Grandi Langhe 2024

La prestigiosa Anteprima piemontese Grandi Langhe 2024 ha avuto luogo nei giorni 29 e 30 gennaio 2024 all’interno degli ampi spazi delle Officine Grandi Riparazioni (OGR) di Torino. Location posta strategicamente a pochi passi dalla stazione ferroviaria di Torino Porta Susa, facilmente raggiungibile con qualsiasi mezzo di trasporto.

L’Evento

In questa edizione è aumentata la presenza degli espositori,  ben 300 dietro ai desk d’assaggio, lieti di far degustare i loro capolavori e fieri di raccontare il loro territorio. Modificato il sistema di assegnazione dei banchi, sempre contraddistinti da colori, ma adesso in ordine alfabetico anziché in zone come nelle precedenti edizioni. All’ingresso vi era un grande spazio d’assaggio per il Consorzio e la possibilità di degustare circa 50 etichette di Alta Langa Metodo Classico con servizio sommelier.

Ingresso spumeggiante: un benvenuto ai visitatori e una tesa di mano ad altri areali da parte del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e dal Consorzio di Tutela del Roero con il supporto di Regione Piemonte ed il sostegno di banca Intesa San Paolo.
All’anteprima hanno partecipato buyers, importatori, ristoratori, enotecari, giornalisti e wine blogger nazionali ed esteri.

L’annata di Barolo in anteprima presa in esame è la 2020, quella di Barbaresco e Roero la 2021. Una passerella tra i produttori e un approfondimento con le aziende mi ha dato la possibilità di degustare vari vini ottenuti da uve varietà Nascetta,  Arneis, Favorita, Moscato Bianco, Barbera,  Dolcetto, Nebbiolo, Pelaverga di Verduno.

I migliori assaggi

G.D Vajra – Barolo Bricco delle Viole 2020 – Emana note di violetta, ciliegia, rosa appassita con cenni balsamici e speziati; avvolgente, elegante e setoso. 
Virna Borgogno – Barolo Sarmassa 2020 – Sensazioni di mora, ribes, tabacco e liquirizia. Composito, rotondo, appagante e persistente.
Fratelli Serio & Battista Borgogno – Barolo Cannubi 2020 – Melagrana, amarena, lampone, ribes e spezie dolci in successione, dalla trama tannica setosa, coerente e lunga.
Agricola Marrone – Barolo Bussia 2019 – Naso di frutti rossi, prugna, sottobosco e liquirizia. Sorso pieno ed appagante, coerente e duraturo
Conterno Fantino – Vigna Sorì Ginestra 2020 – Libera note di pout-pourri floreale, marasca e balsamicità. Palato delicato, setoso ed armonioso.
Diego Conterno- Le Coste di Monforte 2020 – Rimanda ai fiori di campo, alla rosa, mirtillo e sottobosco, con gusto pieno, generoso ed appagante.
Ceretto – Barolo Brunate 2019 – Sentori di ciliegia, fragola,viola ed eucalipto, dal tannino palpabile ma setoso. Duraturo e leggiadro.
Adriano Marco e Vittorio- Barbaresco Basarin 2020 – Effluvi di rosa canina, violacciocca, spezie e nuance mentolate. Fresco e sapido, al contempo setoso. 
Matteo Correggia – Roero Riserva Ròche d’Ampsèj 2018 – Con sentori di frutta matura, cacao e cenni di erbe officinali, è un vino generoso ed armonioso.
Livia Fontana- Barolo Fontanin 2018 – Note di sottobosco, fragolina, tabacco e liquirizia; espressivo e carezzevole, decisamente persistente e fine.

Toscana: Valdarno di Sopra Day un futuro che è qui

di Olga Sofia Schiaffino

Si è svolto martedì 16 maggio presso l’Anfiteatro del Borro, presso l’omonima cantina a Loro Ciuffenna (AR), l’evento del Consorzio di Tutela Valdarno di Sopra Doc.

Importante e sentita la partecipazione delle Autorità locali e regionali, dei giornalisti italiani e internazionali e dei produttori di questo territorio caratterizzato dalla grande vocazione vitivinicola, nota fin dai tempi di Cosimo III de’ Medici che la citò nel famoso Bando Granducale del 1716.

