Il reportage del collega Gaetano Cataldo ai margini di un fenomeno dilagante, che non risparmia neppure il comparto agricolo del Made in Italy.
Da bravi estimatori delle eccellenze della Campania, abbiamo scoperto che per avere contezza del giro di affari attorno all’Italian Sounding, ergo i prodotti farlocchi che imitano il made in Italy, basta ad esempio andare sui canali social, digitare l’hashtag #piennolo e scoprire basiti un mondo di pomodorini gialli e di ogni altro colore, che non sembra certo corrispondere ai canoni di quelli provenienti del Vesuvio. La vera sorpresa, però, arriva dall’esistenza di produzioni di origine europee, scandinave e statunitense, con improbabili dizioni in etichetta, spacciate per il famoso e squisito oro rosso campano.
Se gli organi di controllo non avessero idea di dove andare a pescare i prodotti taroccati, dovrebbero fare semplicemente amicizia con il web per scoprire l’oscuro business sul Pomodorino del Piennolo dop del Vesuvio. La sua origine, il colore, la tecnica del venire appeso per essere degustato anche a distanza di mesi dalla raccolta, è come svuotare il mare con un secchiello.
Parliamo del famoso Pomodorino Pizzutello tradizionalmente coltivato, come indicato nel Disciplinare di Produzione, nei territori dei comuni di Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa Di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase, oltre che parte del territorio del comune di Nola, delimitata perimetralmente dalla strada provinciale congiungente Piazzola di Nola al Rione Trieste, per il tratto che va sotto il nome di “Costantinopoli”, dal “Lagno Rosario”, dal limite del comune di Ottaviano e dal limite del comune di Somma Vesuviana.
Nulla di nuovo per i consumatori dell’area napoletana e di tutta la Campania, che da decenni conoscono ed apprezzano le indiscusse proprietà organolettiche del Pomodorino del Piennolo Dop, per non parlare dei tanti italiani che dimostrano un interesse sempre maggiore per la prelibatissima cultivar di Solanum Lycopersicum, il nome tecnico della varietà appartenente alla famiglia delle Solanacee.
Un momento decisamente delicato in cui la tutela dei produttori virtuosi e dei diritti dei consumatori deve poter essere garantita e blindata. Nel pomeriggio di giovedì 29 febbraio si è tenuta la terza edizione di “Piennolo Forum”, organizzata da Agros-Consulenti in Campo presso il Castello di Santa Caterina a Pollena Trocchia. Tema del convegno, come riportato anche da alcuni quotidiani, “frodi e contraffazioni, sfide e opportunità”. Sulla carta stampata si leggeva anche che “si tratta di tematiche che non saranno trattate solo ed esclusivamente come argomenti di soppressione di comportamenti errati, ma verranno letti in un’ottica propositiva, offrendo una veduta su strategia di marketing e comunicazione che possano far trasmettere i propri virtuosismi a quelle aziende rispettose delle regole”. Per quanto si evinca un tono alquanto buonista, il target dell’evento è la trattazione del drammatico fenomemo delle frodi e contraffazioni, per discutere insieme delle possibili soluzioni al problema e leproposte a vantaggio dei produttori virtuosi.
Com’è andata in effetti?
Dopo i saluti istituzionali durante la moderazione di Gianluca Iovine, CEO di Agros, arrivano gli interventi istituzionali e, a seguire, i premi istituzionali di “Patto per il Piennolo”: un riconoscimento all’impegno verso la protezione del patrimonio agricolo vesuviano. Raffaele De Luca, presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Salvatore Loffreda, di Coldiretti Napoli, Cristina Leardi, presidente del Consorzio di Tutela del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, Ciro Giordano, presidente del Consorzio di Tutela dei Vini del Vesuvio, e Gabriele Melluso di Assoutenti, sono stati tra i primi relatori, piuttosto allineati su un corale “frodi come opportunità e non un problema”.
Interessante l’intervento culturale della professoressa Paola Adamo, docente dell’Università Federico II di Napoli al Dipartimento di Agraria riguardante il progetto “tomato trace 4.0” utile ai fini della tracciabilità del prodotto. Ci si è occupati principalmente di tessitura del terreno, fornendo la georeferenziazione di tutta l’area inclusa nella Denominazione di Origine Protetta e delle aziende più rappresentative, con dati completi su quote altimetriche, versanti e natura dei suoli. La disanima ha potuto evidenziare quanto certi parametri abbiano un effetto maggiore rispetto al varietale, insomma il potere del terroir sulla cultivar, ed affrontare la differenza tra ciò che nel pomodorino del Piennolo è potenzialmente biodisponibile da ciò che è prontamente disponibile: una differenziazione fornita in base al modello multi-elementare, un modello capace di distinguere anche un pomodoro dop da un non dop al 100% o quasi.
Per poter ovviare a ciò la professoressa Adamo ha fatto presente che lo studio comparato è stato condotto fornendo ai produttori la varietà Principe Borghese, unitamente alle piante di Acampora, Cozzolino e Zizza di Vacca, ergo gli ecotipi del pomodorino vesuviano. Un lavoro complesso che ha potuto fornire ai produttori informazioni diversificate per terreni Dop e non Dop, grazie alla raccolta dei suoli per caratterizzazione, periodo, ambiente, clima e persino sulle principali varietà e sugli ecotipi, appunto.
Intervento evidentemente anticipato e benedetto dalla necessità di “certificare sempre di più” ed avere “strumenti più trasparenti sul mercato”, quello di Pino Coletti che ha evidenziato vecchi studi noti col nome di eyetracking, il tema della storicità del marchio, oltre che l’ovvia conseguenza dello spaccio di prodotti dop falsi comporti i sequestri e quindi la sfiducia nei brand, quindi di blockchain.
