermentato in bottiglia, sia in versione metodo classico, si affianca al contesto aziendale di esclusività e incorona una storia di sperimentazione da rare varietà autoctone (ricordiamo il loro spumante Alma Luna da uve Lanzesa e il loro spumante Pelaghios da uve Pelagos, entrambi non più in produzione).

Non resta che far visita ad Alberto, Antonietta ed Hermes per aver fatto della tradizione e dell’innovazione i capisaldi della produzione di vino in Romagna.

Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità

di Augusta Boes

Marco Bacci, imprenditore da sempre e vignaiolo per amore, raccoglie la sfida del caso e prova ad affinare il più classico dei tagli bordolesi nel profondo degli abissi della costa maremmana, con risultati davvero sorprendenti con il suo progetto “Talamo a mare”.

In un nostro precedente articolo (Bacci Wines: equazione risolta) avevamo anticipato che ci sarebbero state interessanti novità all’orizzonte in casa Bacci Wines, e che ne avremmo parlato a tempo debito: il momento è arrivato e “ogni promessa è debito”.

Il sorriso solare e l’entusiasmo sincero con cui Marco Bacci ha accolto media e giornalisti nella sua tenuta Terre di Talamo, nei pressi di Fonteblanda (GR) in piena Maremma Toscana, hanno immediatamente conquistato tutti. In un caldo pomeriggio di luglio, coccolati da un rinfrescante calice di spumante e dalla brezza che porta i sussurri del mare fin su la collina, ci siamo sentiti subito a casa. Uno spumate peraltro d’eccezione, il Barbaione AD 1111 Dosaggio Zero, un metodo classico da uve Sangiovese di cui si producono poco più di 3.000 bottiglie per una fresca carezza dal gusto decisamente toscano.

Non è raro che imprenditori nazionali e internazionali decidano di investire in tenute vitivinicole qui in Italia. Tuttavia, sono pochi quelli che si lasciano coinvolgere così profondamente da decidere di cambiare radicalmente vita.

Bacci Wines: una scelta di vita all’insegna dell’eccellenza

La storia di Bacci Wines comincia come tante altre: un giovanissimo ed esuberante imprenditore decide di acquistare una tenuta vitivinicola, un po’ per gioco, un po’ come investimento e un po’ perché fa tendenza.  Si innamora di Castello di Bossi nell’areale del Chianti Classico, i cui spazi di cantina, tra l’altro, custodiscono storie e segreti del grandissimo enologo Giacomo Tachis. Ed è così che questo ragazzo di 25 anni intraprende, più o meno inconsapevolmente, una nuova avventura che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. «Il primo segno di pazzia, che poi mi ha preso tutto» ci racconta Marco, a tal punto che nel 1996 decide di vendere le sue aziende d’abbigliamento per sposare senza compromessi la sua nuova missione: fare vino e farlo anche molto bene.

Da allora l’azienda si è espansa notevolmente, e ad oggi conta 5 tenute a conduzione biologica certificata: Castello di Bossi, Tenuta di Renieri e Barbaione in Chianti Classico, Renieri a Montalcino, e Terre di Talamo qui in Maremma. Una “pazzia” davvero dilagante.

Terre di Talamo: il rifugio del lupo di mare

La tenuta maremmana è incantevole: un anfiteatro naturale con i vigneti che baciano Talamone in lontananza, declinando dolcemente verso il mare azzurro. Affascinato dalla sua bellezza, Marco all’epoca concluse l’affare in soli cinque giorni, aggiungendo Terre di Talamo alla sua collezione di gioielli. Il posto perfetto per lui che ama le immersioni e la pesca di profondità; che poi, a guardarlo bene, è difficile distinguere il vignaiolo dal lupo di mare.

Tra questi filari nascono, tra le altre cose, due interpretazioni davvero interessanti del Vermentino di Toscana, rispettivamente il Vento e il Vento Forte. Il primo, vinificato in acciaio, cattura l’essenza della brezza marina e delle erbe aromatiche, offrendo un vino piacevole e dalla personalità leggiadra. Il secondo, invece, maturato in barrique, colpisce per la sua delicata cremosità e si distingue per i suoi piacevoli sentori di frutta bianca, salvia, alloro, tiglio e ginestra. Inconfondibile la nota iodata che, anche in questo caso, richiama la carezza del vento marino sia nell’aroma che nel gusto.

Talamo a mare: il vino rosso affidato alle cure di re Tritone

Il vero protagonista della giornata però è stato il Talamo a Mare, il vino nato per caso da una dimenticanza. Il destino ha voluto che Marco scordasse per lungo tempo una cassa di Talamo, il taglio bordolese dell’azienda, nella stiva della sua barca. Al ritrovamento la sorpresa è stata grande. Il rollio delle onde, la temperatura e il grado di umidità pressoché costanti avevano conferito al vino una marcia in più. È da qui che nasce l’idea di sperimentare l’affinamento in fondo al mare, il primo tentativo in assoluto per un vino rosso in Toscana, tant’è che la mancanza di norme specifiche ha fatto sì che ci volessero poi 3 anni per poter inabissare la prima cassa a 35 metri.

