A Cosenza il ristorante Simposio – Mare e Vini guarda al futuro con un occhio alla solidarietà

Nel cuore della città di Cosenza, esiste un luogo dove tre coraggiosi temerari sfidano quotidianamente le tendenze di mercato, proponendo un’alternativa di alto livello alla tradizionale cucina calabrese a base di carne. Questo luogo è il “Simposio – Mare e Vini”, un ambiente elegante orientato alla cucina di mare rivisitata, gourmet per la classe, ma con porzioni vicine alla tradizione. Il progetto nasce da tre sognatori appassionati, ma faticatori: Lo chef Ivan Carelli, il sommelier Francesco Gardi ed Ernesto Maletta supervisore di sala.

La cucina a vista

Il perno si appoggia su alcuni cardini fondamentali: lo show cooking che vede una cucina a vista, completamente aperta, con due coperti al banco di lavoro dello chef per chi vuole assistere in prima fila alle preparazioni e seguire le dettagliate spiegazioni; l’acquacoltura con una ricca selezione del pescato sempre fresco. Infine la cantina con oltre 200 etichette, gestita da Francesco con grande professionalità e attenzione. Inoltre, nel tardo pomeriggio “Simposio – Mare e Vini” apre agli aperitivi friendly con bollicine, coccole salate e cocktail alla moda.

La chiave di lettura di questo ristorante è l’impiego di materie prime di grande qualità e la cura di ogni dettaglio: dall’accoglienza del cliente, alla cura della sala; dal sottofondo musicale, alla presentazione dei piatti; dalla bontà dei cibi al sorso dei vini. Il team propone un servizio attento come in un’orchestra in cui ogni musicista suona il proprio strumento in una meravigliosa melodia.

Per iniziare, ecco un doppio stuzzichino come entrée composto da alice fritta con salsa maionese e caviale verde e da salsicce di tonno su frittatina alle erbe.

Le tre proposte firmate dal giovanissimo e talentuoso aiuto chef Cristiano Candido

  • I Maccabuoni (e la solidarietà è di casa Simposio)

La pasta cosentina preparata dalle abili mani di giovani ragazzi speciali. Un progetto realizzato in collaborazione con l’associazione “la Terra di Piero”. I Maccabuoni sono cucinati in ragù di totano, con gocce di burrata e croccante pistacchio.

  • Fritto esagerato:

Gamberoni Imperiali croccanti con pan ai 3 elementi, polpo dorato in tempura di Parmigiano 24 mesi, e varietà di paranza dorata abbinata a salsa di Maionese Nipponica, Salicornia e BBQ all’albicocca.

Una frittura squisita, leggera, con la sensazione del mare che accompagna delicatamente la degustazione. Per i soggetti allergici ai crostacei viene proposta la variante con fiore di zucca ripieno al baccalà.

  • Evoluzione

Un dolce realizzato in occasione della visita del Maestro pasticciere Iginio Massari. Composto al piatto sul momento, si articola di una sequenza precisa: piccoli coni di una namelaka ai fichi disposti circolarmente; al centro crema di noci, tra gli spazi conici una gelatina d’arancia e, sulla sommità, ghiaccia reale per pulire il palato e gelato artigianale all’alloro. Tocco finale una pioggia di miele di fichi.

L’intero pasto è stato accompagnato da due interessanti vini della regione: il silano Chione della cantina Immacolata Pedace (Chardonnay e Pinot Bianco -IGT Calabria – 2022), i cui vitigni, coltivati tra i più alti d’Europa a 1350 metri, si esprimono con spiccato carattere. Infine, lo straordinario e longevo Efeso di Librandi da uve Mantonico  (IGT Calabria – 2014). Al dolce il Liqueur Poire Williams & Cognac di François Peyrot.

Un percorso gustativo creativo, moderno e innovativo, basato su emozioni e sensazioni di vita vissuta.

