Taurasi chiama Barolo

Ospitiamo con piacere nella rubrica L’editoriale del lunedì un articolo “appasionato” e appassionante del collega giornalista Gaetano Cataldo.

Buona lettura

È trascorsa qualche settimana da quando il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani ha diramato un importantissimo, rivoluzionario comunicato: il consiglio di amministrazione dell’ente vitivinicolo piemontese ha approvato alcune sostanziali modifiche ai disciplinari di competenza, diverranno effettive a patto che la maggioranza dei produttori voterà favorevolmente.

Menzioni comunali per il Barbaresco, utilizzo dei grandi formati, interscambiabilità tra le aree di Barolo e Barbaresco per vinificazione e imbottigliamento, sono alcuni dei temi. Tra le proposte di modifica c’è anche, nell’ottica di trovare valide soluzioni al cambiamento climatico, la rimozione del divieto di impiantare viti di Nebbiolo, atte a Barolo e Barbaresco, sui versanti esposti a Nord, senza però accrescere la superficie complessiva dei vigneti. Fin qui tutto bene ma, sostengono i vertici del Consorzio, a causa di un disciplinare obsoleto redatto negli anni ’60, occorre limitare il perimetro entro cui imbottigliare il Barolo e il Barbaresco, in quanto per legge deve coincidere con la zona di vinificazione, con l’obiettivo di tutelare le denominazioni da un punto di vista sia etico, che economico-commerciale.

Non è la prima volta che Matteo Ascheri, al timone del suddetto Consorzio di Tutela, propone soluzioni alternative: ricordiamo la decisione di fare passo al Vinitaly dopo il 2022, per impiegarne i costi risparmiati per far meglio in termini comunicativi per le cantine. Per il presidente Ascheri limitare l’imbottigliamento fuori dalle aree produttive è necessario perché scongiura frodi e risolve il gap fiscale inerente le esportazioni negli Stati Uniti: tali contromisure tengono conto del vigente Tree Tears System sul mercato americano, che diversifica il livello di tassazione tra importatore, distributore e dettagliante, implicando un maggior aggravio fiscale per chi esporta esclusivamente Barolo imbottigliato rispetto a chi esporta il vino sfuso, poi imbottigliato in loco.

In sostanza, se le riforme al disciplinare passeranno, si eviteranno alcuni salti nei vari passaggi tra la ricezione dello sfuso e l’imbottigliamento fuori zona, scoraggiando condizioni competitive troppo differenti tra gli attori posti a diversi livelli del mercato e si potranno prevenire le frodi e zone d’ombra.
“Devo considerare, chiedendo scusa ai miei Barolo e Barbera, che il Taurasi si deve considerare loro fratello maggiore” sosteneva l’on. Arturo Marescalchi, famoso enologo ed agronomo piemontese, nonché sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, agli inizi degli anni ’30.

Per mettere in connessione gli universi Barolo e Taurasi però, basta tagliare corto e stabilire che la congiungente, in questo caso, fuori dall’indiscussa qualità di entrambe le eccellenze enologiche, è una sola: riguarda proprio gli imbottigliatori fuori dall’area di produzione. È il caso di ricordare che la denominazione di origine controllata e garantita afferente al Taurasi, non certo la sola in Campania e come tante altre in Italia, è incernierata su un disciplinare aperto, ossia che consente l’imbottigliamento fuori zona di produzione, addirittura in aree extraregionali. Tali clausole non sono riconducibili anzitutto alla docg, entrata in vigore nel ’93, ma piuttosto rappresentano un retaggio della vecchia doc del 1970, assolvendo senz’altro a necessità e urgenze dell’epoca, va riconosciuto, ma che oggi si sono cementificati in diritti acquisiti inamovibili secondo certi soggetti, gli stessi che affermano l’Unione Europea non accetterebbe restrizione ai disciplinari di produzione e che, forse, non sono al corrente del precedente epocale che si intende mettere in atto su in Piemonte.