Non lascia alcun dubbio la degustazione comparativa di questi gemelli diversi, di terra e di mare, figli della stessa botte, assaggiati nei millesimi 2018 e 2019. Custodito e coccolato da dio Tritone, sebbene il ventaglio olfattivo e la piacevolezza del sorso fossero molto simili, il Talamo a Mare è decisamente un vino in dolby surround. L’intensità e la profondità dei profumi, di frutti rossi croccanti, rose carnose, ibiscus e delicate spezie dolci, risultano amplificati come ci fosse una sorta di reverbero a sostenerne la complessità. La stessa cosa si può dire del sorso che risulta teso, dinamico e piacevolissimo, con tannini carezzevoli, grande equilibrio e tanta freschezza. Puntuale e precisa la corrispondenza gusto-olfattiva, caratteristica sempre importante nel valutare la qualità di un vino.

Un esperimento che sin qui ha dato ottimi risultati che hanno premiato la tenacia e la caparbietà di Marco Bacci nel perseguire questo suo sfidante obiettivo. E la storia non finisce certo qui; non mancano le idee e i nuovi progetti ma nessuna anticipazione, per non rovinare la sorpresa. Ne parleremo a tempo debito. Braccia fortunatamente restituite all’agricoltura quelle di Marco, perché se un vino non è fatto prima per passione e poi per il mercato, la differenza si sente tutta, e qui il supplemento d’anima risulta davvero rilevante.

Chianti Classico: La Sala del Torriano

di Adriano Guerri

Di recente ho approfondito la conoscenza sul meraviglioso areale del Chianti Classico visitando la cantina La Sala del Torriano, grazie all’ottima organizzazione della giornalista Roberta Perna.

Dopo una passeggiata nei vigneti adiacenti alla struttura, abbiamo degustato alcuni dei loro vini di annate diverse, chiudendo la serata con una suggestiva cena a bordo piscina. Qui si trova infatti anche l’agriturismo che mette a disposizione degli ospiti  5 appartamenti, mentre la cantina di vinificazione è a poca distanza da Torriano.

La Sala del Torriano è situata nella sottozona di San Casciano nella parte nord della Denominazione, più precisamente a Montefiridolfi a pochi chilometri dal capoluogo toscano.
Vanta 33 ettari vitati e una estensione complessiva di oltre 70 con oliveti e bosco. I vigneti sono condotti secondo i dettami dell’agricoltura biologica, posti a 310 metri s.l.m. su terreni argillosi ricchi di magnesio e ferro, con presenza di macigno del Chianti. 

Le varietà allevate sono il Sangiovese, protagonista indiscusso del Chianti Classico, Cabernet Sauvignon e Merlot. Un’azienda interamente ad “anima rossista”. Dal 2014 al timone c’è Francesco Rossi Ferrini, che si avvale della preziosa collaborazione dell’enologo Stefano Di Biasi e di Ovidio Mugnaini enologo e agronomo.

Vinificano soltanto il 50 % delle uve prodotte, ricercando le migliori selezioni da ogni vigneto e svolgendo un attento lavoro in cantina con fermentazioni suddivise in piccoli lotti per rispettare al massimo le differenze di espressione. I legni utilizzati per la maturazione del vino sono poco invasivi. Nei loro prodotti riscontriamo finezza e piacevolezza di beva, ma anche buona struttura, facili e belli da ricordare.

I vini degustati

Chianti Classico 2016 – Sangiovese 90% Merlot 10% – Rubino vivace e trasparente, emana note di viola, marasca, prugna, mora e pepe nero, fresco. Avvolgente e lungo all’assaggio.

Chianti Classico 2015 – Stesso uvaggio, con sentori di rabarbaro, arancia sanguinella e spezie dolci. Tannino fresco, setoso e armonioso.

Chianti Classico 2014 – Sangiovese 85%, Merlot 15% – Malgrado l’annata non semplice, il vino risulta agile, sapido e persistente, qualche istante prima al naso rimandava a note di lamponi, rosa, rosmarino, mirto e tabacco.

Chianti Classico Gran Selezione 2018 “Il Torriano” – Sangiovese in purezza. Rubino intenso, dai sentori di violetta, amarena, mora, prugna, bacche di ginepro e sottobosco. Setoso al palato e decisamente persistente.

Chianti Classico Gran Selezione 2016 “Il Torriano” –  Nuance di mora, mirtillo, zenzero, scorza d’arancia e spezie dolci. Grande progressione succosa, appagante ed elegante.

Chianti Classico Gran Selezione 2015 “Il Torriano” – Declinato su rosa canina, ciliegia, confettura di frutti di bosco, arancia sanguinella, polvere di cacao e tabacco. Tannini ben integrati e saporiti.

Pugnitello 5 Filari  Toscana Igt 2020 – Veste color rubino profondo, mentre emergono sentori di mora, ribes nero, alloro, cumino e grafite. Ottima la freschezza e l’immediatezza di bocca.

