Team Costa del Cilento: da Franca Feola dove il pescato del giorno è sempre il protagonista

Franca Feola decide di immergersi tra i fornelli non da subito. Ci vuole prima qualche anno di esperienza e maturazione per concepire finalmente la sua Locanda Le Tre Sorelle a Casal Velino. Tradizione di famiglia nell’amore per il pescato del giorno sempre fresco, sempre di altissima qualità da coniugare ai sapori genuini di un tempo.

Quelli delle primizie dell’orto, magari amplificati da tecniche di cottura solo all’apparenza semplici, eppure tremendamente gustose. Il concetto di cucina boutique, buona solo per gli occhi, per fortuna non appartiene a Franca, che realizza piatti concreti, identitari. Procedere all’interno di un territorio come il Cilento richiede visione creativa, senza smarrire per un secondo l’aderenza a quanto di meglio proposto dall’ambiente circostante.

Contaminazioni sì, ma al giusto prezzo: quello di rimarcare (urge quanto mai) cosa sia la Dieta Mediterranea, tra pomodori colorati e ricchi di sostanze benefiche, pesce azzurro, pasta fatta a mano sfidando il concetto di omologazione. Per il Team Costa del Cilento, l’associazione presieduta da Matteo Sangiovanni, abbiamo qui il racconto di due creazioni di Chef Feola.

La prima riguarda un tagliolino con riccio di mare ed estratto di gambero rosso in olio extravergine di oliva aromatizzato alla rucola. Eleganza e sapore, ben amalgamati dalla sapidità del riccio e dalla delicatezza morbida del gambero.

Il mezzo pacchero con ricciola, pomodorini dell’orto ed erbette aromatiche viene descritto in video da Franca in persona. Compostezza ed equilibrio fanno il resto. La location è suggestiva ed ha possibilità di ospitare gli avventori in comode camere, nel silenzio della collina cilentana, dove la natura regna ancora selvaggia e incontrastata.

Locanda Le Tre Sorelle

Via Roma

84040 Casal Velino (SA)

Tel: 0974 1848143

Email: info@locandaletresorelle.it

www.locandaletresorelle.it

Cilento: l’espressione elegante dell’Aglianicone fa tappa da Silva Plantarium. L’anfora ne è la chiave di volta

“A acen’ a acen’ se face na macena” è un proverbio cilentano che letteralmente significa “acino dopo acino si ottiene la macina”, cioè oliva dopo oliva si raggiunge la quantità giusta per poterla pressare (“A macena”). A poco a poco si ottiene il risultato…

Questo nobile proverbio esprime a pieno la nostra volontà di volere raccontare, a poco a poco, di una terra selvaggia, difficile, spettacolare, variegata e ricca di tradizioni, il cui popolo resiliente e sincero ne mantiene vivi carattere e peculiarità. Caratteristiche in parte presenti anche nel vitigno Aglianicone, uno dei genitori dell’Aglianico, uno dei primi e più antichi vitigni cilentani.

L’Aglianicone in passato era il vino più diffuso dei vigneti nella zona. I fenomeni di acinellatura del grappolo a volte marcate (forse per difetti di morfologia floreale) hanno contribuito in passato al suo abbandono, facendo preferire ai contadini altre varietà più produttive di uva, non rammentando che dal punto di vista enologico tale vitigno si comporta in modo eccellente. Infatti, differisce dal più noto Aglianico, per la presenza di tannini meno aggressivi che ne riducono il tempo di affinamento, mantenendo descrittori aromatici di interessante intensità.

A Torre Orsaia (SA), con più esattezza nella località Cerreto, nel cuore del Cilento, in piena campagna (20 km circa ci separano dallo splendido mare di Scario) un cilentano doc, Mario Donnabella, con la sua famiglia, ha perseguito la mission di preservare le naturali bellezze ed espressioni del territorio. Una terra di cui Mario si dichiara custode con la sua azienda Silva Plantarium, il bosco delle piante. È nato vivaista, ed ha poi inseguito la sua predisposizione emotiva e sentimentale: diventare un viticoltore che si basa sull’agricoltura più naturale. L’approccio a cui lui si riferisce, è quello di non intervenire, di osservare la natura fare il suo corso, accettare ciò che dona senza forzarla, senza addomesticarla a proprio piacimento. Le montagne intorno, il movimento collinare del terreno, la flora e la fauna e l’escursione termica tra il giorno e la notte formano un microclima perfetto per le sue piante e le sue vigne. L’umidità naturale proveniente dai piccoli bacini d’acqua artificiali, la brezza marina, il suolo ricco di humus, arenaria, argilla e calcare completano l’opera.