Il presidente Luca Sanjust di Teulada e il direttore Ettore Ciancico hanno aperto la manifestazione nata per presentare i progetti condivisi dalle realtà vitivinicole aderenti e per stimolare un dialogo e una condivisione. I temi, definiti come essenziali per l’affermazione di una propria identità e per il lavoro del Consorzio, sono stati l’importanza della valorizzazione del territorio di Valdarno di Sopra, con l’attenzione al cambiamento climatico e alla promozione di una reale sostenibilità. E poi il concetto di Vigna, da specificare in etichetta per raccontare al consumatore la particolarità di alcune microzone e l’eccellenza dei vini; non ultimo il grande lavoro svolto nell’ottenere per la certificazione bio da porre come obbligatoria nel Disciplinare di produzione.

A questo proposito, è stato illuminante l’intervento di Nicoletta Dicova che ha presentato la modifica legislativa fatta  in Spagna, per cui la D.O. Cava, per le vigne di qualità superiore, obbliga il vignaiolo alla conduzione biologica. A favore si sono espressi anche il dott.Paolo De Castro, l’on. Cafiero De Raho, il Vice Presidente della Regione Toscana e l’Assessore all’agricoltura Stefania Saccardi.

La platea ha applaudito alla nascita dell’associazione Produttori Vigne Bio Valdarno volta a tutela di un impegno reale, coerente e onesto nei confronti dei consumatori, sempre più sensibili al tema del biologico.

Mattinata densa di interventi da personalità del mondo del vino quali gli enologi Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Stefano Chioccioli, Maurizio Alongi ed il Presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini che hanno sottolineato l’unicità di un territorio espresso nei suoi vini. Le peculiarità espressive del Sangiovese accanto agli autoctoni Canaiolo, Pugnitello, Malvasia, Orpicchio, trebbiano e agli internazionali Merlot, Cabernet, Syrah e Pinot Nero.

Il metereologo Paolo Sottocorona ha espresso, in modo risoluto e esaustivo, come il riscaldamento globale della Terra possa creare condizioni difficili per le coltivazioni in alcune aree rispetto ad altre e che la variabile del microclima diventerà un fattore importante, che non consentirà una generalizzazione e una previsione standardizzata. Il vero problema risiede nel fatto che il cambiamento è avvenuto in modo esageratamente accelerato negli ultimi vent’anni, rispetto ai milioni di anni  che furono necessari nel passato e che avevano occupato intere Ere Geologiche.

Monica Larner, penna virtuosa di “ The Robert Parker Wine Advocate” ha applaudito allo stile “ contemporaneo” dei vini prodotti in questa denominazione, sicuramente tra le più giovani ma dotate di grande appeal. In chiusura di mattinata, la splendida degustazione guidata da Jeff Porter di “Otto Produttori, Nove Vini e due belle annate Valdarno di Sopra 2016 e 2019″.

Vigna Ruschieto 2019 La Salceta – Sangiovese 100% rosso granato, naso che conquista con i sentori di mora, iris, pepe bianco. Sorso fresco, tannino presente, un vino vibrante ed equilibrato, dove la scelta della vinificazione in acciaio è assolutamente interprete della bellezza dello stile contemporaneo.

Sangiovese Riserva 2019 Migliarina e Montozzi intreccio fitto di note vanigliate e di gelatina di frutta rossa, con tannino presente e graffiante.

Vigna dell’Impero 2016 Tenuta Sette Ponti – Sangiovese 100% si apprezzano note balsamiche, di mirto, mora di rovo, iris e humus e una fine speziatura che include il pepe e la stecca di vaniglia. In bocca si bilanciano struttura, componente alcolica e un tannino ben regolato.

Pugnitello 2019 Fattoria Fazzuoli – vitigno autoctono recuperato, colpisce per l’intensità cromatica e per il profilo olfattivo orientato sulla frutta rossa succosa; matura in barrique di rovere francese e americano.

Caberlot 2019 Il Carnasciale – dall’omonima varietà ottenuta da un incrocio tra Cabernet Franc e Merlot, affascina per un bouquet complesso che spazia dai profumi di lampone, alla prugna, al tabacco, al coriandolo,al corbezzolo, regalando effluvi che ricordano la macchia mediterranea. Elegante la struttura ed il finale lungo e persistente.