Chianti Classico Summer 2023: 100 eventi per riscoprire le colline del Gallo Nero

Comunicato Stampa

Un calendario d’eccezione anima l’estate chiantigiana 2023. Ben 100 eventi da giugno a settembre, grazie a un finanziamento dell’Unione Europea (MEET Chianti Classico) e alla preziosa collaborazione dei Comuni del territorio, organizzatori di appuntamenti culturali e artistici che vanno ad arricchire la già fitta agenda degli enoturisti. A cura del Consorzio Vino Chianti Classico la creazione di un unico calendario di eventi per la stagione 2023, ispirati da 4 direttrici principali: Arte, Musica, Teatro e Vino.

L’arte. La mostra diffusa Art message in a Chianti Classico Bottle, curata da Francesco Bruni e Giuseppe D’Alia, presenta 7 nuovi artisti: Nian, Mono_graff, Rachel Morellet, Letizia Pecci, Cecco Ragni, Silvia Canton e Andrea Guanci. Ciascuno di loro ha interpretato il vino Chianti Classico con i propri mezzi espressivi, utilizzando come “tela” una bottiglia bordolese alta tre metri. Le opere sono visitabili liberamente da tutti i turisti, inserite in contesti di grande fascino nei 7 comuni del territorio, con l’invito a scoprire la vocazione artistica del Chianti Classico e le sue aziende che ospitano ricche collezioni.

La musica. Tutto pronto per una delle nuove proposte dall’9ª edizione del Chigiana International Festival & Summer Academy: Chigiana Chianti Classico Experience, ciclo di 7 appuntamenti tra musica e vino, in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana, in selezionate cantine del Gallo Nero. Un itinerario musicale che unisce il repertorio cameristico classico alla tradizione enogastronomica toscana e che vedrà protagonisti – con orario d’inizio all’ora del tramonto – i giovani talenti allievi dei Corsi di Alto perfezionamento Musicale dell’Accademia Chigiana.

Il teatro. Un format ormai ben sperimentato nel corso della prima edizione della Chianti Classico Summer è lo street theater DiVinum, in collaborazione con Arca Azzurra Eventi, uno spettacolo dedicato al vino e pensato per superare la barriera linguistica attraverso una forma narrativa  accessibile a tutti, anche ai tanti spettatori stranieri presenti durante la stagione.

Se il vino accompagna tutti questi appuntamenti con degustazioni, non possono mancare anche i principali eventi del territorio, ormai tradizioni da non perdere, EXPO Chianti Classico (7-10 settembre, Greve in Chianti); Vino al Vino (Panzano, 15-17 settembre); Montefioralle Divino (Montefioralle, 22-24 settembre).

Il Calendario

Musica

12/07/2023       Greve in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Tenuta Casenuove Concerto di Chitarra”

21/07/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Rocca delle Macìe Quartetto d’archi”

08/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Vallepicciola Concerto di Oboe”

09/08/2023       Gaiole in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Badia a Coltibuono Concerto di Violoncello”

23/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Fèlsina Concerto di Violino e pianoforte”

24/08/2023       Castellina in Chianti

“Chigiana Chianti Classico Experience a Castello la Leccia Concerto di Chitarra Fisk”

26/08/2023       Castelnuovo Berardenga

“Chigiana Chianti Classico Experience a Villa Mocenni Concerto di Violoncello e pianoforte”

Teatro

28/06/2023       Gaiole in Chianti                               Teatro: diVINUM

24/07/2023       San Donato in Poggio                      Teatro: diVINUM

23/08/2023       Castellina in Chianti                         Teatro: diVINUM

Vino

7-10 settembre Greve in Chianti                51° Expo del Chianti Classico

15-17 settembre               Panzano in Chianti           Vino al Vino

22-24 settembre               Montefioralle                     Montefioralle Divino

Tutte le iniziative sono consultabili sul sito chianticlassico.com

Romagna: Raffaella Bissoni la “fata” delle vigne

di Matteo Paganelli

È sempre un piacere andare a trovare Raffaella in quel di Casticciano (piccola frazione ai piedi di Bertinoro), ma forse in questa occasione è ancora più piacevole poterla riabbracciare dopo i recenti disagi causati dalle alluvioni in Romagna.

Raffaella, infatti, aveva da poco finito di liberare la strada sterrata che separa quella principale dalla sua proprietà. Sono 4 in tutto le frane che l’hanno colpita spiega, indicandoci una parte smottata, tipologia di frane generate perché la terra nel sottosuolo non riesce ad assorbire l’acqua con la stessa velocità di quella in superficie. Si viene quindi a creare una sorta di cuscino d’acqua che spinge verso l’alto e causa lo scivolamento del terreno.

Raffaella Bissoni

Raffaella non esita un istante e inizia a raccontarci di natura. Ci fa notare ad esempio, che alle sue spalle c’è una tipologia di pianta da siepe (Viburnum Tinus) che fiorisce a fine febbraio e quindi molto utile sia per gli insetti che trovano già i fiori che è praticamente ancora inverno, sia per gli uccelli, i quali mangiando le bacche poi le digeriscono portando le sementi ovunque. “Io ne ho a decine e decine ovunque” dice Raffaella, mentre indica con la mano i vari punti in cui la siepe si è propagata tutt’intorno.

