Piemonte: il Barolo “Pierin” di John Maiolo

di Olga Sofia Schiaffino

Nel mondo del vino si presentano spesso occasioni fortunate di incontrare persone che ti colpiscono per le loro qualità e la loro determinazione: tra questi John Maiolo, appassionato di vino e con un grande sogno realizzato.

Da buon piemontese ha il Nebbiolo nell’anima e un progetto preciso: creare quel vino particolare che parli al cuore. Ma dove trovare le uve? Per fare un vino memorabile ci vuole qualcosa di speciale, come le uve dal vigneto storico nel cuore di Monforte d’Alba appartenuto al Pierin, Langhetto d’altri tempi e vignaiolo esperto.

Egli dedicò la vita alla vigna, un appezzamento con esposizione sud ovest nella Menzione Geografica Aggiuntiva “Ginestra”; intorno al 2006 vendette la proprietà ai fratelli Faccenda di Cascina Chicco, pretendendo però di continuare a lavorarla. Solo la morte, avvenuta nel 2018, lo separò definitivamente dalle piante e dalla terra tanto amata nel suo lavoro.

I nuovi proprietari, che da 4 generazioni sono dediti alla viticoltura e oggi possiedono circa 50 ettari nelle zone più vocate di Roero e Langhe, sono, per fortuna, degni rappresentati di un terroir unico e promotori di quei principi etici appartenuti al buon Pierin.

John Maiolo si rivolge a Enrico Faccenda per il suo progetto e decide di imbottigliare, con una propria etichetta, le uve provenienti dalla vigna di Pierin. Nasce un barolo davvero unico, vivo, autentico. Un vino a cui sono stati attribuiti punteggi elevati dalla critica di settore e che merita di essere descritto e narrato con termini alla portata di tutti.

Guardiamo la bottiglia prima di tutto: l’Albeisa, simbolo del territorio delle Langhe, con 300 anni di storia sulle spalle, è stata modellata dai maestri vetrai delle antiche Vetrerie di Poirino (TO). In etichetta un dipinto che raffigura le colline dell’Albese a Serralunga, una storia di famiglia in un mondo di ricordi dell’infanzia, di tradizioni contadine, dove l’uomo e la natura sono in perfetta armonia. Il padre di John, uno dei più grandi pittori europei naif-figurativi del secolo scorso, soleva ritrarre quei luoghi ricamati in ordinati filari per accogliere il nobile nebbiolo. Sembra di affacciarsi a una finestra a contemplare il paesaggio intorno, mentre nel calice si sprigionano profumi di viola, lamponi, ciliegia che sembra quasi in confettura, poi liquirizia, tabacco e cioccolato.

L’assaggio è emozionante, puro velluto liquido, con un tannino preciso e ordinato che anima il sorso:  la nota speziata accompagna il finale che si allunga, riportando alla memoria sentori e sapori. Un lavoro attento e scrupoloso, a cominciare dalla vendemmia manuale, iniziata nella seconda metà di ottobre nel 201, con due passaggi a distanza di circa 10 giorni di differenza. La fermentazione si è svolta in due settimane, in piccole vasche di acciaio con numerosi rimontaggi. La macerazione è durata invece 45 giorni; al termine di essa il vino è stato messo in botti di rovere da 2000 litri per attendere la fermentazione malolattica. Il periodo di affinamento si è compiuto per circa 32 mesi in botti grandi di rovere e per 13 mesi di nuovo in vasche d’acciaio.

Guardo John e mi colpisce il suo sguardo luminoso, mentre è in attesa di un commento sul prodotto che ho appena degustato: un vino che ti prende per mano e ti conduce in una dimensione dove c’è posto solo per le persone buone, per l’onestà e per l’amore a Madre Terra che ci ha dato i natali.

L’annata del Barolo Docg “Pierin” 2016 si divide in 1400 bottiglie, 100 Magnum e 10 Jeroboam, che promettono meraviglie per il futuro e che spero di avere l’occassione di riassaggiare, sicuramente in ottima compagnia.

