Chianina & Syrah 2024: i Syrah di Sicilia

Abbiamo già parlato della kermesse Chianina & Syrah al link Chianina & Syrah a Cortona: dove la “ciccia” si sposa alla perfezione con il vino. Oltre a dare risalto alla denominazione Cortona Doc, valorizza anche un’altra importante eccellenza del territorio, come la carne della razza chianina, binomio perfetto tra cibo e vino.

Al Centro Convegni Sant’Agostino v’erano in degustazione i vini della Denominazione di Cortona ed altri areali sia nazionali sia internazionali. La masterclass ” Il Syrah di Sicilia a spasso nel tempo – 2008 – 2021″ è stato un percorso sensoriale con 7 vini di varie annate da Monreale a Menfi, fino al lembo estremo meridionale di Noto. Condotta dall’esperta  giornalista ed enocritica del Corriere della Sera e Gambero Rosso, Divina Vitale con gli interventi di Francesco Spadafora,  titolare dell’omonima cantina e Stefano Amerighi, anch’egli titolare dell’omonima cantina, nonché Presidente del Consorzio Cortona Vini.

La Syrah è un vitigno internazionale che affonda le radici in diversi areali del globo, si ipotizza che l’etimologia del nome derivi dalla cittadina di Shiraz dell’antica Persia, anche se  esistono diverse altre versioni. Ha trovato terra di elezione nella Valle del Rodano in Francia, soprattutto nella Côte Rôtie, Hermitage e Gigondas, ma anche in Australia e Nuova Zelanda e viene allevato in molte nazioni del mondo. 

In Italia la Syrah viene  coltivata principalmente in Sicilia, soprattutto nelle province di Palermo, Agrigento e Trapani  dove ha trovato condizioni pedoclimatiche ideali per dare origine a vini di eccellente qualità e longevità.  L’altra regione ad alta vocazione è la Toscana e in particolare la zona di Cortona, qui la Syrah ha trovato habitat ideale, grazie alla composizione dei terreni e a un clima idoneo. Cortona DOC Syrah è nata nel 2000, un  vino di grandissimo carattere e finezza. In Italia viene allevato anche in diverse altre regioni.

Un vitigno migrante capace di dare origine a grandi vini, sia vinificato in purezza, talvolta, è anche il compagno ideale di altri vitigni che in assemblaggio concorre a dare il suo contributo varietale, originando vini di grande pregio.

I vini degustati

Principi di Spadafora – Terre Siciliane Igp Sole dei Padri 2008 – Rosso rubino profondo con sfumature granato e sentori di prugna, spezie orientali, polvere di caffè. Al palato è ancora fresco, tannino poderoso, ma setoso, lungo e duraturo; un vino contemporaneo e sorprendente.

Planeta – Menfi Doc Maroccoli 2008 – Rosso rubino impenetrabile, emana note di frutta rossa matura, pepe nero, cuoio, tabacco e menta Gusto fresco e soddisfacente, coerente e persistente.

Tasca d’Almerita/Tenuta Sallier De la Tour – Monreale Doc La Monaca 2010 – Rosso Rubino con riflessi granato, note di mora, frutti di bosco, erbe mediterranee e bacche di ginepro. Dal sorso sapido e fresco, avvolgente e pieno.

Tenuta Zisola – Sicilia Doc Achilles 2015 – Rosso rubino profondo, sprigiona note di confettura,  in primis, mora, mirtillo e poi sottobosco. Avvolge al gusto ed è gastronomico e persistente.

Feudo Disisa – Monreale Doc Roano 2018 – Rosso rubino impenetrabile, rivela sentori di, visciola, lampone, amarena e foglia di pomodoro. Piacevole la scia mentolata, con sorso dinamico, coerente, accattivante e duraturo.

Alessandro di Camporeale – Sicilia Doc MNRL Vigna di Mandranova 2019 – Rosso rubino profondo, emana note floreali di viola, poi fragolina di bosco, mora e bacche di ginepro. Sapido e dotato di buona piacevolezza di beva. Dinamico e persistente.

