Romagna: “Brisighella Anima dei Tre Colli” l’Associazione Viticoltori di Brisighella ai blocchi di partenza

Comunicato Stampa

Lunedi 4 settembre al Convento dell’Osservanza a Brisighella si è svolta la presentazione della nuova associazione di viticoltori Brisighella Anima dei Tre Colli.

Alla presenza di oltre 120 tra operatori della ristorazione, enotecari, osti e sommelier, la giornata è iniziata con il seminario Brisighella in Bianco dedicato ai vitigni a bacca bianca della valle del Lamone.

Dopo un breve saluto dell’assessore regionale Manuela Rontini e dall’assessore del comune di Brisighella Gian Marco Monti entrambi diplomati sommelier AIS, il presidente della associazione Cesare Gallegati dell’omonima cantina, ha illustrato le finalità e gli scopi di Brisighella Anima dei Tre Colli.

Paolo Babini, della cantina Vigne dei Boschi, ha accompagnato i presenti lungo la sottozona Brisighella, nata nel 2011 per il Sangiovese e che dal 2022 è ora anche definita per i vini bianchi.
Una zona molto vasta che comprende quasi interamente il Comune di Brisighella e di Casola Valsenio, gran parte del territorio collinare del comune di Faenza. Tre macro aree, tre territori, tre anime. Una visione ampelografica, culturale e storica che associa ad ogni colle un territorio definito:

La Torre dell’orologio, che guarda a nord verso la pianura, a rappresentare lo scandire del tempo che occorre ai vini nati sulle terre fini di sabbie gialle e argille rosse e azzurre;

La Rocca Manfrediana simbolo di solidità e unicità che guarda ai terreni della vena del gesso;

Il Monticino memoria di santuari, badie e monasteri a raccontarci dell’origine della coltivazione della vite in Appennino ad opera principalmente di frati e monaci che praticavano un’agricoltura di rango dove la presenza del vino era importante per scopi liturgici e di sostentamento.

al centro Cesare Gallegati e a destra Paolo Babini

Perché associare le varietà bianche a Brisighella? La notevole presenza storica di queste varietà racconta della grande vocazionalità del territorio verso la produzione di vini bianchi che proprio in questa vallata vede coesistere terre fini argillose nella prima collina, calcaree gessose nella area dei gessi e marnoso calcaree nell’alta valle, condizioni favorevoli per ottenere vini bianchi di grande finezza, austerità e longevità.

L’Albana è presente con quasi 200 ettari su un totale per la Romagna di 880 ettari. Oltre il 22% del totale. Notevole la presenza di Trebbiano Romagnolo, Chardonnay per circa 160 ettari e 15 di Sauvignon.
I presenti hanno poi avuto modo di degustare tutta la produzione degli associati presenti con i loro banchi di assaggio lungo il Chiostro del Convento.

“La presenza di un così grande numero di operatori del settore ci conferma nell’importanza che Brisighella rappresenta per il comparto enogastronomico romagnolo” afferma Cesare Gallegati, “l’associazione Brisighella Anima dei Tre Colli ha tra i suoi obbiettivi proprio quello di portare l’attenzione sulla qualità e la diversità insite nel territorio della Valle del Lamone”.

Nel pomeriggio è avvenuta la consueta apertura dei banchi di assaggio dei vini alla presenza dei vignaioli dell’associazione.

Romagna: Tenuta Uccellina, una viticoltura cesellata fra pianura e collina

di Matteo Paganelli

Si narra che i romagnoli siano un popolo ospitale e se ne ha la conferma quando si arriva in una cantina, manco a farlo apposta nel giorno in cui il produttore deve imbottigliare e, anziché dirti che non ha tempo, ti accoglie calorosamente.

Questo è solo un esempio del classico tipo di trattamento che Alberto, Antonietta ed Hermes Rusticali – Tenuta Uccellina – riservano a chi va a trovarli nella loro azienda agricola a Russi (RA).

Alberto Rusticali

Oggi in particolare si imbottiglia “Ghineo” Romagna DOC Sangiovese Riserva che da quest’anno esce con la sottozona Brisighella in etichetta. Già, perché pochi sanno che, nonostante Tenuta Uccellina sia da sempre ubicata nelle pianure ravennate dove coltivano i loro prodotti di punta Bursôn e Rambëla (di cui parleremo in seguito), continua a puntare sui vitigni Romagnoli per eccellenza: Sangiovese e Albana. Lo fa in collina, proprio in una delle zone più vocate per la viticoltura. La storia abbraccia pianura e collina, usualità e unicità; ma andiamo per ordine.

