Genova: da “Etra” il connubio tra arte e ristorazione nella città della Lanterna

Siamo in piazza De Ferrari a Genova, circondati dalla bellezza degli edifici Ottocenteschi, del teatro Carlo Felice, di Palazzo Ducale, al piano terra di Palazzo Doria De Fornari: Etra, “ la Galleria Gastronomica” ha aperto i battenti a inizio novembre 2023.

Nata da un’idea di Iacopo Briano e Alessandro Ferrada, titolari della BF Gallery, il nuovo ristorante vuole coniugare il concetto di arte nelle sue diverse espressioni e affida allo chef genovese Davide Cannavino il compito di stupire con le sue creazioni in cui le materie prima, di primissima scelta, vengono composte in forme e gusti straordinari. “ Se si pensa bene, si cucina bene” come afferma Ferran Adrià.

Il locale avvolge nell’atmosfera creata dal colore nero delle pareti, dalle luci disposte come in una galleria d’arte a mettere in evidenza le opere dell’artista Lorenzo Puglisi: la cucina è a vista, il laboratorio di Idee dove Chef Cannavino e il sous-chef Luca Satta si muovono, con gesti precisi e misurati, quasi una danza, per comporre i piatti che vengono presentati in due menù, rispettivamente da 5 -Synthesis – e 7 portate – Tabula Rasa.

Tra i piatti spiccano sicuramente la lepre à la royale, il fois gras di mare, radici e tuberi liguri, limone nero, il risotto fondo bruno e tartufo bianco, i pani e la focaccia e i dolci. Il tempo che scorre tra una portata e l’altra è misurato, per approfondire le sensazioni regalate dal cibo e per conversare amabilmente: una decina di tavoli e una sala al piano inferiore, dedicata a eventi speciali.

In sala il servizio è impeccabile, attento e garbato, coordinato dal maitre Luca Ghiani, con Giulia Colombini , chef de rang: per quanto riguarda la carta dei vini, sono state selezionate etichette molto interessanti. Vini che provengono dal mondo, dal Sud Africa al Giappone, rappresentanza importante di vini francesi, soprattutto Champagne e Borgogna e scelte mirate per quello che riguarda i vini liguri e italiani. Affidarsi alla sommelier Chiara Campora per gli abbinamenti è la regola, per completare l’esperienza al tavolo che coinvolge tutti i cinque sensi: un viaggio che può iniziare con una bollicina di Larmadier, a seguire il Rosè d’Amour della azienda della Cinque Terre Possa, un Kartli Georgian Qveri Crazy Amber 2020 e perché no, un sake.

Come si legge nella presentazione “ Etra non può essere classificato né come un tradizione ristorante fine dining, né come una classica galleria d’arte”: è un inno alla ricerca della bellezza, dell’armonia attraverso l’esperienza immersiva nell’incanto delle opere esposte e nei suoni e nella musica della cucina che viene proposta dallo chef Cannavino e da tutta la sua brigata.

Il panorama della ristorazione genovese si amplia, arricchendosi di un locale assolutamente fuori dallo schema, dove l’estro e il rigore di Davide Cannavino promettono una luminosa ascesa per Etra verso… le Stelle gourmet.

“Castelnovino”: Castelnuovo Berardenga (SI) racconta i suoi vini

di Adriano Guerri

Venerdi 02 giugno si è svolta l’8° edizione di Castelnovino, evento dedicato ai viticoltori e ristoratori di Castelnuovo Berardenga (SI), storica sottozona del Chianti Classico. Nella splendida cornice di Villa Chigi Saracini sono state presentate le etichette riguardanti anche il Chianti Classico Docg versioni annata e Riserva.

V’era inoltre la possibilità di degustare altre tipologie tra bianchi, rosa, bollicine e rossi a denominazione Igt. La kermesse aveva subito uno stop durante la pandemia e adesso è tornata ai fasti del passato. Un appuntamento nato nel 2014 con il beneplacito delle organizzazioni del settore, desiderose di farsi conoscere agli appassionati.