Librandi: la strepitosa verticale del Megonio dedicata a un grande dei vini del Sud Italia

Di elogi sul compianto Nicodemo Librandi si potrebbero scrivere intere enciclopedie. E manco basterebbero nel certificare quanto abbia spinto in avanti il futuro enologico di tutto il comparto vini del Sud Italia, non soltanto quello della sua amata Calabria, con spirito di ricerca, sacrificio e viaggi al limite dell’umana resistenza. L’amore per la terra (sempre troppo bassa), curata fino a identificarla come un caro componente della famiglia.

Paolo Librandi

Per il sottoscritto era un atto dovuto d’amicizia e riconoscenza recarmi dal figlio Paolo, che conobbi anni fa durante una sosta estiva in quel di Cirò Marina, per una visita piena di ricordi, speranza e gioia di quest’azienda simbolo dell’unione tra quantità e qualità al contempo.

La storia del Megonio nasce ancora all’epoca di Severino Garofalo, enologo di punta per i vini meridionali. Epoca dove le Cooperative Vitivinicole Sociali acquistavano uve solo in base al grado zuccherino elevato. Librandi proveniva da tutt’altro settore; si attivò con il fratello per iniziare un progetto ambizioso da imbottigliatori di vino e non semplici conferitori. Iniziarono dalle varietà cosiddette internazionali, prendendo via via coscienza del potenziale ancora inespresso degli autoctoni regionali. Memorabile e premiatissimo il Gravello, la loro idea visionaria di blend tra Gaglioppo cirotano e Cabernet Sauvignon.

Qui il percorso con Garofalo termina, per iniziare quello con il consulente Donato Lanati, innamorato da subito del Magliocco Dolce proveniente da un campo collezione sperimentale dalle vigne di Duca Sanfelice. Le prime quattro barrique della vendemmia ’95, tra le migliori vintage di sempre, gli piacquero così tanto da creare un vino esclusivo dal nome altisonante, Magno Megonio, personaggio illustre dell’epoca romana il cui testamento rappresenta la testimonianza della cultura del vino in Calabria.

Un vitigno che non conosce molti luoghi vocati a garantirne le migliori performance. Non ama i declivi di riporto alluvionale a fondovalle, preferendo ad essi le colline argillose rivolte alla luce del sole. Ama il caldo e la ventilazione, teme umidità e freddo soprattutto nella fase di maturazione antocianica. Non è una macchina da uva: ogni tralcio, se ben allevato, dona al massimo 700 grammi di grappolini serrati e compatti.

Il nostro viaggio all’interno di questo principe di Calabria comincia alla francese, dalla versione più matura a quella più giovane, e sarà un percorso denso di emozioni altalenanti tra la dolce malinconia e l’entusiasmo puro.

Magno Megonio 2001: grande potenza agrumata, scatta pronto al colpo dello starter, poi rallenta col passare nel tempo nel calice. Averne di tannini così palpabili dopo 22 anni. Una carezza in un pugno.

Magno Megonio 2002: balsamico da foglie di menta essiccate, amaricante sul finale. Sorso scuro e pepato, ha sacrificato il meglio di sé sull’altare del tempo.

Magno Megonio 2009: lampone, anice, incenso. E poi ribes, nuance mediterranee su finale da liquirizia e torrefazione. Blend da differenti parcelle, anche se la Vigna Pleo della Tenuta Rosaneti comincia ormai a recitare il ruolo da indiscussa protagonista per il futuro.

Magno Megonio 2012: sanguigno nell’espressione autentica del termine. Frutta calda e succosa, con riverberi di grafite. Un tannino setoso di fattura smagliante.

Magno Megonio 2015: tende alle sensazioni acerbe, seppure in un quadro di agrumi gialli, cannella e salinità. Dualità con la bocca possente e matura.

Megonio 2016: scie di menta piperita, zenzero e arancia sanguinella. Trama tannica irsuta, manca solo un po’ di polpa in chiusura. Conferma l’annata in chiaroscuro, forse troppo celebrata agli inizi e invece difficile da leggere e decifrare in tutta Italia.