Quando la Bissoni arrivò a Bertinoro non aveva mai praticato la scienza agronomica prima di allora. Venne da una storia di paese, di quelle come ce ne sono tante. Si è letteralmente innamorata delle colline che le permettevano una visione allargata del paesaggio a dir poco rassicurante. Un paesaggio privo di illuminazione artificiale notturna, perché “la natura ha bisogno di avere la luce di giorno e il buio di notte”, il che permette anche una catena alimentare nel mondo animale e degli insetti più equilibrata (la tignola, ad esempio, si moltiplica a dismisura nei territori con un eccessivo inquinamento luminoso).

Sono tante le filosofie che Raffaella ha fatto sue e mette in campo: la permacultura, l’agricoltura rigenerativa, l’agromeopatia, la biodiversità: tutto ciò che possa permetterle di capire meglio come funziona la natura e quindi anche di rispettarla maggiormente. Quest’ultima, la biodiversità, ovvero la perfetta convivenza fra animali, insetti, piante e persone, va a influire sui vini. Le piante, convivendo in modo integrato con gli altri fattori, aumentano la loro resilienza e sono in grado di dare prodotti con maggiori complessità. Tutto ciò che vediamo in Raffaella è spontaneo, senza che ci sia stato un intervento umano di integrazione.

Ma veniamo alla degustazione: Raffaella ci ha preparato una memorabile verticale di Girapoggio, il suo Romagna DOC Sangiovese Superiore, nelle annate dalla 2020 alla 2010.

Batteria 1: Annate 2020, 2019, 2018, 2017, 2016

2020

Materico, dal colore trasparente e riflessi rubino. Al naso colpisce un’impronta fresca di menta nepitella, mentre il frutto è agrumato su note di pompelmo rosa e il floreale richiama i petali di rosa rossa. In bocca è agile con un tannino veramente piacevole frutto di una maturazione fenologica ben centrata.

2019

La rotazione del calice rivela una consistenza maggiore rispetto al campione precedente e l’olfatto è quasi ematico con richiami di sottobosco e corteccia. Riconoscibili ciliegia scura e fiore di papavero. In bocca domina la freschezza invitante e la struttura conferma il tutto.

2018

In quest’annata ritornano le note di menta miste a terra e sottobosco. Ciliegia rossa e fragrante, e un frutto che vira su lampone e fragoline di bosco. La rosa canina completa il bouquet floreale. Rispetto ai precedenti l’acidità scende andando a perdurare in un notevole equilibrio, merito anche del tannino delicato e appena percettibile.

2017

Naso polveroso e austero. Il vegetale passa al secco così come il floreale che diventa appassito. L’annata calda la si percepisce dalla nota calorica ben avvertibile che ci ricorda il tipico “mon chéry”. Si rivela comunque il più interessante della batteria, con sentori di crema di caffè, balsamico, tostatura, foglia di tabacco. Intrigante.

2016

Annata è sinonimo di grande evoluzione. Colore che inizia a virare su note granate. Frutta matura riconducibile come l’amarena, finalmente la viola mammola identificativa del Sangiovese. Completano il corredo aromatico timo, rosmarino, caffè e cioccolato. In bocca è integro e perfettamente bilanciato. Colpisce per lunghezza.

Batteria 2: Annate 2015, 2014, 2013, 2012

2015

Per questa seconda batteria i colori iniziano a virare sul granato non perdendo però in trasparenza. Ciliegia sotto spirito, fiori rosa appassiti, caramello, torrefazione e nota fungina. Entra al palato deciso e teso: nonostante l’invecchiamento la freschezza è invidiabile.

2014

Questo non sembra neppure un Sangiovese. Alla cieca, qualsiasi esperto potrebbe affermare di trovarsi di fronte a un Borgogna compassato. Pesca melba, artemisia a tratti da vermouth rosso. Sapidità che colpisce.

2013

Al traguardo dei 10 anni, torna la freschezza a farla da padrona. Naso immerso in infusione di erbe aromatiche e speziature accattivanti. Tannino palpabile, essenziale per controbilanciare una notevole rotondità data dalle morbidezze.

2012

Superlativo. Naso elegante e fine, recuperiamo le note di mentuccia che sentiamo anche nelle annate più recenti e le andiamo a completare con agglomerati di spezie. In bocca avvolge come un liquore al cioccolato.

Batteria 3: Annate 2011, 2010

2011

Sugli ultimi esemplari in degustazione i colori diventano granato intenso. Altra annata calda simile alla 2017, che trova riscontro in aromi di frutti rossi in confettura, finocchietto selvatico, cera e caramella mou. In bocca resta timido, non confermando ciò che aveva rivelato il naso. Tannino scontroso.