Castelnuovo Berardenga è l’areale più a sud del Chianti Classico. Un luogo di straordinaria bellezza, con colline dai suggestivi borghi, immerse tra boschi centenari, oliveti. Il vitigno maggiormente coltivato è il Sangiovese, tuttavia sono presenti anche altre varietà sia autoctone che alloctone. Il Chianti Classico per disciplinare deve essere prodotto con un minimo di 80% da uve di Sangiovese e consente l’utilizzo di comprimari alla perfetta riuscita stilistica del vino.

Una zona da sempre a forte vocazione vitivinicola, con prodotti di buona struttura ed eleganza. Con l’arrivo delle UGA (Unita Geografiche Aggiuntive), l’orientamento degli appezzamenti “a mo’ di farfalla” si è diviso, con la parte sinistra ricadente nella sottozona Vagliagli e la parte destra invariata su Castelnuovo Berardenga.

A livello sensoriale i vini riflettono un colore rubino intenso e trasparente, con sfumature maggiormente granato nella tipologia Riserva e Gran Selezione. Naso da note tipiche del Sangiovese: violetta, ciliegia e prugna, su finale di sottobosco, liquirizia e spezie. Tannini nobili, eleganza al sorso,  avvolgenza e persistenza lo rendono un vero campione di razza.

Ecco alcuni  tra i miei migliori assaggi

Chianti Classico Riserva Il Grigio da San Felice 2020 San Felice

Chianti Classico Riserva Vigna di Misciano 2019 Borgo Scopeto

Chianti Classico Riserva Fortezza dell’Aiola 2019 Az. Fattoria dell’Aiola

Chianti Classico Riserva 2018 Poggio Bonelli

Chianti Classico Gran Selezione Celarium 2013 Lecci e Brocchi

Chianti Classico Riserva 2019 Fèlsina

Chianti Classico Riserva Berardo 2019 Castello di Bossi

Roma: la tappa del Lugana DOC nel suo Tour in giro per l’Italia

di Augusta Boes

Per comunicare efficacemente è importante considerare il pubblico di riferimento e gli obiettivi che si intendono raggiungere. Questo concetto è ben noto al Consorzio di Tutela del Lugana DOC, che sa bene come la comunicazione digitale possa essere solo un surrogato della realtà. In un’epoca in cui il mondo è sempre più digitalizzato e le relazioni sono spesso virtuali, il Presidente del Consorzio Fabio Zenato e un gruppo di Produttori di riferimento del territorio si sono messi in viaggio per presentare le loro eccellenze nelle principali città italiane, attraverso un format che prevede eventi dal vivo e con il calice in mano. Non c’è nulla di più efficace che raccontarsi faccia a faccia, con la possibilità di scambiarsi strette di mano, abbracci e sguardi sinceri. Niente è più coinvolgente di un momento di approfondimento esperienziale, che permette di avvicinare il pubblico in modo mirato, generando efficacia nei canali di promozione.

Le aziende stanno gradualmente comprendendo che la divulgazione individuale non è sufficiente e che è importante collaborare con i colleghi per sviluppare nuove idee promozionali volte a comunicare un intero territorio. La Denominazione, dunque, si pone come una vera e propria proprietà collettiva che richiede uno sforzo congiunto per essere valorizzata al meglio. Non si tratta di aggiungere ulteriori iniziative a un mercato già saturo di proposte ed eventi, ma piuttosto di selezionare le soluzioni più efficaci, che possano generare concrete opportunità di dialogo e nuove relazioni con i consumatori.