Megonio 2019: la perfezione. Fuori da ogni schema e confine stilistico. Corredo di melagrana, erbe officinali, emazie. Un rapporto qualità-prezzo (circa 12 euro in cantina) di una bellezza infinita.

Megonio 2020: parte su petali di rosa rossa, virando verso canditure e accenni minerali. Si muove sinuoso con eleganza al palato.

Megonio 2021: materico, denso, ricco. La conclusione del cerchio per i Librandi, con un vino che punta dritto al cuore. Giusta la componente alcolica ben integrata ai tannini saporiti che richiamano il bosco. Annata davvero felice: un brindisi al viaggio senza fine di Nicodemo, con lo sguardo sorridente a ciò che ancora deve venire.

Calabria – Giraldi & Giraldi: gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa

Per gli appassionati di calcio, Vialli e Mancini erano i gemelli del gol ai tempi della Sampdoria dello scudetto e di una Nazionale italiana (forse) mai così bella e affiatata. Al cinema, invece, De Vito e Schwarzenegger sembravano teneri e, altresì, improbabili nel ruolo di fratelli separati alla nascita. Anche il mondo del vino non poteva restare lontano da simili storie, fatte di quel legame affettivo e in parte chimico che lega due omozigoti fin dai loro primi passi.

È il caso di Pierfrancesco e Alessandro GiraldiGiraldi & Giraldi giovani e appassionati vitivinicoltori di Rende (CS), in quella terra meravigliosa che è la Calabria. Entrambi iscritti alla Facoltà di Ingegneria, protetti nelle scelte dalla saggezza dei genitori Giuliana e Francesco. Poi, complice i ricordi degli studi superiori e di un professore di agraria particolarmente illuminato, la vita cambia con un click e si trasforma nelle vesti di Madre Natura, pronta a chiamare i ragazzi all’impegno e sacrificio nella terra nuda. I poderi, per fortuna, erano già lì, grazie alla mentalità di queste parti, dove ciascuna famiglia mantiene il piccolo terreno adibito o orto e coltivazioni casalinghe, vite inclusa.

Nel 2003 avviene l’impianto del primo mezzo ettaro di Magliocco ed ora, a distanza di quattro lustri, siamo arrivati ad una consistenza complessiva di ben 18 ettari per circa 100 mila bottiglie suddivise in 4 referenze. Una proporzione assolutamente perfetta, tenendo conto di quanto possa raccontare l’areale in termini di diversificazione e qualità, senza confondere troppo le idee. Lavorazioni semplici, minimaliste per il bianco e il rosato, con lunghe macerazioni per i rossi, vinificati ad acino intero e con utilizzo di lieviti selezionati. Solo 5 varietà coltivate nell’ambito aziendale: Chardonnay e Greco Bianco per la bacca bianca; Magliocco, Greco Nero (un autoctono locale differente dal Magliocco Gentile) e Cabernet Sauvignon per il rosso.

La degustazione

Partiamo da Arintha 2022, Greco Bianco con un piccolo saldo di Chardonnay. Indomito, dalla buona salinità e freschezza di lime condito da erbe mediterranee. Versatile e meno impegnativo negli abbinamenti rispetto ad altre tipologie.

Donna Giuliana 2022, dedicato alla madre di Alessandro e Pierfrancesco. Donna straordinaria, che cura amorevolmente l’accoglienza nella casa di famiglia, adibita anche a cantina e sala degustazione. Riveste, nel dietro le quinte, il classico ruolo della madre saggia che guida i propri cuccioli senza interferire nelle loro esperienze. Il rosato proposto ha carattere e gradevolezza, blend di Magliocco e Greco Nero quasi in parti uguali. Fragoline selvatiche, agrumi rossi, fiori di pesco e chiosa salmastra lo rendono un vino equilibrato fuori dai canoni classici dei rosè.