Certo il potenziale della certificazione blockchain è alto e i prodotti veicolati dallo stesso hanno un ottimo trend in fatto di penetrazione di mercato, ma sarebbe stato utile ribadire che si tratta pur sempre di una autocertificazione che il produttore di un bene, fuori da altri usi, può depositare in maniera incontrovertibile, certo, ma che non va a sostituire le certificazioni obbligatorie. Sussisterebbe poi uno strumento legale tale da tutelare i cittadini da una dichiarazione mendace, circa il contenuto, e che sanzioni rischierebbe il produttore che faccia uso distorto della blockchain?
Il discorso di Angelo Marciano, Colonnello dei Carabinieri alla guida del reparto dell’Arma deputato del Parco Nazionale del Vesuvio, ha fornito alcuni dati e spunti interessanti: intanto che l’Italian Sounding ha un valore odierno di 100 miliardi, con un’insospettabile crescita in Russia; il che vorrebbe dire che il falso Made in Italy ha un ottimo giro di affari anche durante l’embargo. <<Ha davvero senso, nel disciplinare, indicare i 250 quintali massimo per ettaro di resa, a fronte dei precedenti 150 che una produzione normale non riesce comunque ad esprimere?>>, ha chiesto al pubblico il Colonnello. Il militare ha proseguito dicendo che è importante evitare la perdita di suolo fertile, come accaduto dopo l’incendio sul Vesuvio del 2017, e che <<il rispetto della legalità non uccide l’economia, ma la salva>>.
A seguire Nicola Caputo, Assessore Regionale alle Politiche Agricole e Forestali della Regione Campania, ha richiamato tutti i presenti sulla necessità di una “Dop Economy campana” con aumento degli investimenti, in virtù del numero esiguo di aziende agricole e della bassa produzione. Caputo ha in pratica richiesto una migliore messa a sistema, facendo team work, per tutti i 18 comuni inclusi nel disciplinare, includendo possibilmente altri distretti agronomici, come quello della mela annurca e del pomodoro San Marzano, per un vicendevole sostegno. C’è bisogno di fare gioco di squadra con gli addetti alla ristorazione e trovare sinergie con gli operatori del turismo e dell’accoglienza, per un marketing ed una comunicazione più funzionali.
Al termine dei lavori l’intervento di Davide Parisi, amministratore delegato di Evja, azienda performante nella tecnologia e nell’intelligenza artificiale dedicate all’agricoltura: la sua realtà imprenditoriale ha saputo raccogliere oltre 150 milioni di dati microclimatici in tutto il mondo, grazie a dispositivi che raccolgono informazioni in tempo reale, fornenti anche elementi di geo-localizzazione. Nel discorso si è espresso che l‘esperienza sul campo non potrà mai essere sostituita dall’IA (Intelligenza Artificiale), ma che la stessa dovrà essere supportata per la misurazione dei parametri principali e la memoria dei raccolti, in correlazione tra sonde, stazioni meteorologiche e satelliti.
Presente in sala anche Pasquale Imperato, uno degli animi vesuviani che più fortemente ha voluto tutelare il pomodorino del Piennolo e che ha preteso venisse ancorato alla terra e quindi metterlo nelle mani degli agricoltori, per una maggiore tutela del bene orticolo, diversamente dal pomodoro San Marzano che vede invece la tutela del solo prodotto trasformato. Imperato, oggi fuori dal Consorzio per una scelta di coerenza, continua a produrre con immancabile passione il buonissimo pomodorino e si dice fiducioso circa le modifiche sui criteri per i disciplinari apportati dal Parlamento Europeo.
Per quanto gran parte degli interventi siano stati quantomeno generalisti, va riconosciuta l’importanza di alcuni interventi tecnici e di alcune considerazioni che si sono distaccate da un dibattito decisamente fuori dal titolo che si è voluto dare alla manifestazione: è grazie al pomodorino del Piennolo se il Vesuvio non è “caduto” addosso al territorio di cui è progenitore e custode, costituendo il motivo per cui l’agricoltura è tornata alle pendici del vulcano, favorendo migliorie a partire dal semplice ripristino dei muretti a secco, ai campi coltivati con tante altre varietà orticole ed ai vigneti, grazie a cui si contrasta quotidianamente il dissesto idrogeologico e la disgregazione delle comunità rurali. Per poter avviare un’attività ed ottenere dei permessi, chiedere il parere ad enti di varia natura, talvolta ci si imbatte in lungaggini farraginose, punitive, superflue e limitanti. Così come è troppo frequente che i moduli di denuncia anonima delle frodi, eccellente strumento per contrastare gli illeciti e superare il muro dell’omertà, restino inutilizzati. Fatto sta che si è sentita la nostalgia di una disanima concisa sul nocciolo della questione, a causa di un costante ruotarvi attorno con discorsi certo importanti, ma sin troppo periferici.
Va altresì considerato che nel corso degli anni la forza lavoro deputata ai controlli è stata più che dimezzata, per non parlare della soppressione del Corpo Forestale dello Stato, entrambi sintomo di una evidente impossibilità a ricoprire qualsiasi territorio per qualsivoglia verifica finalizzata a scoraggiare i brogli. Con l’attuale ammanco di personale, chi potrà eseguire i necessari controlli di conformità? E non sarebbe il caso di chiedersi se sia opportuno istituire dei panel test di modo che assaggiatori competenti canonizzino le proprietà organolettiche dell’oro rosso vesuviano? E, perché no, immaginare se si possano qualificare controlli in base ai rapporti isotopici che si generano peculiarmente ogni anno nella relazione tra il suolo ed il prodotto stesso?
Ai posteri l’ardua sentenza.