È impensabile che nella verde Irpinia, una delle province più ricche della Campania, ricchezza che trova fondamento attraverso la preesistenza di una grande Civiltà Contadina, vi sia un dilagante spopolamento, grosse carenze infrastrutturali ed alto tasso di disoccupazione. A dirlo la stessa Confindustria nel 2023. Evidentemente indicatori economici, come ad esempio il prodotto interno lordo, non rispecchiano sempre la realtà media vissuta dalle persone comuni, con il risultato che l’Irpinia sta morendo. Il bello è che Il 29 giugno del 2022, in presenza dello stesso Matteo Ascheri, ospitato dal neo insediato Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia presso l’Istituto Enologico “De Sanctis”, durante l’evento “Taurasi, the King of Southern Italy”, ci si riempiva abbondantemente la bocca a parlare di tali gravi problemi e del calo delle nascite persino in centri densamente abitati come Atripalda.

Tornando alla questione imbottigliatori, essa non getta certo ombre sulla rispettabilità e il livello qualitativo raggiunto dalle tantissime cantine avellinesi, ma apre certamente a delle considerazioni che il Consorzio di Tutela Vini d’Irpina, suo malgrado, dovrà affrontare. La situazione per la compagine consortile, insediatasi quasi due anni fa, è decisamente complessa da affrontare, considerando l’aver ereditato un ventennio scomodo, ma occorre lavorare per dare valore ai viticoltori, vero anello debole della catena, e favorire un ragionevole aumento del prezzo dell’uva, senza millantare reticenze da parte della comunità europea sulle variazioni di disciplinare ed evitando che il tacito ricatto di vedersi poi le uve invendute, per via delle auspicabili restrizioni a imbottigliare fuori, possano verificarsi. Occorre che il vino costituisca tangibilmente la prima base, in quanto prodotto più fortunato in agricoltura, e venga impiegato come mezzo di crescita per le economie di prossimità in seno alla comunità locale.

I vini dell’azienda JOAQUIN: la “stella” del firmamento irpino

di Carmela Scarano e Ombretta Ferretto

Il 27 marzo, per la prima volta in Irpinia, il Gruppo Meregalli ha presentato il suo catalogo vini “VISCONTI 43” presso Palazzo Filangieri, monumento storico sito in Lapio (AV).

L’evento intitolato 100 vini in cantina ha richiamato l’attenzione di numerosi operatori del settore ed esperti del mondo “wine” da varie regioni del sud Italia. Unica etichetta irpina presente nel catalogo è quella di Joaquin, cantina che ha fatto da patron dell’evento con una masterclass di 4 vini in degustazione presentata da Francesca Auricchio, Sales & Export Manager di Joaquin, dal Wine Hunter Mattia Tabacco (un vero e proprio cacciatore di vini che ha tramutato la sua passione in professione), e dal Master of Wine, nonché Director of Wine di Oenogroup, Justin Knock.

A farmi compagnia durante l’intero arco temporale dell’evento la collega degustatrice Ombretta Ferretto, che ha raccolto e tramutato in forma scritta alcune impressioni salienti della giornata.

Justin Knock ha introdotto la platea sostenendo che la grande complessità di molti vini campani risiede invece nella capacità intrinseca di esprimere il suolo vulcanico da cui provengono. Questo fattore, unito alla responsabilità intrinseca del produttore di immettere il vino sul mercato soltanto nel
momento perfetto per essere goduto appieno, pone la cantina Joaquin ad un livello di eccellenza.

I 4 vini degustati durante la Masterclass sono stati:

  • Vino della stella 2020
  • Piante a Lapio 2018
  • Piante a Lapio no vintage
  • Taurasi riserva della società 2015

Il primo campione, Fiano di Avellino Riserva 2020Vino della Stella”, è un Fiano in purezza da mezzo ettaro circa di vigne poste a Montefalcione, a 550 metri di altitudine, su terreni calcareo–argillosi. Raccolta delle uve nell’ultima settimana di ottobre, al raggiungimento della piena maturità tecnologica e fenologica. Fermentazione e affinamento in acciaio. Esce in commercio non prima di trenta mesi dalla vendemmia. Si presenta di una delicata veste color paglierino dai riflessi dorati, ed un corredo odoroso di fiori bianchi, leggermente agrumati con tostature finali. Sorso fresco, di grande impatto e sapidità.