Le origini della famiglia sono abbastanza comuni qui in Romagna: provenienti dal settore agricolo, con la splendida location ove oggi sorge l’azienda che era un tempo la casa dei nonni; coltivatori d’uva sin da quando attorno al casale non sorgeva alcun centro abitato. Nel 1985 Alberto, mosso da fortissima passione e motivazione, decide di iniziare a diventare produttore di vino, quasi come per hobby (lavorava come dipendente in una distilleria in zona), credendo così tanto nel progetto, al punto da investirci risorse, prendendo in affitto dei vigneti a Bertinoro e iniziando quindi a sponsorizzare la viticoltura di collina.

La produzione prevedeva solo la vendita in damigiane, ai tempi consuetudine locale. La svolta arriva pochi anni più tardi, alla fine degli ’80, quando Pasquale Petroncini de “La Ca’ de Vèn” di Ravenna suggerisce di iniziare a imbottigliare i propri vini. Nascono così le prime annate di Trebbiano, Sangiovese e Albana, sotto la guida enologica del pilastro Sergio Ragazzini.

I risultati non tardano ad arrivare: l’Albana di Romagna DOCG 1989 viene proclamata Albana dei VIP dall’allora Ente Tutela Vini di Romagna e nel 1995 la richiesta è così alta che, oltre ai 2 dipendenti fissi, Alberto è costretto a licenziarsi dalla distilleria per seguire la cantina a tempo pieno. Il 1998 è forse l’anno più importante per Tenuta Uccellina quando, grazie proprio a Sergio Ragazzini, promotore della riscoperta del vitigno dimenticato “Longanesi”, oggi lanciato con il nome Bursôn, fonda assieme ad altri soci il Consorzio “Il Bagnacavallo” per commercializzarlo..

Nel 2004 il Consorzio istituisce il premio “Miglior Bursôn” al quale da allora partecipano ogni anno tutti i produttori iscritti, presentando i loro vini a una commissione di enologi e sommelier. Quello di Tenuta Uccellina si conferma vincitore in svariate annate, la più significativa è proprio l’edizione di quest’anno 2023, anno di premiazione del loro Bursôn “Etichetta Nera” 2016.

Ciò a riprova del fatto che quella vendemmia combacia con il primo anno in cui Hermes, figlio di Alberto e Antonietta, prende le redini enologiche di Tenuta Uccellina. Il 2016 vede inoltre anche l’imbottigliamento di Teodora, un’edizione limitata di Bursôn in soli 1.000 esemplari e solo nelle annate più propizie (prima di questa solo la 2008 e la 2011), da una selezione delle migliori Tonneau. L’etichetta è dedicata a Teodora, l’imperatrice di Bisanzio, della quale nella Basilica di San Vitale di Ravenna è conservato il suo famosissimo ritratto mosaico.

Torniamo indietro alla metà degli anni 2000. Mentre il Bursôn spopolava anche per la poca competizione, non si può dire lo stesso di Sangiovese e Albana. Numerose sono infatti le giovani cantine che vedono la luce in quegli anni, aumentando a dismisura l’offerta e causando un forte deprezzamento con bottiglie in vendita a partire da pochi euro. Si scatena una vera e propria guerra al ribasso, dove a uscirne sconfitti sono purtroppo i proprietari che sceglievano di puntare sulla qualità, costretti a ridurre il prezzo per restare sul mercato con inevitabili ripercussioni sul margine.

Per riuscire a restare a galla, nel 2010 arriva la decisione per Tenuta Uccellina di spostare i suoi vigneti da Bertinoro a Oriolo dei Fichi in modo da migliorare la logistica verso i locali deputati alla vinificazione e guadagnare così in competitività. La famiglia Rusticali opta, nel 2019, per un ennesimo spostamento delle vigne questa volta per ragioni stilistiche, abbandonando i terreni sabbiosi di Oriolo alla ricerca di quelli gessosi di Brisighella, nell’ottica della ricerca di una maggior complessità e profondità.

Inoltre da Tenuta Uccellina i cosiddetti autoctoni dimenticati abbondano. Uno in particolare vede la luce nel 2012: si tratta della Rambëla, termine dialettale (utilizzabile solo dai produttori del consorzio “Il Bagnacavallo”) con il quale viene indicato il vitigno Famoso. Questo vitigno, di carattere semi-aromatico, si presta in maniera egregia sia alla produzione di un vino fermo secco, sia alla produzione di bollicine.