Con 2.560 ettari vitati, 210 Aziende e 28 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, il Lugana DOC ha come principale sbocco il mercato internazionale che assorbe circa il 70% della produzione, ma è ancora poco diffuso in Italia al di fuori del proprio territorio di produzione che si affaccia sulla sponda meridionale del Lago di Garda.  Da qui l’idea di un tour promozionale per presentare questa eccellenza al Belpaese. E non si poteva che cominciare dalla Capitale che ha ospitato la prima tappa nella suggestiva cornice dell’Enoteca La Torre a Villa Laetitia.

Il vitigno principe della DOC è il Turbiana, figlio del Lago di Garda, una meraviglia plasmata in milioni di anni dalla natura, dai ghiacciai e dal tempo. La morfologia delle colline moreniche che si affacciano sul lago è dolce e caratterizzata da linee delicate. Grazie al clima sub-mediterraneo, gli inverni sono miti e le estati temperate, mentre la bio-diversità qui è la regola dell’armonia perfetta. Il passare del tempo modella forme, colori e profumi, che variano a seconda delle stagioni, ma l’atmosfera del Garda rimane sempre fedele a sé stessa e si tinge di mille sfumature d’incanto.

Iscritto Catalogo Nazionale delle varietà della Vite al numero 239 come Trebbiano di Soave, e al numero 254 come Verdicchio Bianco B, il Turbiana è sinonimo ufficiale di entrambi che geneticamente sono il medesimo vitigno. Apprezzato per la sua freschezza e la sua acidità equilibrata, è un vitigno molto duttile e le sue uve possono essere vinificate in diverse modalità, dando vita a vini secchi o dolci, spumanti o fermi, ma che presentano in tutti i casi un carattere sempre fresco, armonico e delicato, e un ottimo potenziale di invecchiamento.

Negli ultimi decenni gli sforzi dei produttori hanno portato a una maggiore attenzione alla qualità dei vini e alla valorizzazione del territorio del Lugana DOC, e le otto etichette degustate durante questa interessante giornata non lasciano dubbi in proposito. Un excursus completo e didattico che ha portato nei calici le diverse sfaccettature di questo vino in otto interpretazioni eccellenti. In ordine di apparizione:

  • Azienda Agricola Brunello – Etichetta Nera -Lugana DOC 2022
  • Citari – Conchiglia – Lugana DOC 2022
  • Cascina Le Preseglie – Hamsa – Lugana DOC 2021
  • CàMAiol – Molin – Logana DOC 2021
  • Montonale – Orestilla -Lugana DOC 2021 (il mio preferito)
  • Cà Lojera – Riserva del Lupo – Lugana DOC 2019
  • Perla del Garda – Riserva Madre Perla 2018 – Lugana DOC 2018
  • Cantina Bulgarini – Superiore Cà Vibò – Lugana DOC 2016

Qui a Roma la prima tappa di questo “Lugana on Tour” ha suscitato interesse ed entusiasmo e siamo convinti sarà ovunque un grandissimo successo! Teniamocele un po’ più dentro casa le nostre eccellenze! Dalla Capitale è tutto.

Montalcino (SI): visita all’azienda Caprili

di Luca Matarazzo

Bisogna riconoscerlo: fa sempre effetto visitare una realtà ben organizzata, per di più in un areale conosciuto in tutto il mondo, come l’azienda Caprili a Montalcino (SI).

L’emozione nasce dal fatto che i loro vini sono entrati a far parte di quel patrimonio enologico d’Italia, vanto per chiunque grazie al Sangiovese di queste terre, forte di connotazioni eleganti e potenti al tempo stesso. La storia della famiglia Bartolommei, titolari da 4 generazioni, nasce come tanti in Toscana, dal vecchio retaggio dell’epoca della mezzadria.

Nel 1911 già conducevano i poderi della Tenuta Villa Santa Restituta, per poi spostarsi, nel 1952 all’attuale podere denominato Caprili. Nel 1965 decidono di acquistarne la proprietà dai signori Castelli-Martinozzi, tenutari di Villa Santa Restituta, e nello stesso anno impiantano il primo vigneto, denominato ancora oggi “Madre”, da cui si ricavano le selezioni massali per i nuovi innesti.