“Alle radici del Barolo” nel cuore di Taurasi

di Luca Matarazzo

Barolo e Taurasi: semplice ossimoro o simboli di lontane appartenenze?

A presentare il nuovo libro edito da Slow Food, scritto da Armando Castagno con introduzione storica di Lorenzo Tablino e fotografie di Clay Mclachlan, è stato l’autore stesso accompagnato da una straordinaria degustazione di 6 campioni di Barolo.

Parlarne proprio a Taurasi, nel cuore dell’Irpinia, ha una valenza doppia. Prima di tutto per l’importante affluenza di professionisti del settore, stampa e semplici appassionati che ha reso l’atmosfera carica di emozioni quasi sacrali. Secondariamente, e cosa non di meno conto per il sottoscritto, per lo strano parallelismo che ha sempre legato due areali profondamente diversi.

Eppure, a rileggerne i tratti salienti della storia, qualche legame sottile ed elastico resta presente, ben al di là della (discutibile) citazione da vox populi “Il Taurasi è il Barolo del Sud”!

Superando le ovvietà, bisogna riconoscere ai produttori delle Langhe la capacità di scommettere sulla rinascita di un intero movimento. Lo hanno saputo fare, come sempre accade nel gioco tra le parti, conservando storicità e tradizione, ma non tralasciando le spinte delle giovani leve verso tecnologia e ricerca di qualità. La vigna da sola, pur straordinariamente bella e produttiva, non può bastare. A buon intenditor…

Nelle splendide sale del Castello Marchionale, alla presenza di Alessandro Barletta fiduciario della condotta Slow Food Colline dell’Ufita e Taurasi, di Alessandro Marra ed Adele Granieri coordinatori, tra le molteplici attività, della sede di Napoli di Banca del Vino e del consigliere del Comune di Taurasi Pierluigi D’Ambrosio, ha preso forma l’incontro tra il nobile Nebbiolo, con le sue nuance delicate, proseguito a cena in un clima di amicizia con alcune espressioni sublimi del forzuto Taurasi.

Del secondo spazio ne parleremo in altra occasione; oggi la scena e le parole vanno tutte ad Armando Castagno, penna conosciuta in ambito nazionale ed internazionale, grazie all’amore per la Francia e per molti territori del vino italiano.

Armando Castagno

“Armando, il rapporto Barolo – Italia sta diventando un affaire solo per pochi e per le esportazioni, o ci sono speranze di comprare a buon mercato anche per i clienti del nostro Paese?”

Risposta: “La speranza esiste, a patto di cercare oltre il banale, oltre lo scontato. I Barolo che hanno visto aumentare il valore sul mercato è frutto a volte di speculazioni del mercato stesso e non della volontà del singolo produttore. Molti giovani si affacciano alle luci della ribalta con piccoli appezzamenti, magari conseguiti con debiti personali e abbiamo ancora tante cose da scoprire. I giovani vanno investiti di tale responsabilità, con mentalità aperta da parte nostra e vini che abbiano un prezzo sensato”.

La seconda domanda non poteva prescindere, invece, il confronto con le storicità di altre Nazioni: “In una scala da uno a dieci come vedi il vino italiano a confronto di altre nazioni come la Francia?

Risponde Armando in maniera netta: “per me i produttori non hanno nazionalità, sono tutti conterranei. Tralasciamo le questioni geopolitiche, credimi i nostri vini non hanno nulla da temere paragonati ad altri”.

Comincia così la dimostrazione sul campo di quanto affermato, con la proposta di sei eccellenze scelte direttamente dal caveau della sede di Banca del Vino a Pollenzo. Un progetto di Slow Food che mira ad accrescere la cultura su territori lontani, mescolando nord e sud in una sorta di unità enologica scevra da campanilismi e preconcetti.