È risaputo che il Famoso perda la sua carica aromatica dopo i primi 12 mesi dalla vinificazione, e per tale motivo solitamente se ne incentiva il consumo entro l’anno solare; tuttavia, in una recente degustazione di una loro Rambëla con 6 anni sulle spalle, sono state evidenziate caratteristiche di evoluzione decisamente interessanti, con freschezze ancora ben presenti agevolate dalla chiusura Nomacorc e Screwcap, per cercare di regalare qualche altro anno di longevità a questo prodotto tutt’altro che fugace.

Ho resistito fino a fine articolo per parlarvi di quello che a mio avviso è il dulcis in fundo di Tenuta Uccellina. Sto parlando di Biribésch, nome del vino che viene ottenuto da un rarissimo vitigno autoctono chiamato Cavècia. Il nome è dedicato al nonno di Alberto, soprannominato proprio “e biribésch”, il birichino, a indicarne la natura vocata allo scherzo.

Prodotto sia in versione rifermentato in bottiglia, sia in versione metodo classico, si affianca al contesto aziendale di esclusività e incorona una storia di sperimentazione da rare varietà autoctone (ricordiamo il loro spumante Alma Luna da uve Lanzesa e il loro spumante Pelaghios da uve Pelagos, entrambi non più in produzione).

Non resta che far visita ad Alberto, Antonietta ed Hermes per aver fatto della tradizione e dell’innovazione i capisaldi della produzione di vino in Romagna.

Romagna: Raffaella Bissoni la “fata” delle vigne

di Matteo Paganelli

È sempre un piacere andare a trovare Raffaella in quel di Casticciano (piccola frazione ai piedi di Bertinoro), ma forse in questa occasione è ancora più piacevole poterla riabbracciare dopo i recenti disagi causati dalle alluvioni in Romagna.

Raffaella, infatti, aveva da poco finito di liberare la strada sterrata che separa quella principale dalla sua proprietà. Sono 4 in tutto le frane che l’hanno colpita spiega, indicandoci una parte smottata, tipologia di frane generate perché la terra nel sottosuolo non riesce ad assorbire l’acqua con la stessa velocità di quella in superficie. Si viene quindi a creare una sorta di cuscino d’acqua che spinge verso l’alto e causa lo scivolamento del terreno.

Raffaella Bissoni

Raffaella non esita un istante e inizia a raccontarci di natura. Ci fa notare ad esempio, che alle sue spalle c’è una tipologia di pianta da siepe (Viburnum Tinus) che fiorisce a fine febbraio e quindi molto utile sia per gli insetti che trovano già i fiori che è praticamente ancora inverno, sia per gli uccelli, i quali mangiando le bacche poi le digeriscono portando le sementi ovunque. “Io ne ho a decine e decine ovunque” dice Raffaella, mentre indica con la mano i vari punti in cui la siepe si è propagata tutt’intorno.

Quando la Bissoni arrivò a Bertinoro non aveva mai praticato la scienza agronomica prima di allora. Venne da una storia di paese, di quelle come ce ne sono tante. Si è letteralmente innamorata delle colline che le permettevano una visione allargata del paesaggio a dir poco rassicurante. Un paesaggio privo di illuminazione artificiale notturna, perché “la natura ha bisogno di avere la luce di giorno e il buio di notte”, il che permette anche una catena alimentare nel mondo animale e degli insetti più equilibrata (la tignola, ad esempio, si moltiplica a dismisura nei territori con un eccessivo inquinamento luminoso).

Sono tante le filosofie che Raffaella ha fatto sue e mette in campo: la permacultura, l’agricoltura rigenerativa, l’agromeopatia, la biodiversità: tutto ciò che possa permetterle di capire meglio come funziona la natura e quindi anche di rispettarla maggiormente. Quest’ultima, la biodiversità, ovvero la perfetta convivenza fra animali, insetti, piante e persone, va a influire sui vini. Le piante, convivendo in modo integrato con gli altri fattori, aumentano la loro resilienza e sono in grado di dare prodotti con maggiori complessità. Tutto ciò che vediamo in Raffaella è spontaneo, senza che ci sia stato un intervento umano di integrazione.