Quattro sono le sue vigne: Tempa d’Elia e Casino impiantate già da tempo, circa 15 anni fa, Facenna e Terra Rossa più giovani. In questi 4 ettari e mezzo coltiva con cura e dedizione Aglianicone, Aglianico, Fiano, Santa Sofia e Mangiaguerra. Nell’antico casolare di famiglia, il Casino del Cardinale, dove Mario è nato e dove ha vissuto, in una piccola cantina posta nei locali sotterranei, lavora sue uve. I suoi vini macerano in anfora, come una volta: micro ossigenazione garantita, preservando le caratteristiche del varietale. Tutto richiama la semplicità e l’amore, la pazienza e la cura, l’attesa e la rassegnazione tipiche del mondo contadino di un tempo lontano, ma con lo sguardo al futuro, alla salvaguardia del risultato finale.

Mario Donnabella

C’è un’associazione a cui Mario appartiene, Terre dell’Aglianicone, il cui presidente è Ciro Macellaro (altro custode impagabile del vitigno cilentano), che unisce un gruppo di aziende che intendono custodire e diffondere questo vitigno perché ne riconoscono il valore. 

L’Azienda Silva Plantarium produce il rosso Buxento da Aglianicone (biotipo di Castel Civita) in purezza. Il nome richiama Buxentum l’antico nome romano di Policastro, posta alla foce dell’omonimo fiume. L’aglianicone, nato da incroci spontanei in vigna, particolarmente adatto alla coltivazione biologica grazie al grappolo spargolo e allo spessore della buccia, con grandi capacità di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche, con resa bassissima, ha trovato forse la sua massima espressione nell’affinamento in anfora.

L’uva è raccolta a mano, tendenzialmente nell’ultima settimana di settembre, selezionando i grappoli, diraspati e poi pigiati. La fermentazione in fermentini d’acciaio è affidata ai lieviti autoctoni. La macerazione delle bucce dura circa dieci giorni, senza aggiunta di solforosa, prestando la massima attenzione al dosaggio dell’ossigeno mediante rimontaggi e delestage. La svinatura è eseguita con una soffice pressatura delle bucce il cui prodotto va poi aggiunto al vino fiore. Dopo circa un mese di riposo, il vino è trasferito in orci di creta sigillati dove attende e matura pazientemente per almeno due anni. Imbottigliato senza l’aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione prosegue il periodo di affinamento in bottiglia per almeno 4 mesi.

La degustazione viene condotta nell’antico casolare e si articola sulla verticalità delle diverse annate a disposizione (2017-2018-2019).

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2017

Il colore appare subito importante e compatto, un bel rosso rubino carico. Il naso è inizialmente timido, ma, dopo una conveniente attesa, si fa ampio e pronto ad arricchirsi di nuovi sentori regalati dall’ossigenazione. Oltre a frutti rossi (mora e ciliegia sotto spirito su tutti), si percepiscono odori autunnali terrosi, di foglia bagnata, un leggero fungo porcino e poi del cuoio. In bocca risaltano immediatamente equilibrio e ampia freschezza, l’eleganza dei tannini è sorprendente, suadenti e perfettamente armonizzati alla morbidezza della beva.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2019

Il colore è un inchiostro porpora con venature violacee. Il bouquet è complesso e accattivante con profumi di frutta rossa e nera come la prugna e le more e sentori floreali di violetta. Note di spezie orientali accompagnano le sniffate. Sul palato plana un sorso decisamente vinoso e lievemente speziato. Tannini presenti, più acuti rispetto alla 2017, ma pur sempre eleganti. La bocca rimane morbida calda, fluida. Mineralità e buona verticalità persistono nel finale.

Buxento – IGP Paestum – Aglianicone 100% – 2018

Si colloca esattamente a metà delle due precedenti annate degustate. Il naso accoglie il vino di colore rosso rubino, con note fruttate di prugna più matura, amarena e mora; le gradevoli espressioni floreali di viola si mescolano ai sentori fruttati e alle spezie dolci presenti. Alla beva presenta un’incredibile freschezza che lo riporta all’annata più giovane; si affacciano aromi retronasali di frutta croccante. Il palato mantiene una buona morbidezza e i tannini rimangono suadenti e per nulla aggressivi.   