I produttori che aderiscono tesserandosi possono poi rivendere le proprie etichette alla Banca stessa, che le conserva in cantina in attesa di incontri divulgativi come questa occasione. Useremo la scala a punteggio, indicando per onestà non una vera graduatoria (non necessaria al racconto), ma solo con il fine di agevolare il lettore.

Campione n.1: Barolo 2016 “proprietà in Fontanafredda” – Fontanafredda – un frutto possente, forse a tratti eccessivamente nervoso. Nota speziata elegante sulla parte finale, resta ancora contratto per esuberanza giovanile. 89/100

Campione n.2: Barolo 2015 Monvigliero – Fratelli Alessandria grande succo, essenze floreali tipiche, dimostra buona evoluzione e termina su mineralità stuzzicante. 92/100


Campione n.3: Barolo Riserva 2013 Bussia “Vigna Mondoca” – Oddero la perfezione non esiste, neppure per il Barolo. Non al meglio della forma, uno di quei casi (pochi per fortuna) che bisogna saper accettare. Al netto delle note secche ed asciuganti, resta comunque l’integrità di piccoli frutti di bosco che merita giusta attenzione. Ci asteniamo dal punteggio, sperando di riassaggiarlo in futuro.

Campione n.4: Barolo Brunate 2008 – Poderi Marcarini – straordinario. La fase boisée è attenta e curata. Ottimo succo con riverbero di agrume e iodio. 94/100


Campione n.5: Barolo Riserva 2005 – Casa E. Mirafiore – note di salsa di pomodoro, fungo e sottobosco. Fase ferruginosa davvero intrigante, peccato per una puntina calorica sul finale. 91/100


Campione n.6: Barolo “Liste” 1996 – Borgogno – ormai pressoché introvabile. Rivela ancora acidità elevatissime da arancia sanguinella fusa al salmastro. Appaga dall’inizio alla fine, pur nella sua severa asuterità. 96/100

Grandi Langhe edizione 2023 a Torino

di Adriano Guerri

Grandi Langhe 2023 ha lasciato davvero soddisfatti produttori e visitatori. 

Come l’anno precedente è andata in scena a Torino, all’interno delle Officine Grandi Riparazioni (OGR), nei giorni  30 e 31 gennaio. La sede delle prime edizioni era ad Alba, graziosa cittadina delle Langhe. La location di Torino, però, ha garantito maggiori spazi espositivi ed era facilmente raggiungibile con i mezzi di trasporto pubblici o privati.

Poca la distanza, infatti, dalla Stazione ferroviaria di Torino Porta Susa e con ampio parcheggio per chi ha preferito spostarsi in auto. Hanno partecipato oltre 3200 visitatori da 20 differenti nazioni, con nutriti banchi  d’assaggio per complessivi 240 produttori felici di far degustare le nuove annate dei loro preziosi vini.

Riflettori puntati sulla 2019 del Barolo, davvero promettente, e sulla 2017 per la tipologia Riserva, nonché la 2020 riguardante Barbaresco e Roero. La coinvolgente kermesse è stata organizzata dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e dal Consorzio di Tutela Roero con il patrocinio della Regione Piemonte e Banca Intesa Sanpaolo. 

Per ragioni di tempo, naturalmente, vista la vastità dei campioni presenti, ho preferito orientarmi nella selezione seguendo il criterio della piacevolezza di beva. Ecco un piccolo spunto dei migliori assaggi per i lettori di 20Italie, in attesa della prossima edizione di Grandi Langhe.

Michele Chiarlo – Barbaresco Faset 2020 e Barolo Cerequio 2019


Virna Borgogno – Barolo Cannubi sia  2018 che 2019


Malvira’ – Roero Riserva 2017


Fogliati – Barolo Bussia 2018


Fratelli Sergio & Battista Borgogno – Barolo Cannubi 2019


G.D Vajra – Barolo Bricco delle Viole 2019


Francesco Conterno – Barolo Riserva 2016


Agricola Marrone – Barolo Pichemej 2018