Monaci 2022 da Magliocco in purezza. Nato su terreni argillosi dai richiami marini, vinifica e matura solamente in acciaio e bottiglia, svolgendo anche la fermentazione malolattica per addomesticare i tannini robusti del varietale. L’annata è risultata particolarmente generosa, dimostrando potenza e irruenza tali da rendere il vino interessante sui piatti a lunga cottura della tradizione italiana. Meglio la 2021, declinata interamente tra frutto e goduria di bocca, apprezzabile anche come sorso di meditazione e compagnia.

Gemelli si nasce abili produttori di vino si diventa! Al prossimo racconto.

Calabria: Terre del Gufo il coraggio di Eugenio Muzzillo di cambiare rotta

Arrivo nel comprensorio di Donnici sotto una pioggia fastidiosa, di quelle sottili che lascia un senso di umido e appiccicaticcio addosso. Per fortuna sono puntuale, anche perché Eugenio Muzzillo mi attende curioso di capire chi fossi da cercare un’intervista nella sua azienda.

Eugenio Muzzillo

Ne nasce uno di quei momenti ideali per cui senti di aver scelto la strada giusta: quella di raccontare volti, filosofie produttive e, naturalmente, varietà d’uva disseminate lungo lo Stivale. Per giungere a Terre del Gufo bisogna percorrere un sentiero immerso nei boschi e lo spettacolo che si offre agli occhi del visitatore è davvero incantevole.

Non pensavo di raccontare una Calabria inesplorata così bella, a tratti selvaggia e suggestiva. Non lo pensavo, ma mi son dovuto ricredere in maniera repentina. I terreni sono quelli di famiglia, del padre, circa 4 ettari coltivati principalmente a magliocco dolce, qui sovrano tra gli autoctoni. La compagnia giusta per lui è il brettio nero, localmente chiamato mantonico nero, utile a domare la vena tannica del varietale d’elezione.

Vini di progetto o vini di esperienza?

La domanda alla quale io ed Eugenio, entrati subito in sintonia, abbiamo cercato di dare una sommaria risposta, senza colpevolizzare il lavoro di nessuno. Ma non è l’unico dei quesiti (apparentemente) irrisolti della nostra amabile chiacchierata. L’altro riguarda proprio il magliocco, in queste terre da sempre, relegato nel passato a dare vini scorbutici, tali da essere surclassati di gran lunga dalle versioni in rosa, meglio gestibili nelle astringenze tanniche ed erbacee. Il mantonico nero riesce nel compito di domarlo, con disinvoltura, senza snaturarne l’anima. E dire che molti viticoltori manco sanno della sua presenza nei propri filari. Dunque, ancora una volta, vini di progetto o di esperienza? Sicuramente avere un progetto è la base per qualsiasi sogno lungimirante, ma si rischia di avere prodotti stereotipati, in forma di copie identiche gli uni agli altri.

Per Muzzillo è così bello potersi distinguere, pur nel rischio calcolato di avere sgrammaticature per un’annata non felice o per qualche piccolo errore di cantina. Come dargli torto, nei limiti dell’umana degustazione?

Gli assaggi

Tante parole e alla fine manca il quibus, la gratificazione di bocca. Partiamo con il Portapiana Igp Rosso Magliocco 2020, da agrumi succosi e more selvatiche. La vena balsamica emerge nel finale, quasi essenza chinata. Mediterraneo e sapido, considerando i minimi interventi effettuati in fase di fermentazione e maturità, dimostra quanto sia importante un lavoro perfetto tra le vigne, per avere il miglior raccolto possibile. La 2021 da vasca è straordinaria per lunghezza e prospettiva. Le differenze sono già lampanti, soprattutto nella struttura, a vantaggio della vintage ancora non in commercio. Ne vedremo delle belle.

Concludiamo con Estremo Dop Terre di Cosenza Donnici Rosso Magliocco 2020 con sosta in anfora di terracotta. Qualche riflessione va fatta, per la maggior evoluzione e compiutezza, al contempo, rispetto al precedente campione. Sempre più vigneron optano per l’utilizzo di contenitori simili e i risultati sembrano (finalmente) soddisfare la linea dell’eleganza.