Il Piante a Lapio 2018 prende il nome dal bosco che si trova davanti al vigneto, acquistato da Raffaele Pagano, proprietario di Joaquin. Si estende su 0,34 ettari con viti centenarie prefillossera. Esce sul mercato dopo 5 anni di affinamento. A differenza del Vino della Stella che fa solo acciaio, il Piante a Lapio dopo un primo affinamento in acciaio passa in botti scolme quasi esauste di castagno e acacia per poi terminare l’affinamento in bottiglia. Più intensi i riverberi dorati nel calice, con profumi di spezie ed erbe aromatiche. Avvolgente al palato, ricco di morbidezze fruttate. Vino signature dell’azienda.

Piante a Lapio No Vintage è invece un blend di due annate in percentuali diverse e precisamente il 14% annata 2014 (solo legno) e il 60 % annata 2020 (solo acciaio).  Il naso vira subito verso frutta gialla matura e poi succo di agrumi per indulgere in sentori tostati accompagnati da sbuffi eterei e minerali. Tanta albicocca, maracujá, nocciola.

Last but not least, l’etichetta definita da Francesca Auricchio “da momenti speciali”: il Taurasi Riserva 2015, proveniente da un appezzamento 1,2 ettari a Paternopoli. Anche queste sono viti a piede franco prefillossera.

Esce in commercio dopo 7 anni, ben oltre i canoni previsti dal disciplinare di produzione, sempre in linea con lo stile della cantina il cui pensiero è quello di attendere il vino. Al calice si presenta rosso granato, con profumi lunghi e complessi che spaziano dal cioccolato al tabacco, con note speziate di cannella, vaniglia e noce moscata. Di carattere, pieno ed avvolgente, con un tannino disteso e vibrante, che ci lascia presagire una lunga vita.

“Alle radici del Barolo” nel cuore di Taurasi

di Luca Matarazzo

Barolo e Taurasi: semplice ossimoro o simboli di lontane appartenenze?

A presentare il nuovo libro edito da Slow Food, scritto da Armando Castagno con introduzione storica di Lorenzo Tablino e fotografie di Clay Mclachlan, è stato l’autore stesso accompagnato da una straordinaria degustazione di 6 campioni di Barolo.

Parlarne proprio a Taurasi, nel cuore dell’Irpinia, ha una valenza doppia. Prima di tutto per l’importante affluenza di professionisti del settore, stampa e semplici appassionati che ha reso l’atmosfera carica di emozioni quasi sacrali. Secondariamente, e cosa non di meno conto per il sottoscritto, per lo strano parallelismo che ha sempre legato due areali profondamente diversi.

Eppure, a rileggerne i tratti salienti della storia, qualche legame sottile ed elastico resta presente, ben al di là della (discutibile) citazione da vox populi “Il Taurasi è il Barolo del Sud”!

Superando le ovvietà, bisogna riconoscere ai produttori delle Langhe la capacità di scommettere sulla rinascita di un intero movimento. Lo hanno saputo fare, come sempre accade nel gioco tra le parti, conservando storicità e tradizione, ma non tralasciando le spinte delle giovani leve verso tecnologia e ricerca di qualità. La vigna da sola, pur straordinariamente bella e produttiva, non può bastare. A buon intenditor…

Nelle splendide sale del Castello Marchionale, alla presenza di Alessandro Barletta fiduciario della condotta Slow Food Colline dell’Ufita e Taurasi, di Alessandro Marra ed Adele Granieri coordinatori, tra le molteplici attività, della sede di Napoli di Banca del Vino e del consigliere del Comune di Taurasi Pierluigi D’Ambrosio, ha preso forma l’incontro tra il nobile Nebbiolo, con le sue nuance delicate, proseguito a cena in un clima di amicizia con alcune espressioni sublimi del forzuto Taurasi.