Rodos- Cabernet Sauvignon 2016 Campo del Monte – precise le note varietali che esprimono la foglia di pomodoro, il rabarbaro, il mirtillo seguite dalla dolcezza della speziatura legata al passaggio in legno. Trama antocianica integrata in un sorso sapido.

Galatrona 2016 Petrolo – un Merlot su terreni ricchi di alberese e galestro, è caratterizzato da raffinatezza e personalità: danza su terziari con rimandi al tartufo e al cioccolato, poi emerge il frutto che ricorda la mora e la prugna. In bocca dimostra una grande profondità e armonia, pura seta. Un vino in splendida forma.

Alessandro dal Borro 2016 Il Borro – il Syrah dalle note speziate avvolgenti quali cannella, pepe verde e nero, caramella mou, frutta rossa matura. Fermenta in rovere e invecchia in barrique per 18 mesi.

Boggina B 2019 Petrolo – Trebbiano Toscano coltivato sin dagli anni ’70. Cedro, nota fumée, miele, rosa canina e cera d’api. Bella espressione di un territorio che riesce ad eccellere anche nella produzione di vini bianchi.

Un evento perfettamente organizzato, che ha impressionato per la qualità dei vini proposti dalle aziende presenti alla degustazione e per i contenuti proposti con quella passione e determinazione che è bello trovare nel mondo del vino e dei suoi principali attori.

“I Garagisti di Sorgono”: il Mandrolisai con firma d’autore

di Adriano Guerri

Nella medievale Rocca Rangoni di Spilamberto (Mo), durante la 7°edizione dell’evento Vignaioli Contrari, ho conosciuto un piccolo angolo di Sardegna con la cantina I Garagisti di Sorgono.

Sono rimasto colpito dai loro vini e ve li propongo con alcuni cenni sull’azienda. 

I Garagisti di Sorgono è una splendida realtà enologica sarda, nata nel 2015 dall’unione di tre giovani viticoltori: Pietro Uras, Renzo Manca e Simone Murru. Il loro obiettivo è produrre vini artigianali, espressivi e di elevata qualità con vitigni autoctoni dell’isola.

Pietro Uras – I Garagisti di Sorgono

Coltivano circa 10 ettari vitati al centro geografico della Sardegna, più precisamente a Sorgono (NU), area di confine fra Barbagia e Campidano all’interno della Doc Mandrolisai. Alcuni vigneti ad alberello libero, considerati tra i più belli del mondo, superano addirittura gli ottanta anni di età; altri invece arrivano ai sessanta, messi a dimora dai genitori e persino dai nonni dei proprietari.

Le altimetrie si attestano sui 550 metri s.l.m. con suoli poveri e sabbiosi derivanti da disgregazione granitica. Il clima è di tipo mediterraneo, caratterizzato da notevoli escursioni termiche e le uve beneficiano della maggior concentrazione di aromi. Le varietà coltivate sono, Cannonau, Monica e Muristellu (o Bovale Sardo). La scelta del nome aziendale deriva da “Vin de Garage”, termine usato a Bordeaux per aziende di piccole dimensioni, limitate produzioni e vini di indubbia qualità.

Note di degustazione 

Rosato Mandrolisai Doc 2022 – dalle eleganti note di rosa, lampone e creme de cassis. Fresco, sapido, leggiadro e ben ordinato.

Parisi – Bovale Igt 2021 – rosso rubino intenso, naso da viola mammola, ribes nero, pepe in grani e liquirizia. Gusto piacevolmente tannico, vellutato ed equilibrato. 

Manca – Cannonau Doc 2020 –  riflessi rubino vivaci, intensi aromi di more, prugna, ribes e mirtillo che anticipano note di pepe nero ed erbe aromatiche. Avvolgente, coerente e persistente.   

Murru – Monica Doc 2020 – rubino intenso, naso da ciliegia, lampone e rabarbaro, cui seguono note di spezie dolci e mandorla. Molto lungo e armonioso. 