2010

Sentori nitidi, franchi, puri che toccano tutte le famiglie passando fra marasca, pot-pourri, resina, catrame e liquore di caffè. Sorso vibrante ed energico. Vino complesso. Questa interessante verticale non può far altro che confermare l’encomiabile lavoro di Raffaella dimostrata nell’ottima serbevolezza dei suoi prodotti.

Alla scoperta dei vini della Doc Grance Senesi

di Olga Sofia Schiaffino

Cosa sono le Grance Senesi da cui la Doc istituita nel 2010 prende il nome?

Nel Secolo XII lo Spedale di Santa Maria della Scala di Siena, per gestire e ottimizzare lo sfruttamento dei cospicui possedimenti terrieri aveva creato delle fattorie fortificate, le Grance, poste a capo delle tenute che occupavano vasti territorio nella Val d’Arbia, Val d’Orcia e parte della Maremma.

Lo Spedale era un vero e proprio xenodochio, capace di ospitare, curare e accudire i pellegrini che percorrevano la via Francigena: per quasi cinque secoli le Grance riuscirono, con la produzione di grano, vino e olio, a sostenere le esigenze economiche del Santa Maria, fino a che il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena nel 1775 ne mise in vendita tutti i beni.

Attualmente la Doc Grance Senesi comprende i territori di cinque comuni della provincia di Siena, immersi in paesaggi dall’aspetto lunare dati dai calanchi, in verdi e dolci colline ammantate da boschi, vigneti e oliveti.

Rapolano Terme è famosa sin dai tempi dei Romani per le sue acque termali e per il travertino: nelle sue vicinanze la Grancia di Serre di Rapolano è una delle più antiche e meglio conservate, ininterrottamente abitata sin dall’antichità.

Asciano, di origini etrusche ospita l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, fondata nel 1319 da un nobile senese, Bernardo Tolomei che scelse la vita monastica e la regola di san Benedetto: una realtà che produce da sempre il vino e che è diventata azienda nel 2002.

Murlo si sviluppa intorno all’insediamento etrusco di Poggio Civitate del VII secolo a.C. e a partire dall’XI secolo fu dominato dai vescovi di Siena: pare che il patrimonio genetico degli abitanti somigli più a quello dei popoli orientali che non a quello del resto dell’Italia, facendo ipotizzare un legame diretto con gli Etruschi, verosimilmente arrivati dal Medioriente.

A Monteroni d’Arbia, su di una collina poco distante dalla via Cassia, si trova una delle Grance meglio conservate, quella di Cuna.

Sovicille è stato ricompreso nell’areale della Doc ed è caratterizzato da un ambiente naturalistico ricco di boschi e di fauna, attraversato dal fiume Merse.

I vitigni più coltivati sono Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Malvasia bianca lunga, ma il disciplinare ammette alcuni vitigni internazionali quali Cabernet Sauvignon e Merlot che possono essere anche riportati in etichetta accanto alla denominazione.

Presso il Castello di Modanella si è tenuta il 9 giugno la masterclass condotta da Maurizio dante Filippi, miglior sommelier AIS d’Italia 2016 , che ha coinvolto quattro aziende del Consorzio, quivi rappresentato da Gabriele Giovannini e Don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.

Grance Doc Crete 2020 Podere Bellaria:  giovane azienda fondata da due fratelli nel 2010, punta sul Sangiovese in purezza. La fermentazione avviene in acciaio a cui segue un periodo di affinamento di 6 mesi in acciaio e poi un anno in legno.  Profilo olfattivo che rimanda al frutto rosso, al sottobosco, ai chiodi di garofano e alle erbe aromatiche. Sorso pieno e avvolgente.

Grance Senesi Doc Rosso Abbazia di Monte Oliveto Maggiore 2019: una realtà che ho potuto visitare con i colleghi del press tour. Bellissima la cantina sotterranea, la degna dimora per le botti. Un luogo della fede che merita la visita per la bellezza del chiostro e delle opere esposte. Il vino apre all’olfatto su note speziate dolci, a cui si aggiungono sentori di ciliegia, prugna, foglia di peperone verde, peonia. In bocca il tannino è preciso e la chiusura su note fruttate con piacevole persistenza.

Grance Senesi Doc Sangiovese 2016 Tenuta L’Armaiolo: Gabriele Giovannini ci ha accolto nella nuova cantina e durante il lunch presso il casale Santa Maria, ha raccontato della nascita dell’azienda avvenuta negli anni ’70, quando la sua famiglia acquistò la tenuta. Le uve effettuano una pigiatura soffice, prima di fermentare in vasche di acciaio; segue un affinamento di 6-8 mesi, sempre in acciaio. Al naso ricorda la frutta rossa matura, il pepe bianco, seguiti da effluvi balsamici. Tannino preciso e chiusura con una nota leggermente amaricante.

Grance Senesi Doc Il Cipresso 2016 Tenuta Masciello: i proprietari, di origine pugliese, sono arrivati a Murlo nel 1965. Ottenuto da sangiovese in purezza si presenta con un corredo di vaniglia, china, tabacco frutta in confettura; sorso di buona struttura e avvolgenza.

