L’affinamento subacqueo dei vini: solo una “bolla” di profondità o c’è del vero? Ne parliamo con Marco Bacci ed il suo Talamo a Mare

Non ci nascondiamo mai e non lo faremo neanche stavolta parlando di un argomento alquanto delicato degli ultimi tempi: l’affinamento subacqueo dei vini.

Lo facciamo con un imprenditore dalla visione a dir poco lungimirante, Marco Bacci, le cui prodezze in campo vitivinicolo (dopo quelle dell’alta moda), hanno raggiunto vertici assoluti di eccellenza e qualità. Di lui, e del sogno nato in una delle cantine del Gruppo, quella di Terre di Talamo, ce ne ha già parlato la collega Augusta Boes nell’articolo Toscana: “Talamo a Mare” il bordolese di profondità.

Ciò che invece cercheremo di affrontare quest’oggi con il Direttore di 20Italie Luca Matarazzo e l’autore Alberto Chiarenza, è il tema scottante dello sdoganamento di una pratica divenuta ormai materia d’uso comune.

La sosta del vino in bottiglia, a profondità e condizioni determinate, può influire realmente sulla sua maturazione o resta confinata nei canoni di una semplice pratica commerciale?

Bene o male purché se ne parli dicevano ai tempi della Prima Repubblica; non vogliamo limitarci a un ostracismo incondizionato, ma anzi cercare di aprire gli occhi su un movimento in crescita e in totale fermento (mai termine fu più azzeccato).

Si attendono i risultati imminenti del lavoro pionieristico compiuto da una giovane start-up siciliana, grazie all’appoggio incondizionato dei brand Benanti e Passopisciaro, con il progetto Orygini in collaborazione con l’Università di Catania. Un controllo meticoloso e costante suddiviso in 14 parametri effettuato per durate variabili dai 6 ai 24 mesi su un campione di bottiglie immerse a 48 metri di profondità nei pressi dell’Area Marina Protetta Isole dei Ciclopi, tra Aci Trezza e Aci Castello. Per intanto dobbiamo accontentarci di uno studio già pubblicato dalla società Lyfe Cicle engineering sull’importante riduzione di CO2 (per 1000 bottiglie circa 680 kg) e sul risparmio di risorse energetiche e logistiche.

Al resto manca una nostra valutazione empirica per comprendere le effettive potenzialità, contando sulla correttezza e buona fede degli attori in gioco, elemento essenziale per scrivere un articolo. Lo faremo nel confronto di due annate, la 2018 e 2019, degustate in parallelo tra affinamento classico e affinamento marino.

Il vino di punta di Terre di Talamo, è un blend di quattro vitigni in pari percentuale di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Syrah. Il desiderio era quello di realizzare un Supertuscan, riuscito davvero bene. I quattro vitigni risultano integrati e si percepiscono, di ognuno, le sue peculiarità. Ma Marco Bacci è anche amante del mare, navigante e sommozzatore con esperienze in ogni angolo del mondo, e in una occasione, dopo aver lasciato alcune bottiglie di Talamo nella sentina della sua barca, decide di stapparne una accorgendosi della differenza nell’evoluzione del vino. Si chiede, esattamente come noi, cosa farà migliorare la qualità del prodotto e, andando per tentativi, trova la quadra giusta a 35 metri sotto il livello del mare.

L’annata 2018 ritornerà alla luce dopo due anni, insieme alla 2019 che è rimasta tra le creature marine per la metà del tempo. E’ così che da una linea, ne sono state create due. Stesso vino, ma affinamenti completamente diversi. Talamo matura in cantina e Talamo a Mare, appunto, sul fondale marino in una zona che si trova tra il Monte Argentario e l’Isola di Giannutri.

Le nostre valutazioni finali

Diciamo subito che il prodotto è di una qualità straordinaria già prima di scegliere il suo percorso finale in bottiglia. Si percepiscono lievi differenze solo nella tonalità del colore, più scuro e intenso quello da affinamento subacqueo.

Per il resto, nella 2018 non segnaliamo altre particolarità: i vini sembrano quasi identici nelle loro espressioni organolettiche. Forse più verde e tagliente il Talamo a Mare, che denota, in prospettiva, maggior possibilità di resistere al tempo.

Nella 2019 le diversità si acuiscono, con la versione classica declinata su sensazioni boisée e quella proveniente dai fondali marini molto verticale e sanguigna. Annotiamo, infine, che nel calice le sfumature diventano sottili con il passare dei minuti, andandosi a riequilibrare pian piano con la giusta attesa. Sintomo che le basi solide emergono sempre, come i cavalli di razza. Nella verve iniziale probabilmente conta la variazione di maturazione, ma nella lunghezza di bocca dei due prodotti, in entrambe le annate, tutto sembra coincidere. L’unica cosa è il prezzo, triplicato nella versione da affinamento subacqueo, anche per l’esiguo numero di bottiglie.

Ringraziamo il padrone di casa Marco Bacci per essersi sottoposto al vaglio della stampa con la stessa voglia di apprendere e di trovare risposte. Speriamo di confrontarci con lui nuovamente in futuro, magari con i primi dati scientifici disponibili al mondo, per sdoganare finalmente la filosofia degli underwater wines.

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