Uras – Mandrolisai Doc 2020 – svela subito nuance di petali di rosa rossa, frutti di bosco, macchia mediterranea e sottobosco. Finale sapido, rotondo e armonioso.

Roma Doc: “piccola-grande” Denominazione del vino laziale

di Morris Lazzoni

Non me ne voglia l’immenso Claudio Baglioni se ho preso spunto da un suo celebre titolo, ma credo che entrambi gli aggettivi rendano bene l’idea di cosa sia oggi il territorio della denominazione Roma Doc. Ho passato un giorno intero ed una sera in questo areale e voglio raccontare dei vigneti e panorami visti, degli assaggi fatti nelle aziende e dei racconti di chi vive la zona quotidianamente.

È una piccola denominazione, se intesa come bottiglie prodotte rispetto ad altri territori del vino, ma ha una grande storia come può far ben intendere il suo nome. Quando si parla di Roma, qualunque connotazione le si voglia dare, è inevitabile scontrarsi con la grandezza e l’opulenza che questa città si porta appresso.

Nonostante il direttivo del Consorzio Roma Doc, capitanato dal Presidente Tullio Galassini, sia divenuto operativo appena nel 2018, ad essere grande e ben ampio è il territorio di competenza, che si estende, come in un caloroso abbraccio, attorno ai confini della Città Eterna.

La storia di questi luoghi parla di vino e di coltivazione della vite già dai tempi degli Etruschi, da cui i Romani appresero alcune tecniche viticole. Importante per la zona era anche le esportazione dei prodotti dal porto di Ostia, per raggiungere varie zone delle colonie.

Il fulgore del vino in epoca romana durò fino al III-IV secolo d.c. quando, anche a seguito delle lotte politiche interne e delle invasioni barbariche, iniziò la fase calante della viticoltura, con una relativa epoca gaudente sotto lo Stato Pontificio. Si devono, pertanto, ai Papi ed al Clero alcune delle tappe importanti per la valorizzazione del vino di Roma: l’Università dei Tavernieri del 1481, l’Accademia dei Vignaioli del 1692 e l’Università dei mercanti di vino del 1854.

La lunga tradizione vinicola è arrivata fino ai giorni nostri, forse perdendo per strada un pò d’importanza e nobiltà a seguito di alcune scelte di marketing e di posizionamento sul mercato fatte negli ultimi decenni. L’aver creato una nuova Doc ed il credere nella territorialità e tipicità dei questi vini sono punti fermi per uno slancio che guardi al futuro con maggiore cognizione e consapevolezza.

I territori della Roma Doc visti da più angolazioni

L’idea di questi press tour è nata su volontà del Consorzio, ben supportato dalle agenzie di comunicazione MG Logos di Maria Grazia d’Agata e Stefano Carboni e Gheusis di Silvia Baratta. Un ruolo fondamentale nel tour l’ha avuto proprio il Presidente Tullio Galassini, che non ha mancato di accompagnarci ovunque, da vero e proprio Cicerone del territorio.

Abbiamo toccato quattro diverse realtà aziendali: due di esse le racconterà il collega Alberto Chiarenza in un altro interessantissimo articolo. Io mi concentrerò, invece, sulle restanti due: Principe Pallavicini a Colonna e Cantina Federici a Zagarolo.

Entrambe si trovano nel comprensorio dei Colli Albani i quali, assieme agli opposti Monti Sabatini, costituiscono l’area dei terreni vulcanici creati alla fine del Pliocene. Nei terreni più lontani dalle caldere si possono trovare le cosiddette terrinelle, ceneri vulcaniche simili alle sabbie, mentre, avvicinandosi al centro del cratere, si rinvengono tufi, derivanti dalla cementificazione di ceneri e lapilli, che hanno formato un terreno in cui l’acqua ha scarsa permeabilità.
Terroir e condizioni pedoclimatiche non mancano, come la storia ci insegna: solo il futuro potrà dirci se i produttori sapranno interpretare al meglio questi doni di Natura.

Principe Pallavicini è il connubbio perfetto tra vino e storia ddell’antica Roma

Le colline intorno a Tuscolo, antico paese di origine pre-romanica, conquistato dai discendenti di Romolo e Remo con la battaglia del 496 a.c., fanno da contraltare ai vigneti dell’azienda Principe Pallavicini, con piante di età comprese tra 60 e 70 anni.