Grance Senesi Doc Nistiola 2016 Tenuta Armaiolo: blend composto dal 75% da Sangiovese, 20% Cabernet Sauvignon e 5% Merlot, fermenta in acciaio e prosegue la maturazione in barrique da 225 hl per 8 mesi e ulteriori 6 mesi in acciaio. Colore rubino che vira verso il granato in un manto quasi impenetrabile; si apprezzano note di frutta rossa matura, caffè cacao, lentisco, humus. Tannino integrato e di buona persistenza.

L’evento si è concluso con una sontuosa cena di gala al Castello di Modanella, tra i deliziosi piatti dello chef Loris Mazzini e gli assaggi del raro Poggio L’Aiole , Canaiolo  in purezza, dalle bellissime sensazioni fruttate e speziate con tannino perfettamente integrato. Grance Senesi è una denominazione che farà parlare di sé: speriamo “osino” di più in una caratterizzazione soprattutto del Sangiovese, vitigno incredibilmente capace di definire e raccontare i territori della Toscana.

Consorzio Vini Doc Grance Senesi: il racconto della Masterclass

di Adriano Guerri

Il Consorzio Vini Doc Grance Senesi, lo scorso 29 maggio, ha organizzato una Masterclass con 5 tipologie appartenenti alla denominazione di origine Grance Senesi

L’evento si è svolto presso la cantina della Tenuta Armaiolo di proprietà della famiglia Giovannini, a poca distanza dal centro abitato di Rapolano Terme (Si).  Guidata magistralmente da Gianluca Grimani, esperto degustatore e docente dei corsi AIS (Associazione Italiana Sommelier), la degustazione è stata preceduta da una panoramica sulla denominazione con l’intervento dei produttori presenti. 

La denominazione di origine controllata Grance Senesi è l’ultima nata in provincia di Siena e risale al 2010. Comprende l’area geografica dei comuni di Asciano, Rapolano Terme, Murlo, Monteroni d’Arbia e una parte del territorio Sovicille, tutti in provincia di Siena.

L’unico lembo di terra in provincia di Siena che era rimasto fuori dalle denominazioni, infatti a poca distanza si trovano le zone vitivinicole del Chianti Classico, del Nobile di Montepulciano, del Brunello di Montalcino e dell’ Orcia.

Il nome “Grance” deriva dalla presenza di queste fattorie fortificate sul territorio che nell’antichità gestivano i vasti possedimenti terrieri  ed erano dotate di ampi granai e cantine utili a immagazzinare e custodire i prodotti agricoli di appartenenza dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena.

Una piccola enclave di rara bellezza, da sempre vocata per la coltivazione della vite. Le altimetrie sono variabili, dai 400 ai 500 metri, con forti escursioni termiche tra le ore diurne e notturne. I suoli sono di origine argillosa e ricchi di scheletro. Oltre alla coltivazione della vite, è molto diffusa anche quella dell’olivo e dei cereali. Le tipologie dei vini regolamentate dal disciplinare sono: Rosso, Rosso Riserva, Bianco, Passito, Vendemmia Tardiva, Malvasia Bianca Lunga, Sangiovese, Canaiolo, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Territori caratterizzati da suggestivi borghi, pievi, poderi e abbazie, una su tutte quella di Monteoliveto Maggiore (n.d.r. che racconteremo in un prossimo articolo dedicato).

Un paesaggio caratterizzato da colline brulle e ondulate, punteggiate da cipressi, querce, calanchi e folti boschi. La denominazione è stata fortemente voluta da Gabriele Giovannini, titolare della Tenuta Armaiolo, oggi guidata dal monaco benedettino guatemalteco don Antonio Bran, responsabile dell’azienda agricola dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore  di Asciano.

Una delle più piccole Doc italiane, ove vengono prodotti vini di elevata qualità, dotati di grandi potenzialità di crescita. Giocheremo ad analizzarli grazie anche a qualche stuzzicante abbinamento gastronomico.

I vini degustati

Grance Senesi Doc Rosso 2019 Abbazia di Monteoliveto Maggiore – Prevalentemente Sangiovese unito a Cabernet Sauvignon e Merlot.  Rosso rubino intenso, dipana sentori di rosa, violetta, fragoline di bosco, lamponi uniti a note balsamiche e speziate. Sorso fresco, dai tannini morbidi, rotondo e invitante. Ideale con il cacciucco alla livornese.

Creta” Grance Senesi Doc 2020 Podere Bellaria – Sangiovese in purezza. Rosso rubino vivace, rimanda note di violaciocca, rosa, amarena e prugna che ben si fondono con spezie dolci e cuoio. Palato ricco e suadente, decisamente lungo. Un ottimo viatico per un filetto di manzo alla griglia.

Cipresso” Toscana Igt 2016 Tenuta Masciello – Sangiovese 100%. Rubino intenso, emana sentori di tabacco, rosa appassita, frutta rossa matura, nuances speziate e tostate. Generoso e caldo, con ottima corrispondenza gusto-olfattiva. Matrimonio ideale con il cinghiale in umido.

