MALVASIA un diario mediterraneo – presentazione del libro di Paolo Tegoni

di Maura Gigatti

Presentazione del libro dedicato al frutto a bacca bianca del docente di enogastronomia Paolo Tegoni a Ozzano Taro (PR) presso la cantina Monte delle Vigne, azienda rappresentante e portavoce della Malvasia, un vitigno di origine greca che per la grande qualità fu presto commercializzato dai veneziani durante la Serenissima.

Ed è proprio il viaggio verso la Grecia (e non solo) che intraprende Paolo Tegoni, attraverso i racconti e le realtà di piccoli produttori a cui si rivolge andandoli a trovare, pronti a introdurre le loro malvasie nel libro che odorano di mare, sole e calore. 

Il pubblico giornalistico applaude alla passione trasmessa, pronti a conoscere le varie interpretazioni della Malvasia, frizzante, ferma, dolce abbinare ai piatti dello chef Mariano Chiarelli patron dell’Antico Casale situato sulla piccola collina sopra l’azienda. 

Il sipario si alza con la verticale di Callas, Malvasia di Candia aromatica ottenuta dalla selezione dei migliori grappoli dal vecchio vigneto Montebianco e vinificata in acciaio (dalla vendemmia 2020 una parte  sarà dedicata all’anfora). 

La degustazione prende vita con la 2005, l’annata più vecchia della serie sino alla 2017.

Annate dalla propria grande personalità di espressione e di longevità, mostrando ai più scettici che il tempo regala evoluzione, ma sopratutto l’anima e la vitalità della Malvasia. Un vino che per tradizione si beve nella versione frizzante ma la grande polivalenza è il suo punto di forza, rendendolo un vino eclettico. 

“Parlare e far parlare della Malvasia” soprattutto comunicare e far comunicare agli addetti al settore  Horeca l’eccellenza del vitigno abbinato al caratteristico territorio parmense, sono le parole di Lorenzo Numanti amministratore delegato di Monte delle Vigne, mentre Andrea Bonini, agronomo, spiega che è molto importante lavorare in campagna, portare uve sane in cantina che avranno macerazioni lunghe, ricche di estrazione. Uve che diventeranno Callas, in onore della più importante soprano italiana di origine greca come la Malvasia. 

Callas 2005 

Materico e gastronomico, note terziarie di caffè e tartufo. Ampio e suadente il palato, agile al sorso, cremoso il finale con rintocchi di uva sultanina, fieno secco in buono stato complessivo. 

Callas 2008

La star assoluta introdotta da un naso complesso e variegato. Elegantemente… elegante!!

Callas 2011

Riconduce verso idrocarburi, sviluppi balsamici, miele. Giusto l’equilibrio. 

Callas 2015

Articolato nel porsi al calice. Iris, miele, poi di nuovo sbuffi timidi e socchiusi di fiori bianchi. 

Callas 2017

Solare e raggiante, mostra la verve accattivante dell’essere Malvasia. Finale su nuance erbacee.

“Alle radici del Barolo” nel cuore di Taurasi

di Luca Matarazzo

Barolo e Taurasi: semplice ossimoro o simboli di lontane appartenenze?

A presentare il nuovo libro edito da Slow Food, scritto da Armando Castagno con introduzione storica di Lorenzo Tablino e fotografie di Clay Mclachlan, è stato l’autore stesso accompagnato da una straordinaria degustazione di 6 campioni di Barolo.

Parlarne proprio a Taurasi, nel cuore dell’Irpinia, ha una valenza doppia. Prima di tutto per l’importante affluenza di professionisti del settore, stampa e semplici appassionati che ha reso l’atmosfera carica di emozioni quasi sacrali. Secondariamente, e cosa non di meno conto per il sottoscritto, per lo strano parallelismo che ha sempre legato due areali profondamente diversi.

Eppure, a rileggerne i tratti salienti della storia, qualche legame sottile ed elastico resta presente, ben al di là della (discutibile) citazione da vox populi “Il Taurasi è il Barolo del Sud”!