Durante la degustazione a Silva Plantarium, non può mancare l’assaggio del bianco Kamaratòn. Ottenuto da uve Fiano (50%) e Santa Sofia (50%) con utilizzo di lieviti naturali. La macerazione alcolica delle bucce avviene in fermentini d’acciaio. A seguito della svinatura, il vino matura in anfora a contatto con le fecce e viene poi imbottigliato senza aggiunta di solforosa e senza alcun intervento di chiarificazione o filtrazione. Segue un affinamento in bottiglia per circa 4 mesi. Kamaratòn, richiama il nome greco di Camerota e della superba ninfa del mare, trasformata in roccia da Venere per punizione (il promontorio di Camerota), condannandola a guardare per l’eternità il Promontorio di Palinuro, suo spasimante respinto.

Kamaraton – IGP Paestum – Bianco 2020

Nel bicchiere il Kamaraton presenta un vivace colore oro appena velato. La tela olfattiva è tessuta da delicate sensazioni di fiori gialli, macchia mediterranea, con prevalenza di albicocca secca e nespola matura. In bocca l’impatto conferma le premesse olfattive con un’avvolgente morbidezza, ed una freschezza ben misurata e piacevole. Lunga la persistenza gusto-olfattiva. La mineralità del sorso risulta appagante e richiede immediatamente quello successivo.

Mario Donnabella non importunando l’opera della Madre Terra, come stesso lui afferma, ottiene una produzione ad ettaro piccolissima, ma porta in bottiglia due vini autentici, puliti, “naturali”, non estremi.

La natura non fa il vino, è l’uomo semmai che fa il vino secondo natura. E il vivaista di Silva Plantarium è proprio bravo in questo. E’ bello immaginarlo come il nocchiero cilentano dei vini naturali…

“Il Colle del Corsicano” a San Marco di Castellabate (SA): il sogno di una vita di Alferio Romito

Il vino si fa con passione, partendo da un sogno, da un progetto, da un impianto…

“La nostra fanciullezza, la molla di ogni nostro stupore, è non ciò che fummo, ma ciò che siamo da sempre”. Questa frase di Cesare Pavese delinea perfettamente il ritratto del protagonista del racconto di oggi: un giovane viticoltore, Alferio Romito, che da sempre aveva il sogno di potere dirigere la sua azienda vitivinicola, curandone ogni aspetto. Fin da bambino, sui trattori in vigna, aiutava a mandare avanti l’attività di famiglia che da ben quattro generazioni produceva vino sfuso destinato al consumo casalingo o alla vendita.

Alferio Romito

Stiamo parlando della cantina Il Colle del Corsicano e ci troviamo nel cilento e precisamente a San Marco di Castellabate (SA). Qui le verdi colline si tuffano nel blu del mare, baciate dal sole e protette da un microclima favorevole alla viticoltura. Le vigne crescono sul flysch, materiale argillitico friabile con suoli più sabbiosi in prossimità del mare.

Il progetto di Alferio prevedeva la riorganizzazione della vigna di famiglia, impiantando unicamente Aglianico e Fiano; ed è quanto ha realizzato dopo gli studi di viticoltura ed enologia. L’unica eccezione, sono state alcune piante di Primitivo, fortemente volute dal padre, le cui uve vengono adoperate per rendere più smussato e avvolgente l’Aglianico.

Studente del professor Luigi Moio (oggi presidente OIV – Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), Romito ricorda con emozione il periodo della discussione della tesi, uno dei momenti significativi della sua vita, mentre si chiudeva il ciclo universitario e si impiantava contemporaneamente il Fiano nella nuova vigna a Punta Licosa (tre ettari).

Le sue viti, coltivate in biologico, si sviluppano a pochi metri dal mare, e continuano nella collina denominata, appunto, Colle del Corsicano. Lo sguardo si incanta a seguire le colline vitate con i suoi curatissimi e ordinati filari di Fiano, che sfumano tra blu del cielo e il turchese del mare. La macchia mediterranea con i suoi colori e profumi fa da cornice al quadro magnifico dipinto apposta per incantare gli occhi del visitatore.