Feudo Maccari – Sicilia Doc Maharis 2021– Rosso rubino vivace, rivela sentori di ribes, amarena, mora e lieve spaziatura. Bocca elegante, vibrante, rotonda e decisamente durevole.

Sicilia: Marsala Vergine Baglio Florio – Cantine Florio 1833 – un prodotto unico da emozioni storiche

di Silvia De Vita

Ritengo che per predisporsi all’assaggio del Marsala Vergine Baglio Florio – Cantine Florio 1833 (Gruppo Duca di Salaparuta) un vino così ricco di storia, sia opportuno calarsi nell’atmosfera del luogo d’origine e concepire cosa ha reso così sontuoso ed importante questo prodotto!

Tutto nasce in un paesino della costa occidentale siciliana ed in queste righe proverò ad esprimere le mie emozioni provate arrivando in luoghi bellissimi e ricchi di storia. Marsala è stata particolarmente colpita durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, le cui ferite ancora si vedono. L’obbiettivo numero uno, Erwin Rommel, “la volpe del deserto,” si trovava invece da tutt’altra parte, eppure ciò non ha fermato la catena distruttiva che ha portato la storica cittadina ad essere rasa al suolo. Venne ricostruita poi in stile moderno, con i classici canoni e le (ahimè) storture dell’edilizia non sempre regolamentata negli anni del boom.


Ad attrarre l’attenzione a Marsala, sono le insegne delle importanti cantine che celebrano il paese e le sue vigne nel mondo intero: Rallo, Pellegrino, Florio e tante altre. Imboccando via del Fante, si attraversa un passaggio a livello, ed ecco spianarsi all’improvviso di fronte a noi una spiaggia bianca ed un mare azzurro da atmosfere paradisiache. La strada parallela è delimitata da muri alti e bianchi: si intuisce immediatamente che stiamo percorrendo il perimetro di un Baglio siciliano, con un tesoro nascosto oltre quelle mura, un mondo avvolto da un incantesimo tutto speciale.


Dopo pochi metri, si apre una cancellata di ferro battuto nero, imponente con le punte dorate a forma di frecce, a delimitare l’ingresso dove timidamente ci si affaccia per entrare, con la certezza di scoprire una meraviglia ma con l’inconsapevolezza di quanto grande e storica sia! All’epoca della mia visita, 3 anni orsono, venne ad accogliermi il signor Mario, fedele custode con i suoi 60 anni vissuti e la tipica generosità siciliana mescolata alla galanteria di altri tempi. L’interno del Baglio ricorda un palazzo arabo: mura candide con corte centrale che racchiude giardini adornati da piante grasse fiorite, banani e palme accarezzate dalla brezza marina; centralmente una fontana ha preso il posto dell’antico pozzo che per decenni ha fornito acque dissetanti e fresche a colui che con arsura ci si affaccia. Intorno a questa corte si sviluppa la cantina: archi enormi delimitano i vari punti di accesso con portoni antichi e pesanti in legno rossastro.

A guidare gli ospiti all’interno della storia e del mondo Florio è la signorina Aurora, che con passione e naturali doti teatrali conduce per mano il visitatore nei 200 anni di storia. Così, ascoltando le parole di Aurora, in un attimo sei trasportato metaforicamente accanto al fondatore della cantina – Vincenzo Florio – ed un attimo dopo sei un soldato dei mille di Garibaldi e partecipi all’unificazione dell’Italia. Oppure vivi le rivoluzioni locali, diventando una delle tante donne che hanno lavorato alla realizzazione del “Marsala Florio”, e che già negli anni 1860-1880 partecipavano attivamente alle loro lotte aziendali per la realizzazione della prima mensa e del primo asilo nido.

Percorrendo le gallerie di tufo della cantina dove il Marsala e gli altri prodotti riposano nei fusti di legno, talvolta secolari, riesci a sentire il liquore ancora in fermento, lo scambio continuo tra aria e botti, la brezza marina che porta i suoi sali minerali e l’umidità che mantiene il contenuto integro.
La luce all’interno ricorda il colore del tramonto, vengono a mente in questa malinconia bucolica le sofferenze per i bombardamenti che hanno danneggiato le cantine, distrutto le botti e fatto scorrere via il vino mescolato forse, al dolore di uomini, donne, giovani ed anziani, innocenti.