Superando le ovvietà, bisogna riconoscere ai produttori delle Langhe la capacità di scommettere sulla rinascita di un intero movimento. Lo hanno saputo fare, come sempre accade nel gioco tra le parti, conservando storicità e tradizione, ma non tralasciando le spinte delle giovani leve verso tecnologia e ricerca di qualità. La vigna da sola, pur straordinariamente bella e produttiva, non può bastare. A buon intenditor…

Nelle splendide sale del Castello Marchionale, alla presenza di Alessandro Barletta fiduciario della condotta Slow Food Colline dell’Ufita e Taurasi, di Alessandro Marra ed Adele Granieri coordinatori, tra le molteplici attività, della sede di Napoli di Banca del Vino e del consigliere del Comune di Taurasi Pierluigi D’Ambrosio, ha preso forma l’incontro tra il nobile Nebbiolo, con le sue nuance delicate, proseguito a cena in un clima di amicizia con alcune espressioni sublimi del forzuto Taurasi.

Del secondo spazio ne parleremo in altra occasione; oggi la scena e le parole vanno tutte ad Armando Castagno, penna conosciuta in ambito nazionale ed internazionale, grazie all’amore per la Francia e per molti territori del vino italiano.

Armando Castagno

“Armando, il rapporto Barolo – Italia sta diventando un affaire solo per pochi e per le esportazioni, o ci sono speranze di comprare a buon mercato anche per i clienti del nostro Paese?”

Risposta: “La speranza esiste, a patto di cercare oltre il banale, oltre lo scontato. I Barolo che hanno visto aumentare il valore sul mercato è frutto a volte di speculazioni del mercato stesso e non della volontà del singolo produttore. Molti giovani si affacciano alle luci della ribalta con piccoli appezzamenti, magari conseguiti con debiti personali e abbiamo ancora tante cose da scoprire. I giovani vanno investiti di tale responsabilità, con mentalità aperta da parte nostra e vini che abbiano un prezzo sensato”.

La seconda domanda non poteva prescindere, invece, il confronto con le storicità di altre Nazioni: “In una scala da uno a dieci come vedi il vino italiano a confronto di altre nazioni come la Francia?

Risponde Armando in maniera netta: “per me i produttori non hanno nazionalità, sono tutti conterranei. Tralasciamo le questioni geopolitiche, credimi i nostri vini non hanno nulla da temere paragonati ad altri”.

Comincia così la dimostrazione sul campo di quanto affermato, con la proposta di sei eccellenze scelte direttamente dal caveau della sede di Banca del Vino a Pollenzo. Un progetto di Slow Food che mira ad accrescere la cultura su territori lontani, mescolando nord e sud in una sorta di unità enologica scevra da campanilismi e preconcetti.

I produttori che aderiscono tesserandosi possono poi rivendere le proprie etichette alla Banca stessa, che le conserva in cantina in attesa di incontri divulgativi come questa occasione. Useremo la scala a punteggio, indicando per onestà non una vera graduatoria (non necessaria al racconto), ma solo con il fine di agevolare il lettore.

Campione n.1: Barolo 2016 “proprietà in Fontanafredda” – Fontanafredda – un frutto possente, forse a tratti eccessivamente nervoso. Nota speziata elegante sulla parte finale, resta ancora contratto per esuberanza giovanile. 89/100

Campione n.2: Barolo 2015 Monvigliero – Fratelli Alessandria grande succo, essenze floreali tipiche, dimostra buona evoluzione e termina su mineralità stuzzicante. 92/100


Campione n.3: Barolo Riserva 2013 Bussia “Vigna Mondoca” – Oddero la perfezione non esiste, neppure per il Barolo. Non al meglio della forma, uno di quei casi (pochi per fortuna) che bisogna saper accettare. Al netto delle note secche ed asciuganti, resta comunque l’integrità di piccoli frutti di bosco che merita giusta attenzione. Ci asteniamo dal punteggio, sperando di riassaggiarlo in futuro.

Campione n.4: Barolo Brunate 2008 – Poderi Marcarini – straordinario. La fase boisée è attenta e curata. Ottimo succo con riverbero di agrume e iodio. 94/100


Campione n.5: Barolo Riserva 2005 – Casa E. Mirafiore – note di salsa di pomodoro, fungo e sottobosco. Fase ferruginosa davvero intrigante, peccato per una puntina calorica sul finale. 91/100


Campione n.6: Barolo “Liste” 1996 – Borgogno – ormai pressoché introvabile. Rivela ancora acidità elevatissime da arancia sanguinella fusa al salmastro. Appaga dall’inizio alla fine, pur nella sua severa asuterità. 96/100

“Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

di Titti Casiello

“Un altro libro sul vino, potrebbe pensare qualcuno”. Così si autodenuncia, nella sua introduzione a Storie di vite – Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti, il wine-teller e scrittore Salvo Ognibene, aiutato nella stesura dell’opera dal prezioso contributo di Gherardo Fabretti, Filippo Moschitta e Antonello De Oto.