Sangiovese Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese in purezza. Riflessi che virano sul granato, trasparente, sprigiona sentori di frutta di bosco matura, scorza d’arancia, ciliegia e melograno, conditi da pepe nero e bacche di ginepro. Avvolge e persiste con coerenza e gradevolezza. Si sposa bene sui tipici formaggi stagionati delle Crete Senesi.

Nistiola” Grance Senesi Doc 2016 Tenuta Armaiolo – Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Le sfumature diventano color granato, impenetrabili. All’olfatto libera note di frutti di bosco, cacao, polvere di caffè e scie mentolate finali. Di corpo, dalla trama tannica fitta e vellutata setosa. Compagno perfetto per le preparazioni a base di selvaggina.

“I Profumi di Lamole”

di Adriano Guerri

La rassegna vini I Profumi di Lamole è andata in scena dal 2 al 4 giugno per la ventesima volta nel caratteristico borgo, evento ideato dai produttori del locali in collaborazione con il Comune di Greve in Chianti.

Gli stands sono stati allestiti nella graziosa piazza di Lamole, dalla quale si gode di un panorama impareggiabile. Nove i produttori presenti con un ospite d’onore proveniente dalla Borgogna.  Arrivando nella ridente località mi è venuto in mente il titolo del film di Leonardo Pieraccioni, “Il Paradiso all’improvviso”. Lo è per davvero, il tempo sembra essersi fermato e la pace regna sovrana. Un borgo abitato da poche anime e molte delle quali portano il cognome Socci.

Lamole è situato nel comune di Greve in Chianti (FI), nel cuore del Chianti Classico ad altitudini elevate, con molti vigneti allevati a 600 metri s.l.m. Nella parte più alta sono stati mantenuti i terrazzamenti con muretti a secco e le viti con il sistema ad alberello, su suoli sabbiosi dotati di un forte potere drenante. Le pendenze notevoli ed i muretti consentono miglior accesso tra i filari, accumulando calore durante il giorno, per poi rilasciarlo nelle ore notturne ed evitando il dilavamento delle piogge.

Un bellissimo esempio di  conservazione e manutenzione del territorio, valso il riconoscimento a pieno titolo dal Ministero delle Politiche agricole di “Paesaggio rurale storico”. La vite su queste erte colline viene coltivata sin dall’epoca romana in un anfiteatro naturale. Con il cambiamento climatico questa enclave beneficia di temperature fresche e anche in annate siccitose non ha problemi di siccità e maturazioni.

Delle 11 UGA (Unita Geografiche Aggiuntive) del Chianti Classico, Lamole è la più piccola e caratterizzata dalla presenza, oltre che di viti e oliveti, di impenetrabili boschi e campi di giaggiolo.
Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, ma anche Colorino, Canaiolo, Trebbiano e Malvasia.
I vini sono compositi, freschi, lineari, eleganti e dotati di una straordinaria piacevolezza di beva e tannini sottili e minerali.

Tra i migliori assaggi:

Chianti Classico Riserva 2018 Vigna Piuca Az.Castellinuzza e Piuca
Chianti Classico Riserva 2019 Az.Le Masse di Lamole
Chianti Classico Testardo 2019 Az. Il Campino di Lamole
Chianti Classico Gran Selezione Vecchie Vigne 2019 Az. Podere Castellinuzza
Chianti Classico Riserva 2019 Az. I Fabbri
Chianti Classico Gran Selezione 2016 Az. Castellinuzza
Chianti Classico Gran Selezione Vigna Grospoli 2019 Az. Lamole di Lamole
Chianti Classico Punto di Vista 2020 Az. Jurij Fiore & Figlia
Le Viti di Livio Toscana Igt 2015 Az. Castello di Lamole di Paolo Socci

“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

Toscana: Valdarno di Sopra Day un futuro che è qui

di Olga Sofia Schiaffino

Si è svolto martedì 16 maggio presso l’Anfiteatro del Borro, presso l’omonima cantina a Loro Ciuffenna (AR), l’evento del Consorzio di Tutela Valdarno di Sopra Doc.

Importante e sentita la partecipazione delle Autorità locali e regionali, dei giornalisti italiani e internazionali e dei produttori di questo territorio caratterizzato dalla grande vocazione vitivinicola, nota fin dai tempi di Cosimo III de’ Medici che la citò nel famoso Bando Granducale del 1716.

Il presidente Luca Sanjust di Teulada e il direttore Ettore Ciancico hanno aperto la manifestazione nata per presentare i progetti condivisi dalle realtà vitivinicole aderenti e per stimolare un dialogo e una condivisione. I temi, definiti come essenziali per l’affermazione di una propria identità e per il lavoro del Consorzio, sono stati l’importanza della valorizzazione del territorio di Valdarno di Sopra, con l’attenzione al cambiamento climatico e alla promozione di una reale sostenibilità. E poi il concetto di Vigna, da specificare in etichetta per raccontare al consumatore la particolarità di alcune microzone e l’eccellenza dei vini; non ultimo il grande lavoro svolto nell’ottenere per la certificazione bio da porre come obbligatoria nel Disciplinare di produzione.