I segreti del successo di questa realtà e del suo giovane viticoltore “sono da ricercare unicamente nella cura della vigna”, come egli stesso afferma. Egli cura ogni fase del progetto con fierezza, apertura e professionalità, diventando uno dei punti di riferimento tra i viticoltori cilentani. Nulla è lasciato al caso: l’esposizione dei filari, l’uso della spalliera a Guyot, la potatura verde e la cimatura dei germogli in modo tale da convogliare le sostanze nutritive nel frutto. E ancora: la conservazione della foglia sulla vite per proteggere il grappolo dall’eccessiva esposizione al sole ed evitare l’aumento della produzione dei pigmenti e dei conseguenti fenomeni ossidativi preservando la longevità dei vini, la protezione delle piante dallo oidio e dalla peronospera con trattamenti costanti ed in linea con la coltivazione biologica.

La vendemmia è a mano in piccole cassette, trasportate e lavorate poi con cura in cantina. La sostenibilità è una priorità e si concretizza in vari processi, dalla scelta dei materiali alla produzione tout court.

Nel Licosa, nel Furano e nel Patrinus, le tre referenze aziendali, è chiara l’identità e lo stile che il giovane Alferio sta imprimendo ai suoi vini e la meticolosità nella cura della vigna diventa una garanzia.

Licosa – Cilento Fiano DOC -2022

In purezza. Le uve dopo la raccolta sono immediatamente sottoposte a deraspatura e pressatura soffice; il succo viene poi illimpidito staticamente a temperature di 14-15°C. Si aggiungono lieviti selezionati. La stessa etichetta è una stilizzazione di una foto catturata direttamente da Alfiero. Il vino degustato, di 13,5 % di alcool, ha stazionato 3 mesi in bottiglia.

Il colore è paglierino dai tenui riflessi verdi. Al naso predominano sentori di fiori bianchi, magnolia, acacia ed erbe aromatiche come il timo. Prevale una leggera morbidezza, che lascia spazio a freschezze importanti, presupposto di longevità. Chiude poi una bella sapidità. Riportando il vino al naso, si avvertono, un po’ in ritardo, i sentori di frutta bianca, fresca, a testimonianza della complessità del bouquet.

Licosa- Cilento Fiano DOC – 2018

Seconda vendemmia. Il colore tende al dorato e riempie il bicchiere. Un’intrigante complessità si manifesta subito, con sentori di idrocarburi cui seguono note di frutta a polpa gialla ed erbe aromatiche; una bella mineralità salmastra e persistente, che rende omaggio al territorio. In bocca, il vino, pur mostrando ancora tensione, risulta molto equilibrato e lungo. Presume un buon abbinamento con coniglio imbottito accompagnato da carciofi.

Furano – Cilento – IGP Paestum Aglianico Rosato – 2022

Le uve sono tutte coltivate a Punta Licosa e durante la maturazione giovano della brezza marina proveniente dal mare, denominata “furano” nel linguaggio cilentano. Tali uve vengono vinificate in bianco ottenendo un vino che ricorda la freschezza di un bianco ma con la struttura di un Aglianico. Il colore è un bellissimo e lucente rosa chiaretto. Si percepiscono immediatamente al naso i petali di rosa e la ciliegia. Al gusto, fresco ed avvolgente, risulta al palato morbido e persistente nelle sue note agrumate. Il vino oggi riesce a esprimere una longevità anche di 4-5 anni.

Patrinus – Cilento – IGP Paestum Aglianico – 2021

Composto da 95% di Aglianico ed un saldo di Primitivo. Il vino subisce una vinificazione classica con le bucce che rimangono a contatto con la polpa per 15-18 giorni ad una temperatura di 25 °C. La pressatura è molto soffice per evitare l’estrazione di tannini amari e sgradevoli. Le attenzioni, dalla coltivazione in vigna alla pressatura, consentono di ottenere un Aglianico cilentano con una buona dose di morbidezza. Dall’annata 2023 uscirà con la denominazione DOC Cilento.  

Il nome latino Patrinus richiama il padrino di Alferio, uomo motivatore che lo ha spronato molto nella realizzazione dei suoi progetti. Il colore è un intenso rosso rubino, limpido. Al palato entra molto morbido, con bella ampiezza per poi chiudere ampio. Riempie il naso di piccoli frutti rossi, mora, lampone e ciliegia e sentori di liquirizia. Chiude la confettura di ciliegia. Abbinabile perfettamente con carne tenera di bufalo arrostito oppure con un tonno rosso appena scottato.