Calabria: l’importanza di chiamarsi Colacino

Esistono personaggi storici che evocano un’agricoltura di altri tempi, quando tecnologia e controllo non avevano ancora bussato alle porte dell’era moderna.

In quei momenti la scelta coraggiosa di imprenditori più o meno prestati al mondo del vino, ha rimescolato le carte in tavola, creando i presupposti per l’arrivo di un vento propizio alla produzione di qualità. Vittorio Colacino, classe ’23, era tra questi piccoli grandi eroi che hanno trasformato il volto di un territorio di riferimento.

La Valle del Savuto da sempre rappresenta un ostacolo per chiunque voglia avvicinarsi al lavoro dei campi. Suoli compositi e coriacei, ricchi di scisti e calcare, che si inerpicano su declivi dalle pendenze vertiginose. Clima rigido, tipicamente continentale dalle estati afose (seppur mitigate da forti escursioni termiche giorno-notte) e inverni freddi e piovosi. Fare uva qui significa attendere più del previsto prima di procedere alla raccolta, per raggiungere maturazioni ottimali.

Vittorio conosceva tutto ciò, da medico condotto stimato dai suoi concittadini. Ma la passione per la vigna era forte, quasi irresistibile per spegnerne il richiamo. Così i primi innesti datati 1965 e, successivamente, le prime 2000 bottiglie quasi in sordina. Di mezzo tra lui e il nuovo millennio la conoscenza con Mario Soldati, che ammirato lo cita a piene mani nei suo celebre Vino al Vino.

E poi? L’impegno dei figli Mauro e Maria Teresa nel continuare la strada percorsa dal padre, trasformando un amore di famiglia in una cantina precisa e ambiziosa, Colacino Wines, dalle forti potenzialità commerciali. Il sogno del capostipite di fare vino buono senza abusi tecnologici e senza privarlo di anima, resta nelle nuove etichette. Vini che attraggono o meno l’attenzione del consumatore finale, ma che non mancano di sorprendere chi ambisce ad ascoltare un racconto diverso dal solito.

Qui il grado zuccherino diventa un problema inverso, con l’evidenza di campioni dalla facile beva senza pomposità alcoliche. Il rovescio della medaglia resta, a mio avviso, la gestione della trama tannica, a volte verdeggiante, altre eccessivamente da fumo di brace e ricordi amari. La via di mezzo regala spinte propulsive ai nuovi sorsi senza danneggiare la vena agrumata tipica dell’areale. Ma prima dei rossi dobbiamo parlare del Pecorello, varietà che vede origine proprio in questa zona.

La 2021 balsamica al punto da ricordare alcune pregevoli espressioni aromatiche. Le erbe mediterranee si appoggiano su note di lime e mela, con salinità e accenti speziati. C’è da farci un serio pensiero sui bianchi da tale varietà.

Terre di Cosenza Dop Rosato 2022 da Magliocco Dolce in purezza, gioca a nascondino su nuance di affumicature accompagnate da ribes rosso e scie officinali. Di sicuro l’annata torrida ne ha accentuato le parti morbide, a discapito della rapida chiusura di bocca.

Colle Barabba 2021 Doc Savuto Classico: nel rosato parlavamo delle sensazioni gliceriche utilissime in questa tipologia a puntellare struttura e pienezza di corpo. Olfatto da mirtillo scuro, sorso energico e vibrante con tannini nella giusta via di contenimento, per nulla invadenti. Solo acciaio. Straordinario.

Britto 2018 Doc Savuto Superiore contiene le medesime percentuali del Colle Barabba, tra Magliocco Dolce, Magliocco Canino e Greco Nero. Come spesso accade la vintage fa la differenza; nonostante selezioni e raccolte separate, con 36 mesi di maturazione tra legni vari e inox, la vena scura e terziaria domina su tutto, al limite della masticabilità e con una chiosa ancora astringente. Servirà del tempo in bottiglia per capire le effettive evoluzioni. Restiamo, per adesso, sulla linea di partenza.

