Bolgheri e Montalcino: i volti vincenti della Toscana nel mondo

Bolgheri e Montalcino: due volti di un’unica regione, si sono uniti per una sera a mostrare il filo rosso che li unisce: la capacità dei propri protagonisti di portare la Toscana in giro per il mondo. Location dell’evento il ristorante C’è posto per te a Castellammare di Stabia, che, nella consueta formula mensile ideata dal patron Pasquale Esposito, ha proposto una serata a tutta Toscana, non solo nei vini ma anche nei piatti eseguiti dalla resident chef Angela Esposito.

La conduzione di Luca Matarazzo, direttore della testata 20Italie e relatore AIS esperto di Toscana, ha accompagnato l’evento: partendo dall’assunto che bere è un atto d’amore, Luca ci ha portato alla scoperta di luoghi e personaggi di due territori iconici, permettendoci di riconoscerli nel bicchiere.

Iniziamo il racconto da Bolgheri, territorio rinomato e riconosciuto a livello internazionale, ma fino agli anni quaranta del secolo scorso zona paludosa di recente bonifica. Il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, riconobbe qualcosa che gli ricordava la Graves bordolese. Impiantò Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc e diede vita al vino bolgherese più noto, il Sassicaia. Un vino fatto in garage, amava scherzosamente definirlo, ma che ha fatto la storia dei grandi Supertascans, grazie all’enologo Giacomo Tachis proposto dal cugino Antinori.

Bolgheri è strettamente legata ai vitigni cosiddetti internazionali, che, per tipologia di terreni ed esposizione, trovano qui un habitat vocato. Vicino al mare (ma non troppo), è presente un paesaggio a mo’ di gradoni, tra le terre più antiche della Toscana, di circa un milione di anni. Si parte dalle colline metallifere e si arriva fino a terreni argillosi, molto simili al flysch cilentano, che donano sapidità e verticalità al vino. Un anfiteatro naturale all’interno del quale sono stati individuati ventisette tipi di terreni diversi, con diverse caratteristiche nei prodotti.

Il primo dei vini in degustazione, Noi 4 Bolgheri doc 2020 di Tenuta Sette Cieli, è il classico taglio bordolese da Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc impiantati a 400 metri d’altitudine. Nel calice sembra di sentire il soffio del mare, tra note officinali, speziate e mentolate che caratterizzano una bocca giovane e scattante.

Il Piastraia 2019 Bolgheri Superiore doc di Michele Satta, ottenuto da Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese prevede, invece, l’inserimento della varietà dominante in regione. La Famiglia Satta oltre a lavorare in questo territorio le quattro uve bordolesi, è meritevole di aver sperimentato anche il Syrah, il Teroldego e aver riportato in auge il Sangiovese stesso, quando la maggior parte dei vignaioli lo stava espiantando. Giacomo Satta, figlio di Michele, racconta la storia di una realtà vinicola da chi la vive nel quotidiano ed è emozionante cogliere quei piccoli particolari che sembra poi rivedere al sorso. Michele Satta, lombardo con origini sarde, adottato professionalmente a Bolgheri, si trasferisce sulla costa toscana negli anni Settanta del secolo scorso. Non sa nulla di vigna e vinificazione e quando decide di mettersi in proprio nel 1983, sceglie di fare vino perché a quei tempi i terreni coltivati a vigna costavano meno di qualsiasi altro tipo di terreno. Gli stessi momenti in cui Ludovico Antinori fonda Ornellaia, Piermario Meletti Cavallari Podere Grattamacco e, poco dopo, Eugenio Campolmi con Le Macchiole.

“Mio padre si introduce casualmente in una storia di vino, e lo racconta sempre per sottolineare come nella vita accadono cose speciali, da cui non si sfugge”. Il Piastraia 2019 è scuro e impenetrabile. All’inizio, necessita di tempo per rivelare la sua pienezza, ma al contempo riflette l’annata di cui è figlio: equilibrata per clima, piogge ed escursioni termiche. Un vino materico che ci parla di affetto per il territorio.

In abbinamento ai primi due vini, l’Antipasto Toscano con Finocchiona, bis di pecorini, pappa al pomodoro, fagioli all’uccelletto e bombetta al formaggio. Con i fusilli al ferretto al ragù di cinghiale, approdiamo nel secondo dei territori in esplorazione: Montalcino.