Non deve mancare l’assaggio dell’Olio Extravergine di Oliva Corsicano che l’azienda produce, in coltivazione biologica. Proviene dalle cultivar Ogliarola, Rotondella, Frantoio e Leccino raccolte a mano ancora verdi. La lavorazione delle olive in oleificio avviene subito dopo la raccolta, direttamente in giornata, mediante sistema integrale con estrazione a freddo. Presenta un fruttato che ricorda la mandorla, la foglia di carciofo e l’erba appena sfalciata. L’amaro e il piccante sono equilibrati, rendendo il prodotto versatile negli abbinamenti.

I sogni inseguiti con purezza d’animo, competenza e sacrificio portano i risultati e noi auguriamo ad “Il Colle del Corsicano” e ad Alferio Romito di raggiungere vette straordinarie con i suoi prodotti d’esempio per tutti i giovani viticoltori cilentani.

Albamarina e i vini bianchi di Mario Notaroberto: una storia cilentana fatta di vere passioni ed emozioni

di Silvia De Vita

La cantina del “brigante contadino” Mario Notaroberto e l’espressione dei vini bianchi di Albamarina colpiscono nel segno. Una storia tutta cilentana fatta di vere passione ed emozioni quella che andremo a narrare per 20Italie.

I racconti hanno sempre il loro fascino quando consentono di immergersi in atmosfere talvolta lontane nel tempo e nello spazio. Le parole che li compongono assumono peso, circostanze, significati che in contesti diversi avrebbero tutt’altro senso. Le espressioni, le intonazioni, le pause ne arricchiscono enormemente il fascino. E se poi la narrazione è accompagnata da un calice di vino, arricchita da complici sguardi, l’immersione nel luogo e nel tempo è garantita. Silenzi e pause che contribuiscono a condurre il ritmo, la suspense e l’armonia della composizione, come accade in un brano musicale.

Mario Notaroberto – Albamarina

Ci troviamo nel comune di Centola (SA), nella natura selvaggia del Parco del Cilento, lì dove mare e montagna si incontrano in un trionfo di colori che sfumano dal blu profondo del mare al verde intenso della campagna, con spennellate di macchia mediterranea e profumi intensi di salsedine e piante aromatiche.

Il protagonista è Mario Notaroberto – cantina Albamarina proprietario di splendidi vigneti che si affacciano sul golfo di Palinuro. Un terreno noto agli esperti come flysch cilentano, dove lo strato di argilliti e quarziti di origine marina ha l’arduo compito di assorbire l’acqua piovana per poi restituirla nei periodi più aridi. È un piccolo mondo di storie, di vigne e pensieri: una terra di testarde attese e di cuori resilienti.

La roccia è composta da vari livelli di arenaria, argilla, marna, calcare, e qualcuno sostiene, non solo. Nel tratto a largo della costa del Cilento, due giganti sottomarini, il Marsili e il Palinuro, hanno avuto in passato una attività vulcanica imponente, tanto da far supporre ad alcuni studiosi che il suolo possa avere richiami tipicamente vulcanici.

Mario sviluppa qui la sua cantina su 10 ettari vitati, tra Fiano ed Aglianico e altri vitigni autoctoni cilentani e della Campania (Falanghina, Greco e Santa Sofia). Gli impianti sono del 2009 e nel 2012 è avvenuta la prima vendemmia; l’anno seguente Albamarina è comparsa sul mercato con ottimo consenso dalla critica. Il microclima è particolarmente favorevole e si avvantaggia della brezza marina proveniente dal golfo di Policastro protetta dal Monte Bulgheria in un unico abbraccio.

Di strade Notaroberto ne ha percorse molte dal momento che, dopo gli studi di ragioneria e un lavoro proficuo a Napoli, si è trasferito in gioventù nel Lussemburgo spinto forse da questioni di cuore o molto più probabilmente da nuove ambizioni e ricerca di stimoli. Lì apre il Ristorante Il Notaro che conduce al successo rapidamente, arricchendone la cantina con un numero importante di vini, tali da raggiungere negli anni oltre 1450 etichette. Oggi il business in Lussemburgo viene gestito dai figli Livio e Dario che, dopo gli studi alla Bocconi, hanno deciso di seguire le orme del papà.

La passione per il vino nasce in Mario sin da ragazzo, nella vigna di famiglia. Non ha mai saputo che uva il padre coltivasse, ma ha chiaro il ricordo di questo vino rosso da una varietà francese a detta dei genitori, riportata nel Cilento da un compaesano emigrato con dei “maioli”.

