Albamarina e i vini bianchi di Mario Notaroberto: una storia cilentana fatta di vere passioni ed emozioni

di Silvia De Vita

La cantina del “brigante contadino” Mario Notaroberto e l’espressione dei vini bianchi di Albamarina colpiscono nel segno. Una storia tutta cilentana fatta di vere passione ed emozioni quella che andremo a narrare per 20Italie.

I racconti hanno sempre il loro fascino quando consentono di immergersi in atmosfere talvolta lontane nel tempo e nello spazio. Le parole che li compongono assumono peso, circostanze, significati che in contesti diversi avrebbero tutt’altro senso. Le espressioni, le intonazioni, le pause ne arricchiscono enormemente il fascino. E se poi la narrazione è accompagnata da un calice di vino, arricchita da complici sguardi, l’immersione nel luogo e nel tempo è garantita. Silenzi e pause che contribuiscono a condurre il ritmo, la suspense e l’armonia della composizione, come accade in un brano musicale.

Mario Notaroberto – Albamarina

Ci troviamo nel comune di Centola (SA), nella natura selvaggia del Parco del Cilento, lì dove mare e montagna si incontrano in un trionfo di colori che sfumano dal blu profondo del mare al verde intenso della campagna, con spennellate di macchia mediterranea e profumi intensi di salsedine e piante aromatiche.

Il protagonista è Mario Notaroberto – cantina Albamarina proprietario di splendidi vigneti che si affacciano sul golfo di Palinuro. Un terreno noto agli esperti come flysch cilentano, dove lo strato di argilliti e quarziti di origine marina ha l’arduo compito di assorbire l’acqua piovana per poi restituirla nei periodi più aridi. È un piccolo mondo di storie, di vigne e pensieri: una terra di testarde attese e di cuori resilienti.

La roccia è composta da vari livelli di arenaria, argilla, marna, calcare, e qualcuno sostiene, non solo. Nel tratto a largo della costa del Cilento, due giganti sottomarini, il Marsili e il Palinuro, hanno avuto in passato una attività vulcanica imponente, tanto da far supporre ad alcuni studiosi che il suolo possa avere richiami tipicamente vulcanici.

Mario sviluppa qui la sua cantina su 10 ettari vitati, tra Fiano ed Aglianico e altri vitigni autoctoni cilentani e della Campania (Falanghina, Greco e Santa Sofia). Gli impianti sono del 2009 e nel 2012 è avvenuta la prima vendemmia; l’anno seguente Albamarina è comparsa sul mercato con ottimo consenso dalla critica. Il microclima è particolarmente favorevole e si avvantaggia della brezza marina proveniente dal golfo di Policastro protetta dal Monte Bulgheria in un unico abbraccio.

Di strade Notaroberto ne ha percorse molte dal momento che, dopo gli studi di ragioneria e un lavoro proficuo a Napoli, si è trasferito in gioventù nel Lussemburgo spinto forse da questioni di cuore o molto più probabilmente da nuove ambizioni e ricerca di stimoli. Lì apre il Ristorante Il Notaro che conduce al successo rapidamente, arricchendone la cantina con un numero importante di vini, tali da raggiungere negli anni oltre 1450 etichette. Oggi il business in Lussemburgo viene gestito dai figli Livio e Dario che, dopo gli studi alla Bocconi, hanno deciso di seguire le orme del papà.

La passione per il vino nasce in Mario sin da ragazzo, nella vigna di famiglia. Non ha mai saputo che uva il padre coltivasse, ma ha chiaro il ricordo di questo vino rosso da una varietà francese a detta dei genitori, riportata nel Cilento da un compaesano emigrato con dei “maioli”.

Il risultato era di colore tanto scuro da far dannare la mamma quando una sua goccia macchiava la tovaglia. Molti anni dopo, per caso durante un viaggio a Montevideo, scopre che quell’uva era semplicemente il Tanat, vitigno del Sud Ovest francese, molto tannico, con caratteristiche che si collocano a metà strada tra Aglianico e Sagrantino.

La degustazione improntata sui suoi vini è splendida. Con molta generosità alterna il racconto di Albamarina e della sua storia personale a momenti di assaggi delle diverse tipologie di vino della cantina.

Ad aprire le danze Etèl – IGP Campania 2022, Falanghina proveniente per metà dai terreni di Centola ed il rimanente 50% dal Sannio. Il nome del vino richiama il nome del fiume LETE scritto al contrario, sui cui lembi (ben stilizzati in etichetta) si affacciano, a circa 250 mt di altitudine, i vigneti. Il clone utilizzato è quello del Sannio, impiantato nel 2016 e vinificato per la prima volta nel 2021. L’affinamento avviene in acciaio sulle fecce fini per circa 6 mesi, ed in bottiglia per almeno 3 mesi. Vino di carattere, dalle nuance giallo paglierine e naso inebriante di sentori fruttati. Sorso fresco e di buon corpo, ben equilibrato dal gradevole allungo.