La nascita del Brunello di Montalcino è inscindibile dalla famiglia Biondi Santi, in particolare da Clemente, che nel 1820 iniziò a coltivare Sangiovese Grosso in un territorio dove si produceva prevalentemente Moscato Bianco nella tipologia dolce “Moscadello”. Il successo di questo vino è poi dovuto, come per Bolgheri, a giovani imprenditori che hanno creduto nelle potenzialità del territorio. In primis i fratelli Mariani che, coadiuvati dall’enologo Ezio Rivella, hanno dato vita all’azienda che ha portato il nome del Brunello di Montalcino prima negli Stati Uniti: Banfi.

Il primo Brunello di Montalcino in degustazione è Fattoi 2018.

Fattoi è un Brunello “tradizionalista”: prevede l’invecchiamento in botti di rovere da 40 Hl. Legno grande quindi, che mantiene integro il frutto del sangiovese, ancora pienamente godibile in questo bicchiere.

Caprili Brunello di Montalcino docg 2018 dell’Azienda Agricola Caprili è il secondo vino dell’areale. Anche questa una storia di famiglia riscattata dalla mezzadria; anche questo può considerarsi di fatto un Brunello tradizionalista che affina in botte grande. Al naso il frutto fragrante del sangiovese è controbilanciato da arancia essiccata, viola appassita, incenso. Il sorso è carezzevole grazie al tannino finissimo ma presente e risulta spiccatamente saporito. Sia Fattoi che Caprili si trovano su territori esposti ad ovest, un tempo più freschi, ma oggi, col cambiamento climatico in atto, espressione di un sangiovese equilibrato. I terreni prevalentemente argillosi danno nerbo e struttura al tannino. Esattamente ciò che sentiamo al sorso.

Il Peposo dell’Impruneta ci porta nella tradizione più autentica della cucina di Firenze, con uno stracotto che ha origini nel Medioevo e  deve il suo nome all’utilizzo abbondante di pepe in grani durante la cottura nei corposi vini toscani. La chef Angela lo propone insieme ad un piatto della tradizione campana, salsiccia e friarielli, per sperimentare un abbinamento non propriamente regionale – ma perfettamente riuscito – con i vini in degustazione.

Non ci spostiamo da Montalcino, degustando la superstar del 2023, il miglior vino del mondo, come lo ha definito Wine Spectator: Argiano Brunello di Montalcino docg 2018. Un vino italiano, toscano, salito sul podio a portare il vessillo del Made in Italy, cosa fino a qualche decennio fa impensabile.

Fine al naso, dai sentori di un frutto carnoso, e dal palato declinato su scie balsamiche, colpisce per l’equilibrio tra eleganza e potenza. Il sipario si chiude a Bolgheri con due pezzi autentici cavalli di razza.

Partiamo da Ornellaia L’essenza 2014 Bolgheri Doc Superiore, frutto di un’annata impegnativa che si esprime nel bicchiere comunque ad alti  livelli. La 2014 è composta nel blend bordolese con le seguenti proporzioni: 34% Cabernet Sauvignon, 32% Merlot, 20% Petit Verdot, 14% Cabernet Franc. Il naso è un pot-pourri di petali essiccati, spezia e salamoia. Il sorso è pieno, rotondo, con richiami di cioccolato ed una nota piccante nel finale, seguita da tannini morbidi e levigati.

Cavaliere Toscana IGT 2008 di Michele Satta, da Sangiovese in purezza è stato l’omaggio di Giacomo Satta a una serata dedicata alla convivialità. Naso di grande spessore, che spazia dalla moka, all’incenso, dall’arancia essiccata, alla felce e alla macchia mediterranea. Il sorso è progressivo e sferza il centro della lingua, chiudendo lungo e ampio su tostature di caffè.

C’è posto per te

Via Venezia 80053 Castellammare di Stabia

Tel: 081 870 1746

Chiuso il lunedì

Ciro D'Apice

Ciro D'Apice

Professore di analisi matematica all'Università di Salerno, ricerco nella grande passione per il vino, il fattore irrazionale che fa brillare la vita. Degustatore AIS dal 2021, viaggio spesso per territori vinicoli e cantine, ma il mio amore enologico incondizionato va alla Toscana e al territorio di Montalcino.

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