Il risultato era di colore tanto scuro da far dannare la mamma quando una sua goccia macchiava la tovaglia. Molti anni dopo, per caso durante un viaggio a Montevideo, scopre che quell’uva era semplicemente il Tanat, vitigno del Sud Ovest francese, molto tannico, con caratteristiche che si collocano a metà strada tra Aglianico e Sagrantino.

La degustazione improntata sui suoi vini è splendida. Con molta generosità alterna il racconto di Albamarina e della sua storia personale a momenti di assaggi delle diverse tipologie di vino della cantina.

Ad aprire le danze Etèl – IGP Campania 2022, Falanghina proveniente per metà dai terreni di Centola ed il rimanente 50% dal Sannio. Il nome del vino richiama il nome del fiume LETE scritto al contrario, sui cui lembi (ben stilizzati in etichetta) si affacciano, a circa 250 mt di altitudine, i vigneti. Il clone utilizzato è quello del Sannio, impiantato nel 2016 e vinificato per la prima volta nel 2021. L’affinamento avviene in acciaio sulle fecce fini per circa 6 mesi, ed in bottiglia per almeno 3 mesi. Vino di carattere, dalle nuance giallo paglierine e naso inebriante di sentori fruttati. Sorso fresco e di buon corpo, ben equilibrato dal gradevole allungo.

Nerbo e prospettive di longevità per il Nylos, IGP Campania 2021, da Greco in purezza. La dedica è a San Nilo, il cui cammino cilentano, in alcuni punti, segue le vigne di Albamarina. Richiama al naso fiori di ginestra e frutta a pasta gialla. Fresco, ben equilibrato e di buona persistenza.

La degustazione continua con il vino storico dell’azienda, il Fiano IGP Valmezzana. Il nome del richiama la località nella quale viene coltivata l’uva. L’etichetta invece evoca una farfalla per simboleggiare un’esistenza effimera e quindi un vino che va bevuto velocemente perché di vita breve. Invece resiste in maniera superba lo scorrere del tempo!

La verticale proposta denota, infatti, tutt’altro. Le diverse annate di Valmezzana 2021 – 2019 – 2014 – 2013 oltre ad impressionare per l’intensità del colore che vira a mano a mano verso il giallo dorato con riflessi ambrati, sviluppano al naso un bouquet di note agrumate, con fiori bianchi, mughetto alpino e balsamicità. Andando indietro con le lancette dell’orologio emergono le sfumature tostate e mielose del Fiano e una mineralità di forte presenza in bocca. Straordinaria l’evoluzione del Valmezzana in versione Magnum.

Ultimo prodotto in degustazione è il Palimiento, che rappresenta per Albamarina un ritorno al legno in fase di fermentazione e un affinamento per almeno 12 mesi in barrique.

Il nome del vino “Palimiento” richiama “I Palmenti”, le vasche o di cemento o scavate nella roccia, che già in tempi antichi venivano utilizzate per la fermentazione del mosto, rievocate e stilizzate in etichetta con un tratto delicato. La presenza del legno nel processo produttivo ha un impatto nobile sul vino. L’esaltazione della macchia mediterranea e la mineralità vengono percepite senza troppe difficoltà, come se le sue botti fossero state immerse in acqua di mare. Una struttura importante accompagnata da una freschezza e una sapidità rendono la beva elegante.

Un nuovo progetto vede l’espressione del Fiano nelle bollicine – Metodo Charmat e Metodo Classico – presto in arrivo al pubblico. Noi abbiamo degustato in anteprima lo spumante brut Metodo Charmat il cui nome “L’eremita” è un omaggio ad una delle frazioni di Futani “Eremiti”. L’etichetta richiama una rete in cui l’eremita si sente intrappolato, come lo spumante quando è chiuso in bottiglia. Dal perlage fine e brillante con piccoli riflessi di luce dorata.  Al naso richiama sentori di agrumi e frutta gialla non ancora matura, arricchiti da piacevoli note floreali e di lievitazione. La beva ha una buona freschezza e finezza; lungo e pulito il finale.

Il mondo dei rossi e rosati di Albamarina meriterà tempo e dedizione in un’altra visita. Si va via consapevoli della magia appena vissuta e nostalgici delle magnifiche sollecitazioni che più volte hanno stimolato piacevolmente i nostri 5 sensi.

Oscar Wilde diceva “The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams.”