Nerbo e prospettive di longevità per il Nylos, IGP Campania 2021, da Greco in purezza. La dedica è a San Nilo, il cui cammino cilentano, in alcuni punti, segue le vigne di Albamarina. Richiama al naso fiori di ginestra e frutta a pasta gialla. Fresco, ben equilibrato e di buona persistenza.

La degustazione continua con il vino storico dell’azienda, il Fiano IGP Valmezzana. Il nome del richiama la località nella quale viene coltivata l’uva. L’etichetta invece evoca una farfalla per simboleggiare un’esistenza effimera e quindi un vino che va bevuto velocemente perché di vita breve. Invece resiste in maniera superba lo scorrere del tempo!

La verticale proposta denota, infatti, tutt’altro. Le diverse annate di Valmezzana 2021 – 2019 – 2014 – 2013 oltre ad impressionare per l’intensità del colore che vira a mano a mano verso il giallo dorato con riflessi ambrati, sviluppano al naso un bouquet di note agrumate, con fiori bianchi, mughetto alpino e balsamicità. Andando indietro con le lancette dell’orologio emergono le sfumature tostate e mielose del Fiano e una mineralità di forte presenza in bocca. Straordinaria l’evoluzione del Valmezzana in versione Magnum.

Ultimo prodotto in degustazione è il Palimiento, che rappresenta per Albamarina un ritorno al legno in fase di fermentazione e un affinamento per almeno 12 mesi in barrique.

Il nome del vino “Palimiento” richiama “I Palmenti”, le vasche o di cemento o scavate nella roccia, che già in tempi antichi venivano utilizzate per la fermentazione del mosto, rievocate e stilizzate in etichetta con un tratto delicato. La presenza del legno nel processo produttivo ha un impatto nobile sul vino. L’esaltazione della macchia mediterranea e la mineralità vengono percepite senza troppe difficoltà, come se le sue botti fossero state immerse in acqua di mare. Una struttura importante accompagnata da una freschezza e una sapidità rendono la beva elegante.

Un nuovo progetto vede l’espressione del Fiano nelle bollicine – Metodo Charmat e Metodo Classico – presto in arrivo al pubblico. Noi abbiamo degustato in anteprima lo spumante brut Metodo Charmat il cui nome “L’eremita” è un omaggio ad una delle frazioni di Futani “Eremiti”. L’etichetta richiama una rete in cui l’eremita si sente intrappolato, come lo spumante quando è chiuso in bottiglia. Dal perlage fine e brillante con piccoli riflessi di luce dorata.  Al naso richiama sentori di agrumi e frutta gialla non ancora matura, arricchiti da piacevoli note floreali e di lievitazione. La beva ha una buona freschezza e finezza; lungo e pulito il finale.

Il mondo dei rossi e rosati di Albamarina meriterà tempo e dedizione in un’altra visita. Si va via consapevoli della magia appena vissuta e nostalgici delle magnifiche sollecitazioni che più volte hanno stimolato piacevolmente i nostri 5 sensi.

Oscar Wilde diceva “The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams.”

Mario Notaroberto, ne è l’esempio vivente…

Merci et à la prochaine! Et ce sera bientot.

Cantina La Sibilla: testimone della storia dei Campi Flegrei

di Luca Matarazzo

Narrare la storia dei Campi Flegrei significa passare necessariamente da La Sibilla, testimone da generazioni dell’opera vitivinicola di questo areale posto ai confini con Bacoli e immerso in una scenografia naturale da film di Hollywood.

La famiglia Di Meo persegue lo scopo praticato già dagli antichi romani, che hanno qui lasciato tracce indelebili sotto i resti dell’Opus Reticolatum tipico, probabilmente, di un vecchio acquedotto usato per le terme.

Nel mezzo, tra la fine dell’Impero d’Occidente e i tempi moderni, la storia fu scritta col dolore e con l’abbandono delle terre, causato dalla paura per i frequenti smottamenti dovuti al bradisismo. E poi eruzioni, brigantaggio, abusivismo edilizio: un lento incedere nel quale i produttori locali hanno dovuto confrontarsi per poter sopravvivere.

Terreni ricchi di materiale piroclastico sotto forma di cenere, mista a sabbie marine e argilla. Gli ettari vitati sono tornati 15 come i bei fasti del passato, anche se non tutti a regime, e le bottiglie vengono conservate assieme alle collezioni in una grotta ricavata nella roccia di tufo e recuperata abilmente dai Di Meo.

Mattia Di Meo la quinta generazione

La prima bottiglia è datata 1997; ai tempi, per l’intero comparto, la vendita era fatta in prevalenza di vino sfuso destinato a soddisfare i canali commerciali di Napoli e provincia. Proprio in quei momenti venne concepita la storica etichetta Cruna deLago, straordinario esempio di come la Falanghina riesca a dimostrare eleganza e serbevolezza quasi infinita.