L’azienda comprende novanta ettari vitati nel territorio dei Castelli Romani, divisi in tre corpi: Colonna, Pasolina e Marmorelle. Altre proprietà a Cerveteri ed a Gallicano oltre a Palazzo Rospigliosi Pallavicini a Monte Cavallo. I vigneti si trovano a circa 200/230 metri sopra il livello del mare, con sistema di allevamento a doppio guyot tra le varietà autoctone Malvasia Puntinata, Malvasia di Candia, Grechetto e Bombino oltre ad internazionali quali Chardonnay, Traminer e Riesling.

La tenuta di Colonna non rappresenta solo un polo produttivo per i vini della cantina, ma anche un punto d’incontro con Roma, come testimoniano le cisterne sotterranee, ancora oggi ben conservate, dell’antico acquedotto Claudio.

La bellezza di quest’opera ingegneristica lascia senza fiato, soprattutto pensando all’epoca in cui è stata realizzata ed alla capacità d’innovazione che i Romani avevano già duemila anni fa. Davvero perfette le condizioni di mantenimento delle stesse.

Dopo la presentazione da parte di Michelle Smith e l’accoglienza del CEO Giulio Senni siamo passati alla degustazione, concentrandoci soprattutto sui vini di Roma.

Roma Doc Bianco 2021, Malvasia Puntinata in purezza, si presenta fine e compatto al naso con profumi di ananas, mela gialla, pesca, zafferano, salvia, erba di campo e ricordi burrosi. Sorso dinamico, mediamente ampio, con buona e lunga distensione di freschezza. Ha netti ricordi salini e sulfurei, con scorza di bergamotto e pompelmo. Il finale è ben fatto e piacevole.

Roma Doc Rosso 2021, assemblaggio da Montepulciano, Syrah e Cesanese che porta profumi noir da mora, mirtillo, prugna, pepe nero, liquirizia, foglie di menta, tabacco, ricordi terrosi e macchia mediterranea. Schietto e ben strutturato a livello olfattivo, in bocca è ricco di sapore, evidenziando discreta acidità, tannino vivido e struttura più snella che al naso.

Da Colonna a Zagarolo da Cantine Federici

A Zagarolo la terza e quarta generazione della famiglia Federici si sovrappongono, con il padre Antonio atto nella gestione aziendale ed il figlio Damiano che si divide tra l’azienda di famiglia e la nuova Damiano Federici.

La cantina è nata nel 1960, vivendo da lì in poi varie fasi di trasformazione: dalla produzione di vino sfuso alla coltivazione diretta dei vigneti, che mano a mano sono stati incrementati per soddisfare una crescente richiesta del mercato. Il totale a Zagarolo è arrivato a quaranta ettari, cui si aggiungono gli altri sedici della tenuta di Frosinone.

Lo stile della cantina guarda a precisione e corretteza nel calice, puntando anche su varietà locali come Malvasia Puntinata, Montepulciano e Cesanese. Il Roma Doc Bianco 2022 gioca su sfumature floreali e di frutti tropicali al naso, con valida intensità ed altrettanto spunto aromatico. All’assaggio dimostra una beva semplice, in cui il tono fruttato è evidente e nitido.

Nel caso del Roma Doc Rosso 2021 l’unione di Montepulciano e Cesanese connota l’olfatto per polposità da frutti rossi, vena speziata e floreale fresco. Acidità, tannino ed ampiezza di gusto sono bilanciate tra loro, creando un vino immediato, fresco e beverino.

Una giusta considerazione va fatta anche ai vini di Damiano Federici, con il Roma Doc Bianco 2021 più aromatico ed incisivo al naso, grazie anche ad un piccolo contributo di Sauvignon Blanc nell’uvaggio. In bocca è disteso, salivante, più sottile di quanto facesse intendere all’olfatto e di sufficiente persistenza. Il Roma Doc Rosso 2021 è ben espressivo nei profumi di mora, mirtillo, spezie e foglie di pomodoro. In bocca è croccante, con un tannino forse troppo protagonista ed un finale erbaceo che sa di chinotto e liquirizia.