Agli inizi si trattava di appena un ettaro vitato, per poi crescere, passo dopo passo, fino agli oltre 25 odierni. Non soltanto accrescimento agrario, bensì pure la costruzione di una nuova cantina di vinificazione per arrivare a gestire l’aumento produttivo giunto al record di 54 mila bottiglie con la straordinaria 2019.

La qualità non nasce dal caso: parlando con Giacomo Bartolommei, l’attuale timoniere aziendale, gli sovvengono i ricordi dolci ed affettuosi per suo nonno Alfo, artefice del primo imbottigliamento datato vendemmia 1978 e messo in commercio nel 1983. Alfo era un visionario, un pioniere in quelle stagioni ove il vino italiano neanche conosceva la propria identità e consapevolezza. Il futurismo enologico è visibile nel settore dedicato alle etichette storiche di valore indiscusso, con pezzi rarissimi ancora disponibili per assaggi unici nel loro genere.

Ora come allora, si decide di lavorare in base alle diverse maturazioni del vino nei contenitori, andando prima a comporre il mosaico della tipologia Rosso di Montalcino e poi quello delle botti selezionate verso il Brunello di Montalcino e la Riserva, realizzata solo nelle annate generose e equilibrate. Fusti di varie dimensioni, passaggi, periodi di sosta: dai 30 ai 60 ettolitri e dai 24 ai 36 mesi. Solo il Rosso di Montalcino viene dirottato verso tonneaux e legni da 20 ettolitri per 12 mesi.

In vigna la parte agronomica viene seguita dal padre Manuele, lo zio si occupa delle vendite ed il cugino Filippo Pieri, neppure ventenne, già rappresenta il futuro di Caprili. Giacomo Bartolommei è anche uno dei vicepresidenti del Consorzio del vino Brunello di Montalcino. A lui non potevamo evitare, prima della consueta degustazione, alcune domande sull’andamento della denominazione e dei mercati.

Giacomo, esprimeresti un tuo pensiero sul presente e sul futuro del Brunello di Montalcino? <<Il presente vive ancora una lunga coda positiva di ordinativi frutto della ripresa post-pandemica. Le note dolenti arrivano, invece, dal costo delle materie prime e dagli approvvigionamenti, che molte realtà cercano di attuare per svincolarsi dalla rarefazione di vetro ed etichette. Il futuro trasmette ottimismo, pur con una flessione sui prodotti di bassa fascia fuori dalla denominazione di origine. La richiesta è altissima e si fa fatica a soddisfare tutti i mercati, superando la soglia dei 9 milioni di fascette annue.>>

E per quanto concerne il cambiamento climatico quali sono le sensazioni dei produttori? <<Con il cambiamento climatico bisogna ormai conviverci, probabilmente spostando le altitudini per la vite. Serve inoltre un corretto approvvigionamento idrico, con la costruzione di numerosi bacini di accumulo d’acqua piovana sempre più scarsa durante la primavera e l’estate. Non c’è comunque l’intenzione di aumentare i diritti d’impianto complessivi; ciò rischierebbe infatti di creare un’involuzione nella fiducia dei consumatori, non aiutando il sostegno di adeguati prezzi di vendita.>>

E adesso, ringraziando il collega giornalista Dario Pettinelli per aver organizzato un incontro tanto atteso, passiamo a momenti più ludici: la degustazione dei vini.

Partiamo dal Rosso di Montalcino 2021, che dimostra il calore dell’annata siccitosa e torrida, con alcune vasche di fermentazione dai valori record per componente alcolica. In questi casi, oggi più che mai, la mano dell’uomo diventa necessaria per riportare le condizioni entro normali limiti di piacevolezza. La tipologia non consente particolari espressioni estrattive o materiche con rinuncia, invece, ad un sorso dinamico e immediato. Per fortuna (e bravura), il target gustativo resta sempre l’agrume rosso con buoni spunti minerali e scie di erbe mediterranee. Obbiettivo raggiunto.