La vedremo danzare in un confronto 2022 verso 2021, in due vintage simili per difficoltà tecniche e climatiche. Chiuderemo la carrellata degli assaggi con il raro Domus Giulii che esce in poche selezionate annate.

La degustazione

Cruna deLago 2022: assaggiato en primeur direttamente da vasca inox, dimostra straordinaria possenza, con immediatezza salmastra e acidità vibrante verso agrumi gialli. Non possiamo prevedere quanta vitalità conserverà nel futuro in bottiglia, ma se queste sono le basi…

Cruna deLago 2021: una gioventù disarmante, che le mantiene attivo al gusto tra richiami di ginestra essiccata, pepe bianco e mela golden. Rispetto al precedente campione sembra perdere qualcosina nell’allungo finale, pur in un paragone davvero ardito.

Domus Giulii 2015: attualmente in commercio. Nervoso, scalpitante tra nuance di miele, canditi e tonalità sulfuree. La lunghezza di bocca non è di sicuro il suo problema, ma necessita un obbligatorio abbinamento gastronomico, visto il suo ampio “calore”.

Napoli: La Guardiense porta il Sannio vulcanico dei suoi vini a Palazzo Petrucci

di Luca Matarazzo

A Napoli, per un istante, il tempo si è fermato quando la cooperativa vitivinicola La Guardiense ha presentato i vini del Sannio al ristorante gourmet Palazzo Petrucci, una Stella Michelin.

È risaputo che l’areale possiede terreni di diversa natura, ma solo recentemente gli stessi sono stati analizzati con l’occhio attento di chi coltiva per particelle, suddivise in apposite zonazioni. Ne consegue che il nobile vitigno sannita per eccellenza, la Falanghina, che in Campania alberga sotto numerose espressioni, gode di una variabilità frutto di imprinting genetico, scelte stilistiche e, naturalmente, suoli.

La Valle Telesina, nella parte ovest del beneventano, è priva di vulcani ma con un terreno sorprendentemente ricco di ignimbrite: merito della super esplosione dei Campi Flegrei circa trenta millenni orsono, capace di trasportare lapilli e minerali magmatici anche nell’area che da Castelvenere giunge a San Lorenzello.

Una sorta di “Cru itinerante” che prende forma dall’impegno del Presidente Domizio Pigna, da anni al timone dell’azienda, grazie anche alla consulenza enologica esterna di Riccardo Cotarella e dell’enologo interno Marco Giulioli. Vini puliti ed eleganti molto diversi rispetto al passato, con un gusto più moderno ed accattivante, che vogliono puntare, lo auspichiamo vivamente, anche al racconto del terroir.

Anima Lavica è la linea innovativa del progetto Janare dedicato ad un preciso compito: quello di comunicare vini di carattere, identificati con una linea congegnata con precisione certosina, vista la dimensione complessive della realtà d’origine.

Dai 33 soci del 1960 se ne contano adesso 1000 con 3500 appezzamenti per un totale di 1500 ettari. A far bene i conti trattasi di soci conferitori dalle piccole dimensioni che difendono con cura il patrimonio paesaggistico e produttivo di queste colline poste ad un’altitudine compresa tra i 300 ed i 500 metri.

“I mille” di Guardia Sanframondi vengono dunque proposti nel calice sotto forme liquide in abbinamento con i piatti dello chef executive Lino Scarallo di Palazzo Petrucci.

«Questo progetto è nato un po’ per caso – ha spiegato Marco Giulioli – col ritrovamento di una mappa di zonazione dei suoli della valle Telesina stilata tra fine anni Novanta e inizio anni Duemila. È stato come trovare un tesoro: la frammentazione dei suoli e il lato vulcanico ben delineato imponevano di cogliere al volo questa opportunità».

Da sinistra: Nicola Caputo, Armida Filippelli, Domizio Pigna, Marco Giulioli

Conclude il Presidente de La Guardiense Domizio Pigna alla presenza della giornalista professionista Monica Caradonna, alla quale vanno i nostri ringraziamenti, ed a importanti autorità politiche campane tra le quali Nicola Caputo, assessore regionale all’Agricoltura ed Armida Filippelli, assessore regionale alla Formazione Professionale: «Le nostre etichette non sono solo il frutto del lavoro di una squadra devota e infaticabile ma anche un importante esempio dell’eccellenza che un territorio come quello del Beneventano, su cui siamo felici di insistere, sa regalare».

Importante rammentare, infine, Benevento.Wine lanciato a maggio 2022, che mira a promuovere le eccellenze e le peculiarità del Sannio attraverso eventi dedicati, incoming di operatori del settore, giornalisti e opinion leader, il tutto finalizzato a creare reti e relazioni con i mercati campani, nazionali e internazionali.