Saluto Roma e la Doc avendo visto luci ed ombre

Sono rimasto decisamente affascinato dal territorio romano, del quale se ne potrebbe scrivere per ore e non solo per parlare dei suoi vini. In queste terre si è fatta la storia della civiltà mediterranea, creando le basi per lo sviluppo socio-economico e culturale delle civiltà successive.

I produttori della Roma Doc hanno tra le mani un “giocattolo” potenzialmente pronto a mettersi in bella mostra, qualora riescano a comprenderne e valorizzarne la vera natura. Limitandomi a parlare di argomenti che conosco, il vino appunto, intravedo ottime prospettive future, sempre ammettendo che ci siano comunione d’intenti, visione uniforme e voglia di fare qualità.

Per troppi anni, da queste terre od altre limitrofe, si è pensato ad inondare il mercato con enormi quantitavi di bottiglie limitando l’essenza stessa della natura di questi luoghi. Mi piace l’idea che si punti sulla Malvasia Puntinata e sul Bellone, veri vitigni autoctoni che potrebbero dare personalità e slancio a tutta la zona, caratterizzando inconfondibilmente i vini.

Ci sono ancora aziende però che guardano alla quantità, puntando a determinati settori di mercato, rinunciando a fare gioco di squadra. La lotta al prezzo basso porta ad un inevitabile appiattimento.

Bisogna fare vini più genuini, caratteriali e territoriali, che parlino il linguaggio di casa, piuttosto che un futile seppure elegante esercizio di stile.

Ciao Roma, tu sei sempre la più bella del Mondo!

Piemonte: Crotin 1897 – i loro vini e la piccola grotta di affinamento

di Olga Sofia Schiaffino

Maretto (AT) è un paese di  poco più di trecento abitanti, posizionati su di una collinetta a quindici minuti da Asti, dove il tempo sembra aver rallentato quasi fino a fermarsi.

Il ruggito di un moderno trattore mi riporta al presente, nel suo lento avvicinarsi mentre mi obbliga a lasciargli spazio a lato della strada, prima di imboccare l’ultima curva per arrivare in cantina dal giovane enologo Corrado Russo dell’azienda Crotin 1897.

Il posto è molto bello: si gode un ampio panorama e la cascina ospita un agriturismo con camere accoglienti e, dietro una siepe, uno spazio relax con tanto di piscina. In cucina il fratello gemello di Corrado, Marcello Russo, confeziona piatti squisiti, coniugando la produzione dell’orto alla genuinità della cucina piemontese.

Corrado mi mostra il luogo che ha dato il nome all’azienda: in dialetto Crota è “ la grotta” e Crotin un antro ancora più piccolo. Scendendo le scale si arriva a una ampia stanza, usata anche per accogliere i visitatori per le degustazioni e poi, attraverso un passaggio angusto, si arriva alle fondamenta dello stabile ove si legge in una rientranza Crotin 1897.

L’azienda è nata nel 2002 con la prima di generazione di imbottigliatori e dal 2018 è certificata biologica; vengono coltivati in tutto 14 ettari, di cui 7 nei comuni intorno a Maretto, dove regnano anche la Freisa, il Grignolino e le due rare varietà a bacca bianca Bussanello e Malvasia Moscata.

Altri 7 ettari invece a Cocconato (AT), ove albergano Barbera e Nebbiolo. I suoli sono piuttosto omogenei, con buone componenti di sabbia e di argilla e ricchi di conchiglie fossili, a testimonianza che anticamente quel territorio era occupato dal mare.

Il Bussanello  è un vitigno a bacca bianca, creato dal prof. Dalmasso nel 1938, dall’incrocio tra Riesling Italico e Furmint.

La Malvasia Moscata è una varietà autoctona che occupava, fino a due secoli orsono, gran parte delle vigne piemontesi; essendo delicata e sensibile all’oidio, le si preferì il Moscato Bianco. La scelta di una vinificazione a secco, però, risulta davvero interessante.