Il Marsala Vergine “Baglio Florio” racchiude un po’ tutto quanto raccontato in queste righe. Invecchia 12 anni in botte prima di essere imbottigliato. L’atmosfera che lo circonda durante la maturazione sta alla base del suo successo. Portando il calice verso il naso è immediatamente avvertibile l’intensità boisé sviluppata dalla sosta in cantina; osservandone il colore si raccolgono i riflessi ambrati e vermigli ed imbevendo le labbra di vino si può riconoscere il sapore della brezza marina che sfiora delicatamente il viso. Il primo tocco lascia la lingua con un lieve richiamo astringente che poi si allarga divenendo velluto su ogni papilla gustativa, come se ci si facesse cullare dai profumi, dai soavi movimenti e dalle intriganti profondità del mare. Alla fine resta l’arsura ed il calore di quella terra magnifica, fatta di estati calde e luminose, risate di donne nei campi, grida dei bambini in gioco nei cortili della cantina, suoni e canti durante la vendemmia.

Un sogno liquido che merita un viaggio!

L’Etna raccontato da Salvo Foti – I Vigneri

di Titti Casiello

Non può mai essere casuale un incontro con Salvo Foti – I Vigneri

Attraverso le sue parole, riservate, pacate e con l’attenzione di chi tiene molto a qualcosa, prende forma il linguaggio di un vino dell’Etna.

“Tengo molto alla mia terra, ma parto dalla possibilità, da quello che vorrei da lei. Poi da quello che intuisco che la natura può darmi. E infine da quello che posso ottenere. Non c’è un’idea precisa, la concretizzo solo quando vivo questi elementi”.

Salvo è uno che nella vita si è fatto un sacco di domande. Uno che più che dare soluzioni, ha creato degli interrogativi “perché non è facile fare un vino di territorio, ancor di più se sei sull’Etna”.

Non basta una facile propaganda in vista di un’elezione politica, ma ci vogliono azioni concrete, cultura  e dedizione e qui, a Milo – nel versante est etneo – le parole concretizzano il loro reale senso enciclopedico nelle scelte fatte da Salvo e dai suoi figli Simone e Andrea.

“Quinconce”, ad esempio, è la concretizzazione di quello che potremo chiamare “vino del territorio”. Non è solo una parola bella, semanticamente parlando, ma anche utile. Il quiquonce è un gioco di squadra, un dado fermo al numero 5, un sistema di allevamento dove le piante sono disposte a intervalli regolari secondo un reticolo a maglie triangolari. E tutto ciò permette alla vite di ben svilupparsi radicalmente e soprattutto ad una maggiore profondità.

Una faticaccia immane la sua gestione, che esclude del tutto la meccanizzazione consentita ad esempio dal guyot (i cui filari iniziano a moltiplicarsi sull’Etna). “In questo modo il vigneto si autoregola come un organismo. Un sistema di coltivazione finalizzato alla meccanizzazione, invece, non può tenere conto di questa biodiversità”.

Salvo è cresciuto in tale biodiversità, prima come figlio di contadini e poi durante i suoi studi di enologia a Catania. E l’ha portata in giro con sé, con le prime consulenze dal Cavalier Benanti agli inizi degli anni 90, e quindi in un susseguirsi di esperienze tra diverse aziende etnee e siciliane. Per arrivare a decidere, nel 2001, di dar vita al proprio personale credo enoico con la sua azienda I Vigneri.

“Perché la vite, per quanto addomesticata, rimane sempre una pianta selvatica, come l’uomo. E se la cultura dell’uomo non è innata, al pari la vite per crescere ha bisogno della mano e della mente umana. Il problema,  però, è che se l’uomo si accanisce, la vite si incattivisce e perde la sua personalità. A quel punto  il vitigno non sa più esprimersi e non riuscirà a farlo neppure il territorio in cui è coltivato”.