A questo proposito, è stato illuminante l’intervento di Nicoletta Dicova che ha presentato la modifica legislativa fatta  in Spagna, per cui la D.O. Cava, per le vigne di qualità superiore, obbliga il vignaiolo alla conduzione biologica. A favore si sono espressi anche il dott.Paolo De Castro, l’on. Cafiero De Raho, il Vice Presidente della Regione Toscana e l’Assessore all’agricoltura Stefania Saccardi.

La platea ha applaudito alla nascita dell’associazione Produttori Vigne Bio Valdarno volta a tutela di un impegno reale, coerente e onesto nei confronti dei consumatori, sempre più sensibili al tema del biologico.

Mattinata densa di interventi da personalità del mondo del vino quali gli enologi Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Stefano Chioccioli, Maurizio Alongi ed il Presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini che hanno sottolineato l’unicità di un territorio espresso nei suoi vini. Le peculiarità espressive del Sangiovese accanto agli autoctoni Canaiolo, Pugnitello, Malvasia, Orpicchio, trebbiano e agli internazionali Merlot, Cabernet, Syrah e Pinot Nero.

Il metereologo Paolo Sottocorona ha espresso, in modo risoluto e esaustivo, come il riscaldamento globale della Terra possa creare condizioni difficili per le coltivazioni in alcune aree rispetto ad altre e che la variabile del microclima diventerà un fattore importante, che non consentirà una generalizzazione e una previsione standardizzata. Il vero problema risiede nel fatto che il cambiamento è avvenuto in modo esageratamente accelerato negli ultimi vent’anni, rispetto ai milioni di anni  che furono necessari nel passato e che avevano occupato intere Ere Geologiche.

Monica Larner, penna virtuosa di “ The Robert Parker Wine Advocate” ha applaudito allo stile “ contemporaneo” dei vini prodotti in questa denominazione, sicuramente tra le più giovani ma dotate di grande appeal. In chiusura di mattinata, la splendida degustazione guidata da Jeff Porter di “Otto Produttori, Nove Vini e due belle annate Valdarno di Sopra 2016 e 2019″.

Vigna Ruschieto 2019 La Salceta – Sangiovese 100% rosso granato, naso che conquista con i sentori di mora, iris, pepe bianco. Sorso fresco, tannino presente, un vino vibrante ed equilibrato, dove la scelta della vinificazione in acciaio è assolutamente interprete della bellezza dello stile contemporaneo.

Sangiovese Riserva 2019 Migliarina e Montozzi intreccio fitto di note vanigliate e di gelatina di frutta rossa, con tannino presente e graffiante.

Vigna dell’Impero 2016 Tenuta Sette Ponti – Sangiovese 100% si apprezzano note balsamiche, di mirto, mora di rovo, iris e humus e una fine speziatura che include il pepe e la stecca di vaniglia. In bocca si bilanciano struttura, componente alcolica e un tannino ben regolato.

Pugnitello 2019 Fattoria Fazzuoli – vitigno autoctono recuperato, colpisce per l’intensità cromatica e per il profilo olfattivo orientato sulla frutta rossa succosa; matura in barrique di rovere francese e americano.

Caberlot 2019 Il Carnasciale – dall’omonima varietà ottenuta da un incrocio tra Cabernet Franc e Merlot, affascina per un bouquet complesso che spazia dai profumi di lampone, alla prugna, al tabacco, al coriandolo,al corbezzolo, regalando effluvi che ricordano la macchia mediterranea. Elegante la struttura ed il finale lungo e persistente.

Rodos- Cabernet Sauvignon 2016 Campo del Monte – precise le note varietali che esprimono la foglia di pomodoro, il rabarbaro, il mirtillo seguite dalla dolcezza della speziatura legata al passaggio in legno. Trama antocianica integrata in un sorso sapido.

Galatrona 2016 Petrolo – un Merlot su terreni ricchi di alberese e galestro, è caratterizzato da raffinatezza e personalità: danza su terziari con rimandi al tartufo e al cioccolato, poi emerge il frutto che ricorda la mora e la prugna. In bocca dimostra una grande profondità e armonia, pura seta. Un vino in splendida forma.

Alessandro dal Borro 2016 Il Borro – il Syrah dalle note speziate avvolgenti quali cannella, pepe verde e nero, caramella mou, frutta rossa matura. Fermenta in rovere e invecchia in barrique per 18 mesi.

Boggina B 2019 Petrolo – Trebbiano Toscano coltivato sin dagli anni ’70. Cedro, nota fumée, miele, rosa canina e cera d’api. Bella espressione di un territorio che riesce ad eccellere anche nella produzione di vini bianchi.

Un evento perfettamente organizzato, che ha impressionato per la qualità dei vini proposti dalle aziende presenti alla degustazione e per i contenuti proposti con quella passione e determinazione che è bello trovare nel mondo del vino e dei suoi principali attori.