Il Brunello di Montalcino 2018 mostra i caratteri di una vintage totalmente differente rispetto alla 2021, giocata maggiormente su toni freschi e meno pomposi. Come sempre, preferiamo evitare giudizi e facili vaticini da rabdomanti mediatici, evidenziando che la qualità altissima non è legata necessariamente a persistenze tanniche irsute o altre componenti. Ogni anno è un racconto diverso, per chi sa narrarlo e per chi vuole ascoltare. Questo parla di ciliegie succose, tendenze all’amaricante tipiche del varietale ed un sorso che è pura goduria di bocca. Berlo ora o tra un po’ sarebbe come il dubbio amletico irrisolvibile tra l’uovo e la gallina. Perché esitare?

La Combàrbia: vini con lo sguardo dritto al futuro di Montepulciano

di Luca Matarazzo

Dal 2016 Gabriele Florio ha preso in mano le redini dell’azienda agricola La Combàrbia. La cantina giace a Cervognano, una delle sottozone più prestigiose di Montepulciano (SI) su terreni di origine argillosa e sedimentaria.

In grande trasformazione l’areale nel suo complesso, con produttori frementi di recuperare terreno rispetto alle realtà limitrofe toscane. Un impegno raccolto anche dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che sta investendo in comunicazione e molteplici iniziative per diffondere la cultura e la storia di uno dei borghi vitivinicoli più antichi d’Italia. Fa dunque piacere analizzare un nuovo progetto fresco e giovanile, seguito da un guru dell’enologia moderna come Giuseppe Gorelli.

I primi passi avvengono negli anni ’60, per giungere alla svolta con il lavoro di Gabriele Florio che segue pedissequamente i consigli del Gorelli. Fermentazioni spontanee e scelta di utilizzare solo uve autoctone rispetto ai vitigni internazionali. Identità, precisione ed eleganza, in un territorio che coniuga la potenza del Sangiovese di alcune aree più calde e la croccantezza del suo frutto dal tannino irrequieto e dalle acidità elevate, nel limitare del borgo di Montepulciano, ad altitudini ed esposizioni completamente diverse.

La Combàrbia può vantare entrambe le espressioni nei circa 7 ettari vitati, consentendo ai vini di adattarsi alle inclemenze stagionali tra il caldo torrido estivo e le gelate primaverili, con piogge in forte diminuzione. Il Sangiovese, nonostante la sua duttilità ed una parte rustica dura a morire, mal sopporta il clima pazzo specialmente nella fase di maturazione fenolica.

Quando non si riesce a domare, esprime tutto il suo carattere ribelle, con sensazioni verdi ed amare per nulla piacevoli. Produrre, pertanto, vini di eleganza, serbevolezza e pronti da bere al contempo non è cosa semplice ed il duo “G – G” (Gabriele – Giuseppe) ci riesce benissimo.

Veniamo alla degustazione, svolta all’interno della splendida bottaia a misura d’uomo, allestita anche per sala assaggi. Tralasciamo volutamente il bianco da Trebbiano e Malvasia, molto godibile e destinato alle virtù estive, per concentrarci sui rossi proposti, anche con qualche vecchia vintage utile a verificare l’evoluzione stilistica aziendale.

Rosso di Montepulciano 2021: il futuro della Denominazione passa dal suo figliol prodigo, il più giovane di tutti per modalità di affinamento. Ottima freschezza, tipica del Sangiovese, con quel sottile richiamo da ciliegia succosa, agrumi e macchia mediterranea. Le chiacchiere passano in fretta e lui è sempre lì, pronto a farci compagnia come un buon amico.