Salvo Foti – I Vigneri

Parole, queste, che mi spingono a dire che è di luogo che si dovrebbe discutere, piuttosto che soffermarci sulle varietà coltivate. Il luogo, secondo Foti, diviene interprete di un vitigno. Ci vorrebbe una grande coscienza sociale che vada al di là delle larghe maglie concesse dai disciplinari, e sarebbe opportuno ascoltare ciò che un luogo ha effettivamente da raccontare e conseguentemente da offrire.

Luogo, termine sacro. Non è un caso il nome scelto per la sua azienda. Così facendo rivive, nei suoi vini e nella memoria collettiva, quell’antica maestranza catanese che nel 1435 creò le basi per una professionalità vitivinicola in Sicilia e che oggi si ritrova in una comunanza di idee tra alcuni produttori: i Vigneri, I Custodi delle Vigne dell’Etna, Federico Graziani, il californiano Rhys, Gulfi a Chiaramonte Gulfi, Guglielmo Manenti nel Vittoriese e Daino a Caltagirone.

Costoro sono ormai “in armonia con se stessi e quindi con tutto quello che ci circonda: ambiente, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, e non al di sopra” . Tutti riuniti in onore di un unico credo.

Le viti de I Vigneri sono dislocate su 5 ettari in tre diverse aree della cosiddetta Muntagna, epiteto affettuoso per indicare l’Etna: a Milo, a Castiglione di Sicilia ed a Bronte. Tante viti ultracentenarie, di cui molte a piede franco, con una densità per ettaro da far sembrare i filari un’unica grande linea intervallata da pali di castagno e da muretti a secco, splendide cornici dell’umano lavoro. 

A Milo, ad 800 metri di altitudine nella parte est di Idda, giace il Carricante  dei vini “Aurora”, “Vigna di Milo” e “Palmento Caselle”. A Castiglione di Sicilia, in Contrada Porcaria, troviamo il Nerello (Mascalese e Cappuccio) che canta da soprano con “Vinupetra”;  mentre nel comune di Bronte, nel vigneto più alto dell’Etna, a  1.200 metri di altitudine, nasce un rosato da vigna “Vinudilice” mescolanza di uve bianche e rosse raccolte e vinificate tutte insieme.

Il territorio è impervio, dalle condizioni estreme, tanto che nelle annate più difficili se il vino non raggiunge, in modo naturale un grado alcolico dell’11%, è prodotto in versione spumante con il Metodo Classico “Vinudilice Brut Rosè”.

Ma di tutte le referenze c’è poi quella che esprime a pieno titolo l’idea concreta di un luogo: ed è l’Etna Rosso “I Vigneri”. Ogni bottiglia prodotta porta con se il compito di non far cadere, nell’oblio della memoria, l’antica civiltà vitivinicola etnea e la sua tradizionale vinificazione in Palmento. E che Salvo Foti, fa rivivere con questa etichetta.  

Si segue un indice morale anche nella cantina della famiglia Foti. Non ci sono tecnicismi occulti, o racconti per iperboli. Qui le cose sono rese edibili non appena si varca l’entrata. Anche perché è tutto lineare tra fermentazioni spontanee, travasi che seguono le fasi lunari e affinamenti in contenitori diversi: acciaio, legno e anfora, a secondo della referenza.

Se così è la vigna così è la cantina, una prosecuzione, quanto mai connaturata della filosofia di Salvo e dei figli Simone e Andrea.

Tra i molteplici descrittori che si potrebbero utilizzare per i loro vini, forse quello più rispondente è l’estrema sensibilità umana. Nei calici par quasi sentire la piovosità di Milo, l’irrequietezza del Carricante o la solarità del Mascalese, probabilmente perché i pensieri dei Foti per una sana vitivinicoltura bussano direttamente ai cancelli d’ingresso.

VINUPETRA 2020, ad esempio, è da bere d’un fiato, non da assaggiare. Il vino stesso lo richiede. C’è sangue e umore in esso. Sembra quasi pungente, lasciando una lunga traccia vivida e sottile al palato, in un giocofòrza tra acidità, tannino e sapidità. Qui non si parla di muscolarità, men che meno aria di dolcezze in confettura. C’è ginepro, timo ed il bosco che rumoreggia. Caldo e pulsante come il cuore di ogni essere vivente.