Ma veniamo alla degustazione: Raffaella ci ha preparato una memorabile verticale di Girapoggio, il suo Romagna DOC Sangiovese Superiore, nelle annate dalla 2020 alla 2010.

Batteria 1: Annate 2020, 2019, 2018, 2017, 2016

2020

Materico, dal colore trasparente e riflessi rubino. Al naso colpisce un’impronta fresca di menta nepitella, mentre il frutto è agrumato su note di pompelmo rosa e il floreale richiama i petali di rosa rossa. In bocca è agile con un tannino veramente piacevole frutto di una maturazione fenologica ben centrata.

2019

La rotazione del calice rivela una consistenza maggiore rispetto al campione precedente e l’olfatto è quasi ematico con richiami di sottobosco e corteccia. Riconoscibili ciliegia scura e fiore di papavero. In bocca domina la freschezza invitante e la struttura conferma il tutto.

2018

In quest’annata ritornano le note di menta miste a terra e sottobosco. Ciliegia rossa e fragrante, e un frutto che vira su lampone e fragoline di bosco. La rosa canina completa il bouquet floreale. Rispetto ai precedenti l’acidità scende andando a perdurare in un notevole equilibrio, merito anche del tannino delicato e appena percettibile.

2017

Naso polveroso e austero. Il vegetale passa al secco così come il floreale che diventa appassito. L’annata calda la si percepisce dalla nota calorica ben avvertibile che ci ricorda il tipico “mon chéry”. Si rivela comunque il più interessante della batteria, con sentori di crema di caffè, balsamico, tostatura, foglia di tabacco. Intrigante.

2016

Annata è sinonimo di grande evoluzione. Colore che inizia a virare su note granate. Frutta matura riconducibile come l’amarena, finalmente la viola mammola identificativa del Sangiovese. Completano il corredo aromatico timo, rosmarino, caffè e cioccolato. In bocca è integro e perfettamente bilanciato. Colpisce per lunghezza.

Batteria 2: Annate 2015, 2014, 2013, 2012

2015

Per questa seconda batteria i colori iniziano a virare sul granato non perdendo però in trasparenza. Ciliegia sotto spirito, fiori rosa appassiti, caramello, torrefazione e nota fungina. Entra al palato deciso e teso: nonostante l’invecchiamento la freschezza è invidiabile.

2014

Questo non sembra neppure un Sangiovese. Alla cieca, qualsiasi esperto potrebbe affermare di trovarsi di fronte a un Borgogna compassato. Pesca melba, artemisia a tratti da vermouth rosso. Sapidità che colpisce.

2013

Al traguardo dei 10 anni, torna la freschezza a farla da padrona. Naso immerso in infusione di erbe aromatiche e speziature accattivanti. Tannino palpabile, essenziale per controbilanciare una notevole rotondità data dalle morbidezze.

2012

Superlativo. Naso elegante e fine, recuperiamo le note di mentuccia che sentiamo anche nelle annate più recenti e le andiamo a completare con agglomerati di spezie. In bocca avvolge come un liquore al cioccolato.

Batteria 3: Annate 2011, 2010

2011

Sugli ultimi esemplari in degustazione i colori diventano granato intenso. Altra annata calda simile alla 2017, che trova riscontro in aromi di frutti rossi in confettura, finocchietto selvatico, cera e caramella mou. In bocca resta timido, non confermando ciò che aveva rivelato il naso. Tannino scontroso.

2010

Sentori nitidi, franchi, puri che toccano tutte le famiglie passando fra marasca, pot-pourri, resina, catrame e liquore di caffè. Sorso vibrante ed energico. Vino complesso. Questa interessante verticale non può far altro che confermare l’encomiabile lavoro di Raffaella dimostrata nell’ottima serbevolezza dei suoi prodotti.

Romagna: Elisa Mazzavillani, “la vignaiola indipendente”

di Matteo Paganelli

Non trovo appellativo più appropriato di questo per descrivere Elisa Mazzavillani – Azienda Agricola Marta Valpiani.

Non solo per essere la coordinatrice Romagna FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, associazione di vignaioli che promuove l’anti-burocrazia e che assicura la produzione dalla A alla Z “dentro le mura di casa”), ma perché è davvero indipendente da tutto e da tutti. Lo dimostra nei suo modi di fare, nella caparbietà, nel non ascoltare nessuno se non il proprio istinto. Del resto questo titolo è scritto pure nel cartello che si può scorgere da Via Bagnolo, appena si varca la soglia della sua cantina.