Vino Nobile di Montepulciano 2019: un old-style nelle sue nuance balsamiche e scure. Ancora chiuso, sente l’annata non semplice e la mancanza di respiro per avere quell’abbrivio finale necessario a dargli lunghezza. In generale presenta un corredo balsamico che porta avanti su ogni cosa, persino sul frutto di bosco iniziale.

Vino Nobile di Montepulciano 2018: più che vecchio stile è un evergreen, con tannini ancora scalpitanti e classe da vendere. Incredibile l’eleganza e la complessità, con una chiosa minerale appagante e seducente.

Vino Nobile di Montepulciano Riserva 2016: niente da dire. L’annata è davvero straordinaria e memorabile. Ci mette un pizzico a carburare nel bicchiere, poi, come il motore di una formula uno, scatta poderoso e racconta di sensazioni ematiche unite a fiori rossi, su finale di erbe officinali. Appetitoso dal primo all’ultimo sorso.

Vini che dimostrano come minor concentrazione possa aiutare, grazie anche ai mutamenti climatici in corso, ad avere prodotti meno opulenti e più dinamici, a tutto vantaggio dell’immediatezza e dell’appagamento complessivo di chi li degusta. Senza mai smarrire la strada del varietale, quel Sangiovese di impronta toscana che non può conoscere paragoni di sorta.

Caparzo: Montalcino “veste di rosa” con i vini di Elisabetta Gnudi Angelini

di Adriano Guerri

Caparzo e l’eleganza dei vini di Elisabetta Gnudi Angelini

Lo scorso 27 febbraio con amici e colleghi con i quali condivido la passione per il nettare di Bacco, ho visitato l’azienda vitivinicola Caparzo. Per me non era la prima volta, ma la curiosità di degustare le nuove annate era forte ed ho colto al volo l’occasione per rinfrescarmi la memoria.

Caparzo è una delle aziende vitivinicole storiche di Montalcino, fondata nel 1970, è tra le prime 30 iscritte al Consorzio del Vino Brunello di Montalcino. Ai suoi albori gli ettari vitati erano 46, mentre attualmente ne vanta circa 100 grazie all’acquisto della Tenuta, avvenuto nel 1998, da parte di Elisabetta Gnudi Angelini.

al centro da sinistra Elisabetta Gnudi Angelini

Da allora la cantina, oltre ad aver ampliato gli ettari vitati, è stata completamente rinnovata negli impianti a vigna e nei locali di vinificazione completamente ipogei. Un’ azienda all’avanguardia,  tra le prime nel comprensorio ad essersi dotata di pannelli solari per soddisfare il fabbisogno energetico.

I vigneti giacciono su più zone, beneficiando di diversi terroir e microclima presenti. Cambiano le altimetrie che vanno dai 220 agli oltre 300 metri s.l.m. Elisabetta è una profonda estimatrice di Sangiovese e dell’autoctono Moscadello (Moscato Bianco), oltrché degli internazionali Chardonnay, Sauvignon Blanc, Traminer e Cabernet Sauvignon.

Il Brunello di Montalcino “La Casa”, cru ottenuto dai vigneti di Montosoli, è stato tra i primi nel 1977 ad essere  prodotto da singolo vigneto. Nel 1983 stessa iniziativa per il Rosso di Montalcino “La Caduta”. 

La strada francigena nel tratto da Buonconvento-Torrenieri attraversa le vigne della Tenuta e la Cantina, i passanti hanno la possibilità di fare una pausa ristoratrice e degustare i vini della Caparzo come ha fatto il sottoscritto. 

Elisabetta si avvale del prezioso aiuto di fedeli collaboratori e dei figli Alessandra e Igino Angelini.
I vini di Caparzo sono presenti e apprezzati per la loro qualità in oltre 40 paesi, oltre che nel nostro.

La degustazione

Rosso di Montalcino 2021: veste rubino intenso, con le tipiche sensazioni di violetta, rosa, lampone e melograno. Si muove sinuoso al sorso, dotato di grande eleganza.