Concludiamo con le parole del dott. Vittorio Colacino, monito eterno per il futuro: “la mia massima ambizione commerciale consiste nell’andare alla pari con i costi della produzione. Non è stupendo?”

Masseria Falvo 1727: la scelta (vincente) di cimentarsi in nuove sfide a Saracena

Si da per scontato che l’Italia sia un posto bellissimo da visitare, raccontare e godere in ogni dettaglio. Si da per scontato da chi ci vive, un po’ meno dagli incuriositi visitatori esterni, che non hanno mai posto attenzione come noi all’erba più verde del vicino.

Capita di trovarsi a Saracena (CS), in un territorio circondato da morbide colline ove albergano storiche varietà d’uva autoctone, olivi e piante secolari. Qui, tra i precursori della qualità in campo agricolo, abbiamo incontrato i coniugi Ermanno e Gabriella Falvo, due dei rappresentanti di Masseria Falvo 1727.

L’ingegnere Ermanno è un altro di quelli che ha trovato nella vigna il proprio sentiero di vita, complice la pace e la tranquillità di un lavoro a contatto con la natura più vera e profonda. Un uomo mite, che ama ciò che realizza pur nella calma serafica di chi deve quasi parlare di un figlio alla riunione dei professori.

Le difficoltà iniziali del partire praticamente da zero, la visione ambientale di ottenere la rigida certificazione biologica bio.inspecta e una cantina modello, funzionale e lungimirante al contempo. In mezzo i pendii poco distanti con i 26 ettari vitati ai piedi del Parco del Pollino, con suoli ed esposizioni molto differenti. Qui il clima non scherza, nello zigzagare tra estati torride e inverni rigidi, eccezion fatta per la stagione 2023 fuori da ogni schema.

Amarsi un po’ era il titolo di un capolavoro del cantante Lucio Battisti; Ermanno e Gabriella rivivono ogni giorno lo stesso amore nel cercare nuove sfide, senza essere mai ripetitivi. Hanno condotto le loro battaglie assieme a diversi enologi di punta, contribuendo, ciascuno a modo suo, alla crescita qualitativa dei prodotti già riconosciuta dalle migliori guide di settore.

Abbiamo constatato di persona quanto detto con alcuni assaggi in anteprima di ciò che verrà immesso in seguito sul mercato.

Il Pircoca 2022 è il primo degli esempi, un bianco frutto dell’assemblaggio di Guarnaccia Bianca, Malvasia, Traminer e Riesling in parti variabili da annata ad annata, seguita dall’abile competenza di Gabriella, chimica e responsabile del processo di controllo dalla vigna alla bottiglia. Si resta basiti dalla verticalità spinta di un campione nato in una stagione afosa, arsa dall’assenza di piogge. Nuance di pesca gialla ed agrumi conditi da erbe mediterranee a ricordarci il significato intimo del Sud.

Cires 2022 andrà invece in vendita durante la primavera del prossimo anno. Magliocco Dolce in purezza, elevato solo in acciaio. Delicato e fine, curato con assoluta grazia e tanti delestage per consetire l’ammorbidimento tannico di quest’uva ricca di personalità a volte da domare. Il bosco prevale nei suoi effluvi di more selvatiche e humus. Chiosa ancora contratto, nulla di strano per essere a metà del percorso: il succo espresso sulle nostre papille promette bene.

Don Rosario 2019, tra acciaio e legni di varia caratura, parla di oltre 36 mesi in fase maturazione. Ha tutto il tempo di assestarsi, con una trama tannica setosa da brividi e un finale sanguigno e cioccolattoso da masticare a lungo. Straordinaria la progressione fruttata che punta dritta verso il salmastro di forte impatto.

Parlare di Saracena e non menzionare uno dei suoi emblemi enologicoli, il passito da uve Moscato etichetta Milirosu, sembra come profanare un luogo sacro.

Oggi, però, i riflettori abbiamo deciso di spostarli su altri volti e anime dalle sfaccettature uniche, perché il cerchio possa chiudersi nel nome della Dop Terre di Cosenza e della Calabria che osa e vince.