Mario Notaroberto, ne è l’esempio vivente…

Merci et à la prochaine! Et ce sera bientot.

Experience a 4 mani, la fusion tra Sangiovanni e Barrale 

 

Hanno incantato gli ospiti, hanno intrecciato visioni ed esperienze proprie, l’Executive Chef de Le Radici Matteo Sangiovanni e Paolo Barrale, lo Chef stellato alla guida del rinomato ristorante Aria, si sono incontrati nella serata del 6 marzo 2023 e proprio nel laboratorio di cucina di Experience a Battipaglia, nuova e ultima sintesi della migliore immagine della Piana del Sele: la fertilità dell’agricoltura e l’eccellenza delle materie prime.

Un solo filo conduttore per la preparazione della cena collaborativa, il tema “Tecnica e Memoria”, in realtà la matrice comune della loro filosofia in cucina si è espressa in un caleidoscopio di molteplici percezioni emozionali che colpiscono i sensi, preludio di tutto quello che ha dato corpo finale a quei piatti.

Foto ©Alessandra Farinelli

È avvenuto come i migliori chef sanno fare e, del resto, si sa; ogni cultura, in tutti i campi, è vera se riesce a collegare cose tra loro, ad altre tradizioni, in momenti diversi, tra passato e presente, questi ponti sono lo specchio della profonda conoscenza di tutto

Quella tra Sangiovanni e Barrale è stata una liaison di qualità che ha raccontato in poco tempo e in una sera molti anni di realizzazioni ed evoluzione territoriale, un incontro proprio a garanzia di questa eccellenza: l’equilibrio di Barrale, anche nelle contaminazioni, preserva l’elemento principale del piatto, la materia prima viene centralizzata in un percorso di valorizzazione particolare, la creatività di Sangiovanni muove e indirizza, in sincrono, verso una rivisitazione ulteriore dei menu di Experience.

Esperienze sublimate, un esordio di successo

Il lavoro a 4 mani, con un menu d’eccezione, è stato solo il primo della serie di questa stagione che proseguirà tra marzo e aprile. Experience a 4 mani di Matteo Sangiovanni è un calendario di eventi limited edition con tanti chef internazionali, sempre in evoluzione, con la finalità di offrire al pubblico altri spettacoli di filosofia e arte culinaria, direttamente dalle concezioni proprie di tanti chef che stanno scrivendo la storia della gastronomia italiana.

La serata del 6 marzo con Barrale è proseguita nel tipico scenario delle atmosfere di Experience, tra eleganza, sofisticata sorpresa e prelibatezza. Gli ospiti presenti hanno manifestato allegria ed entusiasmo, in un clima di relax e coinvolgimento.

cena a 4 mani

Le sei portate, in elegante successione, hanno celato sorprese inaspettate in un menu con pairing all’altezza dei piatti, abbinamenti e preparazioni narrate fascinosamente dal maître e dal sommelier. Del resto una delle caratteristiche suggestive dei ricercati percorsi di Experience è la narrazione, voluta da Matteo Sangiovanni, e affidata al maître. Un menu, tutto in una storia, che rievoca il passato, anticipa i tempi, racconta origini e provenienza di materie prime e tradizioni. Svela filosofie con attenzione, senza eliminare il mistero che si rinnova in ogni serata e ad ogni passo.

I nuovi incontri, il calendario d’eccezione

Il 31 marzo sarà la volta dello chef Michele Deleo per proseguire il 21 aprile con Sergio Mei e concludere per questa stagione l’11 maggio con Giuseppe Stanzione. Le cene “a quattro mani” dello chef Matteo Sangiovanni saranno un continuo percorso esperienziale, per attrarre e catalizzare il meglio della cucina campana e italiana. 

Una forte ambizione, quella di Sangiovanni, rappresentare in questi incontri la cultura italiana e regionale del cibo e i suoi valori, ancora da scoprire, in un vero percorso di condivisione. E se il percorso si rivela anche identitario, immagine del territorio, allora è anche in tutta evidenza una promozione che funziona ed un rispecchiarsi affettivo per tutti. Come il costume, il genio dell’improvvisazione degli chef, tutta estetica filosofica che mista al piacere e al gusto è collante sociale e rappresenta la vera anima di un popolo, di un territorio.

A Le Radici Experience si fa identità, cultura, sociologia, si fa memoria della storia del territorio. Un progetto a cui prestare molta attenzione.