Rosso di Montalcino “La Caduta” 2019: più vivace nelle nuance di mora, prugna, ribes e liquirizia e nel gusto pieno ed avvolgente.


Brunello di Montalcino 2018 vira verso il granato, con sentori di violacciocca rossa,  amarena, arancia sanguinella e spezie dolci. Caldo e generoso al palato, si offre in tutte le sue avvolgenze.

 
Brunello di Montalcino 2018 “La Casa”: granato acceso, al naso esprime, a cascata, frutta di bosco, pot-pourri floreale, note speziate e tostate. Bocca poderoso, con tannini scalpitanti e ben integrati, il cui ricordo resta a lungo.


Brunello di Montalcino Riserva 2017: granato trasparente, declinato tra amarene, prugna acerbe e sottobosco, uniti a note balsamiche da after eight. Rotondo e seducente, chiude con una interminabile persistenza aromatica.

Ca’ del Pazzo Toscana Igt 2018: Sangiovese 50% e Cabernet Sauvignon 50%, colore rubino profondo, libera note di mora, mirtillo, viola appassita, tabacco, liquirizia e spezia dal palato morbido e ben equilibrato.

Puglia: San Severo – un “tesoro” da bere

di Serena Leo

San Severo è davvero un “tesoro” da bere. Su 20Italie le info must have per approcciarsi alla città delle bollicine.

Una Puglia diversa dal solito è possibile, basta virare verso destinazioni meno blasonate per scoprire storie da bere veramente interessanti, proprio come quella di San Severo. Per iniziare questo viaggio fuori dall’ordinario andremo in Capitanata, dove il grano cresce guardando il Gargano, alla scoperta di bollicine insolite.

Per i Wine Lovers sempre a caccia di novità ecco dei must have, informazioni essenziali per arrivare preparati alla scoperta, tappa dopo tappa, del distretto spumantistico a pochi passi da Foggia. Iniziamo, allora questo ideale viaggio, lo promettiamo, spumeggiante.

Sapersi ben definire:

San Severo ha una storia commerciale di lungo corso. Secoli e secoli passati ad essere crocevia per merci di ogni tipo e buone idee, si è sempre distinta come terra vocata per lo scambio di uva e mosto da taglio. Da qui partivano, e partono ancora oggi, cisterne dirette verso terre viticole blasonate. Una vera e propria fortuna, ma anche una piaga diremmo, che per anni ha sacrificato le potenzialità territoriali.

Alcune cantine e cooperative, verso la fine degli anni Sessanta nel clou del commercio “da taglio”, pensarono di iniziare a destinare una parte della produzione all’imbottigliamento e alla definizione di questa terra come realtà vitivinicola. Ecco come nel 1968, per la prima volta in Puglia, arriva la DOC di San Severo per il Bianco e per il Rosso. Un primo passo per attestarsi la qualifica di comunità che sul vino affonda davvero le sue radici.

Le uve destinate a rientrare nella denominazione sono per il bianco il Bombino Bianco e il Trebbiano, mentre per il rosso Montepulciano e Sangiovese. Ovviamente in piccole percentuali sono ammessi gli autoctoni a bacca bianca e rossa, come l’Uva di Troia, gioiello ancora da scoprire come merita. Comincia un nuovo corso storico.

Cosa succede in vigna?

Ma perché San Severo e dintorni genera tanta curiosità? Certamente per il suo terroir. Posizionata a circa 100 metri sul livello del mare, ventilazione importante attenuata dal Gargano, suoli sabbiosi in superficie e calcarei in profondità, mportante scheletro per garantire il prosperare di vitigni dalle grandi potenzialità, spesso sottovalutati. Stiamo parlando del Bombino Bianco che diventa quasi un tratto distintivo insieme al Trebbiano.