Corrado è rimasto affascinato dal mondo del vino sin da piccolo, quando seguiva il nonno in cantina e in vigna, tanto da decidere di intraprendere gli studi di enologia facendone una professione. Crede fermamente nella necessità di ottenere un frutto sano da avviare alla vinificazione, limitando il più possibile l’intervento in cantina e preferendo l’utilizzo di lieviti indigeni.

Si preferiscono contenitori in acciaio inox e cemento per le vinificazioni e gli affinamenti; solo i vini destinati per le tipologie Freisa Superiore e Albarossa prevedono un passaggio in legno.

Di seguito i campioni degustati. Tutti hanno personalità e carattere, per nulla banali e con il timbro riconoscibile del varietale.

Bussanello 2022: luminoso giallo dorato trasparente. Dodici ore di macerazione a freddo a temperatura controllata e 16 giorni di fermentazione. La vendemmia è stata anticipata per preservarne l’acidità. Avvolgente naso floreale, note di pesca e cedro. Sorso piacevole, pieno e fresco. Chiude su un finale delicato di mandorla dolce. Prodotto in circa 3000 bottiglie, dal buon potenziale evolutivo.

Vino bianco 2019 Camporotondo: varietà Malvasia Moscata. Color giallo paglierino dai guizzi dorati. Il 30% della massa fermenta insieme alle bucce; dalla 2021 si è scelto di operare in tal senso sulla totalità dell’uva. Corredo olfattivo appagante, con descrittori aromatici di rosa canina, rosolio, litchi e trifoglio. Pulito e coerente tra gusto ed olfatto con chiosa sapida.

Piemonte Rosato Malvento 2022: da Nebbiolo in purezza. Dopo una pressatura soffice dei grappoli, fermenta in acciaio. Si producono circa 20 ettolitri per anno. Ammaliante rosa salmone chiaro, da piccoli frutti rossi di bosco, buona persistenza e decisamente gradevole.

Grignolino d’Asti Doc San Pantelu 2021: un vitigno davvero difficile da vinificare, ma Corrado lo rende al meglio delle possibilità. Uve raccolte a piena maturazione, cinque giorni di macerazione sulle bucce, maturazione in cemento. Fragola, pepe bianco, trama tannica appena accennata, sapido in chiusura, stupenda speziatura e finale persistente. Perfetto con i piatti di pesce. Un vero colpo di fulmine!

Barbera D’Asti  Docg La Martina2021: Barbera 100% , vendemmia leggermente anticipata, 40 giorni di fermentazione ed utilizzo soltanto di tini in acciaio. Naso elegante ed espressivo da frutta rossa succosa, petali di rosa, note balsamica e di uva spina. Affascina per pulizia di profumi e per complessità. Sorso agile, fresco e sapido in chiusura.

Monferrato Doc  Nebbiolo 2021: lunga macerazione sulle bucce e sosta in cemento. Prima annata in commercio. Rosso rubino luminoso. Sentori floreali, di frutti rossi su finale di cipria e pepe bianco. Tannino presente, ma egregiamente integrato nella struttura del vino.

Freisa d’Asti Doc Aris 2021: macerazione per il 20 % a grappolo intero. Rosso rubino sfavillante, frutto presente e succoso, ciliegia marasca, viola, prugna rossa, note di affumicature. Verticale con tannino perfettamente integrato di buona persistenza e personalità.

Freisa d’Asti superiore Docg  Cisero 2018: da un vigneto di circa 70 anni, il vino fermenta e affina in tonneau da 500 litri. Intrigante complessità e note speziate che dialogano  con quelle di frutta matura.

Piemonte Doc  Albaris 2018: il vitigno Albarossa è anch’esso stato creato dal prof. Dalmasso, incrociando due varietà, il Nebbiolo di Dronero (Chatus) e Barbera.  Macerazioni di oltre 40 giorni. Matura in tonneaux per 2 anni seguiti da altri 2 in bottiglia. Note di frutta succosa, ciliegia, prugna, chiodi di garofano, cannella e vaniglia. Tannino preciso, maturo, dal sorso pieno e vibrante e dalla buona persistenza.

Crotin 1897 colpisce per i suoi vini puliti e sinceri, che lasciano parlare i varietali ed il terroir e che trasmettono al consumatore la passione di chi li produce.