Del secondo spazio ne parleremo in altra occasione; oggi la scena e le parole vanno tutte ad Armando Castagno, penna conosciuta in ambito nazionale ed internazionale, grazie all’amore per la Francia e per molti territori del vino italiano.

Armando Castagno

“Armando, il rapporto Barolo – Italia sta diventando un affaire solo per pochi e per le esportazioni, o ci sono speranze di comprare a buon mercato anche per i clienti del nostro Paese?”

Risposta: “La speranza esiste, a patto di cercare oltre il banale, oltre lo scontato. I Barolo che hanno visto aumentare il valore sul mercato è frutto a volte di speculazioni del mercato stesso e non della volontà del singolo produttore. Molti giovani si affacciano alle luci della ribalta con piccoli appezzamenti, magari conseguiti con debiti personali e abbiamo ancora tante cose da scoprire. I giovani vanno investiti di tale responsabilità, con mentalità aperta da parte nostra e vini che abbiano un prezzo sensato”.

La seconda domanda non poteva prescindere, invece, il confronto con le storicità di altre Nazioni: “In una scala da uno a dieci come vedi il vino italiano a confronto di altre nazioni come la Francia?

Risponde Armando in maniera netta: “per me i produttori non hanno nazionalità, sono tutti conterranei. Tralasciamo le questioni geopolitiche, credimi i nostri vini non hanno nulla da temere paragonati ad altri”.

Comincia così la dimostrazione sul campo di quanto affermato, con la proposta di sei eccellenze scelte direttamente dal caveau della sede di Banca del Vino a Pollenzo. Un progetto di Slow Food che mira ad accrescere la cultura su territori lontani, mescolando nord e sud in una sorta di unità enologica scevra da campanilismi e preconcetti.

I produttori che aderiscono tesserandosi possono poi rivendere le proprie etichette alla Banca stessa, che le conserva in cantina in attesa di incontri divulgativi come questa occasione. Useremo la scala a punteggio, indicando per onestà non una vera graduatoria (non necessaria al racconto), ma solo con il fine di agevolare il lettore.

Campione n.1: Barolo 2016 “proprietà in Fontanafredda” – Fontanafredda – un frutto possente, forse a tratti eccessivamente nervoso. Nota speziata elegante sulla parte finale, resta ancora contratto per esuberanza giovanile. 89/100

Campione n.2: Barolo 2015 Monvigliero – Fratelli Alessandria grande succo, essenze floreali tipiche, dimostra buona evoluzione e termina su mineralità stuzzicante. 92/100


Campione n.3: Barolo Riserva 2013 Bussia “Vigna Mondoca” – Oddero la perfezione non esiste, neppure per il Barolo. Non al meglio della forma, uno di quei casi (pochi per fortuna) che bisogna saper accettare. Al netto delle note secche ed asciuganti, resta comunque l’integrità di piccoli frutti di bosco che merita giusta attenzione. Ci asteniamo dal punteggio, sperando di riassaggiarlo in futuro.

Campione n.4: Barolo Brunate 2008 – Poderi Marcarini – straordinario. La fase boisée è attenta e curata. Ottimo succo con riverbero di agrume e iodio. 94/100


Campione n.5: Barolo Riserva 2005 – Casa E. Mirafiore – note di salsa di pomodoro, fungo e sottobosco. Fase ferruginosa davvero intrigante, peccato per una puntina calorica sul finale. 91/100


Campione n.6: Barolo “Liste” 1996 – Borgogno – ormai pressoché introvabile. Rivela ancora acidità elevatissime da arancia sanguinella fusa al salmastro. Appaga dall’inizio alla fine, pur nella sua severa asuterità. 96/100