Quando si parla di grandi numeri in fatto di vini e, soprattutto, se si parla della Puglia di altri tempi, pensare alla tipica coltivazione a tendone delle vigne sembra inevitabile e certamente a San Severo non si fa eccezione. Gli impianti più antichi, quelli degli ani Sessanta per intenderci, preservano una curiosa struttura tipica della DOC San Severo, quindi troveremo piante di Bombino Bianco alternate al Trebbiano. Un blend che parte dalla terra, il segreto per velocizzare il lavoro massiccio in vigna e in cantina.

Parola d’ordine: sperimentare!

Il Bombino Bianco è generoso per vocazione e questo è un fatto assai noto. Studiato attentamente dai produttori storici di San Severo, che con gli spumanti e champagne ha sempre avuto un certo feeling – perché anche da qui partivano cuvée destinate alle bollicine di Francia – si è cercato un modo per caratterizzare questa terra con un’identità enologica ancora in via di progresso.

La parola d’ordine, che è sperimentazione, ha portato alla ribalta il Bombino Bianco con un’intuizione di Antonio D’Alfonso Del Sordo. Fu lui a sperimentare con il Metodo Charmat la spumantizzazione del Pagadebit (altro termine utilizzato per il Bombino Bianco) per eccellenza. Il risultato? Vincente. Da qui si è aperto un varco pronto per invertire la tendenza estremizzata all’export verso nuove frontiere. Ad oggi la trovata dell’azienda vitivinicola D’Alfonso Del Sordo ha rivoluzionato la concezione del Bombino Bianco sanseverese.

E poi venne il Metodo Classico

Il bello della Puglia è che una buona idea, se realizzata con il giusto entusiasmo e quel pizzico di lungimiranza necessaria, diventa un modo per reinventarsi. Se il Bombino Bianco ha saputo dire la sua come spumante Metodo Charmat (o Martinotti), perché non provare a realizzare un Metodo Classico autoctono? A portare avanti questa mission sono stati tre amici sanseveresi dai destini diversi, il cui nome aziendale nasce da un acronimo: D’Araprì. Con loro è iniziata una vera e propria “rivoluzione dell’autoctono” portando il Bombino Bianco a un mercato inedito, quello del Metodo Classico.

A seguire la tendenza, negli anni, sono stati molti altri produttori che hanno puntato certamente sulle uve di casa, giocando con soste sui lieviti sempre più estreme. Ad aggiungersi al successo del Bombino è la Falanghina, potente, che in Capitanata ha trovato casa. Insomma, oggi San Severo è un vero e proprio hub in cui si sperimenta e produce il vero Metodo Classico di Puglia.

Full immersion nelle cantine ipogee:

A San Severo il vino si è sempre fatto nelle cantine ipogee, dei locali sotterranei che si snodano per tutto il centro storico. L’odore di questi spazi è inconfondibile e ricordano la tradizione, tempi andati, fatiche lontane. Oggi qui non si ospitano più le procedure per la vinificazione, ma resta la testimonianza di ciò che è stato, trasformando ogni angolo quasi in un museo, alternando antiche pupitres che ospitano gli spumanti del futuro. Nel centro storico ci sono diverse cantine ipogee visitabili, ove si possono degustare gioielli d’annata.

I numeri della produzione odierna di bollicine:

Attualmente le bottiglie di spumante prodotte a San Severo e dintorni sono circa 200000 bottiglie annue. Grazie anche a nuovi produttori che desiderano mettersi alla prova, un po’ per curiosità, un po’ per lavoro, cresceranno ancora. Gli spumanti di San Severo sanno farsi apprezzare anche al di fuori del confine regionale, ma con la fatica di strategie non sempre condivise.

A mancare sembrano essere ancora delle direzioni comuni, azioni in grado di tracciare una direzione futura univoca. A tal riguardo i produttori, dai più piccoli ai più grandi, caratterizzano al meglio i loro prodotti per raccontare uno spaccato sociale diverso dal solito, che ha saputo farsi notare dalla cronaca non sempre attenta.