È un lunedì pomeriggio di aprile, e ha appena smesso di grandinare. Elisa è visibilmente (e comprensibilmente aggiungo) contrariata: teme che la grandine possa aver causato qualche danno ai vigneti già in piena fioritura. Purtroppo, dobbiamo convivere con il fatto che il grande cambiamento climatico stia “guastando” il tempo creando eventi atmosferici anomali e inaspettati. «Se deve farla a Luglio [la grandine, n.d.r.], è meglio che la faccia adesso» commenta con un tono da magra consolazione.

Elisa mi accoglie nella sala degustazioni che ben conosco, ma che ogni volta mi lascia incantato per la cura dei dettagli. Sparse un po’ ovunque, in perfetto stile Shabby chic, troviamo le bottiglie: alcune sul banco, altre posizionate in basso, altre ancora su mensole dedicate e collocate come fossero trofei. Sono 7 etichette che Elisa produce: 4 da uve Sangiovese, 2 da Albana e 1 rifermentato in bottiglia da uve Trebbiano. Anche se in cantiere è previsto un ulteriore Sangiovese che uscirà a breve.

Dopo le classiche chiacchiere di routine, assaggiamo subito qualcosa, mentre approfitto del momento per affacciarmi sulle vetrate e scorgere i paesaggi quasi lunari, caratterizzati dai grossi scorci dei calanchi che primeggiano magistralmente sulla vallata. La visita odierna è principalmente dedicata alle sue due versioni di Albana, che oggi escono entrambe sul mercato sotto la denominazione Romagna Albana DOCG. La conquista della fascetta è stata piuttosto ardua; seppur produca Albana in purezza dal 2018 (prima in blend con altri bianchi autoctoni), ha potuto rivendicarla solo nel 2020. La chiusura screwcap con tappo a vite non era ancora ammessa da disciplinare.

Elisa crede fermamente in questo progetto, che ha una chiara impronta ambientalista, ed ha preferito declassare per alcuni anni i vini etichettandoli come Forlì IGT Bianco, continuando ad avanzare le proprie idee dall’interno, senza mollare di un centimetro. Ce l’ha fatta! Ed a chi critica questa scelta, sostenendo che un vino ha bisogno del tappo di sughero per respirare, ella risponde che “il vino non è un pesce rosso, ha bisogno di micro-ossigenazioni, non di ossidazioni, e la screwcap può essere una valida chiusura tecnica per raggiungere tale obiettivo”.

Due le etichette dedicate all’Albana degustate: “Delyus” “Madonna dei Fiori”.

Romagna Albana Docg Delyus 2022

Viene coltivata da nuovi impianti del 2016 su un appezzamento principalmente caratterizzato da arenaria con sabbie. Dedicata al padre Delio raffigura in etichetta una Mandragora, pianta mistica che qualcuno avrà sicuramente visto nei film su Harry Potter, e che indica, nel suo significato, il furore e delirio umano. L’aspetto nel calice è invitante, giallo paglierino e nuance dorate. Il naso ricco di erbe aromatiche: timo, rosmarino. Non tarda ad arrivare il frutto: la tipica albicocca dalla polpa ancora croccante e con scie di pesca bianca; c’è anche una nota iodata finale molto percettibile. In bocca la prima cosa che si avverte è il sale, filo comune di tutto il territorio di Castrocaro Terme. L’acidità palpabile, ma non invadente. La struttura di medio impatto, merito anche della componente alcolica poco esuberante e perfettamente integrata. Salino e immediato: che voglia di bere subito un altro calice!

Romagna Albana Docg Madonna dei Fiori 2022

Da vecchi impianti curati con amore. Terreni caratterizzati dalla presenza di argille ocra, che ritroveremo quasi per osmosi all’interno del vino, in una struttura più accentuata rispetto a Delyus.
Il nome è una dedica alla patrona di Castrocaro Terme e l’etichetta raffigura una hemerocallis o ‘bella per un giorno’, con un significato in contrapposizione alla breve vita dei fiori: Elisa persevera e non molla mai! Colore leggermente più saturo, con una nota dorata vivida. L’olfatto non richiama ad un’aromaticità spiccata, ma si percepisce piuttosto un frutto citrino, confermato al sorso, con una freschezza verticale spalleggiata armoniosamente dall’estrema sapidità.

Credo che dobbiate tutti andare a trovare Elisa Mazzavillani. Del resto lei è come l’Albana: non la si addomestica, la si ama e basta.