Un libro diverso sul tema potrebbe, invece, pensare un pubblico attento al termine della sua lettura. Si pone a metà strada tra un saggio ed un racconto, intrecciando la storia del vino con quella dei vignaioli e ricordando testualmente dai suoi estratti come terreno, vitigno e condizioni atmosferiche necessitano sempre della mano sapiente dell’uomo, senza la quale nulla sarebbe comunque possibile.

Perché sono loro, i “Maestri di vino” così definiti da Fabretti, gli ambasciatori della Terra che hanno creato le condizioni affinché il loro vino riflettesse, e amplificasse, il prestigio di un intero territorio e con esso, dunque, anche di una comunità. Nello scorrere dei paragrafi, suddivisi in quattro capitoli ognuno a firma di un singolo autore,  si osserva una costante pressoché univoca, che mira a sollecitare il lettore verso un’immagine del vino non come un prodotto a se stante, ma come un bene che ha accompagnato lo sviluppo umano e territoriale diventando esso stesso, dunque, un prodotto della cultura e della storia.

Salvo Ognibene

Una storia, però, che non sempre è andata di pari passo con quella delle sue norme. Nulla di così tanto diverso di quanto non avvenga in ogni Stato politico che si rispetti, anche per ben altre e diverse questioni, tra chi gioca di coalizioni e chi di opposizioni pur di far valere le proprie scelte individuali. Parimenti è stato (e sarà) con i Legislatori del vino, dove in un avvincente resoconto storico, emerge un quadro dei grandi successi vinicoli italiani tra chi è riuscito a parlare di territorio in un raggio d’azione delimitato da una Denominazione, e chi, invece, ha dovuto faticare (i resilienti o facinorosi che dir si voglia) per crearsi uno spazio pur di interpretarlo secondo il proprio credo.

C’è chi “è stato capace [..] di promuovere un territorio [..] con a monte le geniali intuizioni di Giulio Ferrari  e che oggi compone la squadra del Trento DOC” e chi, invece, si muoveva “con fastidio tra  le regole di un Disciplinare” come Marco De Bartoli che ha dovuto scardinare uno dei più intricati regolamenti di Italia, quello della Doc Marsala, dimostrando, con ostinato rifiuto il non cedere di un solo millimetro dinanzi alle avversità: una storia di rinascita grazie al Vecchio Samperi e che, oggi, custodisce amorevolmente l’antica tradizione siciliana del perpetuo. Ma “Storie di vite” è ricco anche di nozioni che vanno oltre le informazioni più attuali, “Oggi lo Stato con più consumo pro capite è Città del Vaticano con circa 60 litri a persona all’anno”, o le domande ormai di tendenza ad esempio per definire ad libitum i vini biologici e biodinamici e si sovrappongono parti storiche, dalla religione, alla letteratura e alla prosa che ci ricordano da dove veniamo e dove stiamo andando.

Informazioni che se aprono nuovamente la mente al lettore: il vino visto come strumento di riscatto sociale. Ciò è accaduto alle porte di Napoli, in una città assediata all’epoca dal “malaffare”.  Chiaiano sembrava destinato ad una triste sorte, ma il sentire profondo di una comunità che voleva risorgere ad ogni costo, risiederà per sempre nei due ettari di vigneto di Falanghina gestiti dalla Cooperativa (R)esistenza. Un bene agricolo confiscato alla camorra e dedicato alla memoria di un purista della legalità come era Amato Lamberti. Tanta la paura alla prima vendemmia, “poi però incontrammo Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni [..] che sposò il progetto”.   Il libro continua così, tra commossi ricordi e realtà, centodieci pagine che si fanno leggere piacevolmente, pensando che di vino c’è sempre qualcosa di bello da scrivere.

“Storie di vite. Alla scoperta del vino tra itinerari e racconti”

Dario Flaccovio Editore

Prezzo di vendita proposto: 11 euro